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Autore: Rosette_Carillon    08/02/2022    2 recensioni
[ Post Spiderman: no way home ]
Tutte le persone che conosceva, che ha amato, ormai non fanno più parte della sua vita. Chi è morta, lasciando un vuoto dentro di lui, e chi non lo ricorda più.
Infondo, pensa Peter, è giusto così. Preferisce essere solo, piuttosto che mettere in pericolo chi lo circonda.
Eppure, se qualcuno si ricordasse di lui... se MJ si ricordasse di lui...
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Black and white photos'
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                 Helpless
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Sfogliando il suo album da disegno, osservando tutti gli schizzi che rappresentano Peter – e sono davvero tanti -  ha deciso che non le importa cosa lui provi per lei.
Con la punta delle dita accarezza piano quei vecchi schizzi che aveva tracciato tempo prima. Alcuni li ha fatti quando era ancora al liceo, altri dopo. Alcuni, poi, fa fede la data scritta in basso, li ha fatti quando si era dimenticata chi fosse Peter, e cosa fosse stato per lei.
Quell’idiota non è in grado di badare a sé stesso e, finché non accetterà di tornare con gli Avengers, sarà lei a pensare a lui.
Insomma, qualcuno dovrà pur farlo, no?  E poi non vuole correre il rischio di ritrovarsi col cadavere del ragazzo sulla coscienza.
Già lo vede l’articolo sul giornale, completo di foto di quel piccolo monolocale uscito da un manuale di storia che parla della Russia sovietica.
 
Giovane trovato morto nel suo monolocale.
 
Le interviste ai vicini, poi…
“ Era un caro ragazzo”, “salutava sempre”, “ spesso mi aiutava a portare le borse della spesa fino al mio appartamento”.
E dopo qualche giorno comparirebbe un’altra notizia:
 
Spiderman scompare nel nulla.
Che fine ha fatto l’eroe mascherato?
 
Non vuole nemmeno pensarci.
Si rende conto che tutta quella sua preoccupazione per una persona, che le ha chiaramente detto di starle lontana, ma poi è felice di vederla, è masochismo puro. Rendersene conto, però, non significa che lei riesca a smettere.
Non riesce a non preoccuparsi, a non passare ogni tanto a vedere se Peter sia ancora tutto intero, e a rimettere assieme i suoi pezzi.
Preferisce quello ai sensi di colpa, all’incertezza.
Non si aspetta che cambi nulla fra loro due, se lo ripete ogni volta, con convinzione, ignorando la vocina che la deride facendole presente che il suo è un pessimo e disperato tentativo di autoconvincimento.
Se lo ripete ogni volta, con convinzione, ma vedere Peter in compagnia di quella ragazza è davvero un brutto colpo.
Lei è dall’altra parte della strada, loro sono davanti al palazzo in cui abita Peter. Sa che la cosa più intelligente da fare sarebbe andarsene subito, invece si ferma a osservarli.
Anche quello è masochismo puro.
Sapeva che una cosa simile sarebbe potuta succedere, dopo tutto loro due non stanno più assieme.
A lei va bene, davvero.
Lei ha la sua vita, e lui la sua.
Va tutto magnificamente bene.
Però… perché quella lì sì, e lei no?
Perché? Cos’ha lei che non va? Cos’ha sbagliato?
Osserva l’altra e, deve ammetterlo: pur da lontano, è davvero bella. Elegante. Decisamente fuori posto davanti al quel vecchio palazzo.
Stanno ridendo, e sembra che lei e Peter si conoscano da un po'.
MJ prova una sensazione spiacevole.
Tradimento.
Vorrebbe tanto non sentirsi in quel modo, ma non ci riesce.
Si sente sola, abbandonata, eppure non ha senso. Peter non l’ha mai illusa, e lei non si è mai aspettata nulla da lui.
Ha medicato le sue ferite e ha vegliato il suo sonno agitato per scelta sua, non per ottenere qualcosa.
Se le cose stanno così, a lei va bene. Infondo, fra lei e Peter era durata molto più di quello che si era aspettata.
Dall’altra parte della strada, il ragazzo apre la porta d’ingresso e fa cenno all’altra di entrare prima di lui, poi la segue e lascia che la porta si chiuda alle loro spalle.
Il solo fatto che fosse nato qualcosa fra di loro era già incedibile.
Ora, però, è finita. Pazienza.
Un problema in meno, pensa avviandosi verso la fermata dell’autobus.
Se c’è qualcuno che si preoccupa per lo stupido ragno di quartiere, non dovrà più farlo lei, cerca di tranquillizzarsi mentre palazzi e negozi passano rapidi davanti a lei, oltre il vetro del finestrino.
Avrà più tempo per sé stessa, si dice mente infila la chiave nella serratura, e apre la porta di casa sua.
La serratura fa uno scatto, e la porta si apre.
L’appartamento che condivide con sua madre è vuoto e silenzioso.
È vuoto per la maggior parte del tempo da un po', ormai.
La porta alle sue spalle è chiusa, e la luce è ancora spenta. MJ rimane in piedi davanti all’ingresso, immersa nella penombra, ad ascoltare quel silenzio che quasi la assorda.
I suoi genitori hanno divorziato da qualche mese ormai, ma va bene così: sapeva che sarebbe successo, prima o poi, era solo questione di tempo. In un certo senso, aveva quasi sperato che sarebbe successo.
Da un lato è meglio così: niente più urla e pianti, insulti gratuiti, tensioni e parole non dette. Niente più rabbia e risentimento a rendere insopportabile l’atmosfera in casa.
Non deve più fingere di ignorare il volto di sua madre rigato di lacrime, non deve più mentire per coprire suo padre, e evitare l’ennesimo litigio.
Non deve più andare a letto presto per non sentire urla, e non deve più alzarsi presto per evitare i pianti del mattino che seguivano i litigi notturni.
Va decisamente meglio così.
Solo…forse avrebbe potuto fare di più, forse avrebbe dovuto cercare di far riappacificare i suoi genitori, invece di nascondersi nella sua stanza, e isolarsi con le cuffie e i suoi disegni.
Si toglie la giacca, lascia lo zaino in camera da letto, e va in cucina.
Sul frigo c’è un post-it di sua madre, c’è scritto che tornerà tardi, di non aspettarla per cena.
Cenano assieme solo un giorno alla settimana, l’unico giorno libero di sua madre, ma MJ preferirebbe sinceramente poterne fare a meno.
Sua madre è sempre stanca, e lei lo capisce, davvero: sicuramente non deve essere facile lavorare così tante ore al giorno, e fare tutti quegli straordinari.
Se deve mangiare in silenzio, però, preferirebbe potersi rinchiudere nella sua stanza a vedere un video su YouTube per tenersi compagnia.
È quasi ora di cena e, in effetti, ha fame, ma non ha nessuna voglia di cucinare. In realtà non ha nemmeno tanta voglia di mangiare.
Perlustra tutta la cucina, frigo, freezer e armadi, alla ricerca di qualcosa di veloce da mangiare, ma nulla attira la sua attenzione, quindi decide di arrendersi almeno per il momento.
Forse una doccia calda la aiuterà a rilassarsi un po' e, quando sarà più tranquilla, forse riuscirà a mettere qualcosa nello stomaco.
L’acqua calda che scorre sul suo riesce, in effetti, a rilassarla, ma stare ferma sotto il getto d’acqua le da anche tempo per pensare e riflettere su quello che ha visto prima.
Esce dalla doccia stanca e , alla fine, la sua cena si riduce una tazza di latte scaldato nel microonde, e dei biscotti. Quelli al cioccolato, perché dopo la giornata che ha avuto se li merita.
Si rifugia nella sua stanza, chiude la porta e accende le luci decorative, che rischiarano l’ambiente con la loro luce calda e confortante.
Indossa le cuffie, decisa a isolarsi con la musica, attiva la modalità di riproduzione casuale, e si sistema sul letto con l’album da disegno in mano.
Disegnare la rilassa sempre, concentrarsi sulle figure che prendono vita, tratto dopo tratto, e sul suono della matita sulla carta, la calma, la aiuta a concentrarsi su qualcosa di diverso dai suoi problemi.
Tuttavia, una matita in mano, tenuta delicatamente sospesa sopra il foglio, l’unica immagine che vede chiara nella sua mente è Peter.
Peter prima che diventasse Spiderman, e dopo.
Peter con Ned, o da solo.
Peter sul tetto della scuola, da solo, con lei.
Peter con quella ragazza.
Non vuole pensarci. Non vuole, eppure non può farne a meno.
Nemmeno la musica le viene incontro, e la modalità di riproduzione casuale le propone “Hamilton”, che di per sé non sarebbe male, se solo il brano in questione non fosse “Helpless”.
Riesce a riconoscersi nel testo di quella canzone, e ciò la fa sentire umiliata.
Indifesa è ciò che sempre cercato di non essere.
Indifesa è ciò che non vuole essere.
Indifesa è come si sente ora, per colpa sua, perché ha abbassato la guardia, e ora ne sta pagando le conseguenze.
Non riesce nemmeno a essere arrabbiata con Peter. Si sente solo ferita, tradita.
E indifesa.
Aveva davvero creduto che fra loro due…
Lascia perdere l’album da disegno e, le cuffie ancora addosso, si lascia cadere sul letto.
Lo sguardo perso sul soffitto, senza vederlo davvero, e la matita ancora fra le dita, decide di abbandonarsi alla musica.
 
Then you walked in and my heart went
“Boom!”
 
Boom.
Era proprio quello che era successo a lei.
Più volte, per la precisione.
Certo, spesso era successo quando si era trovata davanti Peter ferito, sia prima che dopo aver scoperto il suo segreto.
Boom.
È così…imbarazzante. Umiliante.
Se solo fosse stata più lungimirante, se si fosse controllata… a sua discolpa, poteva dire di averci provato.
Ci aveva davvero provato e, quando si era resa conto che Peter era interessato a Liz, aveva ringraziato l’universo per averle tolto anche solo l’occasione di continuare a farsi castelli in aria.
Contro Liz lei non avrebbe mai avuto alcuna possibilità di attirare l’attenzione del ragazzo, l’ha sempre saputo, e si era aggrappata a quella consapevolezza in attesa che la sua cotta passasse.
Boom.
La cotta non era passata, e Liz era andata via.
Non aveva potuto farci niente. Non aveva voluto farci niente: si era sempre trovata bene con Peter.
Quando era lui con il tempo si fermava, e lei si sentiva più leggera.
Boom.
Si sentiva semplicemente… bene.
Erano sensazioni che non aveva mai provato con nessuno, e che, soprattutto all’inizio, l’avevano spaventata. Il desiderio di sentirsi nuovamente in quel modo, però, alla fine aveva prevalso e lei aveva cominciato a godersi quei momenti e a fantasticare sul futuro.
Si era immaginata spesso all’MIT assieme a Peter: seguire le lezioni assieme, aiutarsi nello studio, condividere la vita incasinata di un dormitorio universitario.
Condividere quell’esperienza assieme a lui ormai le sembrava solo un sogno delirante. Eppure, anche se solo per pochi giorni, tutto quello era stato così vicino a diventare reale che ora non poteva fare altro se non rimpiangerlo.
È tutto finito, però.
Ora può -deve- smettere di pensarci.
Ora non è più costretta a vederlo, pensa mentre il brano finisce, e lei si mette seduta sul letto. Poggia la matita sul comodino, e prende il cuscino per stringerlo a sé. Lo abbraccia e chiude gli occhi.
Non vuole piangere.
Non vuole.
E non vuole pensare a Peter.
Non vuole ricordare quanto sia stata bene con lui, non vuole ricordare tutto quello che aveva immaginato.
Apre lentamente gli occhi e respira piano. Sulla sedia davanti a lei c’è una giacca adagiata sullo schienale.
Cazzo.
Cos’ha fatto di male nella vita?
È la giacca di Peter, si rende conto mentre le lacrime le rigano le guance, gliel’ha prestata pochi giorni prima, quando le temperature erano scese vertiginosamente e inaspettatamente.
Lei si sarebbe accontentata di proteggersi dal freddo con la sua sola giacca, ma Peter era stato irremovibile, e lei aveva deciso di accontentarlo.
Sulla strada di casa era stata particolarmente contenta di averlo ascoltato: faceva davvero tanto freddo.
Ora però quella giacca è ancora in suo possesso.
Deve renderla.
Oppure no.
Sospira: sì, deve. Probabilmente quello stupido di Peter di giacche ne ha solo due.
Potrebbe andare a comprarsene una nuova assieme alla sua nuova amica…
Ci pensa su per una lunga settimana, e alla fine si decide, quando finisce il suo turno alla caffetteria, a prendere l’autobus per andare da Peter.
Non le importa se dovrà vederlo assieme alla sua amica. Lei non è una codarda, non scappa dalle situazioni difficili, lei le affronta.
 
                                                                               §
 
 
Si gira fra le coperta cercando di mettere a tacere la sua mente, di tornare a dormire. Si gira ancora infastidita dall’aria fredda che la sta svegliando, e con una mano cerca di sistemarsi meglio la coperta.
Si ostina a tenere gli occhi chiusi, a cercare di ignorare le immagini che si susseguono caotiche nella sua mente.
Vede una casa.
Una luce viola e un vecchio libro con delle scritte che non riesce a mettere a fuoco.
Cambia nuovamente posizione. Non vuole vedere quelle immagini, vuole solo dormire. È stanca, e il giorno dopo dovrà alzarsi presto.
Vuole nuovamente perdere coscienza, rifugiarsi nell’oblio del sonno, ma non ci riesce.
Prova allora a controllare quello che sta sognando. Sta imparando come fare, anche se non è ancora padrona di quell’abilità si ritiene in grado di controllare un semplice sogno per convincersi, finalmente, che va tutto bene.
Va tutto bene.
È in America, con gli Avengers.
Visione è vivo.
Degli occhi vitrei, privi di vita, la fissano intensamente. Ora nel suo sogno ci sono lampi rossi, bombe inesplose in una notte di neve.
Wanda apre gli occhi stringendosi la coperta addosso. Il cuore batte talmente forte da farle male, e le manca il respiro.
Si gira scostandosi i capelli dal volto e allunga una mano alla cieca << Vis-? >>
Accanto a lei non c’è nessuno, e il terrore la assale.
Sente il sangue gelare nelle vene mentre le immagini del sogno si ripresentano con prepotenza nella sua mente.
Si mette a sedere e si guarda attorno. La stanza è immersa nella penombra, c’è una lampada da tavolo accesa posata a terra perché la sua luce non dia troppo fastidio.
In quel momento si ricorda della missione.
Visione è con Sam e Steve: va tutto bene, è solo in missione.
Fa un paio di respiri profondi; si scosta la coperta di dosso e il freddo della notte la riscuote.
Va tutto bene.
Resta ferma, seduta e scoperta finché non comincia a tremare per il freddo. Solo allora si decide a mettersi la coperta sulle spalle, ma non si sdraia ancora.
È ancora troppo scossa per potersi riaddormentare, prima deve calmarsi.
Chiude gli occhi e respira piano.
Va tutto bene.
 







 
  
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