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Autore: FreddyOllow    10/02/2022    1 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Marvin lasciò il distretto, turbato. Voleva fare qualcosa contro Irons e Johnson. Voleva arrestarli, ma con quali prove? Le chiacchiere di Ben Bertolucci? Il giornalista che non faceva altro che attirarsi l'odio di mezza città? Chi lo avrebbe creduto?
Salì nella sua macchina familiare, accese il motore e aspettò che si riscaldasse. Correva il rischio di rimanere a terra, se il motore non si riscaldava per bene. Si era promesso di farlo aggiustare, ma tra un problema e l'altro, se ne era sempre dimenticato. Guardò lo specchio retrovisore interno per fare retromarcia, quando qualcosa si mosse vicino a un colonna in penombra. Barcollava verso una grossa berlina.
Riconobbe la sagoma dell'uomo dalla pancia prominente e abbassò il finestrino. "Jonathan! Ti sei ubriacato di nuovo?"
La sagoma si voltò lentamente, attirata dalla voce.
"Proprio non riesci a tenere la bocca lontano dalla bottiglia, eh?" chiese Marvin, divertito. Poi fece lentamente retromarcia. Jonathan continuava a incespicare coi piedi.
Marvin portò una mano fuori dal finestrino. "Buona notte! E fatti accompagnare da qualcuno a casa." Lasciò il parcheggio.
Jonathan Bateman vacillò fuori dalla penombra, la faccia scarnificata, insanguinata, gli occhi vitrei e il petto squarciato.

 

Le strade erano quasi deserte all'una del mattino. Qualche auto solitaria sfrecciava dalla corsia opposta. Marvin non aveva mai sentito la città così silenziosa. Gli omicidi avevano scosso tutti. La gente era terrorizzata e molte persone credevano di essere le prossime a morire. Il fatto che la polizia non sapesse chi o cosa uccidesse le vittime, non faceva altro che alimentare la sensazione di impotenza e terrore. Persino gli stessi poliziotti ne erano spaventati.
Accese la radio e ascoltò una canzone Rock dal tono familiare, di cui non ricordava il nome. Proseguì lungo la via, svoltò a destra e s'inoltrò in una strada secondaria, che conduceva al Raccoon General Hospital. Era un tragitto che faceva spesso per raggiungere la sua abitazione, che si trovava nella zona residenziale della città. Un gruppetto di ville e bungalow. Quando passò davanti all'ospedale, notò che l'ingresso era deserto. Mancavano persino le due solite guardie poste davanti all'entrata. Non si domandò perché mancassero, forse si trovavano all'interno.
Continuò lungo la via e svoltò a sinistra. Non si accorse delle due figure poco distante da un lampione, finché non si avvicinò. Allora vide una donna che tentava di districarsi dalla presa di un barbone.
Frenò di colpo e uscì dall'auto, correndo verso la donna. "Ehi, tu!" urlò.
L'uomo sembrava non averlo sentito.
Quando gli fu vicino, Marvin si accorse che l'uomo aveva gli abiti laceri e insanguinati.
"Aiuto!" gridò la donna.
L'uomo la tratteneva per un braccio, tirandola verso di sé.
Marvin gli tirò una spallata e lo fece cadere a terra. "Non ti muovere! Fermo!"
La donna fuggì nel vicolo buio.
"Sono un poliziotto, signora!" gridò Marvin, credendo di averla spaventata.
L'uomo si voltò, afferrò la caviglia di Marvin e tentò di morderla.
"Che cazzo fai?" Marvin gli mollò un calcio sul fianco, ma l'uomo non accusò il corpo. Anzi, cercò di tirarlo giù.
Il tenente fece per colpirlo in faccia, quando gli vide il viso lacero, dalla pelle decomposta, una chiazza di capelli in testa e un lembo di guancia strappata. Aveva un grosso morso tra il collo e la mascella da cui si scorgeva l'osso.
Marvin scattò indietro, terrorizzato. Non riuscì a pensare a nulla. Quell'uomo sembrava appena uscito da un film dell'orrore. Mentre si guardava intorno, l'essere si fece leva sulle mani ossute e si alzò lentamente in piedi.
"Stai indietro! Indietro!" urlò Marvin. Cercò istintivamente la pistola legata alla cintura, ma si accorse di non averla. Era fuori servizio.
Andò in panico.
L'uomo strascicò i piedi verso di lui, una mano protesa in avanti, la bocca livida, spalancata. Un rantolo gli uscì dalla gola simile a un gemito.
"Stai fermo!" gridò Marvin, distanziandolo con una mano.
L'essere gliela afferrò e lo tirò a sé.
Marvin lo spinse via, ma l'uomo rimase immobile e gli affondò i denti nell'avambraccio. Gli strappò un lembo del giubbotto e tentò di mordergli la gola, ma l'essere barcollò a destra e lo trascinò a terra insieme a lui.
Marvin scattò in piedi e, in preda alla rabbia, lo tempestò di calci. L'uomo non accusò i colpi, finché non fu colpito alla testa e non si mosse.
Il tenente pensò di avergli causato un trauma cranico. Lo fissò per un momento. Poi l'essere si voltò e, con un gemito, si issò lentamente in piedi.
Nel vicolo buio, una figura minuta vacillava nella sua direzione. Aveva il viso pallido, con lunghi capelli castani scomposti e l'avambraccio insanguinato da cui si scorgevano filamenti di carne e ossa. Era la donna di prima.
"Signora!" urlò Marvin. "Non avvicinarti a quest'uomo. Stai indietro. È pericoloso!"
La donna non lo ascoltò e raggiunse l'essere, che la ignorò. Insieme, strascicarono i piedi verso il tenente, incapace di capire cosa stesse succedendo. Quando si voltò verso la sua auto per chiamare rinforzi, un centinaio di non-morti erano a trenta metri dall'auto. Vacillavano e gemevano proprio come i due che aveva alle spalle. Ormai aveva capito che non erano persone normali. Le voci sugli esseri mostruosi che attaccavano la gente erano vere.
Si precipitò dentro l'auto, chiuse le sicure dei finestrini e schiacciò l'acceleratore, facendo fischiare le ruote. Un flebile fumo biancastro si levò dall'asfalto. Mentre si allontanava, lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore interno. La luce di un lampione illuminava alcuni volti putridi, ossuti, da cui pendevano lembi di carne grigia.
Continuò a guidare, finché svoltò a destra e una macchina gli sfiorò il paraurti posteriore. Il conducente suonò il clacson, ma Marvin non ci fece caso. Quando fu abbastanza lontano, rallentò l'andatura, pescò il cellulare dalla tasca e compose il numero del distretto.
"Il numero da lei chiamato è al momento irraggiungibile" disse una voce da donna preregistrata. "La preghiamo di riprovare più tardi."
Tirò un pugnò a martello sul manubrio. "Cazzo!" Compose il numero di Esther, sua moglie. "Dai, rispondi! Rispondi!"
"Il numero da lei chiamato..."
Marvin sbuffò e gettò il cellulare sul cruscotto, aumentando la velocità.
Sfrecciò a centro chilometri orari su una Mission Street deserta. Di tanto in tanto gettava un'occhiata alla specchietto retrovisore interno, aspettandosi di scorgere i non-morti. E mentre ci teneva gli occhi incollati, non si accorse del furgone che sbandava sulla corsia opposta.
Un lampo di luce gli accecò la vista.
Fu l'ultima cosa che vide.

 

Nick non riusciva a dormire. Aveva passato tre ore nel letto muovendosi di continuo, ma il sonno non arrivava. Così si mise a sedere sul letto, lanciò uno sguardo alla sveglia, che segnava le due e ventotto di mattina, e restò fermo per due minuti. Poi si alzò, andò a stapparsi una birra e si lasciò cadere sul divano, accendendo la tv. Sullo schermo disturbato comparve la parola nessun segnale.
"Ci risiamo" disse, alzandosi. Staccò la spina del televisore, aspettò un minuto e lo ricollegò. Una volta accesa, il segnale era ancora presente. "Stacca e riattacca, mi aveva detto. Stacca e riattacca..." Tolse la presa della tv e si sedette in silenzio sulla poltrona, sorseggiando la birra. "Lo sapevo. Sapevo che non funzionava. Perché non seguo mai il mio istinto? Mi ha spillato solo cento dollari..." Fece un lungo sorso. "Domani glielo farò vedere io."
Restò seduto a fissare il fascio di luce del lampione che filtrava fra le tende della finestra. Quando finì la birra, si alzò, posò la bottiglia sul comodino e andò alla finestra. "Ho sempre odiato questa città, perché troppo caotica. E ora è più silenziosa di Stone-Ville." Mentre faceva un mezzo sorriso, una monovolume sfrecciò lungo la strada. Si allontanò dalla finestra. "Va bene, birre. A noi!" Prese la bottiglia di birra vuota e la posò nel lavello della cucina. Sospirò, affranto. "Come mi sono ridotto? A ubriacarmi per poter dormire..."
Mentre apriva il frigo, sentì un forte tonfo alla porta. Si voltò e fissò la porta d'ingresso che si vedeva dalla cucina. Un altro tonfo.
Corse a prendere la Glock dal comodino vicino al letto, attraversò il corto corridoio e guardò dallo spioncino. Non c'era nessuno.
Appena aprì la porta, qualcosa di freddo gli afferrò la caviglia. Guardò in basso. Una donna era ai suoi piedi, il viso pallido, le labbra sporche di sangue e le palpebre circondate da uno strano liquido gelatinoso. Gemette verso di lui e cercò di affondargli i denti nella carne. Nick indietreggiò, ma scivolò e cadde sul pavimento. Lei gli allungò le mani insanguinate sul corpo e ci strisciò sopra.
Nick cercava di levarsela di dosso, ma non riusciva. La donna sembrava possedere una forza straordinaria, pur essendo esile. "Merda! Cazzo! Togliti di dosso!" gridò Nick.
La donna provò a mordergli la guancia, ma lui riuscì a distanziarla mettendole una mano sul petto. Poi le avvicinò la canna della pistola alla tempia. "Sono un poliziotto!" gridò, pensando di poterla intimidire. "Levati di dosso! O giuro che ti sparo!"
La donna staccò un morso a un palmo dalla sua faccia. Un misto di saliva acida e sanguinolenta le scivolò dall'angolo della bocca e cadde sulla canotta di Nick, che storse il naso per il tanfo di morte.
"Lasciami andare, o giuro che ti ficco una pallottola in testa! Non te lo ripeterò di nuovo."
Fissò gli occhi vacui e vitrei della donna. Non aveva intenzione di spararle davvero. Credeva che fosse una squilibrata come tante che abitavano nel quartiere o nel condominio. Così cercò di colpirla con il calcio della pistola, ma il braccio rimase immobile. La donna lo teneva fermo. Era troppo forte. Non riusciva a crederci come un essere così mingherlino potesse sopraffarlo.
L'alito di morte della donna gli pervase i polmoni e tossì. Questo scatenò la reazione di lei, che diventò più feroce. Scattò i denti a due centimetri dal collo di Nick. Lo faceva con insistenza, avvicinandosi sempre più. Lui non voleva spararle, ma non sapeva come uscire da quella situazione.
Si udì uno sparo.
La donna cadde sul fianco. Sangue e pezzi di cervella schizzarono la porta, le pareti e il pavimento. Cominciarono a fischiargli le orecchie, un ronzio insopportabile. Si alzò stordito e fissò incredulo il foro in testa alla donna.
"H-ho..." balbettò, turbato. "Ho ucciso u-una... una d-donna..." Guardò la pistola con orrore e la lasciò cadere dalle mani. Non riusciva a credere di aver premuto il grilletto. Non poteva essere stato lui. Non aveva mai sparato o ucciso qualcuno. Era stato addestrato per queste cose. Sapeva che prima o poi poteva capitare, ma queste cose accadevano solo agli altri. Era sempre così. Doveva esserlo.
Senza distogliere lo sguardo dal corpo, indietreggiò e sbatté la schiena contro l'armadio. Si girò, spaventato, credendo di aver urtato qualcuno.
Dopo qualche minuto, tornò lucido. Corse nella camera da letto, afferrò il cellulare da sopra il comodino e chiamò Marvin. Non pensò minimamente di chiamare il distretto o l'ambulanza. Credeva che il suo tutore avrebbe sistemato tutto. Dopo tutto, era solo legittima difesa.
"Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La preghiamo di riprovare più tardi."

 

Pete russava nel letto accanto a Megan, la fidanzata. Una donna sulla trentina, viso squadrato, lunghi capelli neri fin sotto il mento. Dopo una notte di sesso bollente in cui aveva scaricato tutte le tensione del giorno prima, era crollato in un sonno profondo. A svegliarlo furono delle grida fuori dall'abitazione. Viveva nella zona residenziale di Raccoon City, cinque vie prima di Marvin. E quelle urla non erano nuove. Si trattava di una coppia di vicini che litigava spesso. Il marito tornava quasi ogni notte ubriaco fradicio e la moglie, dopo averlo insultato, lo mandava a dormire nel garage.
"Cosa è stato?" chiese Megan. Una donna sulla trentina, viso squadrato e lunghi capelli neri fino sotto il mento. Aveva gli occhi verdi un poco strabici.
Pete sbadigliò. "Dormi. Non è niente."
Quando la fidanzata comprese di chi erano quegli schiamazzi, sbuffò con fare irritato. "La devono smettere di gridare in piena notte. Devi dirlo."
"L'ho detto un migliaio di volte. È inutile. Ora dormi." Si girò dall'altro lato del letto.
"Ma tu sei un poliziotto. Minacciali. Fai qualcosa."
"Minacciarli?" chiese Pete divertito. "Vuoi che abusi del mio potere?" Si voltò verso di lei con un sorriso, interessato.
La ragazza ci pensò. "Beh, potresti in questo caso."
"Che ne dici se abusassi di te?" rispose Pete, facendole il solletico.
Lei gli allontanò le mani. "Dai, Pete. Non scherzare. Sto dicendo sul serio. Sono insopportabili. Non possono urlare mentre tutti dormono."
Pete si girò dall'altra parte. "Abituati. Tra poco la smetteranno."
Megan si alzò dal letto e si diresse in bagno, battendo forti i piedi per terra.
Là fuori la donna continuò a inveire contro il marito per un momento, poi cacciò un urlò di dolore. Pete sobbalzò dal letto e si precipitò alla finestra. L'uomo era riverso sulla moglie, ma non si capiva cosa stesse facendo. Per un attimo pensò che stessero facendo sesso sul prato, ma la donna non si muoveva.
Megan uscì dal bagno con la faccia stravolta. "Hai sentito?"
Pete prese la mazza da baseball nell'armadio incassato nel muro. "Aspetta qui." Uscì dalla camera da letto e percorse velocemente il corto corridoio. Quando aprì la porta, sbarrò gli occhi, spaventato. Centinaia di non-morti barcollavano in strada e sui prati dei vicini. Un forte tanfo di putrefazione gli fece venire un conato di vomito. Chiuse la porta e la bloccò con uno scaffale pieno di libri.
"Che succede?" chiese Megan alle sue spalle.
Pete si girò di scatto. "Allontanati dalle finestre. Ti ho detto di allontanarti!" Le afferrò una mano e la trascinò alla porta nel retro.
"Ma che succede?" domandò Megan, spaventata.
"Non è il momento di parlare." Aprì la porta e corsero nel giardino recintato da una bassa staccionata. I non-morti arrivavano anche da quella parte.
Pete si fermò. Non sapeva cosa fare.
"Ma chi..." balbettò Megan, terrorizzata. "Cosa sono?"
"Sono dei fottuti cadaveri" rispose Pete, agitato. "Cazzo! Sono dappertutto!"
"Prendiamo la macchina."
"Per poi ritrovarci circondati? No, meglio andare a piedi."
"Ma sei impazzito?"
"Non è il momento di discutere!"
"Per te non è mai il momento per niente!"
Pete sbuffò, irritato.
Gli zombie si avvicinavano sempre più. Uno inciampò su un tagliaerba e rimase infilzato nella parte superiore della staccionata, finché si cedette sotto il suo peso. Non fece in tempo ad alzarsi, che venne calpestato dagli altri non-morti.
"Io vado all'auto" aggiunse Megan.
"Ferma! Non hai nemmeno le chiavi."
Megan gliele mostrò. "Vieni con me."
"Ma come..." rispose Pete, confuso. "Quando hai preso le chiavi della mia macchina?"
"Come dici sempre, non è il momento" disse con un sorriso beffardo.
Pete si guardò intorno. "Ci circonderanno."
Megan gli lanciò un'ultima occhiata e corse alla macchina. Lui le corse dietro.
Quando la donna accese i motori, i non-morti circondarono il veicolo, le mani che grattavano sulla carrozzeria, le facce sfregiate e dilaniate che scivolano sui finestrini. L'auto cominciò ad essere sballottata dagli zombie.
"Che cazzo stai aspettando?" chiese Pete. "Vai!"
Megan ci aveva già provato, ma lui non se ne era accorto. "Lo sto facendo!"
"Parti! Dannazione!"
"Ci sto provando! La macchina non si muove!"
"Te l'avevo detto! Niente auto. Ma tu non mi ascolti! Non lo fai mai, cazzo!"
Megan era a un passo da una crisi di nervi. Schiacciò a tavoletta l'acceleratore, ma il veicolo non si schiodava di un centimetro. L'ammasso di non-morti lo impediva.
Pete stava per lamentarsi di nuovo, quando udirono degli spari levarsi sui gemiti. I non-morti si voltarono e barcollarono lentamente verso la fonte del rumore.
"Vai! Vai! Vai!" urlò Pete.
La macchina travolse una manciata di zombie nel vialetto e si ritrovò sulla strada. A sparare era stato il vicino, Josh. Difendeva i suoi tre figli e la moglie dagli zombie, che si trovavano vicino al garage. La moglie pigiava ripetutamente il telecomando della saracinesca bloccata.
"Dobbiamo aiutarli!" disse Megan.
"Sei impazzita? Non ti fermare. Non possiamo fare niente per loro."
"Ma ti senti quando parli? Sei un poliziotto! Hai fatto una promesso, o sbaglio?"
Lui abbassò gli occhi, imbarazzato.
Megan portò l'auto sul prato del vicino, travolse tre zombie e frenò a pochi metri da Josh. "Entrate in macchina!" gridò.
L'uomo non la sentì, i gemiti sovrastavano ogni rumore.
Pete aprì la portiera e sventolò un braccio in aria. Josh lo vide e gridò alla sua famiglia di andare. Quelli corsero verso la macchina, serpeggiando fra gli zombie. Mentre erano a due passi dalla portiera, uno zombie afferrò l'avambraccio del bambino. Il padre gli sparò alla schiena, ma altri non-morti si chiusero intorno al bambino. La madre cacciò un urlo di disperazione e un non-morto, sbucato alle spalle, le affondò i denti nel collo. Gli altri bambini si paralizzarono dalla paura. Josh, col volto rigato dalle lacrime, cominciò a farsi largo tra gli zombie a colpi di fucile, finché svanì oltre l'ammasso di testa cadaveriche.
Megan abbassò lo sguardo, gli occhi rossi dalle lacrime.
"Parti! Parti!" disse Pete.
Si lasciarono alle spalle i non-morti che si ammucchiavano lì dov'era scomparsa la famiglia.

 

Marvin si svegliò con il volto tumefatto, insanguinato e la vista sgranata. La sua auto si era schiantata contro la vetrata di un negozio di vestiti. Il busto di un manichino da uomo aveva infratto il parabrezza. E ora quel viso inquietante e inespressivo lo stava fissando. Dal cofano fuoriusciva del fumo.
Aprì la portiera, e quando fece per camminare, cadde sulle ginocchia. La testa cominciò pulsare, a far male. Si sedette e si portò una mano alla tempia. Restò fermo per un momento, poi si alzò con fatica.
Una sagoma sgranata barcollava verso di lui.
Posò una mano sul muro per non perdere l'equilibrio e cominciò ad allontanarsi. Un lieve gemito si udiva tutt'attorno. Un lamento continuo, inquietante.
Quando girò l'angolo di un pub, si ritrovò davanti a una decina di non-morti. Gli sembrava di essere dentro un incubo da cui non riusciva a svegliarsi. 
Urla e spari echeggiavano lontani.
Un violento boato fece voltare gli zombie davanti. Una parte del cielo stellato si tinse di rosso arancio. Se un'ora prima Raccoon City sembrava una città fantasma, ora era un campo di battaglia. La gente affollava le strade in preda alla disperazione. I veicoli sfrecciavano, investendo persone e non-morti. Alcuni si schiantavano contro altre auto o edifici, finendo per essere circondati dagli zombie. Molta gente cominciò a sparare a chi capitava, a massacrare di botte i feriti, a rubare nelle abitazioni. Un gruppo di persone aveva fatto schiantare un furgone contro la vetrata di una banca e ora stavano entrando dentro l'edificio.
Mentre camminava, Marvin si tenne alla larga dalle persone. Voleva intervenire, far rispettare la legge, ma non poteva fare molto da solo. Il fatto che non indossasse la divisa, lo salvò dagli svitati.
Poi si fermò e corrugò le sopracciglia con fare confuso. C'era un posto di blocco della SWAT. Recinzioni di metallo alte tre metri, blocchi di cemento che sbarravano la via e degli spartitraffici per controllare il flusso della folla. Ogni cinquecento metri ce ne era uno. Sapeva dei continui disordini nella città, aveva persino scritto un rapporto completo al capo Irons, ma non riusciva a capire perché nessuno nel dipartimento non gliene aveva mai parlato.
"Da dove diavolo sono spuntati?" si chiese.
Gli SWAT non riuscivano a contenere la gente, terrorizzata. Molti cercavano di oltre passare il posto di blocco o arrampicarsi sulle reti metalliche, ma finivano crivellati di pallottole.
"Ehi!" gridò Marvin, con un mal di testa martellante. Si fece largo tra la fila di persone, quando si ritrovò la canna di un MP5 puntato alla testa. "Sono un poliziotto. Abbassa quell'arma."
"Non fare un altro passo!" urlò un soldato della SWAT. I suoi occhi dietro il passamontagna scorsero qualcosa alle spalle di Marvin. Aprì il fuoco.
Un uomo cadde sull'asfalto, con un buco in fronte e una .45 nella mano.
"Stai indietro! Indietro!" urlò lo SWAT.
Marvin era scioccato. Erano pagati per aiutare la gente, non ucciderla.
Altre persone lo superarono, accalcandosi di fronte ai soldati della SWAT. Quando si girò, in fondo alla strada, un centinaio di non-morti barcollavano verso di loro.
Una berlina grigia travolse il piccolo gruppo di zombie, sbandò e si schiantò contro la parte posteriore di un furgone. Una donna aprì la portiera e tentò la fuga, ma venne afferrata e tirata per i capelli dai non-morti, che strapparono a morsi la carne dalle ossa. Marvin si voltò per non vomitare.
Altra gente terrorizzata fluiva dai vicoli laterali e un furgone bianco si fermò sul ciglio della strada. Ne uscirono cinque persone che si aggiunsero alla folla disperata e rumorosa. Le urla della gente sovrastava quasi del tutto i gemiti degli zombie e dagli spari.
Marvin si sentiva impotente. Voleva aiutarli, fare qualcosa, ma sapeva di non poter fare niente, e non riusciva ad accettarlo.
Una raffica di colpi esplose tutt'attorno per un momento. La gente aveva provato a superare di peso il posto di blocco, ma era stata falciata dai proiettili. Chi era sopravvissuto, correva disperato verso i non-morti, verso la morte. Preferivano serpeggiare tra gli zombie, che venire fucilati dagli SWAT.
Marvin entrò in una drogheria, la cui porta era stata abbattuta da qualcuno. Non fece caso alla gente intenta a saccheggiare gli scaffali, ma si affrettò alla porta sul retro. La trovò aperta e corse fuori dal negozio.
Il vicolo poco illuminato era puntellato da bidoni, sacchi di spazzatura e tre cadaveri eviscerati ai piedi di un cassonetto. Si guardò attorno. Scorse una scala antincendio sul fiano di un condomino. Mentre gli spari riverberavano tra le strade, un fascio di luce gli si avvicinò velocemente alle spalle.
Si voltò.
Un'auto familiare lo evitò all'ultimo momento e gli sfrecciò accanto a settanta chilometri orari, lasciandosi dietro un forte odore di benzina. Sbandò diverse volte, prima di schiantarsi contro un basso muretto che dava su campo da basket. Il conducente fu catapultato fuori dal parabrezza e si spiaccicò sul muro. Uno dei due fanali illuminava il sangue che scivolava dalla parete.

   
 
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