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Autore: Feisty Pants    16/01/2022    1 recensioni
In una scuola americana, lontana dalla Spagna e dalla storia dei Dalì, i figli degli ex rapinatori vivono la propria adolescenza con spensieratezza, gioia ed energia, senza sapere di avere, come genitori, i ladri più geniali della storia. La vita trascorre normalmente per i Dalì, ormai intenti a lavorare e a seguire una routine che li entusiasma, ma la tranquillità non durerà per sempre: presto la verità verrà a galla, portando con sé rischi e pericoli.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bogotà, Il professore, Nairobi, Rio, Tokyo
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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CAPITOLO 1

 
Un giovane dai capelli color biondo cenere e degli spessi occhiali neri era seduto su una poltrona di pelle, con in mano un grosso tomo ingiallito. Andrés adorava cibarsi di nozioni storiche, motivo per cui divorava manuali e svaligiava biblioteche, alla ricerca di elementi aggiuntivi. Media scolastica eccellente, liceo classico e preiscrizione a una delle più prestigiose università, quoziente intellettivo superiore alla norma e amore per l’abbigliamento e le buone maniere. Il figlio di Raquel e Sergio era un vero e proprio stratega con grandi ambizioni ma dotato di un carattere particolare. Andrés, infatti, era a tratti cupo e misterioso, silenzioso e inquietante, all’apparenza introverso e severo, ma con un animo da bambino che riusciva a mostrare a poche persone.

“Che cosa leggi?” chiede Sergio entrando nella stanza del giovane, già vestito e pronto per andare a scuola.

“Antica Roma. Meraviglioso” commenta Andrés scuotendo la testa, innamorato della propria lettura.

“Direi che hai preso da me questa passione per la conoscenza” si gratifica il professore, avvicinandosi al figlio e sbirciando tra quelle righe storiche che anche lui aveva apprezzato.

“Lo so… lo dici sempre. Amo lo studio come te e quello zio di cui porto il nome e del quale non so praticamente niente” rivela Andrés con tono pacato, tirando comunque una frecciatina al padre.

Andrés De fonollosa, alias Berlino, era conosciuto dal ragazzo come il fratello maggiore del padre, morto prematuramente in un incidente d’auto. Andrés aveva notato parecchie volte il padre intento a piangere sulla fotografia di questo uomo mai conosciuto che, da come ne raccontava, doveva essere stato una grandissima persona.

Andrés, però, in quanto amante della verità, sapeva di non avere ancora ricevuto tutte le informazioni sul misterioso zio e si limitava a mandare frecciatine ai genitori. In realtà per Andrés il continuo paragone ricevuto in infanzia lo aveva stancato e stressato: vedersi associato costantemente a un defunto che manco aveva conosciuto lo irritava e in parte lo aveva reso la persona chiusa che si dimostrava.

“Andrés, i ragazzi sono qui per andare a scuola” urla Raquel raggiungendo i due uomini della sua vita, con in mano una cartolina.

“Che cos’è?” chiede Sergio indicando l’oggetto nelle mani della moglie.

“Saluti da parte di Paula. Spera di rivederci presto!” dice Raquel emozionata, orgogliosa della figlia intenta a girare il mondo per lavoro.

“Ah già…a volte dimentico di avere una sorella. Salutatemela cordialmente” si intromette Andrés apatico, mettendosi lo zaino in spalla e dirigendosi fuori.

“Pensi che sia l’adolescenza a renderlo così acido?” domanda Raquel una volta accertatasi di essere rimasta sola con il marito.

“Credo proprio di sì. Alla fine è molto maturo, ma dobbiamo ricordarci dei suoi 16 anni” risponde il Marquina aggiustandosi gli occhiali, per poi leggere il contenuto della cartolina di Paula.
 
“Ciao Andrés, guarda che moneta ho trovato prima!” saluta subito Ramòn, mostrando al migliore amico l’immagine sul cellulare.

“Ma voi non dovreste pensare un po’ di più alle ragazze e non alle monete?” si aggiunge Nieves, tirando i laccetti dello zaino e cominciando a camminare all’indietro per guardare gli amici negli occhi.

“Non sono interessato alle relazioni al momento” risponde con tranquillità Andrés, aiutando l’amico Ramòn che cercava di mascherare il volto rosso imbarazzato nel collo della felpa.

“Ah quindi sei più per una botta e via?” continua imperterrita Nieves, dimostrando di avere la stessa istintività della madre.

“Wo, placa gli ormoni! Che cosa hai mangiato sta mattina?!” la spintona divertita Cecilia, cercando di ristabilire l’ordine.

“Assolutamente sì, ma al momento sono a posto grazie” taglia corto Andrés, tornando a guardare le fotografie dell’amico e a parlare da nerd.

“Da quando ti metti a fare queste domande?” chiede Cecilia all’orecchio della migliore amica, non comprendendo il motivo di quelle affermazioni. Nieves scoppia in una fragorosa risata e, dopo aver alzato gli occhi al cielo, accelera il passo per raggiungere prima la scuola.

L’istituto di scuola superiore dei piccoli Dalì era particolarmente variegato. Tra quelle mura si insegnavano diverse discipline, si praticavano sport di tutti i tipi e veniva frequentato da persone appartenenti a culture e stati differenti.

“Che palle questa cazzo di divisa!” si lamenta Cecilia, allargandosi la cravatta rossa che le faceva avvertire una sensazione di soffocamento.

“Perché ti sta così tanto a cuore questa cosa della divisa?” le domanda Nieves aprendo il proprio armadietto dal quale, approfittando della pausa, estrae un circuito informatico su cui lavorava da tempo per divertirsi.

“Non lo so in realtà… dover indossare la gonna, la cravatta, avere una divisa… mi sembrano tutti obblighi senza senso che cancellano la nostra identità! Alla fine qui ci sono anche persone di altre culture e devono sottostare a regole senza senso!” si lamenta Cecilia, infastidita dall’ingiustizia sociale.

“Beh, la divisa almeno ci rende tutti uguali e previene eventuale bullismo fatto sui vestiti e i modi di apparire di ognuno” ragiona Nieves, girando una vite con un cacciavite.

“E tu pensi di risolvere il bullismo uniformando tutti e rendendoli uguali così da evitare il problema? Per fare bullismo si trovano sempre delle motivazioni, con o senza vestiti” ribatte Cecilia chiudendo l’armadietto con forza.

“Hai ragione scusami…e a te cosa dà fastidio di questa divisa?” chiede Nieves riponendo nell’armadietto il circuito.

“Non lo so… so solo che vestita così mi sento strana e non a mio agio” risponde la piccola di Nairobi confusa dalla domanda, consapevole di non riuscire ancora a chiarire quell’aspetto. La campanella interrompe la seria condivisione delle due amiche che, presi i libri per i prossimi corsi, chiudono gli armadietti per poi dirigersi verso le classi.

“Penso che tu abbia ragione. Ognuno dovrebbe sentirsi espresso a scuola. Bisognerebbe fare una rivoluzione!” aggiunge Nieves, supportando la migliore amica.

“Già… peccato che dei semplici sfigati di 16 anni come noi non abbiano voce in capitolo… va beh…” risponde inerme l’amica, senza credere in sé stessa.

“Stasera ci sei a casa mia? Per il nostro momento di musica?” invita allora Nieves, cambiando argomento con un tema che stava particolarmente a cuore a entrambe.

“Certo che sì! Non vedo l’ora! Verrà anche Dimitri?” si informa Cecilia, riferendosi a un altro amico della combriccola avente due anni in più di loro.

“Se non è impegnato in cose losche penso proprio di sì” conclude la figlia di Tokyo facendo spallucce per la disinformazione sul caso.

“E comunque… calmati con Andrés, si vede lontano un miglio che vorresti saltargli addosso!” la ammonisce Cecilia guardandola torva in viso.

“Ma stai scherzando?! Gli voglio bene per carità, ma c’è qualcosa in lui che mi infastidisce. Non starei mai con uno come lui!” ribatte Nieves mostrando una smorfia.

“Meno male, mi stavo preoccupando!” tira un sospiro di sollievo Cecilia, ormai giunta di fronte alla propria classe e pronta a salutare l’amica.

“Rimane comunque un figo e qualcosa con lui la farei volentieri…” aggiunge successivamente Nieves, fermatasi a ragionare sul tema di discussione.

“Se mamma fosse qui direbbe che sei proprio identica a Silene” alza gli occhi al cielo Cecilia, palesandosi la scena delle rispettive madri che parlano apertamente senza peli sulla lingua.

“Già… credo che sia l’unica cosa positiva che ho imparato da mia madre. So che Daniel la chiamava Maserati… quella però mi pare sia passata di moda. Io mi sento più una Tesla!” conclude Nieves fiera di sé, per poi fare l’occhiolino all’amica ed entrare nella propria aula.
  
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