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Autore: Soul of Paper    16/01/2022    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 68 - La Giustizia


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


Si sentì stritolare l’avambraccio ed incrociò gli occhi sbarrati di Rosa.

 

Sull’aula del tribunale era calato il silenzio più totale, Pace e Salvo che si scambiavano sorrisetti e sguardi trionfanti quanto sprezzanti.

 

L’azzeccagarbugli sembrava sull’orlo di un malore ed incapace di dire o fare qualsiasi cosa, a parte slacciare il primo bottone della camicia.

 

Pensa, maledizione, pensa, cosa farebbe Imma? - si chiese, per cercare almeno di metterci una toppa, in attesa della prima udienza di quella che sarebbe indubbiamente stata una battaglia legale non da poco.

 

Ricordati le domande essenziali, Calogiuri: chi, come, perché, e…

 

“Quando?!” esclamò, d’istinto, notando come gli abiti fossero invernali e parecchio pesanti, più altri dettagli tipo i capelli di Rosa, che erano abbastanza lunghi e li aveva fatti crescere negli ultimi mesi, “a quando risalgono queste foto?”

 

“Non vedo che importanza abbia: il mio cliente e sua sorella non sono nemmeno separati e-”

 

“Ma si sono lasciati ufficialmente il giorno di natale. A parte che non si vedevano da mesi pure prima. Allora, di quando sono queste foto, prima o dopo natale?”

 

“Maresciallo, le ho già detto che lei non è un avvocato e-”

 

“Il maresciallo però ha fatto una domanda lecita, avvocato, risponda,” intervenne il giudice, per fortuna, e Calogiuri tirò un sospiro di sollievo.

 

“Febbraio e marzo, ma si conoscevano già da molto prima ed erano già molto intimi, come testimoniato dal mio cliente, che ha notato una grande vicinanza tra sua figlia e l’amante di sua moglie già da ben prima di natale.”

 

“A parte che il suo cliente vedeva la figlia alle feste comandate, quando andava bene, quindi forse chiunque sarebbe potuto apparirgli più vicino di lui a mia nipote, al confronto, ma l’amicizia pregressa non prova nulla, come non provano nulla queste foto. Semplicemente mia sorella e… e il suo attuale compagno hanno stretto un’amicizia che recentemente, dopo che si era già lasciata con il marito, si è trasformata in altro. E ritengo che dopo mesi e mesi e mesi e mesi di solitudine e di quello che era già di fatto un rapporto finito, ne abbia il diritto e non debba giustificarsene.”

 

Pace rimase un attimo ammutolito, il giudice che lo guardava stupito ma quasi ammirato e pure Rosa, come se gli fosse cresciuta un’altra testa.

 

Certe volte le parole vengono fuori da sole… - proprio vero! Anche se in questo caso non erano sbagliate, anzi.

 

“Ritengo che lei non possa fare discorsi sulla morale, maresciallo, visto che è implicato in un caso di corruzione, aggressione e lesioni gravissime, e che ormai manca poco che sia cacciato dall’Arma. Oltre a quello che ha combinato con la dottoressa Tataranni all’epoca, tradendo quello che ora difende a spada tratta come suo futuro cognato.”

 

“Lei.. lei è il compagno della Tataranni? Ecco dove l’avevo già vista!” esclamò il giudice, aggiungendo con un tono strano, “ora ho capito da chi ha imparato a fare le arringhe.”

 

“Non sono assolutamente al livello della dottoressa, ma se lei fosse qui ora ribadirebbe non solo che in questo paese si è innocenti fino a prova contraria e a sentenza definitiva, che i fatti di cui sono stato accusato non sussistono e lo proveremo in tribunale, che mi hanno incastrato per cercare di deragliare il maxiprocesso. Ma, soprattutto, in ogni caso, ribadirebbe che, pure se io fossi un serial killer, questo non toglie o aggiunge niente al caso di mia sorella ed alla sua moralità. Moralità di cui io non ho mai parlato, né in riferimento a mia sorella, né al suo cliente, mentre è l’avvocato che continua a metterla in discussione. Anche perché la morale è soggettiva, qua si parla d’altro e non c’è nessuna prova che giustifichi un addebito a carico di mia sorella.”

 

“E invece la morale non è soggettiva, ma è anche il cardine che guida le scelte in casi come questo. E sua sorella non avrà commesso alcun reato, forse, ma è indubbio che viva in un ambiente di promiscuità e che questo possa inficiare la serenità, l’educazione e la crescita della figlia. Che si ritrova con uno zio in odore di galera e con una famiglia a dir poco disfunzionale, dove il suo futuro patrigno è anche l’ex della futura zia. Con una potenziale cugina che in futuro potrebbe essere la sorellastra. Ma ci rendiamo conto della confusione che questo potrebbe ingenerare nella sua mente in futuro? Per questo oltre all’addebito chiediamo l’affido esclusivo per il mio cliente.”

 

Sentì il respiro forte di Rosa, che palesemente stava andando sempre più in panico.

 

“A parte che Noemi è una bimba serena e tranquilla, proprio grazie all’affetto e alla presenza costante di mia sorella e, sì, anche del suo nuovo compagno, ma chiedere l’affido esclusivo è una follia. Quale sarebbe l’alternativa? Un padre che vede tre volte l’anno, quando va bene, o al massimo che ci sarebbe nei fine settimana. E poi con chi starebbe tutto il resto del tempo, eh? Che mio cognato non ha nemmeno una casa sua ma sta dai nostri genitori.”

 

“Appunto. Persone dalla spiccata morale, a cui la minore è legatissima e che-”

 

“E che la minore non la vedono nemmeno loro da mesi, per una ripicca nei nostri confronti. E se dalla loro morale specchiatissima saremmo usciti noi, secondo lei così amorali, in che modo potrebbero garantire un’educazione migliore alla nipote di quella data a noi a suo tempo?”

 

Silenzio.

 

Aveva ammutolito l’avvocato, che era rimasto per un attimo a bocca aperta come un pesce.

 

Lo vide però riprendersi e provare a ribattere, quando il giudice lo fermò, prima che potesse farlo.

 

“In ogni caso questa non è sede di dibattimento e lei, maresciallo, effettivamente non è l’avvocato di sua sorella. Anche se mi pare più in grado di sostenere un dibattimento di molti avvocati che ho visto,” proclamò il giudice, lanciando un’occhiata all’attuale legale di Rosa che era tutta un programma, “in ogni caso, questa udienza ha solamente lo scopo di definire se si possa addivenire ad una separazione consensuale e mi pare evidente che questo sia impossibile. Per intanto, quindi, dispongo il rinvio a procedimento giudiziale. Vi verrà comunicata la data dell’udienza quanto prima, anche per darvi modo di preparare le richieste complete nei confronti della controparte. Per oggi chiudiamo qui.”


“E riguardo al mantenimento? Perché finora io non ho visto un euro,” si inserì Rosa, che si era come ripresa, in un moto di orgoglio.


“Anche quello verrà definito in sede giudiziale. Ed, in caso le fosse concesso, le saranno poi dovuti anche gli arretrati.”

 

“Ma non le verrà concesso, in quanto il mio cliente avrà l’affido esclusivo.”

 

“Come ho già detto per oggi abbiamo finito, avvocato. Preparate le richieste che discuteremo unicamente in sede di dibattimento. E ora vi congedo, che ho l’udienza successiva.”

 

Il giudice sembrava irritato con l’avvocato ma… ma sapeva bene che anche la situazione di Rosa era tutt’altro che rosea e che erano solo all’inizio. Le serviva un avvocato vero e pure bravo, al più presto.

 

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“Amore mio!”

 

Quasi non sentì nemmeno l’abbraccio a morsa e la mitragliata di baci sulle guance, talmente quelle due parole lo mandarono in tilt.

 

Tanto che l’assalto finì bruscamente ed incontrò due occhi scurissimi e preoccupati - e pure un poco feriti - che lo guardavano come a chiedere se fosse tutto a posto. Non solo per lui ma anche e soprattutto per loro.

 

Quell’accenno di dubbio, di vulnerabilità, lo fece finalmente sbloccare dalla paralisi e, per tutta risposta, le prese il viso e la trascinò in un bacio che tutto era tranne che un semplice bacio di saluto, stringendola più forte che poteva.

 

E poi, guardandola negli occhi lucidi e sfiorandole le labbra scurite dal bacio, ammise, occhi negli occhi, “è che… non so quando mi abituerò a… a che mi chiami così.”

 

Le guance di lei si fecero più rosee, come se si fosse resa conto lei stessa solo in quel momento di cosa aveva detto. Gli sorrise, sollevata, e poi lo guardò in quel modo affettuoso da ma che devo fare con te?! che usava solo con lui.

 

“Allora, a che cosa devo questa accoglienza? Perché, se le udienze di separazione di mia sorella ti fanno questo effetto, purtroppo e per fortuna mi sa che di accoglienze così ne avrò ancora per un bel po’.”

 

Bastarono un sospiro e un altro sguardo per capire che Imma già lo sapeva.

 

“Ma…?”

 

“Tua sorella. Mi ha avvisata, quasi in diretta. Ha registrato l’udienza, penso col cellulare, e me l’ha mandata con un vocale,” spiegò e, al suo sguardo preoccupato ed imbarazzato proseguì, “le ho già detto che non si potrebbe fare e di non farlo più ma… ma sono felice che lo abbia fatto, Calogiù. Non solo perché almeno tengo un’idea precisa del tipo di avvocato con cui avete a che fare ma perché… perché… hai un’idea di quanto sono orgogliosa di te? Sei stato… sei stato… tu il PM dovevi fare, Calogiuri, mannaggia a te!”

 

Una botta di calore tremenda al viso, tutto il sangue che lì gli finiva, tanto da girargli la testa. Un complimento così, detto da Imma poi… era meglio di qualsiasi dichiarazione d’amore.

 

“Tu… tu sei un po’ di parte, dottoressa,” le ricordò, imbarazzato, mentre gli occhi gli si appannavano.


“Ma che di parte! Hai fatto meglio di molti avvocati che ho conosciuto. Pure il giudice è rimasto colpito, si sente! Tu… non c’è niente che non puoi fare, Calogiuri e… tra qualche anno bagnerai il naso pure a me, se continui così.”

 

“Quello è assolutamente impossibile, dottoressa. Ma…” deglutì, le parole che non gli uscivano, fino a che riuscì a sussurrarle un, “ti amo!” un poco tremolante e si trovò nuovamente stritolato.

 

Rimasero stretti stretti per un po’, in perfetto silenzio, finché dei miagolii insistenti alle loro caviglie lo fecero avvedere di Ottavia che li guardava preoccupata.

 

“Eh… c’hai ragione a stare preoccupata Ottà. Qua bisogna trovare un avvocato bravo per tua sorella, Calogiù. E prepararci per il processo e soprattutto a cosa succede quando questa storia verrà fuori.”

 

“Ma tu pensi che…?”

 

“Ne sono sicura, Calogiuri. L’avvocato di Salvo è uno squalo e pure gli altri gentiluomini con cui abbiamo a che fare.”

 

Quasi come se fosse stato il compimento di una profezia, la vibrazione dei loro cellulari, entrambi, lo riportò del tutto alla realtà, portandolo ad estrarre il telefono di tasca.

 

Due (ex) sposi per due fratelli

 

Così titolava l’articolo di un noto sito di gossip. E sotto c’era la foto di Pietro e Rosa che si baciavano, una di repertorio di lui ed Imma che si baciavano ed infine una foto di Imma con Pietro che, manco a dirlo, si baciavano pure loro.

 

Provò un moto di fastidio, non tanto per il bacio - che di baci tra loro qualcuno ne aveva visto negli anni - ma perché gli sembrava proprio-

 

“Il balcone della festa della Bruna?”

 

Vide Imma imbarazzata ed in panico ed ebbe conferma immediata che era proprio quella festa della Bruna, come se non fossero bastati i vestiti - che come era vestita Imma quel giorno non se lo sarebbe scordato mai, insieme a tutte le altre cose di quella giornata.

 

“Lo so, Calogiù, lo so, ma… ma mi sentivo in colpa e… e pensavo che Vitali mi volesse trasferire e-”

 

“Come che ti volesse trasferire?” la interruppe, perché pure questa gli era nuova.

 

“Sì. Romaniello gli aveva fatto pressioni perché mi trasferissero e me lo avevano appena confermato. E quindi… presa dalla paura e dal senso di colpa ho baciato Pietro, anche per… per cercare di levarmi dalla testa quello che era appena successo con te. Ma… ma poi sei comparso pure tu dall’altro lato della piazza e… e diciamo che ho avuto conferma che dimenticarlo sarebbe stato parecchio difficile, se non impossibile. E lo sai pure tu com’è finita, no?”

 

Annuì, perché certo che lo sapeva e perché… perché il solo pensiero di lei trasferita chissà dove aveva messo non solo in secondo ma in ultimo piano lo stupido moto di gelosia arretrata.

 

“Ma… ma poi con il trasferimento-?”

 

Imma gli sorrise, sollevata, ma soprattutto intenerita, e gli strinse forte le mani.

 

“Vitali mi ha confermato quel giorno stesso che non aveva intenzione di cedere al ricatto, Calogiuri. Se no… sarei potuta finire in qualche procura del nord. Mi ci vedi?”

 

“Tu te la caveresti ovunque, dottoressa ma… come avrei fatto io senza di te? Anzi, ti avrei seguita in capo al mondo, appena possibile, mi sa, sempre se tu mi avessi ancora voluto tra i piedi.”

 

“E certo! E… chissà che al nord non ci tocchi finirci davvero prima o poi. Ma prima dobbiamo pensare a scagionarti del tutto e… e questa cosa non ci voleva. Valentina la prenderà malissimo e… e qua ci dipingono come degli scambisti praticamente. E pure incestuosi, anche se questo più velatamente, ma… questo è un disastro sia per la separazione di Rosa, che per Noemi che… che per il processo.”

 

Sospirò: lui ormai c’era abituato alla diffamazione costante, ma il pensiero di sua sorella e soprattutto di Noemi in mezzo a tutti questi casini…. Noemi era all’asilo, era vero e i bimbi erano ancora piccoli ma… ma i bimbi sapevano pure essere molto cattivi, per non parlare dei genitori.

 

“Dobbiamo trovare un ottimo avvocato per Rosa e… e bisogna capire se e come rispondere e-”

 

Si bloccò perché Imma aveva fatto un’espressione strana.

 

“Che c’è?”

 

La vide deglutire, una, due, tre volte, e poi proclamò, con voce roca, “no, pensavo che… che un ottimo matrimonialista lo conosceremmo pure. Ma non credo che sia il caso.”

 

La confusione durò giusto un paio di secondi e poi capì.

 

Il figlio di Chiara Latronico. Quello che, strano anche solo a pensarlo, era il nipote di Imma.

 

“In effetti forse non è il caso. Ma più che altro perché… dipende se tu te la senti, dottoressa. E anche se i Latronico se la sentono.”

 

Imma fece una mezza risata, amara, “se mi avessero detto che… che un giorno gli eredi di Latronico avrebbero dovuto temere per la loro reputazione di essere associati a noi e non viceversa….”

 

Fu come un macigno, perché era la verità.

 

Ma si ripromise che non sarebbe stato per sempre così, anzi. Dovevano uscirne a tutti i costi, a testa alta.

 

Insieme.

 

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“Allora, ti è tutto chiaro? Sei disposta a-”

 

“Ma c’è anche da chiedermelo? Con tutto quello che mi ha combinato Santoro ultimamente? L’unica cosa importante è non mettere a rischio Bianca o Francesco ma… Conti non mi sembra pericoloso. Solo troppo appiccicoso e ingenuo.”

 

“Bianca può stare con Ranieri, per evitare che si incontrino. E Francesco… in ogni caso siamo pronti ad intervenire, lo sai. Ma credo che Conti lo stenderesti tranquillamente anche da sola.”

 

“Gli piacerebbe!” fu il commento di Irene, con un sopracciglio alzato e gli venne da ridere.

 

“E dai, Irene!”

 

“Se ha contribuito a tutto questo casino solo per ripicca nei confronti di Calogiuri - e mia, indirettamente - si merita questo ed altro. E poi… ma tu hai idea di quanto sia imbarazzante avere un collega che è palesemente cotto di te e non si rassegna anche se tu fai capire in tutti i modi di non essere interessata? Ah… scusa… domanda stupida!”

 

Fu un po’ una pugnalata e sospirò, “la mancanza di sonno ti rende nervosa, noto.”

 

“O forse meno diplomatica. Ma non ti preoccupare, Giorgio, con Conti sarò perfettamente nel ruolo. Quando scatta il piano??”

 

“Quando vuoi e-”

 

“E prima è e meglio è, perché prima scagioniamo Calogiuri, prima forse potrò tornare a dormire.”

 

Gli venne da ridere.

 

“Lo so che non è solo per quello che vuoi scagionare il maresciallo, ma… ti pesa così tanto, tenere Francesco?”

 

“Diciamo che… lo so che non è colpa sua, anzi, e quando è tranquillo è dolcissimo, ma… con i bimbi o ti prendi o non ti prendi. Come nelle storie d’amore. E lui non mi percepisce come figura materna. Quindi prima è, meglio è anche per lui, che potrà essere più felice che con me.”

 

C’era un tono strano nell’ultima frase, una fragilità che raramente sentiva in Irene, sempre così decisa, guardinga, forte.

 

Le mise una mano sulla spalla, che era il loro modo di abbracciarsi, e lei ricambiò.

 

A volte le parole non servivano.

 

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“Valentì, non so se hai visto ma-”

 

“Che cosa? Le foto del tuo limone con la sorella di Calogiuri? Ma secondo te? Mi stanno tempestando di messaggi e-”


“Mi dispiace, ma-”

 

“Sai invece che cosa dispiace a me, papà? Non tanto di trovarmi la mia famiglia sputtanata su tutti i giornali, che tanto ci sono abituata, ma che se non fosse stato per Noemi, probabilmente lo avrei saputo dai giornali, per l’ennesima volta. E certo che con una separazione in corso pure tu e lei discreti, furbi, complimenti!”

 

“Ma non ci siamo mai messi a fare effusioni in pubblico. Eravamo in casa e ci hanno spiato fin lì e-”

 

“E di nuovo dove sta la novità? Esistono le tende, non lo sai? E per il resto, grazie per l’ennesimo casino nella mia vita di cui non avevo proprio bisogno. Mi avete provocato molti più casini tu e mamma di quanti io ne ho provocati a voi, pure in adolescenza. Ma ti pare normale?”

 

Sospirò.

 

No, non era normale, ma niente della loro vita lo era.

 

E Valentina sembrava incazzata come non l’aveva mai sentita e non solo per le foto.

 

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“Conti, mi potrebbe accompagnare sulla scena del caso Rizzoli? Mariani è impegnata con Mancini e-”

 

“Ma certo, dottoressa!”

 

Il tono e lo sguardo entusiasti del maresciallo, che balzò in piedi con la faccia di un bimbo a cui avevano appena donato un sacchetto di caramelle, la fecero per un secondo sentire in colpa.

 

Però, se Conti davvero aveva tradito, anche se in buona fede, la fiducia sua, di Imma, di Calogiuri e aveva, in un modo o nell’altro, provocato l’aggressione a Melita, non c’era niente di cui sentirsi in colpa.

 

Come diceva Imma, anche se in modo molto, troppo ottimistico, male non fare, paura non avere.

 

Non era sempre vero, purtroppo, anzi, ma loro si sarebbero comportati correttamente, a differenza di altri, e se Conti alla fine non c’entrava nulla, non aveva niente da temere.

 

Si avviarono insieme verso l’auto di servizio.

 

Notò alcuni giornalisti, probabilmente ancora speranzosi di trovare Imma o Calogiuri per avere dichiarazioni riguardo allo scandalo sull’ex marito di Imma con la sorella di Calogiuri.

 

Certo che pure loro, non si aiutavano, con tutte queste relazioni incrociate. Ma, per quel poco che aveva visto dell’ex di Imma, aveva fatto un terno al lotto con la sorella di Calogiuri, da fargli i complimenti per la conquista.

 

Salirono in auto, Conti che allontanava i giornalisti, e partirono rapidamente.


Gli diede l’indirizzo a cui recarsi e poi mandò il segnale via messaggio.

 

Dieci minuti dopo circa, mentre erano ancora mezzi incagliati nel traffico, le arrivò una chiamata.

 

“Pronto, Maria? Che succede?” domandò, sperando di saper ancora recitare sufficientemente bene, “come? D’accordo, ho capito, arrivo subito.”

 

“Che succede?” le domandò Conti appena mise giù, preoccupato.

 

“Un’emergenza a casa. Mi può accompagnare, Conti?”

 

Conti, a parte l’ansia, sembrò come un cavaliere appena investito dalla propria regina del suo titolo.

 

Si avviarono verso casa sua con una velocità della quale non avrebbe ritenuto Conti capace, tanto che ci arrivarono pure più in fretta del previsto.


Sperò che fosse tutto pronto.

 

“Conti… può rimanere qua in attesa? Forse potrei avere bisogno dell’auto.”

 

Conti era come un libro aperto: lesse chiaramente da un lato il sollievo che lei potesse avere bisogno di lei, dall’altro la delusione di non essere invitato a salire.

 

E quindi estrasse il cellulare, finse di leggere un messaggio e gli domandò, guardandolo negli occhi, “anzi, forse è meglio se può salire anche lei, Conti. Le dispiace trovare un parcheggio e raggiungermi? Vicino, se possibile.”

 

“Dottoressa, non c’è problema, lascio l’auto col permesso speciale qua di fianco e salgo subito.”

 

“Grazie, Conti. E mi raccomando, acqua in bocca. Mi sto fidando di lei, va bene?”

 

Conti, a parte l’onore, ebbe un lieve momento quasi colpevole che no, non si era sognata.

 

Mancini ci aveva visto giusto, ne aveva sempre di più la conferma, purtroppo e per fortuna.

 

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“E dai, piccolo, che tra poco puoi piangere quanto vuoi!”

 

Gli venne da ridere perché Mariani stava facendo saltellare Francesco tra le sue braccia, cercando di tenerne a bada le urla e il pianto.

 

Ci sapeva proprio fare con i bimbi - del resto sembrava quasi un personaggio delle fiabe, con l’aspetto che aveva - ma il piccolo era veramente un osso duro.

 

Lei però continuava a sorridergli gentilmente e a giocarci, senza arrendersi. Che poi era il suo modo di non arrendersi alle difficoltà in generale.


“Se vuole… se vuole posso provare a tenerlo un poco io. Così si riposa che poi dobbiamo essere in forze per quello che dobbiamo fare oggi.”

 

Mariani gli sembrò incredula quasi, e lui fece cenno come a chiedergli il perché.

 

“Niente, dottore, ma… pensavo non le piacessero i bambini.”

 

“E come mai?” domandò, stupito e un po’ ferito.

 

“No, è che… non ce la vedo molto coi pannolini da cambiare ed un bambino che stravolge la casa. Una compagna sì, ma figli no. Poi va beh… Francesco non è che sia proprio il bimbo più tranquillo del mondo, di quelli che ti inteneriscono.”

 

Sospirò: Mariani lo vedeva elegante, impostato, vecchio stampo. Lo sapeva. E poi forse anche un po’ come uno scapolo incorreggibile.

 

“In realtà… in realtà figli ne avrei voluti ma… mia moglie non poteva averne e poi… e poi non ho più incontrato nessuna con cui avrei voluto farmi una famiglia, figuriamoci figli.”

 

“Neanche la dottoressa?” gli domandò, prima di tapparsi la bocca di scatto, temendo presumibilmente di aver esagerato.

 

Ci pensò per un attimo.

 

“Non so… la dottoressa… non è in età da avere altri figli, Mariani. Quindi… ho desiderato di condividere la vita con lei ma… parlare di famiglia alla nostra età e con matrimoni alle spalle, ha un significato diverso, di solito.”

 

Mariani annuì, pensierosa.

 

“Allora? Non si fida?” chiese, allungando una mano e Mariani arrossì e scosse il capo.


“No, no, dottore, si figuri. Se… se le va, ecco, tenga pure, che mi riposo le braccia.”

 

Si trovò con il bimbo tra le mani che prima lo guardò per un attimo, incerto, e poi riprese ad urlare come un forsennato.

 

“Mi sa che l’unica con cui è tranquillo è proprio la dottoressa Tataranni…” sospirò Mariani, dando una carezza alla pancia di Francesco mentre pure lui lo faceva saltellare e poi gli fece fare un paio di giri in aria.

 

Si sentì trionfante quando Francesco fece una risatina.

 

Molto meno quando alla risatina seguì uno strano rumore e si trovò col vomito sulla camicia.

 

Si guardò con Mariani, che sembrò terrorizzata, ma gli venne da ridere.

 

“Almeno non mi ha graffiato a sangue…” mormorò, tra sé e sé.

 

“Come?”

 

“Niente, Mariani. Sono cose che capitano. Mi sa che dobbiamo fare allenamento tutti e due coi bimbi. Speriamo che Irene arrivi presto, che-”

 

Quasi come se l’avesse ascoltato, la porta di ingresso si aprì e trovò Irene che lo guardò, prima stupita e poi divertita.


“Vorrei dirvi che mi dispiace, ma ora sapete cosa mi tocca sopportare ogni notte. Preparatevi che sta per salire.”

 

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“Dottoressa, posso?”

 

Conti aveva bussato e si era affacciato all’ingresso. Lei fece cenno di sì col capo, mentre teneva in braccio Francesco che, puntuale come un orologio, piangeva come un ossesso.

 

Un attore nato era, perfetto per il ruolo.

 

“Ma… ma… questo bimbo?”

 

“Il figlio della Russo, Conti. Lo sto tenendo finché non si chiarisce del tutto la situazione ma-”

 

“Ma perché piange così? Sta male? Dobbiamo portarlo al pronto soccorso?”

 

Conti aveva gli occhi sbarrati e sembrava preoccupatissimo: del resto, chiunque avrebbe faticato a credere che quelle urla erano normale amministrazione e non frutto di una qualche patologia gravissima.

 

La pediatra, purtroppo e per fortuna, l’aveva però rassicurata che era normale così.

 

“Non so… aspettiamo un attimo. Purtroppo… piange molto spesso. Sai, il trauma di essere prima stato strappato alla madre, poi la famiglia… diciamo adottiva… che prima lo tiene rinchiuso per mesi. La madre… adottiva… che era morbosissima con lui. E poi… avrebbe voluto stare con la dottoressa Tataranni ma… siccome Calogiuri è ancora ingiustamente accusato dell’aggressione a Melita non è stato possibile. E quindi mi sono offerta io ma… questo povero bambino sente di aver subito due o tre abbandoni e questo è il risultato.”

 

Vide chiaramente Conti deglutire, tre volte per precisione, ed un altro chiarissimo lampo di senso di colpa.

 

Ci stava forse andando giù un po’ troppo pesante ma, conoscendo Conti, non era abbastanza scaltro ed era troppo di animo buono da notare la sua strategia. Per fortuna sui sensi di colpa aveva avuto un ottimo insegnante in suo padre.

 

“Mi… mi dispiace… povero bimbo. Com’è che si chiama?”

 

“Francesco.”

 

“Francesco, guarda che sei fortunato a stare con la dottoressa Ferrari,” proclamò Conti, in un modo decisissimo che fece sentire lei un poco a disagio. Ma doveva arrivare alla verità, anche se Conti sarebbe finito nei guai.

 

“Vuole… vuole che provo a tenerlo un pochino io? Così magari si riposa un po’, dottoressa, e poi valutiamo se portarlo al pronto soccorso.”

 

Rimase per un attimo indecisa, ma alla fine Conti, in generale, era abbastanza affidabile ed il contatto col bimbo poteva metterci un altro carico di sensi di colpa.

 

Quindi glielo passò e Francesco fece una cosa inaspettata.

 

Lo guardò per un attimo e si zittì del tutto, squadrandolo con quegli occhioni scuri e pieni di lacrime, fisso fisso, quasi come se lo stesse studiando.

 

E poi riprese a piangere, ma aggrappandoglisi al giaccone, mentre ogni tanto si fermava e tornava a guardarlo.

 

Vide l’espressione di Conti incrinarsi, pareva sull’orlo delle lacrime pure lui.

 

“Io… io vorrei solo sapere chi è stato ad avvisare quei bastardi che stavamo cercando Melita. Anche il dottor Vitali è disperato e sta cercando una talpa a Matera e… ed è sempre brutto dover dubitare dei colleghi ma… ma lo sapevamo in pochissimi e sono stati troppo veloci a trovare Melita, e che sia una coincidenza è impossibile. Quindi ora uno dei brigadieri storici di Matera e la ex cancelliera di Imma rischiano il posto.”

 

Era una bugia, ovviamente, ma doveva aumentare la pressione al limite, tanto che aggiunse, “sai… era una delle poche amiche di Imma. Se fosse stata lei o il suo compagno… sarebbe un colpo durissimo per tutti. Ma del resto, chi altro rimane? Qua lo sapevano solo persone per le quali metterei la mano sul fuoco e-”

 

Un rumore strozzato la interruppe ed incrociò gli occhi di Conti che sì, aveva ceduto al pianto.

 

Lo guardò, senza bisogno di parole o di continuare con la recita: si erano capiti.


“Conti… non… non vorrai dire che-”

 

Per tutta risposta, il maresciallo si sedette sul divano, forse prima che gli cedessero le gambe, e poi le passò Francesco, come se improvvisamente gli fosse insopportabile tenerlo in braccio.

 

Francesco, ovviamente, prese a piangere ancora più forte, almeno per qualche istante, perché poi, come se avesse percepito l’atmosfera nella stanza, si zittì e guardò alternativamente lei e Conti, con gli occhioni spalancati.

 

“Ho… quando mi avete detto di cercare Melita quella sera io… io l’ho riferito a Santoro, che la stavate cercando. Ma… ma non penserà che….”

 

Sospirò, espellendo il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.

 

Ce l’aveva fatta e, purtroppo, Mancini ci aveva visto giusto.

 

“Conti. Non le devo dire cosa penso io, visto che mi pare chiaro che lo pensi anche lei.”

 

Conti si accasciò ancora di più sul divano.

 

“Ma… ma Santoro non può avere fatto una cosa del genere e-”

 

“E altrimenti chi ci rimane? Mariani? Mancini? Io?”

 

Un attimo di silenzio, nel quale non si sentiva volare una mosca. Perfino Francesco era ammutolito, la manina in bocca, mentre fissava Conti, come se capisse la serietà del momento.

 

“Che cosa ho fatto?! Che cosa ho fatto?!” singhiozzò Conti, coprendosi le mani col viso, scosso da tremori.

 

Da un lato lo avrebbe strozzato, dall’altro le faceva un po’ pena. Alla fine era stato sicuramente manipolato per bene da quello stronzo di Santoro.

 

Ma doveva portare avanti il piano, fino all’ultimo.

 

“Le lacrime da coccodrillo non servono a niente! Se veramente si è reso conto di quello che ha fatto, ha un solo modo di rimediare, Conti. Ed è aiutarci a scoprire con chi è in contatto Santoro e che rapporti ha con quella gente.”

 

Il maresciallo si scoprì il volto e la guardò, colpevole e spaventato.

 

“Ma… ma come?”

 

“Santoro di lei si fida, Conti. O pensa di tenerla in pugno. Sono sicura che un modo lo troveremo. Sempre se, almeno in questo, posso ancora fidarmi di lei.”

 

Era la coltellata finale e lo sapeva, tanto che Conti scoppiò in un pianto ancora più disperato, se possibile, continuando a mugugnare dei “mi dispiace!” con voce talmente roca che pareva avere l’asma.

 

Francesco si proiettò verso di lui, toccandogli il braccio, come per accertarsi che stesse bene.

 

Sì, i bambini erano un’arma letale a volte, nella loro innocenza.

 

Conti si bloccò e lo sguardo che rivolse al piccolo non se lo sarebbe mai più scordata, e nemmeno quello che condivise con lei, prima di annuire e di sussurrare un, “va bene.” di cui sì, era certa di potersi fidare, perché Conti aveva l’aria di essere pronto a tutto, pur di rispettare quella promessa.

 

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“Eccoci qua!”

 

Era rientrato finalmente Ranieri, dopo che Giorgio e Mariani se ne erano andati, visto che Conti non aveva rappresentato un pericolo, anzi, si era dileguato con l’aria di chi voleva autoflagellarsi più di un monaco de Il Nome della Rosa.

 

Giorgio era stato tutto sorridente, e con quello sguardo orgoglioso che ormai era più raro le rivolgesse - del resto si conoscevano da una vita e ormai il loro rapporto era decisamente più alla pari che quello mentore/allieva, o per certi versi padre/figlia che avevano avuto a Milano, quando lei era alle prime armi - e che eppure le suscitava sempre qualcosa dentro che era difficile da definire.

 

Sicuramente però c’entrava la troppo scarsa, per non dire inesistente, approvazione di suo padre, quello vero.

 

Mariani invece le era sembrata spaventata, l’aveva guardata come se fosse pericolosa, lei sì, altro che Conti.

 

Ed, in effetti, forse aveva ragione.

 

“Irene!”

 

La voce di Bianca la fece ridestare immediatamente e la guardò, ancora in braccio a Ranieri, che pareva contenta come non l’aveva forse mai vista.

 

“Ti sei divertita?” le venne spontaneo chiederle.


“Sì, tantissimo! Ci possiamo tornare presto sulle giostre, tutti e tre insieme?” le domandò, in quel modo che non avrebbe potuto mai dirle di no.

 

E poi… che riuscisse a stare sulle giostre, tra i rumori, i bimbi e la folla, era un altro risultato incredibile di quella giornata.

 

“Va bene. Ma adesso vai a cambiarti che è ora di andare a dormire, ok?”

 

Bianca annuì e, dopo aver dato un bacio a Ranieri e uno a lei, si avviò in fretta verso la sua cameretta, uscendone dopo poco con tutto il necessario per lavarsi e cambiarsi.

 

Diventava sempre più grande e più indipendente.

 

“Sei sempre la migliore!”

 

Si voltò stupita, trovando Ranieri che la guardava in un modo che le fece accelerare il battito e le provocò un calore alle guance che cercò disperatamente di controllare.

 

Non doveva mostrargli quanto le facesse ancora effetto.

 

“La migliore a fare la stronza?” ironizzò, per deflettere la situazione, ma Ranieri rimase serio e scosse il capo.

 

Aveva seguito l’operazione tramite auricolare, anche mentre era con Bianca.

 

“Sai… la disperazione di quel maresciallo un po’ la capisco. Sia per aver contribuito involontariamente a… a rendere una creatura innocente orfana, o quasi, sia… sia perché è perso per te. Non sei una donna semplice da dimenticare.”

 

Ma perché? Perché? Perché doveva guardarla in quel modo? Dire sempre le parole giuste al momento giusto?

 

Peccato che erano solo quello: parole.

 

Ormai lo sapeva benissimo.

 

“Mi sembra che ci sei riuscito benissimo, per molti anni,” sibilò, anche più dura di quello che voleva essere.

 

Sospirò ed aggiunse, non tanto per rimediare ma perché lo pensava veramente, “e comunque… e comunque non è stata solamente colpa tua, di Bianca. Anche io ero distratta in quel periodo e-”

 

“E non avrei mai dovuto lasciarti sola a Milano, in mezzo a tutto quello che stava succedendo, a lottare da sola. E… e il senso di colpa per averlo fatto… credo mi resterà per sempre.”

 

Più che le parole fu lo sguardo, il modo in cui le aveva dette ma, senza sapere bene come, si ritrovò nelle sue braccia, a stringersi forte, senza staccarsi mai, come non succedeva da….

 

E quegli abbracci, quegli abbracci che per qualche istante le facevano credere davvero che tutto sarebbe andato bene, le erano mancati più di tutto il resto.

 

Non andava bene, lo sapeva, ma avrebbe avuto tempo dopo per rimproverarsene, per ora se lo sarebbe goduto.

 

Ma le mani di lui si abbassarono sulla sua schiena, anche se di poco, ma già troppo, e quindi si costrinse bruscamente a staccarsi.

 

“Ora… ora è meglio che vai….”

 

Sapeva di avergli appena dato una mazzata ma… lei se ne era prese talmente tante in passato e non voleva beccarsi l’ennesima.


Perché, come dicevano saggiamente gli inglesi, se mi freghi una volta, è colpa tua, se mi freghi due volte è colpa mia.

 

Ranieri annuì ma in quel momento una vocina alle loro spalle chiese, “ma vai già via? Non racconti una storia della buonanotte per me e per Francesco?”

 

Bianca….

 

Tra il pigiamino di Frozen, i ricci e gli occhioni spalancati era di una tenerezza che spaccava il cuore.

 

Ranieri le fece un cenno.


Sopirò ed annuì: che poteva fare?

 

“Va bene, adesso arrivo, mettiti nel letto con Francesco.”

 

“Che bello! Grazie! Che le racconti così bene! Anche meglio di Calogiuri!”

 

Ranieri si voltò di scatto, guardandola in un modo quasi accusatorio, del quale non aveva assolutamente il diritto, anzi, ma… si sentì un po’ in colpa lo stesso, purtroppo.

 

“Guarda che tra me e Calogiuri non c’è mai stato niente,” sussurrò, non appena Bianca sparì nella stanza matrimoniale, “non che siano affari tuoi.”

 

“Lo so… ma… è che… ho notato quanto ci tieni a lui. Al punto che rischieresti la carriera per aiutarlo. E… e ammetto che ho provato una certa gelosia nei confronti del maresciallo negli ultimi mesi, anche se non ne ho il diritto, lo so. Ma… ma mi sono chiesto tante volte se… se lui non fosse stato così innamorato di Imma, se….”

 

Le venne da sorridere, anche se in modo amaro.

 

Perché se lo era chiesta pure lei, tante volte.

 

“Ci… ci ho pensato, per un periodo,” ammise, anche se equivaleva pure ad ammettere una sconfitta, ma non nel modo che pensava Lorenzo, o Imma, sicuramente, “che Calogiuri potesse essere in teoria l’uomo perfetto, non solo per me, ma… anche come figura paterna per Bianca. Ma… ma è come se fosse sempre mancato qualcosa, che facesse scattare quel qualcosa in più, per entrambi. Anche se ho cercato di provocarlo un po’... anche per tutelarlo da quella che credevo sarebbe stata una storia dalla quale sarebbe uscito distrutto. Ma poi… ma poi ho capito che… se è andata male a noi due… non deve essere così per tutti. Ed Imma e Calogiuri sono decisamente molto meglio di come eravamo noi all’epoca.”

 

Lo sentì deglutire - quella sera avevano tutti la gola secca - ma, proprio quando stava per rispondere, il “Irene, Lorenzo?” di Bianca interruppe il momento.

 

“Meglio che andiamo, che se si risveglia Francesco non ci salviamo più.”

 

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“Calogiù, che succede?”

 

Erano a letto e, poco prima che potessero dedicarsi ad attività per le quali Ottavia sarebbe fuggita in bagno, gli era arrivato un messaggio ed era sbiancato.

 

Non le era nemmeno venuta la solita fitta di gelosia dei messaggi a tarda sera, tanto sembrava preoccupato.

 

Si trovò con il cellulare di lui in mano e lesse il messaggio di Rosa, che era una foto della lettera dell’avvocato di Salvo, nella quale elencava le sue richieste.

 

Oltre all’affido esclusivo di Noemi e agli alimenti per la bimba, voleva anche un contributo per il mantenimento di Salvo pari praticamente, ad occhio e croce, allo stipendio di Rosa, ed in più un risarcimento del danno alla sua reputazione, provocato dalle foto uscite sui giornali - che chissà chi aveva fatto uscire! - pari a cinquantamila euro.

 

Ammazza!

 

L’avvocato di Rosa - uno dei migliori, o più squali, di Napoli - ci andava giù pesantissimo.

 

“Sta sparando altissimo, per avere meno. Nessun giudice gli concederebbe mai queste richieste, soprattutto considerato la situazione economica di Rosa, ma-”

 

“Ma può veramente chiedere addebito, affido e danni?”

 

“Danni ne dubito, anche perché potremmo chiederli noi, contestando che quelle foto le aveva l’avvocato di Salvo. L’affido spero proprio di no, lo ritengo improbabile ma… ma conta se riusciamo a scagionarti prima che finisca il procedimento di Rosa, cosa che spero ovviamente avvenga. E… l’addebito… quello dipende. Da quanto è maschilista il giudice e da quanto se la giocano bene i due avvocati. Lo sai.”

 

Calogiuri annuì, ma lo vedeva che non era molto rassicurato, anzi.

 

“Senti… posso provare a sentire… Chiara e… e mio nipote. Anche se ci sono i processi in corso, alla fine ormai io sono stata esautorata dal maxiprocesso quindi… non ho procedimenti aperti dove sono coinvolti i Latronico.”

 

Si trovò con la mano stritolata, forte forte, e poi avvolta da un mezzo abbraccio.

 

“Non mi preoccupa il conflitto di interessi, dottoressa. L’importante è… se tu vuoi avere rapporti con Chiara e con suo figlio o meno. Solo questo conta. Per il resto… l’udienza non è mica domani e mia sorella può cavarsela anche in un altro modo. Devi fare ciò che ti senti, va bene?”

 

Eccallà!

 

Calogiuri le aveva piantato l’ennesimo macigno in gola.

 

Se lo strinse ancora più forte e poi gli mordicchiò l’orecchio ed il collo, godendosi il gemito ed il sussulto che gli provocò. Ma lo zittì con un bacio, mettendosi a cavalcioni su di lui e buttandolo di traverso sul materasso.

 

Del resto, l’aveva detto lui che doveva fare ciò che si sentiva.

 

E lei quello avrebbe fatto, con molto, molto, moltissimo impegno.

 

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“Che c’è, Mariani? Tutto bene?”

 

Lo stava riportando a casa - anche se erano sulla sua auto - dopo essere andati a mangiare, su insistenza di lei, in una trattoria tipica al ghetto ebraico.

 

L’amore per i fritti della tradizione ebraico-romana, tra cui i carciofi alla giudia che erano buonissimi, avrebbe comportato una bella visita in lavanderia per tutto il suo abbigliamento di quella sera.

 

A parte la camicia vomitata, che quella… forse conveniva direttamente buttarla.

 

“Sì, dottore… è solo che… so che è amico della Ferrari e… ed è bravissima, per carità, nel suo lavoro almeno, ma… ma a me ogni tanto fa un po’ paura. Si è rigirata Conti come un pedalino e senza scomporsi. Poteva andare nei servizi segreti, altro che PM.”

 

Gli venne da ridere, perché per tanti versi era vero.

 

“Anche lei quando si arrabbia fa un po’ paura. Lo sa, Mariani?” scherzò e la macchina per un secondo sbandò mentre le venne un colpo di tosse e diventò rosso fuoco.

 

“M- mi, mi dispiace io-” provò a balbettare, ma poi i loro sguardi si incrociarono e, capendo che non fosse un rimprovero, anzi, si rilassò e gli sorrise.

 

“E comunque… Irene ha avuto un’educazione che l’ha portata ad essere bravissima a mascherare ciò che prova. Un addestramento militare, in tutti i sensi. Anche se, quando l’ho conosciuta io… mostrava un po’ di più quello che sentiva, non aveva questo sangue freddo ma… ma non era comunque paragonabile agli altri magistrati freschi di concorso. Ma non è cattiva, ed è pericolosa solo con chi se lo merita. Anche se con Conti è stato un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Mi è quasi dispiaciuto per lui, anche se ha messo tutta la procura in guai inimmaginabili.”

 

“Il vero stronzo è Santoro,” esclamò Mariani, con una decisione che lo sorprese, visti i pregressi col magistrato, “ma… ma anche Conti ha le sue colpe. Gli amici non si tradiscono mai, soprattutto se si fidano di te. Poi per carità, un conto è se ci fossero state le prove che Calogiuri era colpevole e allora… prima dell’amicizia viene il dovere morale di non coprire un crimine, ma così… non so se riuscirò mai più a fidarmi di lui.”

 

Eccola, la Mariani tosta, dura, che faceva paura ma che gli piaceva anche molt-

 

Bloccò quel pensiero da dove era venuto, anche perché gli piaceva solo a livello professionale, nient’altro. Era troppo giovane, c’era troppo sbilanciamento di potere, e poi… e poi lei lo vedeva come una specie di vecchietto - e non le dava torto. E gli innamoramenti sul luogo di lavoro li avrebbe evitati accuratamente fino alla pensione, visto quanto successo con Imma.

 

“Ma… avrà conseguenze legali? Conti, dico?”

 

Ed ecco invece il lato più buono e gentile che riemergeva. In fondo la capiva: con Conti c’era un’amicizia da molti anni.


“Sicuramente qualcuna sì, ma… ma se collabora alla fine non ha fatto altro che riferire informazioni ad un diretto superiore, che era a sua volta tenuto al segreto professionale. Credo che potrebbe cavarsela con poco. Certo, con la sua coscienza dovrà vedersela lui.”

 

Mariani annuì ed il resto del viaggio, per quanto breve, trascorse in un silenzio assoluto.

 

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“Come v-”

 

Non gli diede nemmeno il tempo di finire e se lo abbracciò, perché aveva proprio bisogno di contatto umano in quel momento.

 

Lo sentì sorpreso, ma poi si trovò stretta forte forte, anche se le mani erano sempre al posto loro - e bravo! - e si lasciò andare per un attimo in quel contatto.

 

“Mi dispiace, Vale, davvero.”

 

“Anche a me!” esclamò, staccandosi leggermente per guardarlo negli occhi, “ormai ho tolto le notifiche da tutti i social. I miei ex amici di Matera fanno delle battute che… ma anche qua in università c’è qualcuno che fa lo scemo. Pensa che un giorno alcune ragazze mi hanno accolta canticchiando la sigla di Beautiful.”

 

“Non le tue amiche, spero.”

 

“No, ma… ma non capiscono quanto sia difficile. Per loro è divertente. E… e poi sono delusa che mio padre non me lo ha detto prima. E per fortuna almeno non l’ho scoperto dai giornali! Ma poi dico, sai che ti stai per separare, e state attenti, no?!”

 

“Però… però fare foto alla finestra di un’abitazione privata è proprio al limite. Vero che purtroppo, secondo alcune sentenze, se una parte dell’abitazione è visibile da fuori, è lecito scattare foto, ma… siamo proprio sul limite del diritto alla privacy.”

 

Rimase per un attimo ammutolita ma poi le venne da ridere.

 

“Che c’è?”

 

“No, è che… quando fai così mi sembri mia madre!”

 

Carlo le parve imbarazzato e pure un poco ferito.


“E dai, non lo dico con cattiveria ma… la capa tanta che ti fa tuo padre per studiare, evidentemente serve.”


Carlo sospirò e scosse il capo.


“Senti, se per stasera non parliamo dei nostri genitori e soprattutto non ci pensiamo ma ci divertiamo e basta? Balliamo fino all’alba se vuoi.”

 

Sorrise, perché era una vita che non ci andava in discoteca.

 

“Va bene. Anche se fino all’alba regge solo mia ma-” si bloccò appena in tempo, anche se lui aveva capito benissimo.

 

Ma non disse altro ed avviò la macchina, cominciando a guidare nel traffico ormai ridotto della notte romana.

 

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“Ma che hai stasera? Con te i test da sforzo per l’idoneità al servizio attivo non servono.”

 

La vide ridere, soddisfatta, e poi si trovò col petto ricoperto di baci.

 

Nell’ultimo periodo Imma era veramente insaziabile - pure lui, per carità, con tutti gli arretrati da recuperare - ma lei… lo era ancora più dei primi tempi, forse, e non lo avrebbe mai ritenuto possibile.

 

“Non è colpa mia se sei così irresistibile, Calogiù. E ti lamenti pure?”

 

“Mai!” proclamò, deciso, prendendole delicatamente il viso per darle un bacio vero, “ma… ma tra un po’ mi tocca gettare la spugna… sarà che non ho più vent’anni ma… tu che ti preoccupavi della differenza d’età…. Tra un po’ non ce la farò io a starti dietro.”

 

“Scemo! E poi è perché devi ancora riprendere peso e muscoli. Quindi domani di nuovo dieta da campioni.”

 

“Se andiamo avanti così, mangerò più uova in una settimana di un culturista.”

 

“Vorrà dire che le andremo a comprare all’ingrosso, Calogiù!” sospirò lei e dopo poco gli sfuggì un’esclamazione di dolore misto a piacere, all’ennesimo morsetto sul collo.

 

Sì, un giorno di quelli lo avrebbe mandato al creatore, ma non se ne sarebbe mai lamentato.

 

Anzi.

 

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“Due bomboloni alla crema e due cappuccini.”

 

Alla fine avevano davvero fatto l’alba: si era sfogata, ballando con lui senza mai fermarsi o quasi.

 

Anche se… sui balli lenti c’era stato all’inizio un po’ di imbarazzo, ma poi pure tanti baci che… che la facevano sempre sentire in un modo che non capiva bene.

 

Di una cosa sola era sicura: a lei stare con Carlo faceva bene, molto, aveva sempre il potere di farla sentire meglio.

 

La vista dal Pincio era magica, sebbene si surgelasse ancora, i primi raggi di sole che arrossavano la città.

 

“Roma è proprio bellissima.”

 

“Non solo lei,” rispose lui, serio, guardandola in un modo che le fece capire che non era solo una battuta scontata, di quelle da rimorchio.

 

Si sentì le guance che dovevano essere ormai del colore dell’alba, mentre mangiava e beveva avidamente, dopo tutto il moto fatto.

 

E poi si sentì abbracciare, di lato, dolcemente, mentre finivano di guardare il sole farsi sempre più alto in cielo, la luce che tornava luminosa e fredda come le mattinate di primavera.


Infatti, cominciò ad avere un po’ freddo e, al primo brivido, lui le offrì la sua giacca di pelle e la strinse più forte, dicendole, “dai, ti riaccompagno.”

 

Fu un viaggio silenzioso, silenziosissimo, tenendosi per mano, mentre lei ragionava sul da farsi, perché… perché dopo una notte così… c’era una sola conclusione possibile, di solito.

 

Ma c’era anche una parte di lei che esitava, che pensava che fosse troppo presto, dopo Penelope.

 

Ma la mise a tacere perché… perché se non così come avrebbe capito quello che provava davvero per Carlo? E come sarebbe riuscita ad andare avanti? E poi… e poi non era ancora pronta a staccarsi da lui e tornare nel suo appartamento, da sola.

 

Quindi quando lui parcheggiò sotto al suo condominio e la guardò, esitante su cosa dire o fare, lei chiuse gli occhi e, facendosi forza, gli chiese, “ti… ti andrebbe di salire?”

 

Silenzio.

 

Li riaprì, temendo di avere esagerato, ma lui era rosso come un peperone crusco, ma aveva anche un sorriso, pure se un poco timido.

 

Lo vide annuire e si trovò trascinata in un altro bacio.

 

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“Vuoi… vuoi qualcosa da bere o-”

 

Non riuscì a terminare la frase perché le labbra di Carlo le tapparono la bocca in un bacio appassionato che da lui, sempre così dolce, non si sarebbe aspettata, come neanche l’iniziativa.

 

Ci si perse per un po’, mentre si spostavano a caso nel monolocale, finendo sul divano, continuando a baciarsi.

 

Le piaceva baciarlo, ma… ma le faceva sempre provare qualcosa di strano, che non capiva fino in fondo.

 

E poi, timidamente, le dita di Carlo fecero capolino sotto il vestito, sulle sue gambe e poi sempre più su, fino a levarglielo e anche lei, d’istinto, gli tolse la giacchetta ed iniziò a slacciargli quella camicia da bravo ragazzo.

 

Una cosa portò ad un’altra, anche se c’era sempre qualcosa di strano, di diverso - ma forse era perché non era più abituata a fare l’amore con un ragazzo, dopo tutto quel tempo - e si trovò completamente nuda.

 

Per fortuna Carlo era stato previdente con le precauzioni - bravo ragazzo sì, ma mica scemo! - e, nel giro di qualche secondo….


“Ah!” esclamò, ma non era un urlo di piacere, ma una fitta di dolore, tanto che gli spinse sul petto per bloccarlo.

 

Per fortuna Carlo lo fece subito ed incrociò il suo sguardo, preoccupatissimo, “che… che succede?”

 

“Non… non lo so ma… ma mi fa male…” rispose, un po’ mortificata, e l’occhio le cadde e… e oggettivamente non è che ci fosse particolare differenza rispetto a Samuel.

 

Possibile che si fosse disabituata fino a quel punto?

 

“Scusami… forse… forse sono andato troppo di fretta…” balbettò Carlo, in un modo che le fece una tenerezza infinita e… e poi, sempre con enorme dolcezza e lentezza, la rimise distesa e si dedicò con impegno a quelli che di solito si chiamavano preliminari ma che da qualche tempo per lei erano il piatto principale.

 

E fu lì che le fu tutto chiaro, piovendole in testa come un muro di mattoni.

 

La sensazione strana… non era una sensazione diversa era che… era che mancava qualcosa, perché con Penelope a quell’ora… sarebbe stata all’altro mondo, mentre con Carlo… e non per colpa sua, ma… mancava qualcosa.

 

E la verità era che stava molto meglio tra le sue braccia, ad abbracciarsi semplicemente, forte forte, che a baciarsi o a-

 

“Aspetta,” lo bloccò e lui la guardò, e oltre che preoccupato era stavolta lui a sembrare mortificato, “non… non funziona. Non è per colpa tua ma… non funziona.”

 

Si rimise a sedere e cercò in qualche modo di coprirsi, finché lui, gentiluomo come sempre, le passò la sua giacca, anche se sembrava quasi sull’orlo di piangere.

 

“Io… io ti voglio bene e… e mi piaci fisicamente e… e mi piace uscire con te, abbracciarti, le nostre chiacchierate, ma….”

 

“Ma non ti piaccio fino a questo punto,” concluse lui per lei, amaro.

 

“Non è colpa tua e… è colpa mia. Mi attrai ma… ma mi manca quel… quel qualcosa di più profondo che… che avevo con Penelope.”

 

“Non è colpa di nessuno, Vale. Magari possiamo provare a non vederci per un po’ e… a riprovarci come amici anche se… anche se tu mi piaci molto, quindi… quindi magari ci vorrà un po’ di tempo.”

 

Le venne da piangere, perché sentiva di aver rovinato tutto, di aver rovinato un rapporto bellissimo, per niente.

 

“E invece è colpa mia perché… tutto questo casino è partito da me e-”

 

“Ed è stato meglio così. Almeno ci abbiamo provato e… e non avremo rimpianti, no?”

 

Forse per gli occhi, o per il tono o per le parole stesse, ma scoppiò in lacrime e singhiozzi e si ritrovò assurdamente ad abbracciare Carlo, pure se non se lo meritava, mentre continuava a sussurrargli, “ti voglio bene!”, senza riuscire a fermarsi, anche se forse per lui era solo peggio ma… ma quello sentiva e non ci poteva fare niente.

 

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“Buongiorno dottore, ha del lavoro per me?”

 

Stavano seguendo la conversazione tramite il microfono che avevano piazzato addosso a Conti, che non facesse scherzi.


Gli era stato intimato da Mancini e da Irene di stare molto più vicino a Santoro, per cercare il momento buono per carpire una confessione, oltre che per controllarne gli spostamenti.

 

“Ah, Conti, buongiorno. Sì, oggi dobbiamo lavorare al caso Calogiuri. Dopo le foto che sono uscite… possiamo mostrare ancora di più al mondo chi sono lui e la dottoressa Tataranni. Ho notato che cominciano a spostarsi di più, quindi lo dobbiamo seguire, marcare stretto. Ci pensa lei?”

 

“Certo, dottore!” rispose subito Conti e, se da un lato gli diede fastidio, dall’altro mentre Santoro pensava che Conti fosse impegnato a seguire lui, Conti aveva tempo di seguire Santoro.


“C’è altro?”

 

“Sì. Un caso che parrebbe un suicidio, probabilmente ce la caveremo in fretta. Ormai tra suicidi e violenze domestiche, è tutto tremendamente banale. Ma per fortuna qualche caso interessante c’è ancora e poi ne avrò molti di più, di alto profilo. Anzi, ne avremo molti di più.”

 

Strinse i pugni, perché avrebbe voluto spaccargli la faccia a quello stronzo. Per Imma tutti i casi contavano uguale, lo sapeva, dal più povero e spiantato al più ricco della Terra.

 

Santoro invece voleva solo i casi di alto profilo, per fare carriera e per farsi bello agli occhi della stampa e dell’opinione pubblica.

 

“Mi accompagna?”

 

“D’accordo, dottore, andiamo.”

 

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“Allora, abbiamo scoperto qualcosa?”

 

Con la voce di Mancini si aprì il meeting, sempre da remoto.

 

“Io ci ho provato ma… per ora, a parte seguire i casi e farmi pedinare Calogiuri, non ho notato contatti o movimenti strani ma magari li fa quando io non ci sono. E non posso essere sempre presente, o si insospettirebbe.”

 

Conti pareva in estremo disagio - e ne aveva ben donde il cretino! Che se pensava a tutto quello che aveva passato Calogiuri per lui… una rabbia le veniva!

 

“E le intercettazioni? Hanno dato esiti?”

 

“Purtroppo al momento no, dottore, le sto spulciando tutte ma Santoro non sembra aver contattato numeri sospetti, né ora né in precedenza,” rispose Mariani, con i tabulati in mano.

 

“Sicuramente ha un altro telefono,” intervenì, perché era già ovvio dall’inizio, anche se un tentativo era valsa la pena farlo, “Santoro non sarà un genio, ma non è così scemo da usare il suo.”


“E quindi come facciamo?” intervenne Irene, che ormai aveva delle occhiaie circondate da un viso, mentre teneva in braccio Francesco che aveva da poco smesso di urlare.

 

“E se… e se provassimo a controllare i numeri di chi ha chiamato Mancuso, Giuliani, Coraini ed il resto della banda il giorno che è stata aggredita Melita? Magari… troviamo un numero in comune, no?”

 

Il petto stava di nuovo per scoppiarle, e il peggio è che le veniva quasi da commuoversi, per qualche strana ragione.

 

Era stato Calogiuri a parlare e… e ormai era bravissimo. Avrebbe potuto fare quasi tutto da solo, mannaggia a lui!

 

“Sì, mi sembra una buona idea,” concordò Mancini e perfino lui le parve impressionato - che, visti i pregressi con Calogiuri, voleva dire tantissimo, “Mariani, Calogiuri, dottoressa, ve ne occupate voi?”

 

“Certo, dottore!” rispose prontamente Mariani e anche loro annuirono subito.

 

Del resto, era l’unico lavoro che potevano fare da casa, o uno dei pochissimi.

 

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“Allora, avete trovato qualcosa?”

 

“C’è un numero che ha chiamato l’avvocato proprio il giorno dell’aggressione a Melita. E ha chiamato diverse volte anche nelle settimane precedenti. Abbiamo verificato e appartiene all’ennesimo ultraottantenne in RSA, che immaginiamo non ne sappia niente.”

 

Aveva lasciato a Calogiuri l’onore di dare quella notizia perché se lo meritava proprio: l’intuizione era sua.

 

“Dobbiamo controllare le celle, per capire se c’è corrispondenza con i movimenti di Santoro. Mariani, lei è riuscita a verificare?”

 

“Sì, dottoressa.”

 

Le bastò il tono della ragazza, un misto quasi impossibile di soddisfazione e delusione, per avere una fitta allo stomaco: forse… forse c’erano davvero.

 

“E allora?”

 

“E allora… è quasi sempre staccato ma… sì, c’è corrispondenza alla zona dove si trova l’appartamento del dottor Santoro.”

 

Si guardò con Calogiuri, in un sorriso di sollievo e trionfo, ma lui, oltre che sollevato, pareva preoccupato e capì il perché.

 

Mariani….

 

Sembrava, per fortuna, essere andata un po’ oltre la sua infatuazione per il magistrato ma… ma certe botte fanno sempre male. L’idea di aver investito tanto emotivamente su qualcuno che si era rivelato non solo diverso da come ce lo si immaginava, ma… ma un traditore, un criminale.

 

“Inoltre… inoltre… c’è una data in cui ha chiamato da Posillipo e… e mi ricordo benissimo che quel giorno Santoro c’era andato per un convegno.”

 

Le venne un moto di tenerezza infinita nei confronti di Mariani. Per ricordarsi certi dettagli… si doveva proprio essere stati molto innamorati.

 

“Ma a parte quello… mi sembra che andiamo indietro di parecchi mesi. E, ad occhio e croce, mi pare che le telefonate siano avvenute in corrispondenza di soffiate alla stampa sulle indagini e su voi due, soprattutto.”

 

Era stato Mancini a parlare questa volta, mentre consultava il registro insieme a Mariani, “me le ricordo bene perché, purtroppo, poi ho quasi sempre dovuto metterci io una pezza.”

 

“Secondo me, se controlliamo meglio, ci troveremo anche altre soffiate ai Romaniello e ai Mazzocca, altro che stampa!” intervenne Irene, furente come non l’aveva forse mai vista, “certo che erano sempre un passo avanti a noi e sparivano prove e testimonianze, o magari sapevano pure chi stavamo intercettando.”

 

“Ma… ma io… non è da così tanto che passo informazioni a Santoro…” disse Conti, che pareva sempre più disperato.

 

“Non c’entra… lavorando in procura… alcune informazioni se le è procurate lo stesso. E non è da così tanto tempo che abbiamo blindato in questo modo l’indagine. Non mi stupirei se avesse piazzato anche cimici negli uffici. Dovremo fare un controllo a tappeto, ma dopo averli incastrati. A questo punto è importante che non mangino la foglia.”

 

“Ma come procediamo con Santoro? Per farlo confessare? Perché quello conta, prima di tutto. Anche per comprovare che questo telefono sia effettivamente in mano sua.” 

 

Era stato Calogiuri a parlare e capì che la preoccupazione non era solo derivata da Mariani.

 

Erano sembrati così tante volte ad un passo dallo scagionarlo, dal risolvere tutto, e poi era sempre mancato qualcosa o era successo qualcosa che aveva ribaltato tutto.

 

Calogiuri ormai era diventato prudente, prudentissimo, a cantare vittoria prima del tempo, e lo capiva perfettamente.

 

“Io un’idea ce l’avrei,” rispose quindi, sentendosi agguerrita come non mai.

 

Ma chi le toccava Calogiuri, in tutti i sensi, l’avrebbe pagata carissima.

 

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Il cellulare - nonostante non fosse più quello dei narcos e anzi, ne avesse pure cambiato un altro nel frattempo - sembrava pesarle come un macigno in mano.

 

Fissava la foto profilo di Penelope e… e cercava in ogni modo di farsi forza per premere il numero di telefono subito accanto.

 

Voleva sentirla, dirle che cosa aveva capito, di aver compreso che, nonostante la distanza l’avesse fatta dubitare del loro rapporto e l’avesse portata a cercare una presenza e non solo fisica, tangibile, in Carlo… lei di Penelope era ancora innamorata, c’era poco da fare.

 

Certo, non potevano andare avanti così, con una relazione a distanza, perché… perché non ci stava più bene e… e l’amore non deve far soffrire e basta.

 

Ma magari potevano trovare una soluzione, come le aveva proposto Penelope. Alla fine tra poco si sarebbero entrambe laureate e poi… e poi magari si potevano riavvicinare, in tutti i sensi.

 

Ma aveva davvero diritto di rientrare così nella sua vita, di ripresentarsi come se niente fosse successo, dopo tutto il casino che aveva combinato?

 

Aprì il profilo social di Penelope e la vide: alcune foto in giro per locali, con i suoi amici e soprattutto con un paio di amiche che non aveva mai visto prima. Con la prima stava abbracciata in una discoteca, con la seconda a fare le linguacce e le corna ad un concerto della band metal del suo amico.

 

E se le corna non fossero state solo figurative?

 

Sì, e perché tu con Carlo che hai fatto? La suora di clausura? - le ricordò la voce della sua coscienza, che suonava, terribilmente, come sua madre.

 

Forse la verità era che… le sembrava felice, serena e… questo da un lato la portava a chiedersi se fosse giusto ripiombarle tra capo e collo e dall’altro… la faceva dubitare che forse Penelope si fosse, comprensibilmente, stancata e non l’avesse aspettata come aveva promesso.

 

Spense il telefono, lo buttò sul divano e si mise a dare pugni al cuscino, per sfogarsi, perché altro non poteva fare.

 

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“Dottore.”

 

“Conti. Come mai è qui? Ci sono novità su Calogiuri?”

 

“In un certo senso…” rispose Conti, deciso, anche se poteva percepire un leggero arrochimento della voce che palesava il suo nervosismo.

 

Si stavano giocando tutto e lo sapevano, tutti loro che erano collegati per spiare e registrare quel momento, che avrebbe dovuto essere decisivo.

 

E dai, Conti, almeno qua non mi deludere! - pensò, mentre stringeva a morsa la mano di Imma, che aveva avuto l’idea ma che ora, lo sapeva, conoscendola, temeva di aver fatto un azzardo.

 

Ma no, in certi casi, chi non risica….

 

“Nel senso che… mi sono messo a ricontrollare tutte le intercettazioni che potevano incastrarlo ma… ma non ho trovato nulla. E allora ho guardato tutti i tabulati delle persone coinvolte nel caso, per vedere se magari aveva avuto qualche complice o usava qualche altro numero e… e ho notato una cosa interessante.”

 

“E cioè?” domandò Santoro, sporgendosi in avanti sulla scrivania, con aria un poco nervosa.

 

“E cioè… che la sera dell’aggressione alla Russo, Giuliani ha ricevuto una telefonata da Mancuso che diceva hanno mangiato la foglia, la pagnotta è bruciata e-”

 

“E quindi non mi dirà che sospetta di loro e pensa che Calogiuri sia innocente? Mi delude, Conti e-”

 

“E non è tutto. Giuliani, poco prima, aveva ricevuto una telefonata da Coraini, che aveva detto il forno è bruciato. Va smaltito. E, prima di tutto questo, Coraini aveva ricevuto una telefonata da un numero riconducibile all’avvocato che diceva solo ci sono notizie da Matera. E questo… e questo poco dopo la mia telefonata a lei, dottore. Non solo, ma l’avvocato, poco prima, aveva ricevuto una chiamata da un numero sconosciuto, ma che l’ha chiamato diverse volte nel tempo. Non so cosa si siano detti, visto che il numero dell’avvocato non era più sotto controllo, ma… ma la cella da cui chiamava corrisponde alla zona di casa sua, dottore. E ho verificato più indietro e… questo numero ha moltissimi spostamenti in comune con lei, quando è acceso. A parte appartenere al solito prestanome, ormai in casa di riposo.”

 

Santoro strinse gli occhi ed i pugni e fece uno sguardo pericoloso, pericolosissimo e sibilò, “non so cosa si sia messo in testa, Conti, ma se pensa di minacciarmi o di denunciarmi io-”

 

“Voglio una fetta di torta, dottore. Mi sembra di averle dimostrato più e più volte la mia lealtà, anche essendo venuto qua a riferire queste cose a lei, invece di andare direttamente da Mancini. Ma lo stipendio di un maresciallo è quello che è e… e lei ha amici potenti, evidentemente. E, se mi prendo i rischi, voglio anche i benefici.”

 

Conti se l’era proprio imparata bene la parte, complimenti! A parte qualche tremore qua e là, sembrava quasi convincente!

 

Le dita di Imma stritolarono ancora di più le sue, mentre attendevano la reazione di Santoro. Dal negare tutto, ad estrarre una pistola, ad accettare il ricatto.

 

“Va bene…” lo sentirono infine sospirare, scuotendo il capo, “l’avevo sottovalutata, Conti, in molti sensi. Ma… ma questo potrebbe rendere le cose più facili anche per noi.”

 

“Per voi chi?”

 

“Lo sa benissimo, Conti, non me lo faccia ripetere.”
 

“E no. Perché, per sicurezza, certi contatti li voglio anche io. Tipo l’avvocato. Voglio conoscerlo e anche Coraini.”

 

“E avrà modo di parlare con entrambi, Conti, a tempo debito. Intanto… non è che può in qualche modo far… sparire quelle parti di intercettazione? Tanto ormai quella è una pista chiusa, tutti sospettano del maresciallo. Magari uno sfortunato errore digitale.”

 

“Ci… ci posso provare, dottore, ma non è facile, ci vorrebbe qualcuno più esperto di me in informatica. Non conosce qualcuno lei? Che scommetto che l’avvocato conosce tutti.”

 

“In effetti… potremmo provvedere. Ma lei, per intanto, se ha fatto delle copie me le deve dare.”

 

“E perdere la mia assicurazione sulla vita? Pensa davvero ancora che sia così ingenuo, dottore?”

 

“No. No,” rispose Santoro, con un altro sospiro.

 

“Procedete! A questo punto avete la mia autorizzazione d’urgenza, visto il rischio di inquinamento delle prove.”

 

Stavolta era stata la voce di Mancini, che dava ordini a Mariani e Ranieri, che stavano appostati fuori dall’appartamento di Santoro, pronti a fare irruzione per ispezionarlo da cima a fondo, mentre lui era occupato con Conti.

 

Si guardò con Imma: sperava davvero che ci trovassero quello che ci dovevano trovare, perché sarebbe stata la prova regina.

 

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“Però… si tratta bene il… dottore.”

 

Il commento sarcastico di Ranieri rispecchiava anche il suo pensiero. Per carità, i magistrati non facevano la fame, anzi, ma Mancini e la Ferrari erano ricchi di famiglia. La Tataranni non navigava certo nell’oro, anche se non stava messa male economicamente.

 

Ma quell’appartamento era un inno ai mobili di lusso e di design: riconobbe giusto giusto una poltrona sui cui ci aveva lasciato il cuore quando sognava di progettare il suo appartamento personale, una volta che avrebbe avuto abbastanza da parte per lasciare la caserma, e che costava un rene. Per non parlare della cucina, o della tecnologia, con un televisore grosso quasi quanto la sua stanzetta.

 

Sì, Santoro viveva decisamente al di sopra di quelle che avrebbero dovuto essere le possibilità di un magistrato. E, ovviamente, questa roba doveva essersela procurata tramite qualcuno, perché di sicuro i compensi non gli arrivavano sui conti ufficiali e pagare in contanti cose del genere non era possibile, in teoria.

 

Se pensava… se pensava a quante volte aveva sognato di trovarsi lì, a casa di Santoro, con Santoro stesso a fare… e invece… e invece era tutta facciata ed un’enorme delusione. Quel carattere chiuso, che aveva sempre attribuito a chissà quale profondità nascosta, non celava niente, se non lo squallore.

 

“Con tutta questa roba sarà difficile cercare. Ci vorrà un po’ di tempo e di attenzione, che se spacchiamo questi mobili finiamo di pagarli alla pensione.”

 

Le venne da ridere, nonostante tutto: Ranieri sapeva sempre come sdrammatizzare.


Cominciarono a ispezionare, ma niente, di cose concrete nessuna traccia ed il computer ed il cellulare che si portava al lavoro ovviamente li aveva con sé in ufficio.

 

Ma doveva avere un altro cellulare. E dove lo avrebbe nascosto lei al posto suo?

 

“Ci deve essere una cassaforte, ben nascosta, per come è paranoico Santoro.”

 

“Ma qua è pieno di quadri… e a spostarli tutti sarà molto difficile.”

 

Si guardarono in giro, finché arrivarono in camera e Mariani, dopo aver constatato che in quel letto di design nero, che pareva quello di un serial killer, forse era proprio meglio non esserci entrata mai, guardò in giro tra i vari quadri appesi alle pareti, di cui molte foto e ritratti di Santoro stesso, finché notò, dal capo opposto del letto, uno specchio enorme, che neanche in un atelier ancora un po’ c’erano specchi così.

 

Santoro doveva proprio piacersi parecchio e le venne ancora di più rabbia al pensiero di aver contribuito ad alimentare il suo ego, con la sua infatuazione per lui.

 

Lo specchio era immacolato, ma scorse, su un lato, un paio di impronte digitali, proprio sul bordo.

 

Si guardò con Ranieri e gliele indicò.

 

“Ma dice che?”

 

“Con uno specchio così… mi pare strano che lo si tocchi come se lo si dovesse prendere in mano. Probabilmente non si è accorto delle impronte o non ha fatto in tempo a passare la donna delle pulizie ad eliminarle. Magari c’è….”

 

“Un pulsante!” esclamò Ranieri, toccando con mano guantata proprio il punto delle impronte.

 

Un clack metallico e per poco non si beccò lo specchio dritto in faccia, perché girò sui cardini, correndo verso il letto.

 

Fece appena in tempo a buttarsi per terra per schivarlo, mentre Ranieri, nella sua posizione, era al sicuro.

 

Sembrava anche una trappola, oltre che una protezione per la cassaforte a muro, enorme anche quella.

 

Ci trovarono fascicoli, molti fascicoli, che chissà cosa contenevano: avrebbero dovuto analizzarli più tardi.

 

Soldi, molti soldi, che sicuramente provenivano dagli amici di Santoro.

 

Diamanti e qualche lingotto.

 

Ed, infine, un cellulare vecchio modello, di quelli neanche smart, ma del resto la connessione internet non serviva per quello che ne doveva fare Santoro.

 

“Forse ci siamo!”

 

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“Allora, confermate?”


“Sì, il numero corrisponde!”

 

Se non fossero state lontanissime, avrebbe abbracciato Mariani seduta stante: finalmente una prova concreta!

 

“Rientrate subito. Conti, tenga Santoro occupato. Appena tornata Mariani, lo prendete e me lo portate nella vecchia stanza interrogatori ormai dismessa, che abbiamo appena verificato nuovamente non avere cimici. Vi aspetto lì.”

 

“Sì, dottore, agli ordini.”

 

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“Avanti!”

 

Entrò in quell’ufficio, sentendo il batticuore che spesso l'aveva accompagnata al toccare quel legno, nell’attesa di sentire la sua voce, di vederlo.

 

Ma ora il batticuore era dovuto a ben altri motivi.

 

“Mariani, che succede? Non mi sembra di avere casi pendenti con lei,” disse Santoro, che stava in piedi dietro la scrivania, Conti invece vi era seduto davanti. Si voltò verso di lei e si fecero un cenno, come ai vecchi tempi.

 

“No, ma… ma a quanto pare ho io un caso pendente con lei, dottore,” rispose, mentre Conti si alzava e si avvicinava a Santoro, da un lato della scrivania e lei dall’altro, “deve seguirci dottore, non faccia resistenza o sarà solo peggio.”

 

“Seguirci chi?” domandò Santoro, tra lo stupore e la rabbia, prima di ritrovarsi bloccato per un braccio da Conti e per l’altro da lei.

 

“Ci segua, dottore, come ha detto per Mariani. Opporre resistenza è inutile, ormai sappiamo tutto.”

 

“Sapete tutto cosa?! Conti, che dice?! Mariani, non so cosa abbia detto Conti ma-”

 

“Conti non ha detto proprio niente, dottore, ha detto e fatto tutto lei. Ci segua senza fare storie, a meno che voglia proprio un’umiliazione pubblica in piena procura e che i suoi amici sappiano che lei ha parlato. Se non lo sanno già, ovviamente, visto che la procura è piena di microfoni. Ma non solo degli amici suoi.”
 

Santoro provò per un attimo a strattonare via il braccio ma lo trattenne con forza - e pensare che avrebbe voluto sempre toccarlo così, in ben altre circostanze! - ma alla fine sembrò un attimo calmarsi e, cercando di farsi notare il meno possibile, grazie anche all’orario di pausa pranzo, lo accompagnarono fino all’ascensore e poi alla sala interrogatori ormai dismessa da anni ma che, proprio per questo, era la più sicura.

 

La porta si aprì ed incrociò lo sguardo di Mancini che ricambiò con un orgoglio che le diede una botta di calore.

 

Era bello sentirsi apprezzata e vista, finalmente, e Mancini la vedeva, a differenza di qualcun altro.

 

“Dottore, non so cosa le abbiano detto, ma-”

 

“Ma, come ha già detto Mariani, abbiamo sentito tutto dalla sua bocca, Santoro. Entrate!” esclamò, chiudendo la porta alle loro spalle, finché misero Santoro su una sedia, ammanettandolo al tavolo prima che facesse di nuovo casino.

 

“Non è come pensate! Conti mi ha voluto fregare, è lui in combutta con quei criminali! Io l’ho lasciato parlare e ho finto di collaborare con lui oggi per raccogliere informazioni, perché si scoprisse e per denunciarlo per tentata corruzione e-”

 

“Santoro, è inutile che provi a fare questa pantomima. Abbiamo ispezionato casa sua, d’urgenza, visto che lei… altro che inquinare le prove! E abbiamo trovato il telefono. Tutto documentato, minuto per minuto, dalle telecamere. Sul telefono ci sono le sue impronte, come su tutte le cose di quella cassaforte. Inoltre ci sono i fascicoli, di casi che neanche le competevano e che lei ha in qualche modo trafugato e ne tiene copia a casa, oltre che fascicoli di intercettazioni di cui non sapevo niente e che evidentemente sono illegali. La sua assicurazione, Santoro, indubbiamente, nei confronti di certa gente, materiale per ricatti, probabilmente, del resto… ha imparato dai migliori, no? Quindi, se non vuole fare la fine degli altri membri della cupola che si sono fatti beccare dalla polizia, e che non erano parte di qualche famiglia con le spalle coperte, le consiglio di parlare, prima che i suoi amici vengano a scoprire che si è bruciato. Se non lo sanno già, come ha detto sempre Mariani, che ha fatto un lavoro eccellente.”

 

“Lei magari. E tu, eh? Tu, che mi hai passato le informazioni? Solo perché la cara Irene non te la dava e avrebbe preferito darla a qualcun altro, se non gliel’ha pure già data? Pensi di essere migliore di me?” sputò praticamente in faccia a Conti, in un modo che le fece venire lo schifo e nel giro di tre secondi fu braccato sia da Conti che da Mancini, furenti, e toccò e lei bloccarli, prima che facessero una sciocchezza.


“Fermi! Questo è solo quello che vuole! Poter dire che lo abbiamo incastrato e maltrattato.”

 

“Grazie Mariani. Per fortuna c’è sempre lei, pronta a difendermi, come la brava cagnolina che è, anche se ultimamente è diventata una cagna rabbiosa. Ma del resto… chi non arriva all’uva….”

 

Un conato di vomito, insieme ad una rabbia feroce, che le scoppiava dentro, non avrebbe saputo dire se più verso di lui o verso se stessa, per aver mai amato un soggetto del genere. La verità è che lei Santoro non l’aveva mai conosciuto e si era infatuata di un’idea che si era fatta nella sua testa. E sì che non era più una ragazzina.


“Se pensa di farmi perdere il controllo in questo modo, non mi conosce per niente, dottore. Perché i cani sono fedeli, almeno con chi se lo merita. Lei invece… non c’è un animale che meriti di essere paragonato a lei, dottore. Ci dica quello che sa, senza peggiorare la situazione, magari o, come ha detto il dottore, dobbiamo ricordarle di Lombardi, di Bruno e di tutti gli altri gentiluomini che hanno fatto la fine che hanno fatto?”

 

Santoro parve stupito, incredulo quasi - no, non la conosceva affatto, la riteneva una stupida, una debole, una ragazzina innamorata - mentre Mancini… aveva una tale ammirazione nei suoi confronti che quasi, in altre circostanze, si sarebbe commossa.


E anche Conti la guardava con deferenza, come non era mai successo tra loro, che erano sempre stati alla pari, in tutti i sensi.

 

Dopo qualche attimo di silenzio, dopo che tutti si furono allontanati da lui, per squadrarlo fisso, Santoro cominciò a ridere - a ridere! - in un modo che… che le ricordava quasi uno di quei film noir.

 

“Non so cosa ci trovi da ridere, Santoro, ma-”

 

“Che ci trovo da ridere? Che pensate di essere i paladini della giustizia. Ma quale giustizia, eh? Quella giustizia che mi ha permesso negli ultimi mesi di farmi i miei porci comodi senza che ve ne accorgeste? Che ha permesso a voi di farvi i vostri porci comodi e praticamente alla luce del sole? Sì, è vero, io ero in contatto con l’avvocato, anche se… non conoscevo direttamente le loro mosse, ma passavo loro le informazioni. Ma questo non è peggio di quello che avete fatto tutti voi!”

 

“Ma che sta dicendo?” gli chiese, incredula, soprattutto per il tono cinico e sprezzante con il quale si stava rivolgendo a loro, che non lasciava trapelare non solo rimorso, ma nemmeno il più che minimo imbarazzo.

 

“Che sto dicendo? La Tataranni si è infinocchiata il capo per anni, facendogliela annusare senza mai dargliela e-”

 

D’istinto, bloccò Mancini con le braccia, senza quasi vederlo, prima che facesse il gioco di quello stronzo.

 

“La verità fa male, eh, capo? Poi Calogiuri si è infinocchiato la cara Irene, con i suoi occhioni azzurri. E avete lasciato passare tutto, tutto! Il fatto che avessero una relazione, i legami della dottoressa con una famiglia criminale, il conflitto di interessi continuo. Anzi, avete continuato ad assegnare alla dottoressa sempre più casi importanti, mentre io venivo esautorato e messo da parte. Perché io non ho i santi in paradiso, e non era giusto che solo la gente immanicata facesse carriera, alla faccia delle regole, e che vi copriste tutti a vicenda. E a quel punto… io ho reagito ed i santi in paradiso me li sono procurati da solo, anche se per voi sono demoni. Ma che differenza fa?”


“La differenza è che noi abbiamo sempre cercato di fare ciò che è giusto, non ci siamo mai messi in combutta con criminali, contribuendo all’uccisione di persone, o a rendere un bimbo quasi orfano. La dottoressa, Calogiuri, il dottore hanno sempre usato correttamente il loro potere e-”

 

“E chi lo dice cos’è corretto e cosa no? Chi dice chi sono le vittime da tutelare e chi merita la galera, quando la legge non è uguale per tutti, non lo è mai stata, e vince solo il più forte? Ed io mi sono stancato di essere il più debole e… e la cara Melita ha fatto la sua scelta, accettando di collaborare con quelle persone, rimanendoci invischiata, per la vita che faceva. E così anche la carissima dottoressa Tataranni ed il maresciallo, non rispettando le regole. E chi decide quali regole si possono infrangere impunemente, prendendosi al massimo un buffetto di rimprovero. e per quali invece si è dei fuorilegge? Chi lo decide? Voi?”

 

Dire che avesse i brividi era dire poco. Il nichilismo di Santoro era… era spaventoso ed era ormai irrecuperabile. Si augurò di non diventare mai così, mai, nemmeno con gli anni e le fregature che sicuramente si sarebbe ancora presa.

 

Ma quegli occhi gelidi, vuoti, non se li sarebbe mai scordati e, incrociando quelli di Mancini, capì che anche per lui era lo stesso.

 

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I brividi, aveva i brividi, si sentiva gelata, fin dentro le ossa.

 

E quegli occhi azzurri che tanto amava erano sconvolti ed increduli quanto lei.

 

Ma poi le loro pupille si incontrarono e sentì un calore incredibile, mentre le vedeva appannarsi e la realtà di quello che era appena successo suscitò un calore, un sollievo, che fecero sparire il gelo, lasciando solo il posto a braccia che la stringevano, protetta contro il petto di lui, scosso dai singhiozzi che erano pure i suoi e che cercavano di zittire a vicenda con carezze e abbracci.

 

Ma non era disperazione no: quel pianto era liberazione, liberazione pura, dopo mesi da incubo, che solo in quel momento realizzò quanto le fossero pesati, come un macigno sulle spalle e sul cuore, mentre ora… si sentiva così leggera.

 

Si riempirono le guance umide di baci, un altro abbraccio, un altro ancora e poi, finalmente, osò sussurrare, “ce l’abbiamo fatta, Calogiuri. Ci siamo, è quasi finita!

 

“Non… non ce l’avrei mai fatta senza di te…”

 

Quelle parole valevano un mondo intero e le scappò un altro singhiozzo.

 

Ma poi gli prese il viso tra le mani e gli disse, decisa, “e nemmeno io senza di te. Lo sai quanta forza mi dai, sì?”

 

Calogiuri scoppiò di nuovo a piangere e lo strinse più che poteva, lasciandogli tutto il tempo necessario per sfogarsi, dopo tutto quello che aveva subito.

 

Alla fine, tra una carezza ai capelli e l’altra, si calmò, la guardò e con un sorriso che le pareva un arcobaleno dopo il temporale, le disse, “dobbiamo festeggiare, dottoressa.”

 

Gli sorrise di rimando, perché c’aveva ragione, c’aveva e le parole “portami al mare!” le uscirono senza quasi pensarci.

 

Lui le parve stupito.

 

“Oggi è un giorno da mare,” rispose, semplicemente, e lui la capì, come la capiva da sempre, pure quando le sembrava di non capirsi lei per prima.

 

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“Ho bisogno d’aria.”

 

Furono le prime parole che le uscirono, non appena fu fuori dai sotterranei, tanto che si avviò verso l’uscita della procura, senza attendere il permesso di farlo, godendosi lo schiaffo dell’aria ancora leggermente frizzante, rispetto alla temperatura interna, e respirando a pieni polmoni.

 

Si accorse solo dopo un po’ di una presenza alle sue spalle.

 

Si voltò e ci trovò Mancini, preoccupato, ma anche lui con l’aria di chi… di chi aveva bisogno di aria, di aria pulita.

 

“Credo di avere bisogno anch'io di fare due passi,” proclamò lui, scuotendo il capo, “ma non qua. Mi vuole accompagnare? Anche se forse stavolta è meglio che guido io, o che ci prendiamo direttamente un taxi.”

 

Gli sorrise perché la capiva e anche lei lo capiva.

 

“Va bene anche se guida lei, dottore, se se la sente. Ma solo per questa volta!”

 

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“Ma… ma qua è….”

 

Aveva riconosciuto immediatamente non solo il tratto di mare, ma anche quella barca rovesciata, vicino alla riva… sotto alla quale… si erano detti un addio che per fortuna era stato solo temporaneo - anche se i mesi successivi erano stati tra i più difficili di tutta la sua vita.

 

“Che vuoi fare il bis?” ironizzò, mentre scendevano dalla moto, perché si sentiva già troppo commossa così.

 

Un sorrisetto malizioso e si trovò a lanciare un urlo, perché quell’impunito l’aveva presa in braccio a tradimento e, tenendola quasi come una sposa, la stava portando a forza di braccia prima sulla sabbia e poi verso il bagnasciuga.

“Ma sei matto! Rischi di farti male! I muscoli-”

 

“I muscoli si stanno riallenando, anche grazie a te, dottoressa, che mi fai fare tanti di quei piegamenti sulle braccia….”

 

“Calogiù!” urlò di nuovo, anche se le venne da ridere perché effettivamente sì, negli ultimi giorni soprattutto aveva come una fame perenne di… ricotta… che… che altro che gli straordinari gli aveva fatto fare, quasi gli allenamenti olimpici!

 

Fece in tempo a dirgli un “quanto sei scemo!” e a dargli un bacio, prima di finire distesa sulla sabbia, subito dietro la barchetta, l’odore di pesce che ricordava benissimo e che le diede stranamente una botta di commozione, oltre che di ormoni.

 

E poi Calogiuri sollevò un lato del telo della barca e li fece rotolare fin lì sotto, in quella specie di penombra azzurrata.

 

“Che… che questa sia l’ultima volta che… che dobbiamo nasconderci come ladri, Imma.”

 

Un colpo al cuore, anche se di quella dolenza piacevole che ricollegava solo a lui, il fiato corto, mentre capiva la ragione di quel gesto.

 

Perché effettivamente quella era stata l’ultima volta, prima della libertà, anche se poi avevano dovuto proseguire con la clandestinità ancora per un po’.

 

Ma erano stati liberi, liberi di dirsi quello che sentivano, liberi di amarsi senza sensi di colpa.

 

“Anche se… anche se a me… i luoghi un po’ appartati non è che dispiacciano poi così tanto, Calogiù.”

 

Gli fece l’occhiolino, e quello fu l’ultimo tentativo di sdrammatizzare, perché lo trascinò in un abbraccio e gli sussurrò all’orecchio, “finalmente ti posso dire anche qua quello che sentivo allora ma… ma che non potevo dirti ancora. Ti amo. E ti amo infinitamente di più anche se… se non so come hai fatto a ridurmi così, mannaggia a te!”

 

Ci fu un attimo di silenzio, infinito, in cui Calogiuri le parve sull’orlo del pianto un’altra volta.

 

“Ti amo… ti amo… da morire…” lo sentì infine mormorare, con voce che pareva fatta di asfalto, talmente era rotta.

 

“Lo so. Ma se ci riprovi a lasciarti andare, ti ammazzo io con le mie mani la prossima volta.”

 

Un singhiozzo, un abbraccio, un altro bacio e poi… carezze, carezze infinite, dolcissime, sulle guance, sul collo, sulle labbra umide. Carezze che si fecero via via sempre più appassionate, lasciandole la pelle d’oca sotto i vestiti, spostando e togliendo il minimo indispensabile per sentirlo suo e sentirsi sua, in quel casino bellissimo e folle che era la loro vita insieme.

 

E fu allora, in quel preciso istante, mentre si tappava la bocca per non cedere al primo grido, che prese una decisione.

 

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“Ma dove siamo?”

 

Avevano guidato per un bel po’, in silenzio: un finestrino leggermente abbassato nonostante non facesse caldo, ma per il bisogno di ossigeno che ancora sentiva, anzi, sentivano.

 

Si era stupita molto quando avevano lasciato la città, in direzione di quel mare che da un po’ accompagnava il loro viaggio.

 

Un cartello aveva dato loro il benvenuto a Fregene e l’avevano percorsa praticamente tutta, fino a che Mancini non aveva parcheggiato, davanti a una casetta sul lungo mare che sembrava parecchio più antica di quelle che la circondavano, costruite probabilmente dopo il boom degli anni Sessanta e Settanta.

 

Mancini scese dall’auto e lei lo seguì, vedendolo aprire il portone con una chiave che aveva estratto da una tasca interna della giacca, insieme ad altre chiavi.

 

Lo imitò, incuriosita, anche quando si levò le scarpe per andare sulla spiaggetta privata che circondava la casa, insieme ad un paio di palme.

 

Arrivarono infine su un terrazzo - il freddo delle piastrelle che per poco non le fece fare un mezzo salto - e Mancini aprì sia il cancello di metallo che proteggeva la porta finestra di ingresso, sia la porta stessa.

 

“Ma… ma questa casa è sua?” gli chiese, sorpresa, visto che di solito Mancini sulle sue cose private non rivelava mai niente: già era tanto sapere dove abitasse a Roma.

 

“Era dei miei nonni, che poi l’hanno passata ai miei genitori e a me. Quando… quando mi sembra di non farcela più e di non sopportare più nessuno, vengo qua, a scaricarmi e a ricaricarmi. Non d’estate, ovviamente, ma… in questa stagione non c’è praticamente mai nessuno.”

 

“E… e di solito ci viene da solo o-?”

 

Non sapeva come le fosse venuto il coraggio di fare quella domanda, forse appunto perché oltre alla sorpresa, c’era anche un po’ di imbarazzo, che non sapeva bene da dove venisse, ma c'era ugualmente.

 

“No, in realtà… in realtà… ora che ci penso lei è la prima persona dopo la mia povera moglie che ci mette piede, letteralmente.”

 

Altro che il freddo delle piastrelle: si sentì avvampare completamente, dalla testa ai piedi.


Mancini però sembrò non notarlo, perché continuava a guardare fisso verso l’orizzonte, mentre proclamava, “ma immaginavo ne avesse bisogno pure lei oggi, dopo tutto quello che è successo. E… mare o non mare… non so come avrei potuto sopportare la procura in questi mesi, senza di lei. Ho fatto bene a darle fiducia.”

 

E finalmente si voltò ed il modo in cui la guardava, quel sorriso grato e dolce, aperto, senza le solite maschere che aveva Mancini, la portarono a sorridergli di rimando, mentre sentiva qualcosa al petto, come una specie di dolore ma non spiacevole, che non si sapeva spiegare.

 

“Per me… per me è lo stesso, dottore. In effetti, alla fine non mi ha delusa, anzi.”

 

Un ultimo sorriso e poi lui riprese a guardare il mare, le mani appoggiate alla ringhiera dipinta di bianco.

 

Fu l’istinto, ma il suo braccio destro si mosse, senza controllo quasi, fino a sentire il calore leggero di altre dita sotto le sue, che si stringevano in una specie di morsa, mentre continuavano a fissare l’orizzonte ed il sole che cominciava a calare, in un silenzio che stranamente, come quel contatto, non aveva più nulla di imbarazzante.


Affatto.



 

Nota dell’autrice: Ed eccoci finalmente alla fine di questo capitolo che è stato davvero complesso da scrivere perché… tanti nodi sono venuti al pettine e vi anticipo che nel prossimo succederanno cose veramente sconvolgenti e inaspettate, in tutti i sensi.

Il giallo si sta dirigendo verso la fine ma… ci sono ancora cose importanti da svelare e da risolvere, oltre a qualche possibile “colpo di coda” finale.

Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione ma il prossimo capitolo, per quanto complesso, dovrebbe arrivare puntualmente, anche grazie ai minori impegni del periodo, rispetto alle scorse settimane.

Spero davvero che la storia continui a piacervi e intrattenervi, ormai siamo alla fase finale ed ai “botti” che ne conseguono, ma ci sono ancora un po’ di capitoli ed alcuni colpi di scena, oltre a cose molto ma molto attese.

Un grazie di cuore a tutti quelli che hanno messo la mia storia nei preferiti o nei seguiti, a tutti coloro che mi hanno chiesto come procedesse la scrittura e mi hanno spronata. Un grazie enorme per le vostre recensioni che, oltre che farmi tantissimo piacere, sono sempre utilissime per capire come procede la scrittura e se vi sta piacendo o meno.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare domenica 30 gennaio.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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