Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: summers001    07/01/2022    0 recensioni
Braime | AU-moderna | Storia raccontata a ritroso
Aveva inviato le carte quando aveva smesso di sentirsi arrabbiata, per essere sicura di aver preso la decisione giusta. Erano passati diversi mesi che Brienne avrebbe potuto dividere per capitoli. C’era stato quello del pianto, quello della rabbia e poi quello dell’arresa. Era stato durante quest’ultimo che gli aveva inviato le carte da firmare. Fu allora che lui le aveva richiesto di incontrarsi con i rispettivi avvocati. Giusto, aveva pensato all’epoca.
Brienne leggeva le sue copie silenziosamente. I loro due nomi erano pesantemente stampati in cima al documento. Sansa Stark, in veste di suo avvocato, le puntava col dito i punti di suo interesse. Dall’altro lato del lungo tavolo, illuminato dalla luce bianca di metà mattino, Jaime Lannister faceva lo stesso con Sandor Clegane. Jaime si rigirava la sua fede attorno al dito con il pollice mentre ascoltava. Era distratto ed avrebbe voluto guardare sua moglie ancora un’altra volta prima di sollevare la penna e firmare.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
 
 
2 agosto 2020
“Jaime!” chiamava Tyrion a gran voce da fuori la porta. “Jaime! Jaime, andiamo!” tamburellò con le nocche della mano contro il legno mentre chiamava. Questa volta te lo sogni che rimango qui a pregarti di aprire, pensò Tyrion mentre continuava a fare rumore per farsi sentire. Come se non l’avesse già fatto.

Jaime aprì con violenza e stanchezza insieme la porta della stanza che ormai era diventato il suo mondo da qualche mese ormai. La teneva immacolata, pulita, come se non fosse la sua, come se non ci vivesse lui. Sperava ancora che fosse una sistemazione temporanea, che sarebbe tornato a casa sua, quella che aveva acquistato ed arredato con sua moglie, dove c’erano le sue cose. Si era sentito sempre un ospite, fino a quando non aveva cominciato a conoscere la collocazione del latte, dello zucchero, dell’adattatore per le prese elettriche, del sapone per la lavatrice. Allora gli era crollato il mondo addosso ed era solo una questione di tempo prima che quel momento sarebbe arrivato.

“Te lo dovevi aspettare prima o poi.” Fece Tyrion, prendendo in mano i documenti mezzi spiegazzati e cominciando a leggere. “Mi sembrano anche ragionevoli.” Disse dopo aver dato una lettura rapida ai termini del contratto.

“Non mi interessa.” Lo liquidò, facendo su e giù per la stanza, davanti allo stretto corridoio che stava tra il letto e l’armadio. “Sono solo cose.” Protestò, indicando quei fogli di carta dove non si parlava altro che di cose, oggetti: la casa, l’automobile, l’assicurazione. Si sentiva persino offeso dal fatto che sua moglie credesse che gli potessero importare tutte quelle cose o che persino a lei importassero. Che cosa avrebbe dovuto farsene dell’automobile se avesse dovuto rinunciare a lei per averla? Prima o poi avrebbe avuto un’altra casa, un’altra auto, un’altra cucina o un’altra stanza, ma di lei, come faceva ad averne un’altra? Come se non ci avesse già rinunciato. L’aveva fatto, il giorno che era andato via di casa e si era presentato da Tyrion. Anzi no, non all’inizio. All’inizio aveva provato ad assecondarla e poi riconquistarla, e dopo cos’era successo?

“Le tue cose.” Rimbeccò il fratello, toccandosi un anello che gli piaceva rigirarsi intorno al dito, come a sottolineare l’importanza venale delle cose.
Jaime sbuffò.

“Hai detto ragionevoli?” chiese poi come illuminato da un’idea. “Così tanto?” E se in fondo non lo fossero? Se potesse sembrare attaccato alle sue cose?

“Beh, certo, poteva farsi di meglio, ma visto quello che è successo…” considerò Tyrion, rileggendosi velocemente i punti del documento.

“E se ne volessi discutere?”

“Ti servirà un avvocato.” Rispose l’altro prima di capire dove il fratello volesse andare a parare “Oh dei, no. È da sociopatici.”

“Io sarei il sociopatico?” chiese Jaime scettico, levandosi finalmente la maglietta umida di sudore che aveva addosso da almeno una settimana ed avviandosi verso il bagno per darsi una sistemata. Avrebbe dovuto tagliarsi la barba, i capelli, le unghie. L’idea di rivedere Brienne lo metteva in agitazione. Doveva ancora crederlo una persona spregevole, meritevole di tutto quello che gli stesse succedendo, eppure una piccola parte di sé stesso sperava solo di potersi riavvicinare a lei, tenerla nella sua vita, anche se più lontana. Si sentiva esaltato come se avesse trovato l’oasi nel deserto. “Hai ancora il numero di Clegane?” chiese a Tyrion da una stanza all’altra.

“Cosa? Sei pazzo?”

“No.” Rispose subito “Non lo so.” Si corresse e sospirò.
E se lei non avesse voluto mai più rivederlo? Del resto le carte parlavano chiaro: Brienne voleva sciogliere quell’unico legame formale che li teneva legati.

Jaime tornò con i capelli bagnati, un asciugamani in testa ed uno spazzolino da denti in bocca. Afferrò il cellulare, cominciò a cercare tra i numeri di telefono e mentre aspettava tra uno squillo e l’altro si rigirava con il pollice sinistro la fede attorno all’anulare.  
Tyrion quasi sperava che l’avvocato fosse troppo occupato per un caso così poco stimolante e remunerativo come un divorzio. Finì di raccogliere i fogli da terra e la busta gialla in cui erano avvolti. Li allisciò sul materasso, quando notò sopra l’etichetta del mittente un rigo in corsivo, scritto a penna. La grafia era tonda, femminile. La mano che l’aveva scritto aveva calcato con inchiostro blu pesante. Ogni lettera era però ben delineata, scolastica quasi. Diceva “mi dispiace”.
Tyrion sospirò ancora e guardò Jaime parlare a telefono. Per la prima volta dopo mesi gli vide addosso un barlume di speranza. Avrebbe tanto voluto che fosse così.
 
***
 
 
18 luglio 2020
“Posso spedire?”
Brienne guardò la lettera chiusa in una busta.
“Ehi.” La chiamò Sansa Stark per richiamare la sua attenzione. Brienne si scosse come se fosse stata appena svegliata da un sogno “Posso spedire?”

Brienne sospirò. Non lo so, avrebbe voluto rispondere. O ancora più semplicemente, no. Negli ultimi giorni, da quando aveva cominciato a familiarizzare con quelle carte, le erano tornati in mente tutti i bei momenti passati con suo marito. Guardò Sansa come ad invocare il suo aiuto, disperata.

“Pensaci un attimo.” Le chiese Sansa e le prese le mani con fare deciso e premuroso “Non vi vedete più da mesi, non è più possibile recuperare un rapporto dopo così tanto tempo. Tanto vale ricominciare. Approfitta di questo momento, prima che vi cominci a dividere la rabbia. Succederà lo sai.”

L'ha già fatto, avrebbe voluto dire. “Non voglio più sentirmi arrabbiata.” disse invece “Io non sono così.” Balbettò tra le lacrime, pensando a quello che era diventata, a come si era sentita, ai sentimenti che erano maturati e le si erano consolidati dentro.
Da quando tutto era successo aveva imparato ad amare in maniera arrabbiata. Lo odiava eppure non ci credeva. Lo odiava e lo cercava contemporaneamente: un caffè, un giro a casa per riprendere le sue cose, per parlare. Lo odiava quando la cercava troppo dopo avergli chiesto tempo. Lo odiava quando non la cercava affatto e nella sua testa vorticavano mille pensieri. Era arrabbiata e non riusciva a fare a meno di lui, come una sorta di dipendenza da cui voleva uscire, eppure ci cadeva ogni volta. Lo odiava e glielo aveva dimostrato, poi lo vedeva e si calmava, poi lo odiava di nuovo e lo cacciava. Solo la lontananza completa l’aveva aiutata. Ci era voluto un po’ per sentirsi normale di nuovo, sé stessa. Piano piano aveva cominciato a maturare l’idea che stare in quella situazione non fosse giusto per entrambi.

“Allora fallo, volta pagina.” Cercò di incitare l’amica con tono autorevole e delicato. Le mise in mano una penna e la guardò tentennare. “Brienne,” cominciò poi, afferrandole la mano per darle forza. “non è per fare del male a lui che lo fai, ma del bene a te.”

Brienne fece segno di no col capo, non era quello a cui stava pensando. Con un cenno d’assenso Sansa la invitò a parlare ed allora lei si spiegò. “Ho sbagliato tutto.” Si rammaricò “Forse non perdonarlo è la prova che non l’ho mai amato.”

“Un motivo in più per lasciarlo andare allora.”

“Ho paura di sbagliare adesso.” Continuò scoppiando a piangere. Si ricordò di quando le aveva chiesto di sposarlo, prima in piedi per non spaventarla, poi s’era inginocchiato. Aveva avuto paura anche allora, una paura paralizzante, mista alla vergogna: Jaime che le dava una prova così eclatante del suo amore e lei che aveva dei dubbi, davanti a tutta quella gente. Adesso invece Jaime aveva sbagliato in maniera così tangibile ed in lei cominciavano a nascere dubbi. “Sono stata una pessima moglie.” Concluse alla fine.

“Beh, lui non è stato un bravo marito.”

Quando ci si sposa, aveva cominciato a pensare lei, lo si faceva per buone ragioni, per quell’amore che perdona tutto. Era quello che gli aveva promesso il giorno delle nozze, quello che le aveva fatto paura quando l’aveva visto in ginocchio con un anello in mano. E se non l’avesse mai amato a quel modo? Se la rabbia che aveva provato, piuttosto che il perdono, ne fosse testimonianza?
Con in mano le carte del suo divorzio, cominciava a pensare al perdono. Guardò il calendario: 2020. Un anno dopo la tragedia. Ci aveva messo tanto. E se lui avesse già un’altra?
“Posso pensarci ancora un minuto?” chiese stropicciando i fogli tra le dita.

Sul volto di Sansa poteva leggere disapprovazione. “Certo” le rispose nonostante tutto con un sorriso paziente. Raccolse i fogli, li mise dentro una busta gialla da imballaggio e le lasciò una penna.
Il pacchetto era triste ed anonimo. Prese la penna e si mise a scrivere direttamente sopra al mittente: Mi dispiace. Per Jaime Lannister.
 
***
 
6 maggio 2020
“Come ti senti?”
Brienne non voleva rispondere, non era abituata a raccontare al padre come si sentiva. Alzò lo sguardo e vide i tristi occhi blu. Sentì il suo moto d’affetto investirla in pieno, come se avesse capito solo in quel momento, a trent’anni suonati, che suo padre l’amava. Era strano come la fine di una storia la facesse sentire così sola, lontana persino dalla sua famiglia, dalle persone che l’avevano cresciuta.

“Come se stessi affogando.” Rispose solo.
La cosa più strana fu tornare a parlare di sé al singolare: “vengo a trovarti” piuttosto che “veniamo a trovarti”, “torno a casa” piuttosto che “torniamo a casa”, “faccio la spesa”, “cucino a cena”, una quantità di attività che era abituata a fare in due.  Non si era mai resa conto quanto fosse davvero dipendente da lui. Non l’aveva capito finché non se n’era andato.

“È possibile sapere quello che è successo?” chiese il padre con sconforto. Cercò anche di sembrare indaffarato, per non metterla in imbarazzo. Prese la teiera e versò l’acqua calda nelle tazze. Eppure neanche così era giusto. Avrebbe voluto e dovuto guardarla in viso, prenderle le mani, ma nella sua famiglia, suo malgrado, non erano soliti a moti e dimostrazioni importanti di affetto.

Brienne sbuffò.

“Sono tuo padre.” La supplicò lui. Il rumore delle porcellane tintinnò nella stanza, vibrando. Doveva aver capito che la ragione dietro la loro separazione prescindeva dall’affetto che provavano l’una per l’altra. Lo capiva dallo stato in cui sua figlia era crollata. Lei, una donna così forte. Gli voleva bene, lo vedeva, gli voleva ancora molto bene.
Ingenuamente e stupidamente, suo padre credeva che l’amore potesse risolvere tutto.
“D’accordo.” Fece poi, davanti al suo silenzio ed allo sguardo elusivo. Si ricordò di quando Brienne era una bambina: non parlava mai di niente, la scuola era andata sempre “bene” e “ok” stando a quello che rispondeva lei, salvo poi sentirsi dire dagli insegnanti che si era azzuffata coi compagni di classe che la prendevano in giro. Si decise a fare il padre, a fare un discorsetto serio per una volta. “Non dirmi cosa è successo,” cominciò “ma ricordati che con la fede si può perdonare tutto. Le scritture ci insegnano che…”

Brienne alzò gli occhi di scatto. Una frase innocente, sì, certo, ma perché l’aveva detta? Il dubbio cominciò a montarle dentro, insieme all’idea malsana di aver contribuito molto più che in parte alla fine del suo matrimonio. Il mancato perdono che non aveva mai concesso. Quella rabbia che non riusciva a superare, quella cosa che cresceva dentro ogni volta che ne parlava o lo vedeva addirittura. E poi c’era sempre quella voce che le diceva di aver deluso suo padre, di essere stata troppo dura ed insensibile ancora, chiusa. Parole che si era sentita ripetere per tutta la vita. “Cosa ti fa credere che sia io a dovergli perdonare qualcosa? E se fosse colpa mia? Se fossi andata con un altro? Se l’avessi messo dopo la mia carriera?”.
Brienne avrebbe voluto fermarsi, ma ormai era tardi. Attraverso le lacrime vedeva i contorni smussati dell’argenteria disposta in una vetrinetta, la tappezzeria scura e giallognola del salotto. Non distingueva nulla chiaramente, c’era solo una cosa cresceva dentro e le martellava il cervello come un prurito che non avrebbe mai potuto alleviare. “Jaime non ti è mai piaciuto, vero?” disse, sbraitando. “No, no, no, no,” si ripeté, presa da un ragionamento con sé stessa più che con suo padre “sono io a non esserti mai piaciuta!” .

No, non era giusto. Non andava bene, non era così che doveva andare. “Scusa” bofonchiò Brienne prima di scappare via.
Si mise in auto e guidò verso il mare. Raggiunse la spiaggia a grandi passi e rimase là a guardare il tramonto. Non si era neanche accorta del fiume di lacrime che le rigava la faccia. Gli occhi le si sarebbero gonfiati di lì a poco, non avrebbe mai perso quell’aspetto trascurato e acquoso, come se il dolore le gonfiasse il viso e cercasse di sgorgare via verso l’esterno, calmo ma implacabile.

Per un po’ non riuscì neanche a sentire il rumore delle onde, sovrastato da quello dei suoi singhiozzi. Tirò calci nell’acqua, urlò nel vuoto e si tirò i capelli ai lati della testa, dove quel prurito era ancora là. Tirò pugni a terra, seduta a carponi sulla sabbia, facendo volare di volta in volta folate di granelli che le finirono sui vestiti, in bocca e nei capelli.

Quando la rabbia cominciò a scemare e le lacrime si asciugarono, la prese una fredda lucidità. Quello che gli aveva fatto non era giusto. Come lo stava trattando non era giusto. Quello che gli stava succedendo non era giusto.


 


Angolo dell'autrice
So di non essere un'autrice sempre presente. Gli impegni sono molti, soprattutto negli ultimi mesi e quando si ha tempo libero è difficile dire "Prendo il computer e scrivo", ma per una volta l'ho fatto. 
Spero che questa sia una storia che possa piacere. Di sicuro non avrà un lieto fine, ma sicuro un lieto inizio, che è alla fine lol. 
Beh, fatemi sapere cosa ne pensate. A presto. 
  
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