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Autore: Neamh Moonstar    05/01/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il lato di Terra governato da Dio era sormontato dalla fortezza celeste: candida come il marmo e sviluppata su più piani, i più alti dei quali toccavano il Paradiso. In basso - più vicini al giardino - vi erano gli angeli che operavano sul pianeta: lì vivevano e controllavano i loro mortali protetti come ordinate formichine a servizio della loro Regina. 

Dall'altra parte, a distanza di sicurezza, c'era la fortezza oscura: fatta di dura roccia nera, incastonata nelle profondità dell'Inferno e sviluppata - come si può ben immaginare - verso il basso. I demoni vi si incastravano dentro, accavallandosi l'uno all'altro, soffocando tra i corridoi angusti e tra le milioni di miliardi di piccole stanze. 

Tra le due c'erano quelli che gli umani definivano chilometri - anche se si trattava di una distanza assolutamente apparente e in realtà incalcolabile da mente mortale. Di certo erano abbastanza lontane, ma per una creatura  sovrannaturale e dalla fervida immaginazione come Crowley, lo spazio e il tempo seguivano regole completamente diverse. Lui stesso aveva imparato a piegare quei due concetti al suo volere, utilizzandoli a suo piacimento. Non poteva stravolgerli come e quando voleva - per quanto gli sarebbe piaciuto - pena una delle punizioni di Beel. Per quanto riguardava la sua attività di spionaggio, però, adoperava spesso e volentieri tutti i suoi trucchetti migliori e tirava fuori la scusa del lavoro per darsi alla pazza gioia. Inoltre, lo invidiavano tutti - e alcuni lo temevano anche - per quei suoi assi nella manica. 

Più si approssimava alla fortezza bianca, più diventava difficile assecondare la sua natura. L'aura divina del quartier generale nemico poteva essere un gran bel pugno allo stomaco ma - di nuovo, lui era l'esperto di infiltraggio. In casi normali, teletrasportarsi il più possibile vicino ai confini del Paradiso e poi proseguire volando, sarebbe stata una sfida divertente da affrontare; ma quel giorno la sua voglia di arrivare fin lì era pari allo zero. Avrebbe preferito essere ovunque, davvero. A spingerlo c'era la sola ed unica voglia di rabbonire il suo Signore e far zittire quel gran rompi palle di Beel: prima finiva, prima poteva tornare ai suoi affari - e a mettere il naso in quelli degli altri.


Strisciare sul muro di cinta dell'Eden era la parte più rischiosa; principalmente perché anche un cretino avrebbe notato una serpe nera e rossastra farsi strada su quella candida superficie di mattoni tutti uguali. Crowley però era stato lì abbastanza volte da sapere una cosa: dei quattro guardiani che sorvegliavano le mura, quello che si occupava del lato orientale era il più facile da evitare. Il biondino era dannatamente lento nel fare la ronda, e il demone sperò lo fosse anche in duello - perché sì: era proprio lui il suo obiettivo. Lui e la sua stramaledetta lama fiammante.

Mentre strisciava in verticale, pensò al da farsi. Già lo scontro con l'Arcangelo di quella mattina lo aveva costretto a leccarsi più di una ferita prima di mettersi in marcia - e per "leccarsi" si intende sia letteralmente che non. Adesso gli toccava ripetere l'esperienza, ma volendo ascoltare l'ottimismo - che non faceva mai male - era improbabile che entrare in contatto con un guardiano facesse più male che entrare in contatto con un Arcangelo. Una magra consolazione, ma non si butta via niente.

Arrivato sul bordo, decise per il caro vecchio attacco alle spalle. Le ali sono un punto delicato: un balzo, un morso vicino alle scapole e addio preoccupazione. Se si concentrava, poteva diventare velenoso, ne era certo. O magari no... Beh, ormai non aveva più tempo di pensarci.

Girò la testolina da rettile a destra e a manca, cercando di fiutare il suo obbiettivo. La sua lingua biforcuta era formidabile ed assolutamente affidabile, perciò si stupì - dopo un'attenta analisi dei dintorni - nello scoprire che biondino non c'era. Che fosse ancora all'interno della fortezza? Possibile. In quel caso gli sarebbe toccato attendere, il che era un problema: esposto così, all'aria aperta, una macchiolina rossastra in mezzo al candore, sarebbe stato scoperto in meno di subito.

Tornare giù era fuori discussione: le nubi erano un ottimo nascondiglio ma avrebbe preferito essere dannato di nuovo piuttosto che rifare la salita da capo. Ciò lo lasciava con una sola opzione.

Lentamente, Crowley guardò verso il lato di muro oltre il quale non era mai sceso: quello che portava all'interno del giardino. Sapeva che prima o poi ci sarebbe finito nonostante avesse sempre cercato di evitarlo come la peste. Era sempre così con lui: voleva evitare di incontrare un certo demone? Quello prima o poi gli compariva davanti. Voleva evitare a tutti i costi di essere richiamato da Beel? E puntualmente si ritrovava in quel disastro di ufficio. Voleva evitare la lotta il più possibile? Si ritrovava a menare un Arcangelo perché - se si fosse venuto a sapere che aveva beccato una spia e non aveva tentato di fermarla, per lui sarebbe stata la fine. E adesso l'Eden davanti a lui, che lo invitava ad entrare.

«Beh, o la va o la spacca,» si disse, iniziando a scivolare indeciso verso l'erba alta.


A parte il canto sporadico di qualche uccellino, nell'area verde più bella e florida dell'universo non volava una mosca. Per un qualsiasi demone quel silenzio di tomba era assolutamente innaturale, abituati com'erano a vivere nella confusione. Inoltre - se fosse per via dell'atmosfera sacra o per via della paura, non avrebbe saputo dirlo - Crowley sentiva l'ansia corrergli lungo tutto il corpo sinuoso. Stare a terra in un luogo sconosciuto e avverso lo faceva sentire terribilmente vulnerabile.

L'Eden era sempre stato un tabù per lui. Era Caduto prima che Dio potesse finirlo e aveva sentito dire che i primi umani erano nati lì. Cosa fosse accaduto poi, non gli era ben chiaro: sapeva che c'entravano le mele, a quanto pareva.

A proposito di meli, ne adocchiò uno bello folto e carico di frutti rossi e lucidi. Decise di scalarlo, attorcigliandosi al tronco e adagiando le sue spire su un ramo ben celato dal verde. 

Fu lì che la sentì: l'aura angelica che stava cercando. 

Ascoltando il suo istinto, il demone seguì la pista fino a far cadere lo sguardo aureo verso le radici dell'albero. Bene, bene, bene: qualcuno stava facendo una pausa di troppo, eh? Biondino se ne stava seduto lì sotto, ginocchia raccolte e sguardo sconsolato; ma soprattutto: la spada giaceva al suo fianco, sola, lontana dalla sua presa.

Sarebbe stato più facile del previsto.

Anzi: sarebbe stato anche fin troppo facile.


Per un attimo Crowley esitò. Eppure gli era stato così semplice giocare sporco con l'Arcangelo quella mattina... Ma adesso stava per creare un marasma infernale con un comune guardiano, dentro al giardino da Lei creato. Per quanto fosse un assiduo ammiratore del caos, quello era troppo persino per lui. Ma che scelta aveva? Il suo Signore si sarebbe sicuramente arrabbiato il quadruplo se avesse scoperto che aveva battuto in ritirata. Per non parlare di Beel: lui era quasi peggio quando si innervosiva.

Si spostò abbastanza da mettersi sopra le spalle della sua vittima e decise che a quel punto non si tornava più indietro. Raccolse quel poco di coraggio che gli restava, e si buttò.


Non appena la sua essenza e quella dell'altro si scontrarono, il dolore esplose. In meno di un attimo, Crowley si ritrovò avvinghiato in una bruciante stretta contornata di strattoni. Si sentì come in balia di un mare di fiamme che cercavano di afferrarlo, scivolando nel tentativo di stritolare le sue squame. Sentiva tutto il suo essere gridare in una cacofonia di urla metafisiche che andavano a scontrarsi con quelle ancor più perforanti dell'angelo, il quale stava disperatamente cercando di staccarselo di dosso. Fu come essere catapultati sulla superficie del sole e - dopo neanche un minuto e mezzo di lotta estenuante e giravolte che avevano mescolato erba e terra, terra e cielo, cielo e terra di nuovo - il demone tornò nella sua forma solita e, con un balzo, si allontanò.

Non era stato così traumatico quella mattina. Si era fatto male, certo: la pelle gli si era strappata spontaneamente in più punti e aveva riportato qualche contusione qua e là. Ma adesso aveva alzato un braccio per riscoprirlo ustionato e fumante. Altro che "facile", biondino era una specie di palla di fuoco ammazza demoni a sangue freddo - il che suonava decisamente come un controsenso.


Udì alcuni passi stentati, un tonfo sordo nell'erba e il suono delle fiamme smosse dal vento. 

Ecco fatto: era morto. Sarebbe finito infilzato da una delle peggiori armi mai forgiate, sopraffatto dall'inaspettata forza di quell'apparentemente docile angelo.

Si buttò le braccia doloranti sopra la testa, raggomitolandosi su sé stesso come lo stupido codardo che era. Già assaporava il metallo bruciante che affondava nella sua scura essenza, rompendola come un vaso di porcellana. Strinse gli occhi, sapendo che ormai era fatta: biondino aveva sicuramente già alzato le braccia per, per-


Ma nulla accade.


Il silenzio divenne un rimbombo fastidioso nelle sue orecchie e Crowley decise di riaprire gli occhi, poggiandosi faticosamente sui gomiti doloranti. Davanti a lui, il guardiano se ne stava fermo, tremante, la lama davanti a sé e gli occhietti azzurri sbarrati in una smorfia di terrore e indecisione. La sua pelle candida era graffiata e rotta a tratti; dai palmi delle sue mani usciva copiosa qualche grassa scia dorata - toccare le squame aveva decisamente lasciato il segno.

Che diamine stava facendo? Aveva l'occasione lì, su un piatto d'argento, e non la stava sfruttando. Semplicemente gli aveva puntato quelle piccole pozze celesti addosso, restando immobile.


    La calma venne rotta da una voce in lontananza. «Aziraphale? Dove sei?» Tuonò, decisamente infastidita.

Il biondo sussultò, girando velocemente la testa per poi tornare a guardare il demone, il quale non avrebbe saputo come reagire a tutta quella situazione.

    L'angelo guardò prima il rosso, poi la sua arma, poi di nuovo verso la direzione dal quale proveniva il richiamo. Poi fissò Crowley e sussurrò: «Vattene.»


Eh? Aspetta, che?

    Sbarrando gli occhi dorati, quest'ultimo prese a balbettare: «A-aspetta, tu, cosa? Cioè, non-»

    Biondino smosse un po' la spada in quello che doveva essere un gesto minaccioso: «Ho detto di andartene. A meno che tu non voglia affrontare un Arcangelo di cattivo umore.»

Oh, no. Ne aveva avuto abbastanza.

A fatica, Crowley si alzò da terra e diede un'ultima occhiata all'altro, il quale andava preoccupandosi ogni secondo di più.

    «Forza, vola via!» Gli intimò questi con un gesto del braccio.

E il rosso non se lo fece ripetere due volte. Con uno slancio stentato prese il volo, sfrecciando oltre il muro e in mezzo alle nuvole. Si voltò indietro più volte, sbandando a mezz'aria, ancora incapace di assimilare ciò che era appena successo.

«Quello è pazzo,» si disse mentre, con uno schiocco di dita, tornava al suo lato di Terra. «È completamente scemo, altro che.»


Si abbassò di quota, scandagliando le cittadine che scorrevano al di sotto. Stava ancora tremando e ogni fibra di sé stesso doleva malamente; come se non bastasse: ora non poteva tornare alla sua fortezza. Ottimo: era come se l'avessero cacciato anche dall'Inferno, adesso. Beel lo avrebbe ridotto ad un mucchietto di cenere se Satana non arrivava prima.

Fortunatamente, Crowley era un demone dalle mille risorse. Aveva ancora una speranza: un porto sicuro. C'era ancora qualcuno a cui poteva affidarsi senza il rischio di farsi ammazzare.

L'unica umana abbastanza fuori di testa da poterlo, anzi da doverlo ospitare.


   
 
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