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Autore: Neamh Moonstar    08/01/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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    «Che cos'è successo?» Chiese Gabriel duramente, afferrando Aziraphale per un braccio e tirandolo verso i piani alti della fortezza. Aveva scandito le parole una ad una, facendole rimbombare per le scale vuote - ad eccezione di qualche passante che si fermò a fissarli, sconcertato.

    L'angelo soffiò appena sui suoi palmi bruciati e sanguinolenti prima di rispondere. «Ho visto entrare qualcuno e ho- ho fatto quel che dovevo,» disse in un tono che sembrava troppo una lamentela e una scusa. Non era del tutto vero - anzi, non lo era per niente; e ciò bastò a farlo sentire moralmente male. 


I due si fiondarono oltre un'alta doppia porta, piombando alle spalle di un Arcangelo dalle ali dorate e dai boccoluti capelli color del rame.

    Questi sospirò: «Per amor di Lei, Gabriel. Ti ho già detto che-» si bloccò, voltandosi e fissando i nuovi arrivati con sorpresa. «Oh, ma salve.»

    Con un unico e forte gesto, Gabriel tirò Aziraphale davanti a sé. «Dagli una sistemata, Raphael,» ordinò all'altro. «Intanto che mi spiega perché non era al suo posto e perché si è lasciato sfuggire il nemico.»

    Alzando al cielo gli occhi dalle sfumature cremisi, Raphael - guaritore e addetto alla preservazione dell'amore tra gli esseri umani - si avvicinò al ferito, prendendogli delicatamente i polsi: «Lascialo stare, Gabriel,» intimò al suo collega. «Di certo non è rimasto con le mani in mano. Guardalo: sembra che gli abbiano tirato addosso delle pietre bollenti.»

Aziraphale si strinse nelle spalle, mordicchiandosi nervosamente l'interno della guancia. Come avrebbe dovuto spiegare ciò che era accaduto? Di certo a nessuno dei suoi superiori lì presenti sarebbe piaciuto sapere che si era allontanato dal muro, preso dall'ansia crescente e dal pensiero fisso di un probabile scontro con l'Inferno. Né sarebbero stati felici nello scoprire che aveva praticamente "battuto la fiacca", mangiato dai pensieri e dalla preoccupazione.

Sentì Raphael poggiargli una mano sulla spalla, guidandolo verso una delle tante brande presenti nella stanza. Attorno a loro andavano e venivano gli aiutanti del guaritore, spesso indaffarati con guerrieri e sfortunati - sfortunati come il guardiano.


La porta si spalancò di nuovo e fece la sua comparsa un ansiosissimo Micheal. I suoi capelli erano passati dal biondo al castano dorato, segno inconfutabile del suo umore non esattamente positivo. Con lui, la triade degli Arcangeli era al completo.

    «Quante altre cattive notizie devono arrivarmi oggi?» Chiese il guerriero, attraversando la stanza a larghi passi.

    Gabriel incrociò le braccia: «Dipende. Se Aziraphale volesse gentilmente dirci cosa sia successo, magari...» disse, tirando fuori un sorriso ansioso che parve voler perforare l'aura dell'angelo da parte a parte.

    «Lo farà di certo con tutta l'ansia che gli state buttando addosso,» puntualizzò sarcasticamente Raphael, già ben concentrato sul far sparire le ferite del suo paziente. Tra i tre, era sempre stato quello con un minimo sindacale di empatia. Era per quello che ad Aziraphale piaceva.

    «Con tutto il rispetto,» riprese Michael passandosi due dita su gli occhi. «Le spie dell'Inferno non hanno mai oltrepassato il muro fino ad oggi. Abbiamo un grosso problema tra le mani.»

    «Senza contare ciò che ho scoperto stamattina,» completò Gabriel. «Ogni singola informazione può essere vitale.»

La pressione fece venire ad Aziraphale una gran voglia di sotterrarsi da qualche parte e sparire. Si sentiva una delusione totale, come sempre. Un guardiano che non sta al suo posto, che non riesce a colpire il nemico nonostante stia avendo la meglio su di lui, un angelo che si fa prendere dai suoi tumulti interiori - insomma: una catastrofe.

    Raphael, che ormai stava lavorando alla cieca, fissando i suoi due colleghi e affidandosi a movimenti istintivi; disse: «Ho come l'impressione che chiunque si sia intrufolato qui, avrà decisamente poca voglia di tornare. Non è vero?» Chiese spostando l'attenzione sul guardiano.

    Questi annuì, cercando un po' di coraggio in quello sguardo gentile - l'unico dalla sua parte. «Se n'è andato non appena ha sentito l'arrivo di Gabriel. Forse ha avuto paura.»

E stavolta la bugia era solo mezza, perché Aziraphale era assolutamente convinto di aver visto tantissima paura nei gesti e negli occhi del demone. Se fosse tornato o meno, quello non poteva saperlo. E se avesse mandato rinforzi? Sarebbe stato un suicidio ma nulla era impossibile.

    «Beh, lo spero tanto per lui,» disse il messaggero. «Com'era fatto? Vorrei almeno capire se abbiamo a che fare con un fifone o un furbastro da quattro soldi.»

Accanto a lui, Michael si era messo a tamburellare nervosamente le dita sulla placca lucente a protezione del suo braccio. 

    Aziraphale fece per dire qualcosa ma, di nuovo, fu Raphael a parlare per lui: «E perché vuoi saperlo? Hai intenzione di sguinzagliare un'intera armata contro un solo demone?» Chiese, alzando un sopracciglio.

   Fu il guerriero a rispondere: «Ovvio che no! Al massimo manderò uno dei miei a dargli la caccia.»

    Con un altro sguardo al cielo, il guaritore disse: «Beh, se proprio lo vuoi sapere: è lo stesso che ha colpito Gabriel. Si vede dal tipo di ferite.»

I due Arcangeli e Aziraphale lo fissarono stralunati.

    Gli occhi del messaggero passarono dal viola al rosato. «Pf, quella bestiaccia strisciante. Dev'essere una spia alla quale piace attaccare alle spalle,» ringhiò incrociando le braccia. 

C'era qualcosa nella sua espressione che Aziraphale non riuscì a definire. Gabriel era stoico e sicuro di natura: persino quando gli era piombato davanti mezzo ferito e agitato aveva avuto la forza di comandargli cosa fare, per poi arrancare da solo fino a Raphael perché lo curasse. Adesso invece pareva quasi voler evitare in tutti i modi un contatto con i presenti.

    Sbattendo un piede per terra, Michael diede un taglio alla conversazione. «Sapete cosa? Raphael ha ragione: abbiamo problemi più grandi da affrontare di una semplice spia dalle manie suicide. E se voi due-» prese a dire, indicando Gabriel e Aziraphale con un indice, «-siete così rammolliti da farvi ferire da un poveraccio del genere, dovete solo fare in modo di non trascinare l'intero Paradiso nella fossa della vostra incompetenza!» Tuonò, girandosi e volando via dalla stanza.

    Balbettando e stringendo i pugni all'offesa, Gabriel fece per seguirlo. Si girò solo per guardare Aziraphale e dirgli: «Torna al tuo posto non appena hai finito. E vedi di restare sul tuo muro da bravo angioletto, vuoi?» Terminò la frase con un sorriso sornione misto ansioso e uscì.


Nella ritrovata pace, Aziraphale sentì le sue spalle rilassarsi da sole. Nella confusione non si era nemmeno accorto che i suoi palmi e le sue braccia erano tornati alla normalità.

    «Che pazienza, eh?» Gli chiese Raphael sistemandogli l'ultimo taglio. «Gabriel sa essere un bambinone quando vuole, e non dare troppo peso alle parole di Michael; è un generale calmo e riflessivo quando non ci sono potenziali disastri di mezzo.»

    «Ne sono sicuro,» disse l'altro con un sorriso. «Grazie per l'aiuto, comunque.»

    «Faccio il mio dovere,» disse il guaritore, rimettendosi in piedi. «E dovresti farlo anche tu. Se può consolarti: io penso che tu abbia fatto un buon lavoro con quel demone.»

Alzandosi dalla branda, Aziraphale sentì i sensi di colpa attanagliarlo. No che non aveva fatto un buon lavoro: non aveva fatto niente di quel che avrebbe dovuto fare... Come sempre.

    «Grazie,» sussurrò, poco convinto.

    L'Arcangelo fece un cenno col capo. «Ora vai, su. Prima che Gabriel trovi un'altra scusa per arrabbiarsi con te.»


E l'angelo eseguì. Uscì a passo svelto, le mani attorcigliate l'una a l'altra e i pensieri fissi sull'assurdo incontro che aveva avuto. Lo sguardo stranito e inquietato di quel demone non sarebbe mai più uscito dalla sua testa.

Sperò di non aver fatto un'idiozia. O perlomeno, sperò di non averla fatta troppo grossa.


~•°•~


Anathema chiuse la porta di casa, salì fino in camera e buttò distrattamente la borsa sul letto con un sospiro. Accese il caminetto, facendo sprofondare la stanzetta in una luce calda e accogliente. Le fiamme fecero ballare i riflessi degli alambicchi sulla scrivania e illuminarono le pagine aperte di uno dei tanti tomi sparsi nella stanza. Ce n'erano almeno un centinaio tra quelli impilati sul pavimento e quelli negli scaffali; tutti alquanto datati e dalle scrostate copertine scure. Trattati di demonologia, lezioni di botanica, un po' di chimica qua e là, profezie smangiucchiate dai topi e dal tempo - tutte cose che una giovane al servizio del Male leggeva con lo stesso interesse di un romanzo amoroso.

Con una veloce girata di tacchi, Anathema si tolse la mantella e la appese; si legò i lunghi capelli scuri e fece per tornare alle sue piccole ricerche di stregoneria. In fondo, era di quello che viveva: pozioncine, piccoli rituali su richiesta; cose del genere. Era una delle migliori e ultima goccia di una lunga discendenza di esperti (ma soprattutto esperte) nel campo; in poche parole: sapeva il fatto suo.

Tirò lo sgabello a sé, già dando un'occhiata veloce al foglio che aveva intriso di note il giorno prima; ma non fece in tempo ad arrivare a metà che subito sentì una sensazione familiare stuzzicare il suo acutissimo sesto senso. Alzò nuovamente la testa, scandagliando la stanza con attenzione e muovendosi per mettervisi giusto al centro, braccia sui fianchi e palpebre socchiuse.

Non era sola. Avrebbe riconosciuto quell'aurea scura, strisciante e caotica d'ovunque; solo che aveva un qualcosa in più, stavolta: qualcosa di strano.

«Crowley?» Chiamò. «Ma dove ti sei cacciato?»

Andò a sbirciare tra i libri sullo scaffale, ma niente. Si abbassò per controllare sotto al letto, ma niente neanche lì. Aprì i cassetti della scrivania, ma vi trovò solo fogli e calami da iniziare.

«Ehilà? Si può sapere cos'è successo?» Riprese a chiamare, andando a controllare sulla mensola del camino. «Problemi con i superiori? Umani che ti hanno beccato durante uno dei tuoi soliti scherzi?»

Si concentrò un po' di più, prima di girarsi verso la cesta di vimini dove aveva piegato le coperte pulite.

«Oh, allora la situazione è grave,» disse, abbassandosi e togliendo due lenzuoli dalla pila. Sotto di essi si era attorcigliato un serpentello nero e rosso dall'aurea aria mesta con- «Sai di avere le squame bruciate?»

    Alzando a fatica la testolina, Crowley fece saettare la lingua biforcuta. «Ma davvero?» Chiese sarcastico. «E chi lo avrebbe mai detto?» Disse. Dopodiché si accasciò di nuovo, distrutto e dolorante.

    Con un sospiro, Anathema raccolse qualche scaglia nerastra che si era staccata dalla forma serpentina del demone. «Stai letteralmente cadendo a pezzi,» disse, alzandosi e andando a prendere una boccetta di vetro su uno scaffale polveroso. «Che hai combinato stavolta?»

    Dopo qualche rantolo, l'altro rispose: «Ho avuto due risse in un giorno solo. Con degli angeli.»

Ciò giustificava la strana interferenza nell'aurea del demone.

    «Oh beh, sarai fiero di te stesso,» commentò la giovane poggiando l'unguento sulla scrivania. Chiuse il libro e vi mise i fogli in mezzo per fare spazio. «Anche se ti credevo oltre certe cose.»

    «Sono stato costretto,» lamentò Crowley, nascondendo la testa sotto una spira. «È una lunga storia.»

    Anathema tornò verso la cesta e fece passare le mani sotto a quello sbruciacchiato corpo serpentino, sollevandolo. «Beh, ora puoi lamentarti per tutto il tempo che vuoi,» disse poggiando delicatamente il demone laddove aveva spostato gli oggetti dei suoi studi. «Mentre la tua salvatrice qui si prende cura di te». Pronunciò le ultime parole mettendosi una mano sul cuore e sbattendo gli occhi in modo sarcastico, non senza un sorrisetto sulle labbra. 

    «Vorrei ben vedere,» ringhiò l'altro, che in quel momento era decisamente poco incline al buon umore. «Dato che sei costretta.»

    «Su, su, demone di mala fede. Sai che sotto sotto mi stai simpatico,» rimbeccò la giovane iniziando a spalmare l'unguento sulle parti di spire più danneggiate. «Piuttosto: racconta. Ormai mi hai incuriosita.»


Ci volle un po' perché Crowley iniziasse a raccontare. Sembrava uno straccetto rossastro, ma non era quella la cosa strana; Anathema lo aveva visto spesso ridotto in quello stato, soprattutto a seguito di qualche caotico disastro di troppo. No, la cosa veramente strana era il comportamento: lamentoso come sempre, ma anche arrabbiato e stizzito - preoccupato persino. Qualcosa era andato decisamente storto.

    «È iniziato tutto stamattina,» cominciò il demone. «Mi stavo facendo gli affari miei, quando ho visto uno di quei ficcanaso in armatura seguire alcuni dei tuoi colleghi.»

    «Una spia?»

    «Peggio, il Messaggero.»

    Anathema smise improvvisamente di curarlo e sbarrò gli occhi. «Un Arcangelo? Crowley, si può sapere in che guai ti vai a cacciare? Non mi stupisce che tu sia ridotto così.»

    «Magari fosse stato lui!» Esclamò l'altro balzando sulla scrivania come una molla. «Sarebbe stato meno umiliante.»

    La giovane sospirò: «Se non è stato Gabriel, allora chi? Solo i Tre sarebbero capaci di causarti dei segni simili.»

    In un moto di vergogna, Crowley abbassò il capo e il tono di voce: «Diciamo che ssono stato costretto ad entrare nell'Eden.»

Il silenzio piombò sui due come un macigno per tre interminabili secondi. 

    «"Entrare"?» Ripeté Anathema, incredula. «Come sarebbe a dire?»

    «Cosa vuoi che significhi? Sono andato oltre il muro,» spiegò il demone, seccato. «Beel mi ha detto che dovevo mettere ko il contatto di Gabriel se volevo che Satana non mi strangolasse.»

    A quel punto, la giovane non sapeva più che pensare. Ascoltò Crowley rapita, la boccetta aperta ancora in mano. A quanto pareva, quella serpe fuori di testa aveva azzardato un attacco a sorpresa ad un guardiano. «Quale dei quattro?» Chiese, mettendo via l'unguento. Aveva già fatto dietrofront, iniziando ad armeggiare con il tappeto davanti al focolare.

    «Quello a est,» rispose l'altro. «Passo sempre da quel lato. Pensavo sarebbe stato semplice, accidenti a quello lì.»


Anathema scoprì una botola incastonata nel pavimento e la aprì. Sotto di essa c'erano altri libri, decisamente diversi da quelli che aveva ben in vista: questi erano tutti ben curati, dalle copertine bianche e dalle pagine con filamenti dorati sul bordo. 


La giovane era sempre stata un tipo particolare, e Crowley se n'era accorto girovagando attorno al suo negozietto. C'erano giorni in cui si rintanava in casa o in cui girava con la borsa appesantita sotto al mantello, guardandosi attorno con aria furtiva. Non che fosse strano che un umano nascondesse qualcosa nel Regno del Male, ma Anathema aveva quel non so che nel quale il demone amava indagare.

E così l'aveva beccata. Era bastato seguirla strisciando per i nebbiosi viottoli, infilandosi sotto le assi del suo pavimento e coglierla in flagrante con diversi volumi di angelologia tra le mani. A quanto pareva, quella fattucchiera dai capelli scuri aveva sviluppato una certa curiosità verso il Regno opposto. Da dove avesse preso quei libri, al demone interessava fino ad un certo punto: c'erano diversi modi per impossessarsi di cose simili; sgraffignandole a qualche venditore nell'ombra ad esempio. Se fosse stata scoperta, sarebbe stata accusata di tradimento e sarebbe stata spedita all'Inferno prima del tempo.

Era stata fortunata a trovare Crowley. Lui giocava decisamente più d'astuzia e - di nuovo - non era nello stesso stile di Beel o di qualsiasi altro suo simile. No, lui aveva messo su un patto: avrebbe taciuto sugli "studi extra" di Anathema e lei sarebbe diventata una sua diretta sottoposta. Avere dalla propria parte un'umana con abbastanza conoscenze da poterti dare una mano quando sei nei casini - e per "casini" si intende casi come quello in cui il demone si trovava - era un'idea decisamente allettante. E ovviamente, lei aveva accettato.

Inutile dire che la relazione tra Crowley e Anathema non somigliasse per nulla al classico tra padrone e servitore. Assomigliavano più a dei partner che altro - se non si conta il fatto che la ragazza fosse sempre moralmente (e fisicamente) costretta a fare ciò che Crowley le chiedeva. Scendere a patti con i demoni aveva vantaggi e svantaggi: protezione al prezzo di un pezzo del proprio libero arbitrio.


    Anche quella volta la giovane aveva tirato fuori uno dei suoi libri proibiti, iniziando a sfogliarlo con cautela: «Muro orientale, muro orientale...» si mise a mugugnare, occhi sulle pagine.

La serpe - ora un po' meno dolorante, si mise a fissarla incuriosito.

    Dopo qualche secondo, la giovane esclamò: «Trovato! Fammi dare un'occhiata». Scandagliò le parole sotto i dorati occhi dell'altro, ormai avidi di spiegazioni. «Ora capisco come mai assomigli ad una salsiccia bruciacchata. Il tipetto che hai provato a picchiare è interamente composto da luce divina. Vedila come una specie di marchio riconoscitivo: è nato per controllare il punto cardinale verso il quale nasce il sole. In un certo senso, è come se assomigliasse ad una stella.»

    Crowley si catapultò davanti alle pagine, facendosi anche un po' male nel tentativo. Le sue pupille erano ridotte a due linee sottili, e Anathema poteva vedere la sua aurea svolazzare impazzita. «Sstai dicendo che un tipo del genere mi ha volutamente lasciato andare?»

    Dietro di lui, la sua sottoposta aveva sbarrato gli occhi, emettendo un verso di puro sconcerto. «Lui ha fatto cosa?»

    «Lo so! È stato assurdo. È solo per colp- merit- insomma: mi ha detto di scappare ed io l'ho fatto.»


Anathema si era bloccata. Se non fosse stato per il ritmico alzarsi ed abbassarsi del suo respiro, Crowley l'avrebbe scambiata per una statua di cera.

    «Non- non ti ha-» balbettò.

    Il demone scosse la testa.

    «E tu non lo hai...»

    «Assolutamente no! Stava arrivando un Arcangelo e io, come hai detto tu, assomigliavo ad una salsiccia bruciacchiata. So solo che non riuscirò a togliermi la sua espressione dalla testa.»

Anathema dovette recuperare lo sgabello. Tutto ciò non aveva senso. Quale angelo sano di mente si farebbe scappare un'occasione del genere? Crowley era un ossicino duro e aveva- aveva appena detto una cosa strana?

    «Perché, che espressione aveva?» Chiese in un sussurro.

    «Te l'ho detto,» sibilò l'altro acciambellandosi di nuovo. «Non ha voluto uccidermi: è completamente pazzo.»


Non si dissero più nulla e gli ultimi sprazzi del buio giorno si trasformarono in un ancor più buia sera. Anathema rimise il libro bianco a posto, ricoprendo la botola col tappeto. Poi si girò verso il suo ospite, il quale si era messo a sonnecchiare sulla superficie lignea della scrivania, sopraffatto dagli eventi della giornata. Ne approfittò per recuperare un foglio dal suo blocco note e si spostò sul letto, calamaio alla mano. Ci mise un po' a decidere come iniziare quella lettera, presa com'era a rimuginare sulle parole di Crowley.

Di una sola cosa era certa.

Guardò il demone, giocherellando con la penna. Entrambi avrebbero voluto saperne di più su quell'angelo: lui per curiosità, lei... beh, lei aveva le sue ragioni.


Si mise a scrivere freneticamente, soffiando sull'inchiostro e ripiegando il foglio con cura. Aveva un incontro da organizzare.


   
 
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