12.
Seduta al tavolo, con la piuma tra
le mani, il simulacro si allontanò dai pensieri di Gabrielle e
attese.
Aveva paura.
Sarebbe stato doloroso per lei? Se avesse
avuto un cuore in petto avrebbe potuto sentirlo battere
all'impazzata.
Chiuse gli occhi e rimase immobile, con il capo
chino sulle mani intrecciate.
In un istante il vuoto s'impadronì
di lei, poi, il freddo calò sulla sua mente.
Era tutto
finito.
Dopo un tempo che parve eterno, una mano dolce,
nel silenzio della stanza, si posò sulla sua testa.
-Sei
ancora tu?- Le chiese Hecate.
Il simulacro non rispose, abbassando
lo sguardo, confuso e spaventato -Non...Sento niente.-
La Dea si
chinò accanto a lei e le prese il volto tra le mani. -E'
normale, Einai.-
-No...- Le salirono le lacrime agli occhi,
sbarrati. -No...-
-Sei confusa e scioccata, ma non sei morta e non
sei nemmeno diventata come gli altri, o non piangeresti.-
Einai
annuì, afferrando appena quelle parole.
Un orribile
silenzio si era violentemente imposto dentro di lei, qualcosa si era
irrimediabilmente spezzato, andando in frantumi -Non c'è più.-
-Lo so, Einai.- Hecate la abbracciò e la baciò sui
capelli, prima di stringerla ancora. -Ma dobbiamo finire,
purtroppo.-
La mora annuì e si alzò, meccanicamente,
diretta alla camera delle due donne. Dovevano recuperare la Pietra di
Cibele, prima di occuparsi delle esequie.
Entrarono nella stanza.
Sul letto, Gabrielle giaceva serena, quasi sorridente,
addormentata tra le braccia di una bellissima statua ammantata di
nero.
Hecate stava per elogiare i progressi della tecnica
scultorea di Ares, ma si trattenne. Non era il momento -Posso farlo
io, tu dovrai solo prenderla.- Leggeva il terribile dolore e
smarrimento nella mente del simulacro.
Einai annuì, mentre
la Dea creava delicatamente una fenditura nella schiena della
guerriera, all'altezza del cuore, per poi allontanarsi lasciando
spazio all'altra, che si avvicinò e infilò
delicatamente la punta delle dita nell'incavo, recuperando
l'artefatto -Chiudi, per favore.- Disse il simulacro, con voce
spezzata, prima di allontanarsi.
La Pietra non era più
grigia e opaca, come quando aveva accolto l'anima di Xena, ma era
tornata lucida e nera.
Tutto era avvenuto come speravano, i loro
spiriti erano liberi.
Einai prese le guerriere in braccio
e le portò sul retro della casa, dove avevano approntato la
pira.
Una, per entrambe.
Vedendola uscire, Sophia e Nestor la
raggiunsero assieme ai bambini, agli abitanti del villaggio e ai loro
conoscenti.
Si radunò una piccola folla, silenziosa e
composta, mentre Einai posava delicatamente le loro spoglie sulla
sommità della pira e sistemava le ghirlande di fiori sui loro
capi.
Diede un ultimo sguardo ai loro volti, sereni, e baciò
entrambe sulla fronte, prima di tornare a terra.
Hecate si era
confusa tra la folla, avvolgendosi in un anonimo mantello nero e
affiancandosi ad un uomo e a una donna, con cappe simili alla sua,
resi irriconoscibili dai cappucci calati sul volto.
Nestor e
Sophia avanzarono, con le torce accese in mano, e raggiunsero i piedi
della catasta di legno, silenziosi e dignitosi, mentre i presenti li
guardavano commossi.
L'uomo passò la propria fiaccola ad
Einai che, sorpresa, accettò l'invito con un cenno del capo.
Un mormorio diffuso si sollevò dalla folla, quando videro
che quella misteriosa donna somigliava enormemente a Xena. Presto,
però, tutto tornò a tacere, quando Sophia intonò
un inno e le due donne abbassarono le torce sulla pira, che prese
fuoco rapidamente.
Alcuni rimasero per breve tempo, altri per
ore, fino a notte inoltrata. Infine, alle prime luci dell'alba,
incurante del freddo che era tornato inclemente a mordere la valle,
al termine dell'incantesimo di Aphrodite, rimase solo lei.
Raccolse
le ceneri ancora tiepide e le mise nella grossa urna che le donne
avevano scelto, poi rientrò in casa e aggiunse ciò che
restava delle ceneri di Xena, conservate ancora nel piccolo vaso
sopra il caminetto.
Radunò le sue cose e indossò
l'armatura, arrivare fino ad Anfipoli avrebbe richiesto numerosi
giorni di cammino.
Salutò rapidamente Sophia e Nestor che
la ringraziarono e la invitarono a tornare, qualora avesse voluto, e
poi, partì.
Cercava ancora, inconsciamente, quella
voce nella sua testa che l'aveva accompagnata per tutta la sua
esistenza, incapace di rassegnarsi all'idea.
Perfino la sua
stessa mente, ora, le sembrava un posto freddo e tetro. Un luogo
troppo grande per lei sola, quasi sconfinato.
-Posso portarti
rapidamente.- Hecate si materializzò accanto a lei.
-Lo
farò come lo avrebbero fatto loro.- Rallentò il
passo, adeguandosi a quello di un comune umano. Le sarebbe sembrato
di prendere scorciatoie, di svilire l'importanza di ciò che
era successo e, non essendo morta con loro, le sembrava di poter
espiare almeno in piccola parte, con il sacrificio del proprio tempo
e della propria fatica, le colpe che sentiva di avere.
-Vuoi
separarti da loro il più tardi possibile, vero?-
-Sì.-
-Non sei felice di essere ancora viva?-
-Sono viva, Hecate?-
Evitò di incrociare il suo sguardo, tenendolo fisso sul
terreno innanzi ai suoi piedi.
-Stai provando emozioni tue,
nonostante lei non ci sia più...-
Il simulacro sentì
gli occhi diventarle lucidi, ma trattenne le lacrime, sbattendo
rapidamente le palpebre.
-Questa tristezza, questa sensazione di
vuoto che senti...- Sospirò la Dea, scuotendo il capo -Einai,
sono umani.-
-Perché?!- Sbottò -Perché
adesso che non vorrei sentire, sento?! Perché sta succedendo,
visto che non ho un'anima? Chi mi ha maledetta a questo modo?!- Sentì
la rabbia montare dentro di lei -Cosa ho fatto di male? Io non dovevo
neanche esistere...- Le si spezzò la voce e si fermò,
non riuscendo più a trattenere il pianto.
L'immortale la
guardò, preoccupata -Il dolore passerà, il vuoto si
attenuerà e pian piano riconquisterai spazio a quel
silenzio che ora ti terrorizza. Fidati di me, non soffrirai in
eterno.- Disse, stringendola al suo petto.
-Ho paura, Hecate- Non
aveva idea di come sarebbe stata la sua esistenza da sola.
-Tutti
ne abbiamo, ma senza paura non esisterebbe il coraggio e quello,
credimi, non ti è mai stato in difetto.- Ricordava i primi
passi dopo la sua guarigione, con quale fermezza aveva accettato di
vivere lontana dalla donna che amava pur di permetterle una vita
normale. Quanta determinazione le aveva richiesto portare a termine
ogni missione affidatale e quanto coraggio e fatica le erano costati
decidere di non cercare di salvarsi, andando contro alla morte,
pur di terminare quell'ultimo, gravoso, compito.
Forse aveva
preteso troppo da lei. Forse, era stata troppo crudele. L'immortale
avvertì improvvisamente un senso di fastidio allo stomaco che
riconobbe, tra i pensieri di Einai, come senso di colpa.
Non lo
aveva mai provato prima.
-Mi dispiace.- Sussurrò Hecate
all'orecchio della mora.
Dopo diversi giorni di cammino
in solitudine, con solo qualche breve visita della Dea, Einai
raggiunse Anfipoli.
Trovò la piccola cripta della famiglia
di Xena ed entrò.
Sapeva, dai ricordi di Gabrielle, che la
guerriera ci andava ogni anno, per commemorare i propri cari, e trovò
tutto abbastanza in ordine. C'era solo un sottile strato di polvere e
qualche ragnatela.
Posò l'urna sul piccolo altare presente
ed uscì.
Voleva comprare il necessario per costruire
un'ara votiva a loro dedicata, visto che Lyceus, Cyrene e Toris,
riposavano all'interno di bare.
Avrebbe voluto scolpirla lei
stessa, ma se si fosse rivolta ad un esperto avrebbe certamente
ottenuto un risultato migliore.
Chiese informazioni e raggiunse
la bottega di un marmista. Lo pagò il doppio di quanto
pattuito, pur di averla pronta per l'indomani, poi tornò alla
cripta, dove passò l'attesa risistemando e pulendo.
Aggiunse
olio alle lanterne, spazzò il pavimento, spolverò e
tolse le ragnatele. Si guardò attorno, cercando di capire cosa
avrebbe potuto fare, per sistemare tutto al meglio.
Controllò
il tetto e si assicurò che gli alberi vicini non mettessero a
rischio la struttura e aggiustò anche qualche pietra un po'
traballante degli scalini d'ingresso.
Accese le candele e pregò,
per ognuno dei presenti, bruciando erbe e incensi comprati al vicino
mercato.
Quando non ci fu più nulla da fare, il sole era
nuovamente alto nel cielo e andò a ritirare il lavoro
commissionato.
Tornò nel giro di poco e posizionò
il pesante blocco di marmo bianco nel posto riservato a Xena, accanto
alla tomba di Toris.
Finamente scolpite nella candida roccia,
c'erano due figure femminili. Una con dei pugnali legati ai calzari,
l'altra con la spada infoderata sulla schiena, mentre camminavano
mano nella mano assieme alla loro cavalla.
Aveva voluto
rappresentarle in un momento spensierato, mentre facevano quello che
più piaceva loro e ricordarne la natura di guerriere e
compagne.
Non era stato facile spiegarlo al marmista e farne il
disegno, ma il risultato era perfino migliore di quanto si
aspettasse.
Controllò la sommità del blocco con le
dita e sorrise, vedendo che anche quell'ultima sua richiesta era
stata esaudita.
Prese la spada di Xena e la infilò per tre
quarti nella pietra, sfruttando la scanalatura che aveva ordinato al
marmista. Se l'avesse inserita con la forza avrebbe rischiato di
rovinare la lama, o di spezzare il marmo. Incastrò poi i sai
di Gabrielle, incrociandoli contro l'elsa e, infine, posizionò
il Chakram, agganciandolo frontalmente alla guardia della spada.
-Sicura di non volerlo tenere?- Einai in quei giorni aveva fatto
l'abitudine alle improvvise apparizioni della sua Dea protettrice.
-Sì. Non è per me.- Si voltò a guardarla,
ferma sulla porta della piccola cripta.
-Sei un'eroina e forse la
cosa più simile ad un'erede che abbiano mai avuto. Senza
dubbio porteresti avanti le loro idee.-
-Forse, ma loro volevano
eroi nuovi, figli dei tempi in cui vivono. Io non sono niente di
tutto questo.-
-Se vuoi vederla così...- Rispose scettica
l'immortale.
-Sì, è così. Ma se un giorno
troverò qualcuno di adatto, lo consegnerò.-
-Farai
quindi la custode...?- Chiese perplessa Hecate.
-Chi meglio di un
essere senza tempo, per farlo?- Prese l'urna con le ceneri delle
guerriere dall'altare e la posizionò sull'ara.
-Sei pronta
a finire questo viaggio?-
Il simulacro scosse il capo, negando -Ho
bisogno ancora di qualche minuto.-
-Ti aspetto fuori.- Disse la
Dea, scomparendo.
Rimasta sola si guardò ancora attorno,
cercando qualcosa da sistemare che le fosse sfuggito, ma non trovò
nulla. Non aveva più scuse per attardarsi.
Accarezzò
il coperchio dell'urna con la punta della dita e la tristezza tornò
ad invaderla.
Era tutto finito.
-Statemi bene, vi prego.-
Sentì le lacrime salirle agli occhi, ma non voleva piangere
nuovamente. -Ci vediamo l'anno prossimo, forse prima.- Cercò
di sorridere.
Poi si allontanò lentamente dall'ara, spense
candele e lanterne e recuperò la bisaccia.
Infine, diede
un ultimo sguardo, colmo d'affetto, a ciò che aveva avuto di
più simile ad una famiglia, prima di risistemare la pesante
pietra davanti all'ingresso e chiudere la cripta, risalendo poi alla
luce del giorno.
****
Note dell'autrice:
Con
questo capitolo si conclude questa avventura e ciò che tra me
e me ho chiamato più di una volta "Rimedio ad AFIN".
Vi
ringrazio di aver letto fin qui anche se è stato un racconto
dall'epilogo triste, spero che come a me vi abbia lasciato almeno la
soddisfazione di un addio sereno e pacifico. (E con altri
quarant'anni di avventure tutte da scrivere! XD)
Vi
ringrazio molto anche per le recensioni. Continuate a farmi sapere
cosa ne pensate, anche con poche parole.
Colgo l'occasione per
ringraziare oscuro_errante per essere ancora la mia fedele Beta
Reader. Grazie mille!
P.S. Se tutto dovesse
continuare a filare come previsto, sabato prossimo inizierò a
pubblicare un'altra AU/Uber sempre su Xena e Gaby che sto scrivendo
proprio in questi giorni.
Spero di ritrovarvi lì!
Quindi...A
SABATO PROSSIMO! Tenete d'occhio il mio profilo facebook per tutti gli aggiornamenti (trovate il link nella mia autore, qui su EFP)