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Autore: Ode To Joy    10/01/2022    3 recensioni
[Past Odazai]
[One-side Soukoku]
“Puoi farmi una promessa?”
Chuuya s’imbronciò. “Tra noi non ci sono promesse, solo minacce.”
“Non è per me,” si affrettò a dire Dazai. “È per il bambino. So che gli vuoi bene.”
“Io non-“
“Volere bene a mio figlio, non implica volere bene a me.”
Chuuya lasciò andare un sospiro esasperato. “Che cosa vuoi, Dazai?”
“Per il mio compleanno, ti chiedo un regalo,” disse Dazai, senza guardarlo negli occhi. “Se mi accadesse qualcosa, dedicheresti la tua vita a proteggere mio figlio?”
“Questo posso promettertelo senza che tu vada da nessuna parte. Hai la mia parola.” Chuuya non avrebbe potuto rispondergli in nessun altro modo.

.
La morte di Odasaku ha posto fine alla guerra contro la Mimic, un modico prezzo per garantire alla Port Mafia l’ultimo tassello di potere di cui aveva bisogno.
Dazai non lo accetta, ma le persone a cui ha voltato le spalle - e da cui è stato ferito - sono le sole a cui può chiedere aiuto, ora che Odasaku lo ha condannato ad avere un futuro.
[Trans!Dazai] [Unplanned Pregancy]
- Fanfiction partecipante al Calendario dell’Avvento di Fanwriter.it -
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ango Sakaguchi, Chuuya Nakahara, Kouyou Ozaki, Osamu Dazai, Ougai Mori, Ougai Mori
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'These Brand New Pages'
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III

 

Chuuya continuava a passare il peso del corpo da un piede all’altro, teso come una corda di violino. Quel poco di animo che Dazai aveva mostrato con lui, era sparito nel momento in cui aveva messo piede fuori dalla sua stanza. Era un problema su cui avrebbe riflettuto dopo, ora era il grande momento in cui la ragione di tutto quel casino si concretizzava - anche se solo come un’immagine in bianco e nero su di uno schermo.

Dall’altro lato del lettino operatorio, Mori trafficò con lo strumento per le ecografie per un buon quarto d’ora. Prima se la prese con l’impianto elettrico e poi diede un paio di pugni allo schermo, che si accese miracolosamente.

Ango si era tolto dall’equazione.

E Dazai desiderava sinceramente essere ovunque tranne che lì. Odasaku era stato chiaro: non avrebbe mai trovato nulla in grado di superare le sue aspettative. 

Per chi aveva sempre guardato alla vita come un sogno crudele da cui svegliarsi, era impensabile coltivarne una dal nulla. No, ricordò Dazai, non era affatto venuta dal nulla. 

“Dazai, abbassa i pantaloni,” lo istruì Mori.

Fece come gli era stato detto e il medico gli applicò un gel freddo sulla pelle nuda. Non fu piacevole, ma Dazai non se ne lamentò.

“Che ci dobbiamo aspettare?” Domandò Chuuya, sporgendosi eccessivamente sopra il lettino e il coetaneo che vi era disteso. Dazai lo spinse indietro.

“Innanzitutto, mi aspetto il battito forte e veloce di un cuore,” rispose Mori. “Se il feto è cresciuto a dovere, dovremmo riuscire a vedere qualcosa.”

Dazai avrebbe voluto saperne di più di quel qualcosa, ma Chuuya non la smetteva di muoversi e lo stava innervosendo più del dovuto. “Vuoi farla finita?”

Il rosso lo fissò, astioso. “È colpa tua se ho l’ansia,” disse. “Accetta le conseguenze delle tue azioni.”

“Rilassati, Dazai,” disse Mori, prima di premere lo scanner sotto l’ombelico. 

Per sua fortuna, Dazai non ebbe il tempo di chiedersi se qualcosa fosse fuori posto.

“Eccoci qua!” Esclamò il medico con entusiasmo, dopo appena un minuto. “Guardalo, non è per niente timido e comincia anche a muoversi.”

Dazai non ebbe il tempo di voltarsi verso lo schermo, che Chuuya gli si buttò addosso per dare un’occhiata da vicino. “Quella è davvero la testa?” Domandò, incredulo.

“Qui c’è un abbozzo di manina, qui di piedino,” illustrò Mori. “La spina dorsale è già chiusa ed è un’ottima cosa e… Chuuya, fatti indietro!” 

Il diciottenne dai capelli rossi ubbidì con uno sbuffo. Dazai lo ignorò e si sollevò sui gomiti.

Nulla andrà oltre le tue aspettative.

Guarda, Odasaku, avrebbe voluto dirgli. Ti sei dato torto da solo.

Quella cosina sullo schermo a stento aveva le fattezze di un essere umano, ma il potere che ebbe su di lui, Dazai non sarebbe mai riuscito a spiegarlo a parole. 

“Vuoi sentire il cuore?” Domandò Mori.

Dazai annuì, senza staccare gli occhi dall’immagine in bianco e nero sullo schermo.

Mori premette qualche tasto e il silenzio della stanza venne sostituito da un tamburo.

Bum-bum-bum

“È veloce,” commentò Dazai, con un filo di voce.

“Centosessanta battiti al minuto,” specificò Mori, soddisfatto. “È forte e in salute.”

Dazai dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma un forte fragore alla sua destra lo fece sobbalzare. Chuuya aveva avuto un mancamento e si era trascinato dietro tutto il carrello operatorio.

Mori sospirò, riponendo lo scanner e porgendo a Dazai della carta per pulirsi. “Chuuya, è solo un’ecografia,” disse, andando in soccorso del giovane. “Il giorno in cui nascerà, cosa farai?”




 

C’era un bar nella via opposta a quella della clinica. A prima vista, non era un luogo sospetto, solo poco frequentato. Fuori dalle vetrate, Ango riusciva a vedere il parco giochi su cui si affacciava la camera di Dazai. Tre bambini si stavano rincorrendo, ridendo, su per le scale dello scivolo. L’ordinarietà di quella scena gli fece bene al cuore, anche se si era completamente dimenticato della tazza di caffè davanti ai suoi occhi. Era stanco come non lo era mai stato in vita sua, eppure non aveva voglia di sentire il sapore amaro della caffeina in bocca e di aggiungere zucchero non se ne parlava, gli dava alla stomaco. Non si sarebbe sorpreso di scoprire che Dazai gli aveva passato le nausee con qualche trucchetto oscuro dei suoi.

Erano trascorse più di dodici ore e ancora non era riuscito a elaborare gli eventi. 

Dazai portava in grembo il figlio di Odasaku. Le uniche due persone che avesse mai osato definire amici si erano amate, senza destare in lui il minimo sospetto.

Chuuya lo aveva capito senza conoscere Odasaku, senza averlo mai visto insieme e Dazai. Avrebbe mentito, se avesse detto che non sentiva la necessità di avere un confronto con il diretto interessato - l’unico ancora vivo - ma non appena Chuuya era entrato nell’equazione, era stato messo da parte.

I motivi erano comprensibili, ma non era sufficiente a mandare via il fastidio.

Chuuya entrò nel bar come un uragano e salutò l’uomo dietro il bancone chiamandolo per nome, ma Ango non si accorse di lui fino a che non si sedette dalla parte opposta del tavolino. Si mosse in modo tanto irruento che per poco non rovesciò il caffè, ormai freddo, addosso all’agente governativo.

“Guarda!” Esclamò il diciottenne, entusiasta. “Ha già il naso dello stronzo, ma possiamo ancora sperare per il resto.”

Ango fissò l’immagine in bianco e nero che l’altro gli stava sventolando davanti agli occhi, ma non vide altro che macchie. “Se continui a muoverla, non ci capisco niente.”

Chuuya sbuffò, poggiando l’ecografia al centro del tavolino. “Vedi?” Indicò quello che sembrava essere un profilo. “È il naso di Dazai, solo più piccolo.”

Ango non era certo della somiglianza, ma di sicuro vedeva un naso, attaccato a una rotondità che doveva essere una testa.

“Sta benissimo,” disse Chuuya con un gran sorriso. “Mori dice che Dazai è alla dodicesima settimana circa e che lei nascerà tra la fine di quest’anno e l’inizio di quello nuovo. Da Natale in poi, dovremmo stare tutti in allerta.”

Chuuya parlava e Ango a stento lo riconosceva. “Lei?” Domandò, con un filo di voce. “Mori ha detto che è una lei?”

Chuuya s’imbronciò. “Non ho bisogno che Mori me lo dica.” Sollevò l’ecografia, nel dubbio che l’agente non la stesse osservando a dovere. “Non la vedi? È bellissima. Non può essere un maschio.”

Le fondamenta scientifiche di quell’intuizione misero Ango in seria difficoltà. “Dazai come sta?”

Chuuya scrollò le spalle. “È tornato a odiarci tutti.”

“E l'emorragia?"

“Mori ha detto qualcosa tipo che è il modo in cui il corpo si adatta al nuovo ospite. Poco male, basta che lei stia bene.”

“Forse non dovremmo rivolgerci a lei come una lei, se non siamo sicuri che sia una lei,” propose Ango.

Chuuya alzò gli occhi al cielo. “Quattrocchi, non ti ci mettere anche tu!” Esclamò. “Siamo stati una notte a rovinarci il fegato per sapere se stava bene, tira un sospiro di sollievo e basta!”

Ango non ci riusciva e non gli faceva piacere. “Dodici settimane,” ripeté. “È il limite massimo per decidere, giusto?”

Chuuya tornò a essere il violento e pericoloso se stesso nel tempo di un battito di ciglia. “Spero per te di aver capito male.”

No, aveva capito benissimo. Ango aveva duellato con quel pensiero tutta la mattina, ma l’aggravante della paternità di Odasaku aveva complicato le cose. Comprendeva il motivo per cui Dazai voleva sobbarcarsi quella responsabilità, ma il lieto evento non cambiava l’incertezza della sua posizione. 

“Dazai è un pentito al servizio del Governo,” gli ricordò Ango.

Era un pentito al servizio del Governo,” lo corresse Chuuya. “È tornato a casa.”

“Perché si sente al sicuro con te, più di quanto ci si senta con me.”

Chuuya inarcò le sopracciglia. “Che centro io? È Mori a proteggerci tutti.”

“Sì, ma Mori è solo un male necessario. È te che Dazai vuole al suo fianco in questo momento. Te lo ha detto lui: io ero solo quello con la macchina.”

“Spia eri e spia sei rimasto!”

“Voglio che rifletti un attimo su quella che potrebbe essere la vita di questo bambino,” disse Ango, con tutta la calma di cui era capace. “Nascere e crescere nella malavita o avere un’esistenza da latitante. Queste sono le uniche opzioni che ha.”

“Pensi che non abbia già fatto questo discorso a me stesso?” Domandò Chuuya, con rabbia. “Pensi che Dazai non ci abbia mai pensato? Cazzo, Ango, è il figlio dell’amico che hai appena sepolto!” Riprese l’ecografia e si alzò in piedi. 

Ango tentò di afferrarlo per il braccio.

Chuuya lo evitò. “Fatti un lungo giro per riflettere, cane del Governo,” propose, quasi ringhiando. “Non provare ad andare da Dazai con queste idee di merda in testa.”




 

“A cosa serve questo?” Domandò Dazai, mentre il medico gli allacciava il laccio emostatico intorno al braccio.

“Sei fortunato, fai parte di una generazione di genitori che può disporre di test diagnostici utili e non invasivi,” spiegò Mori, infilandosi i guanti in lattice. “Basta un prelievo del tuo sangue e potremo indagare un po’ il DNA del tuo bambino.”

“A che pro?”

“Malattie genetiche, essenzialmente.” Mori recuperò un ago per prelievi e una fiala vuota dal carrello operatorio. “Possiamo anche scoprire se è un maschio o una femmina con certezza e in netto anticipo, rispetto all’esame ecografico.”

Dazai non ebbe una particolare risposta emotiva a quella possibilità a sua disposizione.

Mori ne fu sorpreso. “Non vuoi conoscere il sesso?”

Dazai scrollò le spalle, gli occhi fissi su un punto qualunque del pavimento. “Non è importante per me,” ammise.

Parlare con Chuuya lo aveva riportato in superficie per un po’, ma vedere suo figlio lo aveva gettato di nuovo nel baratro creato dalla morte di Odasaku. Mori si era aspettato l’effetto contrario: aveva sperato che quell’ecografia finisse quello che Chuuya aveva iniziato. 

Il dolore di Dazai doveva essere stratificato più di quando Mori avesse dedotto. Non c’era solo quello provocato dalla scomparsa di Oda in sé, mischiato all’odio che provava per lui per averla provocata. Dazai covava altro dentro e il Boss aveva bisogno di scoprire cosa.

“Farà un po’ male,” lo avvertì Mori, prima di pungerlo con l’ago. Dazai storse appena il naso, ma il prelievo fu veloce. 

“Ecco fatto!” Il medico mostrò al giovane la fiala del suo sangue. “Io non ho i mezzi per effettuare questo test diagnostico, ma la Port Mafia ha i suoi laboratori. Poco tempo e sapremo se dovremo appendere un fiocco rosa o azzurro.”

“Uhm…” Fu tutto ciò che disse Dazai in merito.

Mori applicò un cerotto sul punto dove aveva effettuato il prelievo e tolse il laccio emostatico. “Non te lo aspettavi.”

Era un’asserzione un po’ vaga. Dazai non aveva previsto un sacco di cose che erano successe: Odasaku e tutto quello che aveva significato per lui, la sua morte prematura e quel test di gravidanza positivo due settimane dopo averlo perso. 

“Qualcosa doveva pur esserci in quell’ecografia,” replicò.

“Lo so, ma non eri pronto,” disse Mori, gentilmente. “Non fraintendermi, non lo saresti mai stato. È impossibile esserlo con certe cose.”

Dazai sollevò lo sguardo sul viso del Boss. “Come lo sai?”

Mori esitò, come se fosse stato preso alle spalle, ma fu bravo a mascherarsi dietro un sorriso. “Chiamalo istinto di medico.” Sentì la porta d’ingresso sbattere in fondo al corridoio. “E Chuuya è tornato.” Non fu il diciottenne ad affacciarsi sulla sala operatoria. “Testa rossa sbagliata,” aggiunse.

Vedere Ozaki Kouyou con i capelli sciolti e in abiti occidentali era un’occasione più unica che rara, che si sposava perfettamente con la situazione. Senza trucco e con quell’aria contrariata, dimostrava la sua giovane età e Mori la trovava bellissima.

“Kouy-“

Un oggetto volante lo colpì in testa - una padella ospedaliera - e lo fece finire contro il muro. “Sì,” le concesse il medico, massaggiandosi la fronte contusa. Nessuno lo avrebbe salvato da un bernoccolo. “Ammetto di essermelo meritato, ma dove l’hai trova-“

Seguì una borsetta, lo mancò, ma cadde a terra con un tonfo tale che Mori non si sarebbe sorpreso di scoprire che conteneva un mattone. Quando fu certo che i tentativi di ucciderlo fossero finiti, il Boss alzò lo sguardo. 

Kouyou era di fronte a Dazai. “Stai bene?” Domandò, afferrandolo per le spalle. “Questo idiota ha fatto qualcosa di stupido?”

Mori s’imbronciò. “Non credo sia saggio litigare tra di noi di fronte ai ragazzi.”

Kouyou lo zittì con un’occhiata raggelante. “Dov’è Chuuya?”

“Sta parlando con Ango,” rispose Dazai. “Tornerà tra poco.”

Lei passò gli occhi confusi dal diciottenne al Boss della Port Mafia. “La spia del Governo?”

“Sono successe molte cose,” iniziò Mori.

“Mi hai chiamato nel cuore della notte per dirmelo,” gli ricordò Kouyou. 

“Ma te la sei presa comoda per arrivare.”

A quelle parole, persino Dazai si voltò a lanciargli un’occhiata eloquente. Fu proprio lui, posizionato tatticamente tra il Boss e l’assassina, a impedire che si consumasse un omicidio per decapitazione.

Kouyou stemperò la rabbia con un sospiro. “Mi sono presa cura delle tue faccende. Tutti credono che ci sia una buona ragione dietro la tua assenza, non devi preoccuparti.” 

Mori non aveva mai dubitato che avrebbe fatto un ottimo lavoro. “È tornato Dazai!” Esclamò con eccessiva allegria. Il giovane in questione lo giudicò in silenzio.

“Ce la fai a fare un discorso come si deve, Mori?” Domandò Kouyou, con poca aspettativa.

Il medico non ebbe tempo di aprire la bocca, dato che Dazai fece tutto il lavoro per lui. Non dovette nemmeno pronunciare parola, si limitò a mostrare una delle ecografie rimaste alla nuova arrivata. Mori osservò in silenzio il viso di lei cambiare man mano che la consapevolezza prendeva forma.

“Non è successo nulla di brutto,” si sentì in dovere di dire Dazai, perché era certo che Kouyou stesse pensando al peggio. “È accaduto e basta.”

Lei prese l’immagine in bianco e nero tra le dita e il suo viso si addolcì. “Stai bene?” Domandò di nuovo, sinceramente preoccupata. 

“Sì,” rispose Dazai, abbassando lo sguardo sulla pancia che non c’era ancora. “Stiamo bene.”

Chuuya scelse proprio quel momento per entrare nella stanza. Quando vide la sua maestra, si sentì immensamente sollevato: Kouyou era la presenza che ci voleva per evitare che tutti loro andassero nel panico ogni tre per due.

Solo in un secondo momento, notò ciò che lei stringeva tra le dita e lo sguardo accusatorio che gli stava rivolgendo. Chuuya sollevò immediatamente le mani in segno di resa. “Io non ho fatto niente!”




 

Dazai era di Mori e Chuuya era di Kouyou.

Era stato così fin dal giorno zero. Non era un legame costretto delle etichette di maestro e allievo, ma qualcosa di natura più personale. Si somigliavano, quasi che il destino li avesse scelti gli uni per gli altri. Mori non aveva mai fatto mistero del modo in cui rivedeva se stesso in Dazai, mentre Kouyou e Chuuya sembravano una coppia di fratelli. 

In quella clinica, quegli antichi schemi non avevano più alcun valore.

Ora la squadra si era divisa tra chi possedeva un utero e chi no, e tanto era bastato a privare Mori e Chuuya di qualsiasi potere decisionale.

Dopo il suo arrivo, Kouyou si chiuse con Dazai nella stanza di quest’ultimo. Non era la prima volta che accadeva - Mori era certo che avessero legato proprio sparlando di lui - ma Chuuya non era abituato a non essere il preferito della sua maestra. Mentre il medico cercava di capire come mettere insieme una cena che non avvelenasse nessuno, il diciottenne dai capelli rossi si dondolava sulla sedia a capotavola con un broncio da bambino contrariato.

“Cerca di non cadere,” disse Mori, rivolgendosi a internet per qualche ricetta da mettere insieme con quel che i ragazzi avevano comprato. Ora che ci pensava, avrebbe dovuto far fare a Dazai tutti gli esami di routine per scoprire se era immune a infezioni pericolose per il bambino, come la toxoplasmosi. Un tonfo e un’imprecazione lo informarono che Chuuya aveva perso l’equilibrio.

Mori appoggiò la fronte alla credenza chiusa. “Che cosa ti avevo detto?” 

“Non mi sono fatto niente.”

Quando si voltò, Chuuya era ancora contrariato, ma seduto in maniera composta. 

“Kouyou ti ha raccontato com’era la vita per lei, e quelle come lei, sotto il comando del vecchio Boss?”

Chuuya non sapeva perché stavano tirano fuori quell’argomento. “La conosci la risposta,” disse. “Perché credi mi sia sentito una merda, quando mi hai mandato a Kyoto per aver messo le mani addosso a Dazai? Ero certo che lei non avrebbe più voluto sapere niente di me.”

Fosse stato un altro, forse sarebbe accaduto. Kouyou però amava Chuuya: lo avrebbe punito e rieducato, piuttosto che abbandonarlo. La Mimic era arrivata prima che potesse farlo.

“Quello che voglio che tu capisca,” disse Mori, riponendo il cellulare in tasca, “è che in questa circostanza, Kouyou potrebbe mostrarsi molto attenta e protettiva nei confronti di Dazai.”

“Lo so,” disse Chuuya. “Lo ha fatto anche quando abbiamo salvato Dazai dal Marchese De Sade.”

Mori odiava rievocare i ricordi di quell’avvenimento. Non solo lo aveva costretto, dopo anni, a collaborare con Fukuzawa Yukichi, ma era stata anche l’ultima volta che aveva provato paura. Louis Sade, come lo conosceva lui, aveva pagato con la vita per quello, ma Mori non sarebbe mai riuscito a cancellare l’immagine di quando aveva trovato Dazai. Lo fulminò il pensiero che, in qualche modo, Oda Sakunosuke fosse riuscito a gestire anche quella ferita, quando Mori stesso si era limitato a rimanere in silenzio e affidare tutto a Kouyou.

L’uomo scosse la testa e tornò al presente. “Quindi non sei geloso di non essere più il preferito della nostra dama, almeno momentaneamente?”

Chuuya scrollò le spalle. “Non ho cinque anni, Boss.”

No, ne aveva diciotto e rendeva tutto molto più complicato. 

“Che fine ha fatto Ango?”

Il ragazzo dai capelli rossi rispose con un borbottio.

Mori comprese. “Ecco perché sei arrabbiato.”

“Il quattrocchi ha osato avanzare l’ipotesi di un aborto per salvare il… Ma che cazzo ne so!” Esplose Chuuya.

Le diciotto ore che erano servite ad Ango per introdurre quell’opzione erano l’unica cosa a stupire Mori. Si era aspettato un’accesa discussione a riguardo molto prima e con Dazai presente. L’agente doveva averlo evitato per il bene psicologico del suo amico, ma non era riuscito a mordersi la lingua di fronte all’ecografia che gli aveva mostrato Chuuya.

“Che cosa gli hai detto?”

“Di andare al diavolo!”

Come era prevedibile.

“Quello di Ango è stato un discorso ragionevole,” disse Mori e subito gli occhi astiosi di Chuuya furono su di lui.

“Non lo crederai davvero, Boss!”

“Non stiamo parlando di giusto e sbagliato, non avrebbe senso. L’unica cosa ad avere peso qui è la volontà di Dazai, ma dubito che Ango gli farà mai pressioni. Ne ha discusso con te perché è preoccupato e voleva conoscere il tuo punto di vista.”

“Ango continua a parlare come se Dazai fosse completamente da solo.”

“Non ha tutti i torti.”

“Eh?”

Mori allargò le braccia. “Siamo qui per lui, nonostante tutto e tutti, eppure sono certo che si senta tremendamente solo.” Detto questo, estrasse di nuovo il cellulare dalla tasca e lo porse al diciottenne. “Facciamo serata io, te e le loro Maestà di sopra, con un asporto. Che ne pensi?”




 

Ozaki Kouyou aveva conosciuto Oda Sakunosuke anni prima. L’incontro era stato piacevole ma superfluo, nulla a cui una donna nella sua posizione desse valore. Poco tempo dopo, l’assassino che non voleva uccidere si era alleato con Chuuya per lavorare al caso De Sade, nonostante nessuno glielo avesse ordinato. Conclusasi quella storia, Kouyou non aveva sentito parlare di lui per molto tempo, fino a che il suo nome non era arrivato all’ufficio del Boss attraverso la bocca di Dazai. 

“Riesci a gestire i sintomi?” Domandò l’assassina, cercando un pettine nella sua borsetta. Avrebbe rimproverato Chuuya per aver pensato a tutto, tranne a una spazzola. Nessuno meglio di lui sapeva quanto i capelli del suo partner ne avessero bisogno.

“Vorrei solo che questa nausea passasse,” rispose Dazai, frizionando i capelli con l’asciugamano. Si era fatto una doccia e si era cambiato in dei vestiti che non gli buttassero come un sacco. Dovevano essere una cortesia di Chuuya. Ango era bravo nelle intuizioni, ma non quando si trattava d’indovinare la taglia delle persone. 

“Vieni qui.” Kouyou lo invitò a sedersi in fondo al letto, davanti a lei. Il pettine che aveva in mano gli suggerì quali erano le sue intenzioni.

A Dazai non importava un granché dei suoi capelli, anche se a Chuuya era sempre piaciuto perderci tempo perché: “se vai in giro con un nido di rondini in testa, io non mi faccio vedere con te.”

Il nanerottolo era un maniaco dell’estetica, Dazai del phon agitato senza criterio. 

“Non hai mai avuto i capelli così lunghi,” commentò Kouyou, districando i nodi con il pettine. 

“Non me ne sono neanche accorto,” ammise Dazai. Erano più di due mesi che Chuuya non se ne preoccupava e lui si era limitato a lasciarli crescere. 

“In gravidanza crescono di più,” disse Kouyou.

“Ne sai qualcosa?” Dazai lo domandò con un voce incolore e senza alcun tatto. Conosceva il passato di Kouyou e, dopo il caso De Sade, lei stessa gli aveva fatto delle confidenze, ma era stata furba a non rivelargli troppo.

La mano di Kouyou smise di pettinargli i capelli, prima di rispondergli: “no.”

Dazai non le credette. “Anche tu sai tutto, vero?” Non c’era bisogno di specificare l’argomento.

“Anche Hirotsu,” rispose Kouyou. 

Dazai le lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Qualcosa mi dice che tu sei l’unica a conoscere fino in fondo la versione di Mori.”

L’assassina storse la bella bocca in una smorfia. “Vorrei che le cose fossero andate in modo diverso per te.”

Dazai tornò a guardare di fronte a sé. “Ma Mori no. Lui ha fatto quel che doveva fare.”

“Non lo sopravvalutare,” disse Kouyou, lasciando cadere il pettine sulla coperta. “Le conseguenze del caso Mimic non lo hanno lasciato completamente incolume, è solo bravo a fingere.”

Dazai emise una risatina beffarda. “Pensi davvero che non fosse tutto calcolato?” Domandò. “La morte di Odasaku, la licenza governativa e il mio congedo definitivo dalla scena.”

“Non lo so,” ammise Kouyou, alzandosi in piedi per recuperare il phon dall’ultimo cassetto dell’armadio. “Non ti nascondo che ho avuto molti confronti con Mori a riguardo e, te lo confesso, non sono riuscita a capire fino in fondo cosa volesse davvero da te.” Guardò il diciottenne dritto negli occhi. “Quello che m’importa è che tu sappia che perderti non lo ha lasciato incolume.”

Dazai replicò con una smorfia sprezzante. Si alzò in piedi e prese il phon dalle mani di lei. “Faccio da solo.”




 

Quando la cena d’asporto arrivò, mangiarono tutti insieme.

“Non credo che tutto questo sia molto educativo,” commentò Mori, osservando i due diciottenni divorare le patatine sul letto. 

“No, è completamente privo di classe,” concordò Kouyou, seduta sulla poltrona accanto alla finestra, mentre versava il condimento nella sua insalata. “Ma le circostanze sono particolari.”

Il Boss della Port Mafia si era accomodato sul tappeto a fianco del letto, le gambe incrociate. La sua dignità di uomo adulto era stata ricoperta dalla salsa con cui era condito il suo hamburger e non ne ne sentiva la mancanza. “Visto che siamo tutti qui riuniti-“

“No,” dissero in coro Chuuya e Dazai.

Kouyou strinse le labbra per non ridere. “I bambini stanno mangiando, Mori.”

“I bambini stanno per compiere diciannove anni e sono dotati di orecchie,” replicò il Boss, senza nascondere il suo disappunto. “Possibile che vi si spenga il cervello ogni volta che mangiate?”

“Dazai non mangia quasi mai,” replicò Chuuya.

“Chuuya non ha il cervello,” ribatté Dazai.

“Se uno dei due farà volare del cibo, mi arrabbierò molto,” intervenne Kouyou, prevedendo che il diciottenne dai capelli rossi non se ne sarebbe rimasto buono a farsi insultare.

“Ho capito.” Mori afferrò il suo hamburger e si sollevò. “Mangio in piedi,” disse, soddisfatto di poterli guardare in faccia. Era bello essere di nuovo tutti insieme, ma era inutile dirlo ad alta voce, quando Dazai non ricambiava e Kouyou era ancora arrabbiata con lui.

“Serve un piano a lunga scadenza.” Era il Boss della Port Mafia a parlare, anche se con un panino unto tra le dita. “Prima di tutto, la parte più semplice: Chuuya, ti trasferisci qui. Non voglio portare Dazai troppo in giro, col rischio che qualcuno dei nostri lo riconosca. Fino a nuovo ordine, nessuno alla Port Mafia saprà nulla. Esclusi i presenti, fidatevi solo di Hirotsu.”

“E la spia del governo?” Domando Kouyou.

“Ango è dalla nostra parte.”

Chuuya borbottò qualcosa. Dazai continuò a mangiare patatine, indisturbato.

Sorpreso dalla mancanza di reazioni, Mori si concentrò sul giovane dai capelli rossi. “Hai capito che cosa sei chiamato a fare, Chuuya? Dovrai stare qui ogni minuto di ogni giorno e assicurarti che Dazai stia bene.”

Il ragazzo nemmeno alzò gli occhi dalla sua cena. “E dove sarebbe la novità?” Domandò. “Chi sarebbe in grado di dormire là fuori, mentre lo Sgombro se ne sta qui a fare chissà cosa con la bambina.”

Dazai si riscoprì improvvisamente interessato dalla conversazione. “Quale bambina?”

Chuuya lo inchiodò con lo sguardo. “La bambina.”

Mori disse silenziosamente addio al suo panino: a giudicare dal modo in cui gli occhi scuri di Dazai si accesero d’ira, gli avrebbe fatto comodo avere entrambe le mani libere.

“Non puoi dire una cosa del genere!” Esclamò l’ex Dirigente, con rabbia.

“Io so che è una bambina!” Insistette Chuuya.

“Tu non sai proprio niente!” Ribatté Dazai. “Questa cosa è mia. Solo mia.”

“Ha ragione,” intervenne Kouyou.

Mori le lanciò un’occhiata eloquente, come a pregarla di non peggiorare la situazione. 

“Chuuya, se ti sei affezionato al piccolo non ancora nato, nessuno di noi ha motivo di rimproverarti,” aggiunse l’assassina. “Questo non ti dà il diritto di varcare alcuni confini.”

“Io non mi sono affezionato!” Ribatté il rosso, puntando un indice accusatorio contro il coetaneo. “È lui che non è in grado di prendersi cura di se stesso, figurarsi di qualcun altro!”

“Devo ricordarti cosa è successo l’ultima volta che abbiamo litigato?” Domandò Dazai, diabolico.

“No!” Rispose Mori per tutti. “Dazai, so che con Chuuya sei al sicuro. Potete urlarvi addosso quanto volete, non cambio idea. Nel frattempo, qui serve sia un medico che un adulto, ma c’è un’organizzazione da mandare avanti.” Guardò Kouyou. “Dobbiamo gestircela io e te.”

Kouyou annuì due volte. “La Port Mafia non è dall’altra parte del paese,” disse. “E non è difficile trovare scuse per giustificare la tua assenza, ma non per sei mesi di seguito. Torna a vivere qui anche tu e presentati in ufficio saltuariamente. Io penserò a colmare il vuoto.”

Mori non sapeva davvero quantificare la gratitudine che provava per lei. Non aveva alcuna vergogna ad ammettere che, senza il suo aiuto, tutto sarebbe stato più difficile. “Qualcosa da dire, Dazai?” Domandò. Era il giovane in prima linea quello con meno potere decisionale, ma il Boss voleva che avesse l’occasione di dire la sua.

“Questo bambino è mio,” disse Dazai, fermo, quasi minaccioso. “Voglio che tutti abbiate chiaro questo dettaglio.”

Mori annuì. “È legittimo.”




 

Quando Mori si ritirò nel suo studio con l’hamburger ormai freddo, era quasi mezzanotte. C’erano volute ore per studiare i dettagli della loro nuova routine, complice il continuo battibeccare dei due ragazzini. Il Boss stesso faceva fatica a credere che fossero arrivati quasi a diciannove anni - Chuuya li aveva già compiuti, in realtà - e non mostrassero alcun segno di miglioramento.

“Roba da matti…” Borbottò alla stanza vuota, con la bocca piena.

La sua pausa ebbe durata breve.

Kouyou entrò nella stanza senza bussare e Mori quasi si strozzò nell’ingoiare il suo boccone.

“Dobbiamo parlare,” disse lei, seria, appoggiando la spalla al muro. Nonostante fosse senza trucco era impeccabile, avvolta nella sua gonna blu lunga fino al ginocchio e la camicetta dello stesso colore. 

“E che abbiamo fatto fino ad ora?" Domandò il Boss, fissandole le scarpe rosse, l’unico dettaglio acceso di quel completo.

“Mori…” L’assassina non aveva alcuna voglia di scherzare e il Boss sapeva che non era saggio provocarla.

“Avanti.” L’uomo abbandonò il suo panino sulla scrivania. “Hai tutta la mia attenzione.”

Non c’era nulla di gentile negli occhi di Kouyou. “Sfrutterai questa cosa a tuo vantaggio, vero?” Domandò. “Ti piace giocare al padre premuroso, che non porta rancore per i tradimenti di un figlio. In realtà, stai elaborando un modo per usare il bambino di Dazai contro di lui.”

C’era un motivo se il Boss della Port Mafia si fidava solo di lei, tra tutti i suoi Dirigenti - Dazai era un caso a parte e assai più complesso - ma questo non significava che gli piacesse essere esposto in quel modo. “Kouyou, Dazai ha diciotto anni,” provò la via ragione. Non funzionò.

“Quasi diciannove, lo hai detto tu,” ribatté Kouyou. “Abbi rispetto per la nostra amicizia, se così la vogliamo chiamare, e non prendermi in giro con certi discorsi.”

“È davvero un prendersi in giro, quando le intenzioni sono diverse ma il risultato non cambia?” Domandò Mori. “Certo che rivoglio Dazai indietro e, ovviamente, questa occasione è perfetta per spingerlo a tornare alla Port Mafia. È subdolo e calcolato, ne prendo atto, ma parliamoci da adulti: Dazai ha bisogno di qualcuno che gli copra le spalle. Questo vale indipendentemente dalle mie intenzioni.”

“In cosa speri?” Domandò Kouyou.

“Che Dazai metta da parte la rabbia per usare la testa.”

“Hai ucciso il suo uomo, Mori. Non è un capriccio.”

“Nemmeno la vita di suo figlio lo è.”

L’assassina non voleva deriderlo apertamente, ma lo considerava un illuso. “Tu credi che facendo nascere suo figlio, Dazai dimenticherà che le tue mani sono sporche del sangue di Oda Sakunosuke?”

“Dazai è intelligente.”

“Ti sei dimenticato: orgoglioso, testardo e rancoroso. Proprio come te.”

“Allora mettiamo su una bilancia il suo odio per me e l’amore per suo figlio e vediamo cosa pesa di più,” propose Mori. “È troppo presto per farlo, per giungere a qualche conclusione. A stento si rende conto di quello che gli sta capitando e c’è qualcosa che lo tormenta.”

“Ma davvero?” Kouyou era sarcastica. “Chissà cosa potrà mai essere?”

“Sono serio,” disse Mori. “Non si tratta di me o della morte di Oda, nemmeno del bambino. C’è qualcosa che opprime Dazai e non riesco a capire cosa sia. Dov’è Chuuya?” Aggiunse.

“Con lui,” rispose Kouyou, come se fosse una cosa scontata.

A Mori venne da ridere. “Più il tempo passa e più Chuuya mi riempie di soddisfazioni. È affidabile, come te.”

“Stai attento con Chuuya, Mori,” lo avvertì Kouyou. “Ora più che mai.”

Il Boss inarcò le sopracciglia. “Che vuoi dire?”

“Il fatto che abbia sempre scelto te, non significa che tu venga prima di Dazai. Questo faresti bene a non dimenticarlo.”





 

Chuuya si sarebbe tagliato la lingua prima di ammetterlo, ma momenti come quello erano un balsamo per i suoi nervi. Quando lui e Dazai se ne stavano così, l’uno accanto all’altro, e lo stronzo gli faceva la grazia di tenere la bocca chiusa, tutto andava bene. Chuuya non aveva motivo di preoccuparsi, di chiedersi se Dazai stesse progettando qualcosa per colpirlo - o per colpirsi. Quella calma momentanea dava al rosso un senso di controllo che era puramente illusorio, ma questo non gli impediva di goderne finché durava.

“Ehi…” Diede una gomitata al partner, senza allontanare gli occhi dal soffitto. “A cosa stai pensando?”

“Che non ho la nausea e sono molto felice,” rispose Dazai, “ma so che se mi alzo da questo letto, ricomincerà e sarà un inferno.”

“È tipo come un post-sbronza?”

“No, quello si affronta.”

“Detto da te, che non sopporti nulla.”

“Non hai idea di quanto avrei voglia di ubriacarmi per davvero,” gli confidò Dazai. “Ho bisogno di una pausa dalla mia testa.”

Chuuya sorrise con perfida soddisfazione. “Ben ti sta!” Esclamò. “Ora sai come si sentono tutte le persone che ti stanno attorno!”

“Anche Odasaku mi rimproverava,” disse Dazai, aggiustandosi meglio contro i cuscini. “Quando mi mettevo nei guai, non me le mandava a dire. In particolar modo, se mi mettevo in pericolo di proposito.”

Bastò il nome di Oda Sakunosuke a chiudere la bocca a Chuuya. 

Dazai se ne accorse. “Il gatto ti ha mangiato la lingua?”

“No, idiota!” Rispose il rosso a tono. Malgrado il suo orgoglio, la presenza invisibile di quell’uomo lo inibiva terribilmente. Oda Sakunosuke era la prova di quanto poco conoscesse Dazai Osamu. Se lo avesse detto ad alta voce, avrebbe anche dovuto confessare il fastidio che gli provocava. Troppo rischioso.

Chuuya guardò Dazai con la coda dell’occhio: era sereno, per quanto le circostanze lo permettessero. Gli sarebbe bastato allungare un braccio per toccarlo, ma il fantasma di Oda Sakunosuke era abbastanza per rendere quella distanza incolmabile.

Chuuya decise che quella situazione non gli stava più bene. “Quando è successo?” Domandò. “Non so come tu lo abbia incontrato, ma è stato prima della Testa di Drago. Quando De Sade ti ha rapito, è venuto da me perché lo aiutassi con le ricerche, ma non credevo che-“

“Non c’è un quando,” ammise Dazai. “Se vuoi sapere quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta, sì, è stato dopo De Sade.”

“Non lo volevo sape-“

“Quando mi sono presentato in ritardo alla festa del mio diciottesimo compleanno.”

Chuuya chiuse gli occhi e contò fino a dieci. “Ok, me lo hai detto lo stesso.”

Dazai ridacchiò, sadico. “Ti dà fastidio.”

“Immaginare te che scopi con uno non è il mio passatempo preferito!” Ringhiò Chuuya.

“Non scopavamo,” ribatté Dazai, stiracchiandosi. “Tu scopi con le tue ragazze. Io facevo l’amore con Odasaku.”

“Oh, sei diventato un poeta?” Chuuya lo prendeva in giro per non sentirsi inferiore, ma anche lui poteva intuire la differenza. “E mentre facevi l’amore, ti costava tanto usare un preservativo?”

Dazai sbuffò. “Ancora con questa storia? Guarda che è bello farsi venire dentro. Non che tu possa capirlo.”

“No, non posso e non m’interessa!” L’istinto urlava a Chuuya di alzarsi e scappare a gambe levate, ma non poteva rischiare che la porta socchiusa che c’era tra loro venisse sbarrata. “Giugno,” pensò, contando i mesi che erano passati. “Siete stati amanti per meno di un anno e siete riusciti comunque a fare danno?”

Chuuya era finito in una - tragi - commedia romantica e nessuno lo aveva avvisato.

“No, lo siamo stati per un paio d’anni,” lo corresse Dazai.

“Hai appena detto che-“

“Quanto sei superficiale. Una storia non comincia per forza quando ci si scambiano fluidi corporei.”

Chuuya si schiaffò entrambe le mani in faccia. “Smettila, Sgombro.” Ormai era in pista, tanto valeva ballare. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e fissò il soffitto,  cercando tra le crepe dell’intonaco qualcosa che lo facesse desistere dal porre la domanda che aveva sulla punta della lingua. “Lo amavi?” Aveva bisogno di saperlo. Poteva mentire in faccia a tutti, ma non a se stesso. Voleva conoscere nei dettagli la cosa per cui Dazai gli aveva voltato le spalle. Non a Mori. Non alla Port Mafia. A lui.

Il silenzio si prolungò per uno, due, tre minuti. 

Chuuya sbirciò il profilo di Dazai e si accorse che i suoi occhi erano distanti.

“Parlo con il suo fantasma,” confessò quest’ultimo.

“E che ha da dire?” Le parole sfuggirono a Chuuya, prima che avesse il tempo di sentirsi un idiota.

Dazai non gli rispose: aveva smesso di ascoltarlo. “Mi manca parlare con lui.”

La porta tra di loro si era chiusa. 

Chuuya strinse tra l’indice e il pollice la manica di Dazai, tanto per assicurarsi che fosse ancora lì, accanto a lui. 




 

C’era uno specchio a figura intera nella sua camera. 

Doveva avercelo messo Chuuya, perché era certo che prima non ci fosse. Dazai ci passava davanti più volte al giorno, evitando di guardare il suo riflesso. In particolar modo, quando doveva cambiarsi i vestiti. Non era mai stato un cultore della sua immagine - per l’esasperazione di Chuuya - e mai gli era importato apparire bello. Non era un fatto d’insicurezza, a Dazai non erano mai appartenute quelle problematiche adolescenziali. Il concetto stesso di bellezza per lui, che non sapeva cosa farsene della vita, era privo di qualsiasi valore. C’erano caratteristiche estetiche che gli erano più gradite di altre, ma la prima volta che la bellezza lo aveva colpito davvero, tanto da entrargli dentro e provocargli un brivido, era stato quando si era perso negli occhi azzurri di Odasaku.

Da lì in poi, era stato come scoprire i colori del mondo per la prima volta.

Dazai non aveva mai perso tempo a provare amore per se stesso, eppure Odasaku era riuscito a nutrire dell’affetto per lui. Nel suo eterno conflitto con quella gabbia di carne e sangue che era il suo corpo, sotto le carezze di quell’assassino che aveva giurato di non uccidere più, Dazai aveva scoperto la pace.

Entrambi corrotti dal buio, a pezzi a modo loro, si erano sentiti completi nello spazio di un abbraccio. 

Era così che Dazai se l’era sempre raccontata. 

Ma quella era solo la sua storia.

Qualunque cosa avesse provato Odasaku per lui non era stato abbastanza.

Era quel peso sul cuore a impedire a Dazai di notare i piccoli cambiamenti a cui il suo corpo andava incontro, giorno dopo giorno. Lo stesso che lo obbligava a fissare le piastrelle, mentre faceva la doccia; che lo spingeva a dare le spalle a quello specchio nell’angolo della sua camera.

Anche se non era pronto - e non c’era nulla al mondo che potesse prepararlo - Dazai non stava ignorando quello che gli stava succedendo, ma non poteva pensarci troppo o ne sarebbe stato sopraffatto. Sebbene non volontariamente, Odasaku lo aveva privato definitivamente della possibilità di decidere della sua morte. Una promessa poteva sempre essere spezzata, ma il potere della vita che gli cresceva dentro non era quantificabile.

Dall’inizio di giugno, Mori non perse occasione per proporgli di fare un’altra ecografia, “Per assicurarci che tutto sia al posto giusto,” diceva. 

Mancavano pochi giorni al suo diciannovesimo compleanno e Dazai non si era ancora convinto a dirgli di sì. Sapeva che c’era una routine medica da seguire, che quella cosa doveva farla bene, che non gli era concesso provare. Era una situazione da tutto o niente. Più si nascondeva, più Mori e Chuuya gli sarebbero stati addosso e, ben presto, anche Kouyou avrebbe smesso di lottare affinché avesse i suoi spazi.

Quel bambino sarebbe nato. Punto.

Ma Dazai aveva bisogno di una pausa dai pensieri, dalle persone e dai ricordi. Soprattutto dai ricordi.

Il diciannove di giugno era il giorno peggiore per pretendere una cosa del genere da se stesso. 

In strada, il caldo era soffocante e la sua stanza era esposta al sole nelle ore peggiori. Un paio di giorni prima, aveva sentito Mori dire che avrebbe mandato Hirotsu a comprare un nuovo condizionatore, mentre Chuuya bestemmiava per quanto era sudato.

Dazai era tentato di chiedergli se volesse fare cambio. Non aveva mai sofferto il caldo in vita sua, ma quel bambino stava facendo di lui quello che preferiva e non aveva alcuna pietà. I bendaggi che era abituato a indossare erano ormai un lontano ricordo, persino i vestiti che portava per decoro erano una tortura sulla pelle - specialmente sul petto. Fosse stato per lui, sarebbe andato in giro nudo.

Fu solo per disperazione che Dazai uscì dalla sua camera. Se la memoria non lo ingannava, la stanza più in ombra e fresca dell’edificio era lo studio di Mori. C’era un divano lì e Dazai aveva tutte le intenzione di collassarci sopra per il resto dell’estate.

Trovò la porta della stanza chiusa, ma non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello di bussare. 

Qualunque cosa stessero facendo, Mori e Chuuya si pietrificarono non appena lo videro.

Dazai li guardò sospettoso. “Che state combinando?”

“Oh, il morto si è alzato!” Esclamò Chuuya, nascondendo il pennarello rosa che aveva in mano nella tasca del gilet. Sì, indossava un gilet nero sopra la t-shirt bianca e Dazai si chiese fino a che punto uno potesse torturarsi per il bene della moda.

“Ho chiesto che state facendo,” ripeté.

“Niente,” rispose Mori, innocentemente, nascondendo qualcosa con il piede sotto la sua scrivania.

Dazai ipotizzò si trattasse di qualcosa di molto stupido, ma nulla per cui valesse la pena spendere energie. Attraversò la stanza con ampi passi, raggiungendo l'obiettivo: il divano.

“Ehi!” Chuuya gli abbaiò contro, non appena si sedette. “Quello è il mio letto!”

“Ti cedo quello in camera mia, qui è più fresco.” Dazai si distese e i cuscini sfondati lo inghiottirono. Bene, ora non c’era davvero pericolo che si alzasse più di lì.

“Dazai.” Mori gli arrivò di fianco, guardandolo dall’alto in basso. “Tra poco, Hirotsu arriverà con un nuovo condizionatore. Non puoi restare qui, lo dico per la tua schiena.”

Alle sue spalle, Chuuya borbottò qualcosa riguardo al fatto che alla sua di schiena non pensava nessuno.

Dazai fissò il Boss dritto negli occhi. “Che cosa stavate facendo?” Se doveva fare i capricci, lì avrebbe fatti a dovere.

Mori forzò un sorriso. “Un gioco con cui io e Chuuya passiamo il tempo, quando riposi.”

“Con un pennarello rosa?” Domandò Dazai, che di quel gioco aveva intuito natura e regolamento.

Mori aprì la bocca, pronto a sfoderare un’altra scusa perfettamente studiata, ma un pensiero lo interruppe e gli fece fare marcia indietro. “Buon compleanno,” disse.

Alle loro spalle, Chuuya fece cadere qualcosa. “Oh, cazzo!” Esclamò.

Dazai decise che il fresco di quella stanza non valeva tutto quel caos. Non voleva pensare al suo compleanno, nè all’evento che gli ricordava. 

Vedendolo in difficoltà, Mori gli diede una mano ad alzarsi. “A proposito di quell’ecografia-“

“No,” rispose Dazai, prendendo la via della porta.

Chuuya gli si parò davanti. “Ti frega qualcosa della salute del moccioso o no?”

Dazai assottigliò gli occhi. “Che stavi scrivendo con quel pennarello rosa?”

“Nulla che t’interessi.”

“Era rosa, quindi m’interessa.” Dazai lanciò un’occhiata al Boss della Port Mafia. “Non si è mai troppo vecchi per essere infantili, vero?”

Il sorriso di Mori divenne tirato. “Vecchio a chi?”

Dazai era davvero troppo stanco per combattere con le loro assurdità. Chuuya era ancora davanti alla porta e aveva già pronto un commento tagliente per toglierselo di mezzo. Dischiuse le labbra e la stanza prese a girare.

L’immagine di un attico inondato di luce comparve davanti ai suoi occhi. Lenzuola in disordine su di un divano letto e il silenzio riempito da discorsi fatti di tutto e di niente. Gli occhi azzurri di Odasaku che lo vedevano per quello che era.

Perché Oda Sakunosuke era stato il solo che ci fosse riuscito.

Quando tornò in sé, era seduto sul pavimento della clinica e Chuuya con lui. Mori aveva piegato un ginocchio a terra e gli stringeva il polso. Avevano cercato di tenerlo in piedi e non c’erano riusciti.

“Che è successo?” Domandò Chuuya. Era spaventato.

“Ha avuto un mancamento,” spiegò Mori, lasciando la mano di Dazai per liberargli il viso dai capelli umidi di sudore. “Con questo caldo è normale. Chuuya stai con lui, vado a prendergli un bicchiere d’acqua.”

Dazai sentì Mori che si allontanava. Chuuya, invece, si fece più vicino. “Ehi,” lo chiamò. “Dazai sono qui, parlami.”

Il neo-diciannovenne provò ad accontentarlo, ma si accorse della mano del coetaneo sul suo grembo e le parole gli morirono in gola. 

Chuuya lo scosse gentilmente. “Riesci a parlare?”

Dazai fece di no con la testa, coprendo quella mano con la propria. Bastò quel tocco e Chuuya si bloccò. Circondati dal più assoluto silenzio, i loro occhi s’incontrarono ma nessuno dei due osò muoversi. Entrambi avevano il sentore che se lo avessero fatto, qualcosa si sarebbe rotto. 

Non era quella la mano che Dazai voleva nella sua e quegli occhi non erano dell’azzurro giusto, ma erano sinceri. A differenza di tutti gli altri - forse di Odasaku stesso - Chuuya non lo aveva mai tradito.

Mori interruppe il momento portandogli un bicchiere d’acqua. “Chuuya, andate in camera sua. Cerco un ventilatore per guadagnare tempo.”

Non appena varcò la porta della sua stanza, Dazai trovò lo specchio galeotto ad aspettarlo. Il suo riflesso ricambiò lo sguardo e fece fatica a riconoscere se stesso in quegli occhi scuri e nelle guance rese accese da una spolverata di colore. Alle sue spalle, c’era Chuuya.

“Stai bene?” Domandò lui. 

Dazai era troppo impegnato ad affrontare le sue paure per rispondergli. Fece due passi in avanti, deciso a guardare in faccia ciò che aveva scelto per sé - e non solo.

La t-shirt nera cadeva sulle sue spalle senza dare alcuna forma al suo corpo. Dazai si mise di fianco, lisciò la stoffa nera per farla aderire all’addome.

Insoddisfatto dal risultato, sollevò l’orlo e scoprì la pelle pallida, ricoperta da cicatrici.

Nel riflesso, vide Chuuya sorridere. “Comincia a notarsi!”

Sì, Dazai poteva vederlo nella curva appena percettibile sotto l’ombelico. Il bambino suo e di Odasaku cresceva, fregandosene della morte e dell’oscurità che lo circondava.

Dazai fece ricadere la t-shirt al suo posto, poi indietreggiò di due passi per sedersi sul bordo del letto. Chuuya colmò la distanza tra loro. “Puoi parlarmi, per favore?”

Se avesse avuto la forza di essere sadico, Dazai gli avrebbe detto che gli piaceva vederlo preoccupato per lui. Ma c’era qualcun altro che aveva bisogno della sua attenzione. “Puoi farmi una promessa?”

Chuuya s’imbronciò. “Tra noi non ci sono promesse, solo minacce.”

“Non è per me,” si affrettò a dire Dazai. “È per il bambino. So che gli vuoi bene.”

“Io non-“

“Volere bene a mio figlio, non implica volere bene a me.”

Chuuya lasciò andare un sospiro esasperato. “Che cosa vuoi, Dazai?”

“Odasaku,” rispose Dazai con un sorriso triste. “Per il mio compleanno, vorrei solo riavere lui. Ma non si può ed è già abbastanza patetico dirlo ad alta voce.” Rise di se stesso.

Chuuya non ci trovava nulla di divertente.

“Quindi, ti chiedo un altro regalo,” disse Dazai, senza guardarlo negli occhi. “Se mi accadesse qualcosa-“

“No, ti prego!” Chuuya alzò gli occhi al cielo esasperato. “Facciamola finita con questi melodrammi!”

“Se mi accadesse qualcosa, dedicheresti la tua vita a proteggere mio figlio?” Concluse Dazai.

Chuuya impiegò un intero minuto a rispondergli, non perché fosse esitante, ma perché non poter picchiare lo stronzo era uno sforzo non da poco. “Questo posso promettertelo senza che tu vada da nessuna parte. Hai la mia parola.”

Non soddisfatto, con gli occhi ancora fissi sul proprio riflesso nello specchio, Dazai sollevò il mignolo sinistro.

Chuuya era senza parole, ma che altro doveva aspettarsi da Dazai Osamu?

“Chi è quello infantile, ora?” Intrecciò il suo mignolo a quello del partner, suggellando quella promessa come se fosse una cosa da bambini. Forse un po’ lo erano, ma solo quando erano da soli 

Dazai sorrise.



 
   
 
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