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Autore: drisinil    03/02/2022    5 recensioni
Questa è una raccolta di oneshot dedicate alle ship UshiOi/IwaOi che seguono il mio personale headcanon. L'ordine delle storie non è cronologico, sono tutte indipendenti e autoconclusive, ma anche legate fra loro, come i tre protagonisti. Il finale per me è uno solo, ma è molto più interessante il percorso per arrivarci.
***
Il primo capitolo di questa storia è stato scritto in forma di one shot epistolare per il Concorso San Valentino 2022 WattpadFanficionIT.
Il secondo capitolo è in qualche modo un seguito e nasce come omaggio per il compleanno di Oikawa 2022.
Il terzo capitolo nasce con la challenge "comeasyouarenot2023" del gruppo fb "Non solo Sherlock"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Ciao Tooru,
questa è la trecentesima lettera che ti scrivo. E sarà l'ultima.
Potrebbe sembrare simbolico che sia una cifra così tonda, ma non l'ho fatto apposta. Lo sai che sono una persona pratica.
Quindi, ci sono dei motivi precisi per cui questa lettera è l'ultima. E ci ho pensato parecchio, perché ormai, la domenica sera, sedermi qui davanti alla finestra e scriverti è una costante della mia vita, fa parte della routine. E a me piace la routine, è una cosa necessaria. Però ormai siamo arrivati a un punto di svolta, oltre il quale, se continuo a scriverti, c'è solo, da parte mia, un masochismo irragionevole e pericoloso.
Il masochismo, a dire il vero, c'è da sempre (a parte forse quella prima lettera ingenua, che ti ho consegnato davvero) e, francamente, non è mai stato un problema. Sono bravo a gestirmi.
Non è perché ho paura di farmi del male che questa lettera è l'ultima, la mia soglia del dolore è molto alta. E' l'ultima perché te ne sei andato dall'altra parte del mondo e a questo mi devo arrendere. Se ti scrivo, se penso a te, se immagino cose e però poi tu non ci sei, se non sei qui in carne e ossa a smentirle una a una con la tua presenza, allora sì che potrebbero iniziare a sembrarmi vere.
E invece io voglio essere certo di distinguere bene ciò che è reale da ciò che non lo è.
Voglio potermi tenere stretto quello che è stato reale.

Quando ti ho scritto la prima volta, ero nella mia stanza al dormitorio. Mi piaceva molto starci d'estate nei periodi di vacanza, quando era mezzo vuoto. Faceva caldissimo, avevo la finestra aperta, la penna in mano, e pensavo a te.
Mi sentivo tutto scombussolato. Una sensazione nuova. Ero tornato dalla colonia la sera prima, e non avevo chiuso occhio tutta la notte. E il giorno dopo avevo saltato tutti i miei impegni, semplicemente perché il tempo era volato via senza che me ne rendessi conto. L'intera giornata mi era passata negli occhi e io neanche me ne ero accorto.
Però lo capivo, che era una situazione fuori dal comune. Lo avevo capito già mentre succedeva. Avevamo studiato primo soccorso a scuola e quindi avevo subito riconosciuto i sintomi di una folgorazione: disorientamento, arresto cardiaco, blocco della respirazione, movimenti incontrollati dei muscoli (specie in mezzo alle gambe). Una folgorazione da manuale, sulla spiaggia di Sendai, davanti a un ragazzino magro e delicato, che sembrava un po' una femmina.
Quando ripenso a quella scena, mi rendo conto che non c'è nessun altro. Il che è quasi impossibile. Eravamo sei squadre, quindi trentasei ragazzini da tutta la provincia. Dove erano finiti gli altri trentaquattro?
Svaniti nel nulla.
Del resto, le folgorazioni sono eventi straordinari, che spazzano via tutto.
Per quello l'ho accettato. Era una cosa fuori dal mio controllo. Potevo solo tenerla in considerazione, da quel momento in poi. Però, come dire, rispetto all'enormità della faccenda, ero piuttosto tranquillo, e anche molto sicuro di quello che mi stava succedendo.
Avevo compiuto quattordici anni da nove giorni, ero alto centosettantasette centimetri, pesavo sessantanove chilogrammi, la mia dieta era di tremilacento calorie in allenamento e duemilasettecento a riposo, e mi ero innamorato.
Non ho mai cercato di spiegarlo. Non avrebbe avuto alcun senso.
Mi ero innamorato. Punto.
Di un maschio. Semmai questo un po' mi aveva dato da pensare. Non perché ci vedessi chissà quale dilemma morale. Ma perché non me lo aspettavo.
Le femmine le avevo messe in conto. Sapevo che avrebbero potuto distrarmi. E allo stesso tempo, se quello che credevo di aver capito del mio corpo che cambiava era vero, avrebbero anche potuto calmarmi.

Finché non siamo cresciuti un po', diciamo un paio d'anni dopo quell'estate, il lato fisico della faccenda era ancora parzialmente in ombra. Però poi si è imposto, com'era naturale che fosse. Al sesso si dà troppa importanza. Socialmente, intendo. Ma ha un suo valore. Biochimico, principalmente. E' una funzione importante, fa parte dell'equilibrio psicofisico, impossibile, e stupido, escluderla dall'equazione di se stessi. Il problema è quando si lega all'emotività, lì si complicano le cose.
Tu complichi le cose. Tutte quante. Sempre. E' la tua natura.
Hai cominciato da subito. Guardandomi.
Gli occhi, le labbra, le spalle, le braccia, il petto, l'addome. Mi guardavi come una radiografia, come il medico sportivo a scuola, a un certo punto pensavo che mi avresti chiesto di levarmi la maglietta. Sei arrivato alla cintura, appena un po' più giù e poi hai alzato lo sguardo e hai fatto un sorrisetto. Un sorrisetto perfido, da uno che aveva capito benissimo cosa mi stava succedendo.
Probabilmente avevo la bocca aperta e l'aria da idiota. Sicuramente avevo la lingua impastata, respiravo a fatica. Qualche migliaio di volt mi aveva appena attraversato. Stavo ancora cercando di capirci qualcosa.
Opposto, hai detto. Come se quella singola parola mi definisse.
Hai sbattuto gli occhi una volta. Due volte.
Ushijima Wakatoshi ho balbettato, come se avesse senso presentarmi.
Lo so. Shiratorizawa.
Perché io non sapevo chi eri? Perché tu mi conoscevi e io no?
E tu?
Alzatore, hai risposto. Anche se lo avevi capito, che volevo sapere il tuo nome.
Ho annuito, ma ancora sentivo la corrente sfrigolare nella carne, ancora avevo il battito del cuore a mille.
Il tuo alzatore, hai detto poi, sottolineando con gli occhi il possessivo. Come fai a parlare con gli occhi, non lo capirò mai, ma è una cosa potente.
E io lo sapevo, che ti stavi riferendo alle squadre della colonia. Ci avevano messo le magliette colorate, per fare le squadre e noi avevamo la stessa maglietta rosa. Lo sapevo, giuro. Ma un'eccitazione fisica paragonabile a quella suscitata da tre semplici parole uscite con leggerezza dalle tue labbra, non l'avevo mai provata.
Ti stava larga, quella maglietta rosa. A me corta, e il risultato era imbarazzante.
Ma io non sono uno che si imbarazza. Non per il mio corpo. E' uno strumento. Un ottimo strumento. Le sue reazioni non mi imbarazzano mai, e non mi imbarazzavano allora. Mi imbarazzano molto di più le parole, gli atti consapevoli, ma un'erezione è un'erezione, sangue che affluisce a un corpo cavernoso. E' involontario. Ed è naturale. Perché uno dovrebbe sentirsi a disagio? Di cosa?
Se fossi arrossito, se avessi cercato di nasconderlo, se fossi scappato, credo che sarebbe andato tutto diversamente. Ti saresti dimenticato che esistevo. Avresti alzato per me, avresti pensato che ero forte. Saresti, o meno, venuto a scuola da noi. Ma sarei stato uno fra mille, identico a ogni altro suddito della tua corte.
Invece, io non ero imbarazzato. E a te non andava giù. Non lo capivi, non ti tornava. Tu volevi controllarmi, piegarmi, mettermi al muro, come facevi con tutti quelli a cui sapevi di piacere.
Ma con me, non ci sei mai riuscito. Questo mi ha reso diverso ai tuoi occhi.
Però sei ostinato e hai continuato a provare a sottomettermi. Ti ho sempre amato, per quei tentativi. Ti ho amato per la strafottenza con cui hai insistito, senza pietà, per anni. Ma non sono mai scappato. Neanche una volta.
Neanche quando poi quella prima lettera sono venuto a dartela a scuola. E tu l'hai letta ad alta voce. Hai riso. E Iwaizumi mi ha tirato un pugno, ma io non ho reagito. Me lo ricordo bene, come mi sentivo. Ero deluso, Tooru. Deluso da te. Io non avevo niente di cui vergognarmi, tu sì.
Lo so bene cosa sembrava dall'esterno. Sembrava che io fossi uno grande, grosso e stupido, che si stava umiliando, senza nemmeno il buon gusto di scappare via. Di capire come si incassa un rifiuto del grande Re. Ero uno che non avrebbe neanche dovuto pensare di provarci. Ma a me non importa cosa pensa la gente. Chi sono per me? Chi se ne frega, cosa pensano. La verità, Tooru - te l'ho scritto tante volte e te l'ho anche detto a voce - la verità è che a ognuno di noi interessa veramente di pochissime persone e quello che proviamo per tutti gli altri è solo curiosità. Molto meglio farsi i fatti propri e le cose tenersele dentro.
In quel momento, un sacco di persone stavano ridendo di me. Ma non mi interessava. Mi interessava cosa pensavi tu.
E tu l'hai vista la mia delusione. L'hai riconosciuta, tanto che poi sei venuto a chiedermelo. E sì, ero deluso. E te l'ho detto. E neanche quello ti è andato giù. Volevi vedermi umiliato. Volevi vedermi morire di vergogna, perché avresti saputo cosa fare, in quel caso.
Ma, purtroppo per te, neanche i sentimenti mi imbarazzano, Tooru.  Anche quelli sono involontari. E non ho nessuna colpa, di provarli.
Questa semplice cosa, l'indulgenza per i propri sentimenti, tu non riesci a capirla. Sei una delle persone più intelligenti che conosco, ma la vanità ti impedisce di essere in pace con te stesso.

Per questo sei partito stamattina. Per questo, mentre partivi, piangevi.
C'ero, naturalmente. Non avrei mai potuto lasciarti andare dall'altra parte del mondo senza venire a vederti, fino all'ultimo secondo. Finché sei sparito oltre i metal detector, piangendo di nascosto.
Non ho ancora capito come mi sento.
Male. Mi fa soffrire l'idea di non poter più prendere la macchina, guidare qualche ora e bussare alla tua porta, in piena notte. L'ho fatto solo una volta, e probabilmente ho sbagliato. Ma fino a ieri, avrei potuto farlo quando volevo.
C'è una grande differenza, fra pensare qualcosa e farlo. Fra la potenza e l'atto. Non ho mai pensato che fosse necessario frenare i pensieri. Quindi, ogni giorno, tornando dagli allenamenti, quando mi chiudo la porta di casa alle spalle, ci penso. Penso a come sarebbe scendere in garage, accendere l'auto, scivolare nel buio con i finestrini aperti, lasciar correre la strada sotto le ruote, arrivare a Sendai, proseguire senza leggere i cartelli. E parcheggiare lì. E mandarti un messaggio, sempre lo stesso.
Sono qui.
Ho bussato una volta sola. Ma in quel parcheggio ci ho passato parecchie notti.
Lo sai che lo facevo anche prima, quando eravamo a scuola. Allora, ci venivo a piedi. Ci volevano un paio d'ore.
Una volta Tendou non è riuscito a coprirmi e ho preso un richiamo formale per il coprifuoco. Non ci potevano credere che uno come me avesse fatto una cosa del genere. Mi hanno fatto mille domande e non ho risposto a nessuna. Mi hanno punito.
Ma ho continuato a venirci, sotto casa tua. Sempre, dopo le nostre partite.
Hai iniziato tu con un messaggio, la prima volta che avete vinto, te lo ricordi?
Ora che ho vinto, vorrei vedere la tua faccia frustrata.
Non sono frustrato. Avete giocato meglio di noi.
Non ci credo non che sei frustrato.
Sono venuto sotto casa tua per dimostrartelo. Mi sembrava logico. Pensavo fosse quello che volevi. Ma neanche tu lo sapevi, cosa volevi da me.
Sono qui ti ho scritto. E tu hai capito. Ti sei affacciato. Mi hai visto. E sei rientrato dentro, ma non hai chiuso le imposte. Mi hai lasciato lì' a contemplare la tua ombra in movimento. Curiosamente, mi bastava.
Anzi, mi piaceva. Starmene lì, sapendo che tu sapevi che io c'ero. Credo che piacesse anche a te. Era un modo di esercitare il tuo potere, visto che con me non ci riuscivi altrimenti.

Anche stamattina ti ho scritto che c'ero, in aeroporto. Tu mi hai cercato con lo sguardo, e mi hai visto. Non mi sono avvicinato. Non ti ho parlato. Non avrebbe avuto senso.
Ti ho guardato sorridere, fare fotografie, salutare con la mano tua sorella e tuo nipote, abbracciare Iwaizumi. E poi piangere.
Non so se potrò mai perdonargli quelle lacrime.
L'ho aspettato fuori e gliel'ho detto.
E' colpa tua, se è partito.
Lui ha alzato lo sguardo ed era chiaro che la pensava come me. Quindi, mi ha tirato un altro pugno. A sei anni e mezzo di distanza dal primo. Questa volta, però, l'ho restituito.
Gli sanguinava il naso. A me sanguinava il labbro.
Con uno schiacciatore più forte, sarebbe già in nazionale.
Io ti ammazzo! mi ha urlato, ma poi non si è mosso. Aveva i pugni stretti, guardava in basso. Tremava tutto.
Non c'era bisogno che dicessi altro, tanto lui lo sa benissimo che è vero.
In quel momento, un aereo è decollato, passandoci sopra la testa. Lo abbiamo guardato entrambi, ed entrambi abbiamo pensato che fosse il tuo.
E ce ne siamo andati così, senza dire altro, con le nostre solitudini. E la tua, sopra le nostre teste.
Lo sai? A me piace Iwaizumi. Te l'ho scritto più di una volta. Penso che non sia colpa sua se starti così vicino e non poterti avere gli ha bruciato il cuore. Invece è colpa sua amarti in modo così sconsiderato. Ed è sicuramente colpa sua aver creduto di essere abbastanza per te.
Anche io ti amo. Non meno di lui, ma con molto più buon senso.
E se fossi venuto a Shiratorizawa, adesso saremmo entrambi in nazionale. Spero che tu lo sappia. Non penso che al livello sentimentale le cose sarebbero andate diversamente. Ma la maglia del Giappone, con me, non te l'avrebbe levata nessuno, non lo avrei mai permesso. Invece, parlano di prendere Kageyama l'anno prossimo. Se lo merita, quindi va bene così.
Tu però te lo meritavi di più. Sei il migliore alzatore che abbia mai visto giocare. E non per un motivo tecnico. Dal punto di vista tecnico, Kageyama non si batte. Ma tu sei il migliore, perché per capire le persone hai un dono. Nella vita è un dono che sprechi e qualche volta usi contro te stesso; ma in campo, quel dono ti rende un prodigio. Un prodigio che coglie le piccole emozioni e le converte in occasioni, che regala momenti di gloria anche a chi non li merita, che infiamma il morale e lo lancia alle stelle. Costruisci la squadra dal nulla e ne moltiplichi il valore.
Me la ricordo perfettamente, quella settimana con la maglietta rosa della colonia. L'ebbrezza di giocare con te la sento ancora agitarsi nei muscoli, se ci ripenso. Schiacciare un'alzata perfetta, nel momento perfetto, a un'altezza e una velocità che variano in base al tuo stato fisico e mentale. Tu spingi ognuno a dare il meglio, a bruciare dal desiderio di compiacerti, di farti vincere. Se non è perfezione questa, Tooru, allora nella pallavolo non esiste perfezione.

Eppure, non è per la pallavolo che ti amo. Non è per la pallavolo, non è per la tua disarmante bellezza. Non è per nessun motivo in particolare. Riconosco i tuoi pregi, così come i tuoi difetti, e li amo tutti nello stesso modo.
Forse amo di più i difetti: la vanità, l'orgoglio, la fragilità nascosta, quel pensiero fisso che hai di dover sempre arrivare a qualcosa troppo in alto, quando potresti solo guardare giù e capire che hai già tutto. Sei così umano, Tooru, così indifeso contro te stesso, che il mio cuore trema di fronte all'idea di tenerti fra le mani.
Eppure, è successo. Sono le cose vere che ho bisogno di essere certo siano vere.
Abbiamo fatto sesso cinque volte, io e te. Le ho impresse in mente parola per parola (anche se parlavi solo tu, e a me piaceva), momento per momento, come un film proiettato nel mio cervello e sui miei sensi.
Ci ripenso, ogni tanto. Non troppo spesso. Ma quando vado a letto con qualcuna ci ripenso sempre. Mi eccita, ovviamente. Migliora la mia prestazione, cosa che penso sia positiva.
Vado solo con le ragazze, ultimamente. E' più semplice, per tanti motivi. Lo metto in chiaro subito, che non devono aspettarsi niente, a parte un'esperienza fisica soddisfacente. Mi sembra onesto. Loro dicono di sì, sorridono. E poi però si lasciano sempre dietro delle cose: biancheria, bigliettini, biscotti fatti a mano con un pessimo bilanciamento di zuccheri e grassi. Butto tutto, insieme ai preservativi usati. Sono solo residui inutili.
Se leggessi le mie lettere, se io le spedissi, sapresti tutte queste cose. Sapresti anche che tengo un diario del mio stato fisico. Ho iniziato a sedici anni, e ci sono segnati pasti, allenamenti, peso, temperatura e anche tutti i rapporti sessuali e le masturbazioni, perché le variazioni della libido possono essere un sintomo di tante cose, quindi voglio poterle tenere d'occhio.
Le cinque volte che abbiamo fatto sesso sono scritte lì.
La volta che abbiamo fatto l'amore no.
Non ho bisogno di scriverlo da qualche parte, per ricordarmelo. E preferisco non pensarci. Mi viene sempre da piangere, quando ci penso. E in effetti, ho pianto anche allora. Ti ho pianto addosso, di disperazione, di felicità, o forse piuttosto per la miseria della mia condizione. Avevo vissuto un'esperienza sovrumana e tutto ciò con cui potevo ripagarti era un triste, banale orgasmo.
E' stato un momento basso della mia vita. O forse troppo alto. Non ho mai deciso.
E' meglio, se non ci penso. E' meglio se non mi domando cosa ne pensi tu.  Non me lo hai detto. Non posso più chiedertelo.
E' finita stamattina, con te che parti e io che mi faccio spaccare il labbro.
Addio. 
Addio mio paradiso, come disse quella volta Tendou, quando si rese conto che non avrebbe mai più giocato. Ci ho ripensato oggi, mentre l'aereo mi passava sulla testa. Erano le parole perfette.

Tooru, smetto di scriverti, ma non di amarti.
Non posso più venire sotto casa tua, ora serve che attraversi l'oceano. Per te, lo farò. Verrò in un altro continente e cercherò le uniche due persone al mondo di cui veramente mi importa. Te e mio padre.
Parcheggerò sotto casa tua, dovunque sarà, e ti scriverò che ci sono.
Ci sono sempre, Tooru.
Smetto di scriverti, ma un giorno parleremo. Non so se avrò cose nuove da dire, ma dirò ancora una volta le vecchie: che sei l'unico amore che conoscerò mai. Che non è troppo aspettarti una vita, o più di una. Sono paziente.
Sii felice, in ogni modo.

Ti amo, come sempre.
Ti voglio, come sempre.
Ti sono grato, come sempre.
Questo è reale.

W.

 

   
 
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