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Autore: FreddyOllow    12/02/2022    1 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mentre Nick atterrava sul tetto dell'edificio accanto, la donna zombie barcollò verso la sua direzione, un braccio alzato, i denti che scattavano. Poi volò giù. La vide schiantarsi contro il bordo del bidone dell'immondizia e la testa implose schizzando pezzi di cranio e cervello tutt'attorno.
Indietreggiò con fare schifato e si guardò attorno. Si trovava su un tetto puntellato di tubi d'areazione. Da una cisterna cadevano gocce d'acqua, che avevano creato una serie di pozzanghere a ridosso della porta di ferro spalancata. Lanciò una rapida occhiata nella stretta scala e iniziò a scendere.
Quando raggiunse il sesto piano, qualcosa lo colpì alla testa e crollò a terra, stordito.
"Ma che hai fatto, Joey?" urlò una voce da donna.
Nick la sentì arrivare distorta, lontana. Cercò di alzarsi, ma le gambe cedettero.
"È uno zombie" rispose Joey.
Una figura sgranata gli puntava un fucile in faccia e la vedeva girare tutt'attorno, anche se quella rimaneva ferma.
La donna si chinò su Nick. "Non è uno zombie. È vivo."
L'uomo abbassò l'arma. "Merda, sembrava uno zombie, Zoey. Voglio dire, non ti sembra uno zombie? Guardalo!"
Zoey lo ignorò e guardò Nick. "Tutto bene?"
"Sì..." disse l'uomo, toccandosi il piccolo taglio sulla fronte.
Joey lo aiutò ad alzarsi. "Scusami, amico. Pensavo fossi uno zombie. Non volevo, sul serio."
"Non fa niente..." borbottò Nick. La vista gli ritornò vivida e la stanza smise di girare.
Joey era sulla ventina, con un viso gioviale, la fronte alta, gli zigomi pronunciati e lo sguardo curioso. Indossava una maglietta verde scuro, un pantalone nero e aveva un cappello bianco in testa con lo stemma di un orso.
"Cosa facevi sul tetto?" domandò Joey.
"Non è il momento di fare domande" disse Zoey, lanciandogli un'occhiata di rimprovero. Poi condusse Nick nell'appartamento. "Siediti qui. Vado a prendere del disinfettante."
Zoey era una bellissima donna, sulla ventina. Era bassa, minuta, con un viso rotondo e gli occhi azzurri da cerbiatto. Indossava un corto giubbetto rosso chiaro, sotto una maglietta bianca e un jeans aderente.
Mentre Nick si guardava intorno, Joey si chiuse la porta alle spalle e posò il fucile contro il muro, accanto al comodino. Gli allungò una mano. "Sono Joey Silver."
"Nick Layers." Gliela strinse.
Joey piantò le mani sui fianchi e si guardò attorno, imbarazzato. "Beh, vado... vado a controllare mia sorella."
"Sono qui" disse Zoey, dirigendosi verso di loro.
Joey si portò una mano dietro la nuca. "Devo... devo controllare una cosa." Sparì nella camera da letto.
"Almeno ha avuto la decenza di presentarsi" aggiunse Zoey.
Nick abbozzò un sorriso. "Non c'è bisogno che..."
"No, è importante." Zoey versò il disinfettante sul fazzoletto. "Potresti trasformarti."
Nick pensò subito alla donna sul tetto. "Ero in compagnia di una ragazza, ma..."
Zoey lo fissò, rattristita. "Mi dispiace..."
"No, non è quello che pensi. Non la conoscevo. È stata morsa dal suo ragazzo. Poi si è trasformata. Non subito, ma dopo cinque o dieci minuti."
"L'hai uccisa?"
"No. È caduta dal tetto."
Zoey non rispose subito. "Basta un graffio, anche piccolo, e diventi uno di loro."
"Uno zombie?"
"Così li chiama mio fratello."
"Quindi mi capiterà la stessa cosa?" chiese Nick, sconvolto.
"No, amico" rispose Joey, uscendo dalla camera da letto. "Serve un morso, un graffio. Solo così ti infetti e ti trasformi." Poi si rivolse a sua sorella. "Anche se usi quella roba, non è infetto. Non sprecare il disinfettante. Può servirci in futuro. E poi non sappiamo se funziona."
Zoey lo ignorò e posò il fazzoletto sulla ferita di Nick, che ritrasse la testa per il bruciore.
"La mia amica Olga non è stata morsa" disse Zoey. "Eppure è diventata una di loro, Joey."
"Te l'ho già ripetuto. Quello zombie le ha vomito addosso. L'hai visto anche tu. Credo che il vomito funzioni come un morso. Forse anche a contatto con il sangue, ma non ne sono sicuro."
Nick non capiva come Joey sapesse tutte queste cose. "Sei un medico?"
"Qualcosa di simile" sorrise Joey.
"È uno scienziato. Lavora per l'Umbrella" disse Zoey.
"C'è bisogno di dirlo a tutti?"
"Che c'è di male? Ti vergogni?"
"E che non mi piace che gli altri sappiano ciò che faccio."
"Come se ci fosse qualcosa di male. Sei persino uscito in tv perché sei stato il primo scienziato giovane della compagnia. Cos'è che avevi vinto quella volta?"
Joey si accigliò, risentito. Restò in silenzio.
"Come sai che basta un morso per trasformarsi?" domandò Nick.
"Lo so è basta." Tagliò corto Joey, che tornò nella camera da letto.
"Tipo simpatico mio fratello, non è vero?" sorrise Zoey, posando il fazzoletto sul basso tavolino. "Comunque, mi chiamo Zoey Silver."
"Nick Layers."

Un violento boato si levò nel cielo e gli zombie barcollarono lontano dall'auto di Pete e Megan che, increduli, li guardarono andare via. Aveva creduto fino all'ultimo che sarebbero morti, invece ora potevano fuggire, salvarsi.
Pete afferrò la mano di Megan. "Andiamo!"
Uscirono in tutta fretta dall'auto e corsero dalla parte opposta in cui andavano i non-morti. Appena svoltarono l'angolo, una finestra di una palazzina esplose lanciando detriti ovunque.
Pete e Megan si nascosero dietro una macchina.
Una colonna di fumo nero si levò dallo squarcio infuocato e un corpo in fiamme volò giù, schiantandosi sul tettuccio di un furgone. Provò ad alzarsi per un momento, poi smise di muoversi.
Quando i due uscirono da dietro la macchina, un gruppo di non-morti sbucò da un vicolo e marciò verso un negozio di fiori. Ne uscì un ragazzo inseguito da un uomo con in mano un'ascia insanguinata.
"Aiuto!" gridò il ragazzo.
"Vieni qui! Dobbiamo restare insieme per sopravvivere" urlò l'uomo con una risata sinistra.
Il ragazzo serpeggiò fra i veicoli imbottigliati, quando una mano putrida, uscita da sotto un auto, lo afferrò per una caviglia e lo fece cadere a terra. Subito cercò di districarsi dalla presa, tempestando di calci lo zombie, che cercava di mordergli la gamba. "No, no, no! Lasciami andare! Lasciami andare!"
L'uomo lo raggiunse e osservò la scena divertito. "Visto? Dobbiamo stare insieme. Te lo avevo detto, ma tu non vuoi ascoltarmi." Sollevò l'ascia e la calò sulla gamba del ragazzo, tranciandola di netto. Lo zombie affondò i denti nell'arto amputato, il sangue che fiottava dalla ferita. Il ragazzo era talmente scioccato, che non riuscì nemmeno a gridare.
"Una gamba in più, una in meno, cosa vuoi che sia?" rise l'uomo, appoggiando l'ascia su una spalla.
Pete e Megan erano scoinvolti.
"Bastardo!" disse tra i denti Megan. "Dobbiamo fare qualcosa."
"Cosa vuoi che faccia?" rispose Pete. "Ha un'ascia."
Lei lo guardò in malo modo. "Tu sei un poliziotto! Non dovresti startene fermo a guardare. Dovresti fare qualcosa. Dovresti intervenire. Non hai fatto altro che evitare di aiutare la gente."
Pete non voleva mettere a rischio la propria vita per gli altri. Non voleva e non poteva farlo. Doveva pensare a Megan, difenderla dagli zombie. Non poteva permettersi di morire e lasciarla da sola. Era una cosa inconcepibile. Ma sapeva che Megan aveva ragione. Lui era un poliziotto. Aveva fatto un giuramento, e quel giuramento andava mantenuto.
Si alzò e si diresse verso l'uomo girato di spalle, che si voltò casualmente nella sua direzione. Sorrise. "Ah, bene. Ho trovato già un rimpiazzo."
"Che cosa hai fatto?" gridò Pete. Megan scattò da un veicolo all'altro, finché giunse alle spalle dell'uomo e si chinò sul ragazzo che aveva perso conoscenza. Lo zombie non si accorse di lei, preso com'era dal divorare la gamba amputata.
L'uomo imbracciò l'ascia insanguinata. "Chi? Io?"
Pete lanciò un'occhiata intimidita all'arma. "Sì, tu. Ti ho visto! Hai tranciato la gamba a quel ragazzo."
"Sei sicuro di vederci bene?" chiese l'uomo, divertito.
"Sono un poliziotto."
L'uomo lo guardò serio per un po', poi scoppiò a ridere. "Sai quanto cazzo mi frega che sei un fottuto sbirro?" Lo fissò negli occhi per un attimo. "Un fottuto cazzo!" Si voltò verso il ragazzo e vide Megan. "E tu chi cazzo sei?" sorrise. "Sai, hai un bel collo. Chissà se riesco a tagliarti la testa con uno solo colpo. Proviamo!" Quando sollevò l'ascia, Pete gli sferrò una forte spallata, che lo mandò sul cofano di un'auto.
L'uomo si girò, infuriato.
Megan si precipitò dietro le spalle di Pete, spaventata.
"Non dovevi farlo" disse l'uomo dal viso arrossato. "Non dovevi!" Corse verso Pete con l'ascia sollevata sopra la testa e gli sferrò un fendente dopo l'altro, facendolo indietreggiare. Quando Pete urtò con la schiena alla portiera di una macchina, l'uomo si fermò. "Bene, bene" disse con un sorriso inquietante. "Ora sei fottuto!" Appena sollevò l'ascia, restò paralizzato in quella posizione per un attimo, gli occhi fissi e vacui. Poi l'arma gli scivolò di mano e crollò al suolo.
Pete era confuso.
"Stai bene?" domandò una voce da donna.
Pete si tastò il corpo come se volesse esserne certo. Annuì e si guardò intorno.
Una donna sbucò da dietro una macchina. Indossava lunghi stivali marroni, una corta gonna nera, una maglietta azzurra senza maniche e una felpa bianca legata alla vita. I corti capelli castani le ricadevano lungo il viso ovale fino a toccare il mento. Si fermò, posando una mano sul fianco. "Credo sia morto." Indicò il ragazzo, con la pistola.
Pete era sicuro di averla già vista. Aveva un viso familiare.
Megan si chinò su di lui. "Forse... forse possiamo aiutarlo. Portiamolo all'ospedale."
Pete fissò prima la donna, poi la sua fidanzata. Quando fece per allontanarla dal corpo, il ragazzo le afferrò un braccio e un colpo di pistola risuonò fra i palazzi. Il non-morto fu centrato in mezzo alla fronte.
"Un consiglio" disse la donna. "Tenetevi alla larga dalle persone morte da poco."
Megan la guardò, confusa.
"Ti conosco?" chiese Pete.
La donna lo squadrò per un momento. Anche per lei Pete aveva un viso familiare. "Forse."
"Come ti chiami?"
"Jill Valentine."

Marvin restò accanto al corpo di Tasha per un'ora. Non sapeva cosa fare. Dwayne gli aveva detto che sarebbe tornato subito, invece era scomparso. Lo aspettò per un'altra mezz'ora, quando in fondo al vicolo, alle sue spalle, sbucarono una decina di zombie. Non era sicuro del perché fossero lì. Che l'avessero sentito?
Non se la sentiva di abbandonare Tasha e Dwayne, ma rimanere sulla scala antincendio era un invito per i non-morti.
Prese con un braccio il corpo leggero della bambina e con l'altra scese la scala. I non-morti si stavano avvicinando. Adesso capiva perfettamente che per qualche strana ragione avevano percepito la sua presenza.
S'incamminò lungo il vicolo e svoltò a destra. Una serie di piccoli garage correvano alla sua sinistra. Poco distante, nello spiazzo, una ventina di zombie. Vacillavano tra una saracinesca e l'altra, lasciando libero il basso muretto di destra. Lanciò una rapida occhiata intorno, aspettandosi di scorgere il cadavere di Dwayne, ma c'era solo sangue, arti mozzati e mangiucchiati e un carrello della spesa con delle provviste.
Gli zombie alle sue spalle avevano accorciato le distanze. Alcuni sembravano muoversi molto più velocemente rispetto agli altri. Erano quelli trasformati da poco, con il sangue ancora caldo.
Ora era bloccato tra i due gruppi.
Raggiunse il basso muretto, lo scavalcò e lo seguì. Gli zombie davanti lo videro e barcollarono verso di lui, alcuni strisciando a terra sui gomiti. I gemiti riempirono l'aria, sovrastato da qualche solitario sparò in lontananza.
I non-morti che aveva visto sulla scala antincendio, girarono l'angolo e si diressero verso di lui.
Mentre Marvin camminava spedito senza guardarsi alle spalle, gli zombie raggiunsero il basso muretto. Quando arrivò alla fine del vicolo, sbarrò gli occhi. In strada, alla sua destra, un esercito di non-morti. Era così numeroso da sembrare infinito. L'odore nauseante di putrefazione lo investì in pieno e si coprì il naso con una mano. L'orda non si era accorta di Marvin. Marciavano fra i veicoli incolonnati lungo la strada, una via ampia, affiancata da negozi e condomini. Oltre le loro teste putride, un bagliore rossastro illuminava l'orizzonte. Fumi neri oscuravano la volta stellata.
Marvin si diresse alla sua sinistra e si tenne raso tra il marciapiede e la parete. Continuò con passo incalzante, finché si fermò e prese Tasha con l'altro braccio. Quello destro gli si era intorpidito.
I non-morti uscirono dal vicolo, attirando l'attenzione degli ultimi zombie dell'orda, che si staccarono e li seguirono.
Dieci minuti dopo, Marvin si fermò davanti a un grosso incidente. Un camion si era schiantato contro l'angolo di un edificio e il rimorchio che trasportava propano era esploso. Un grande cratere si era aperto ai suoi piedi e una parete di fuoco sbarrava la strada coperta da un cumulo di detriti. Marvin non sapeva cosa fare. Si voltò. Un centinaio di zombie vacillavano nella sua direzione e bloccavano la via da un marciapiede all'altro.
Marvin si guardò intorno con fare agitato e scorse uno stretto vicolo recintato con un cancello di ferro. Lo raggiunse e girò la maniglia. Era chiuso.
Gli zombie si stavano avvicinando.
Guardò il viso freddo di Tasha. Non sapeva nemmeno perché se la portasse dietro. Forse perché le ricordava sua figlia? Stava bene? E sua moglie? Mandò via i pensieri negativi. "Stanno bene" si disse. "Stanno bene."
Sferrò un calcio al cancello di ferro, ma non si aprì.
Gli zombie erano a venti metri. Lanciò uno sguardo disperato lungo le finestre del primo piano. Erano tutto chiuse. Nessuno lo guardava, nessuno poteva aiutarlo. Provò ancora una volta a sfondare la porta con un calcio, ma perse l'equilibrio e Tasha ruzzolò a terra. Scattò in piedi e la prese in braccio.
I non-morti allungavano le mani verso di lui, i più veloci cercavano di scavalcare i più lenti davanti.
Uno zombie lo afferrò per un braccio, ma lui gli tirò un calcio nello stomaco e lo fece cadere sugli altri. Poi si appiccicò con le spalle contro il cancello di ferro. Era finita, lo avevano circondato. Pensò a sua figlia, a sua moglie, quando il cancello si spalancò di colpo. Marvin indietreggiò, perdendo quasi l'equilibrio. Quando si voltò, vide il volto di uomo sulla cinquantina, mezzo stempiato. Indossava una tuta da meccanico macchiata di olio e grasso. Quello sparò un colpo alla testa del non-morto alle spalle di Marvin. Il corpo bloccò l'accesso per un momento.
"Dai, che aspetti? Vieni con me!" disse l'uomo.
Lo seguì nello stretto vicolo, salirono una scala e proseguirono lungo una passerella che serpeggiava attraverso gli edifici. Si fermarono davanti a una finestra e ci entrarono dentro. L'uomo lo aiutò a posare il corpo di Tasha sul pavimento.
Si trovavano in un piccolo magazzino, in mezzo a casse, motori, gomme di varie dimensioni e alti scaffali pieni di scatoloni. La luce di un lampione filtrava attraverso le polverose finestre rettangolari poste in alto sulle pareti.
"Stai bene?" chiese l'uomo.
"Sì, grazie per avermi aiutato" rispose Marvin. "Se non fosse stato per te..."
"Sono Benjamin Mahone."
"Marvin Branagh."
"Scusami se non ti do la mano, ma..." sorrise Benjamin, mostrando i palmi neri e incalliti. "Sono sporche."
"Non preoccuparti."
Lo sguardo rattristito di Benjamin si posò su Tasha. "È tua figlia?"
"No, era la figlia di un uomo che ho conosciuto prima di incontrarti."
"E dov'è? È ancora vivo?"
"Non lo so. Voleva seppellirla... L'ho aspettato per più di un ora, ma non è più tornato. Non... non sono riuscito a lasciarla lì."
"Qui dietro c'è un giardino. È recintato da un muro. Possiamo seppellirla lì."
"Grazie. Per lui è importante." Sapeva che Dwayne voleva seppellirla insieme alla moglie, ma lui non si era più fatto vedere. Questa sarebbe stata una degna sepoltura. Se lo avesse rincontrato di nuovo, gli avrebbe detto dove trovare la figlia per spostarla. Più di così non poteva fare. La promessa l'aveva mantenuta, in parte.
Benjamin restò in silenzio per un po'. "È così dappertutto?"
Marvin non lo sapeva. Aveva sperato che Benjamin potesse dirgli di più. "Non lo so. Le strade da cui sono passate erano piene di quelle cose."
Benjamin iniziò a fare avanti e indietro nella stanza con fare preoccupato. "Sai, ero chiuso nella mia officina quando è iniziato tutto questo. Avevo sentito le grida, gli spari. Pensavo fosse opera di qualche banda o di quelle... di quelle rivolte, sai. Quelle che succedevano un po' ovunque in città. Beh, ho fatto l'errore di aprire la saracinesca e..." Fece una pausa. "È stato un massacro..." Chinò la testa. "Tutti i miei dipendenti sono morti. Io sono l'unico sopravvissuto." Abbassò lo sguardo, afflitto dai sensi di colpa. "Non sono fiero di quello che ho fatto. Non dovevo aprire quella dannata saracinesca... Non dovevo..."
Marvin si limitò a guardarlo.
Benjamin restò in silenzio per un momento. Poi guardò Tasha. "Portala in giardino. È oltre quella porta. Vado a prendere la pala."
Marvin prese in braccio Tasha e uscì dalla stanza. Seguì una corta passerella, scese una scala e proseguì nel in giardino, cinto da un muro di cemento alto tre metri. Posò il corpo ai piedi di un albero mezzo spoglio, circondato da foglie ingiallite su cui cresceva qualche ciuffo d'erba. La luce di un lampione illuminava debolmente l'ambiente. Guardando il viso pallido della bambina, si ricordò nuovamente di sua figlia e di sua moglie. Ormai gli era difficile distaccarsi dall'idea che potevano essere morte, ma non voleva crederci. Non poteva essere così.
"Eccomi" disse Benjamin, scendendo la scala. "Vuoi metterla lì?"
"Sì, se per te va bene" rispose Marvin.
Benjamin annuì e conficcò la pala nel terreno duro, cominciando a scavare.
"Dove hai imparato a sparare?" domandò Marvin.
"Anni fa facevo parte di una gang." Si fermò un attimo, mostrandogli un tatuaggio sul polso. Un cinghiale con delle zanne minacciose. "È un po' sbiadito perché ho cercato di... di toglierlo. Poi tra una cosa e l'altra, me ne sono dimenticato." Riprese a scavare. "È un stato un brutto periodo della mia vita. Mi sono beccato dieci anni per traffico di droga. Facevo la guardia ai corrieri che trasportavano la merce. Un giorno una gang rivale ha cercato di fregare il carico. C'è stata una sparatoria. Poi gli sbirri sono arrivati e ci hanno messo in gabbia. Mi hanno beccato mentre tagliavo per i boschi. Alla fine me ne sono tirato fuori. Tu, invece, cosa fai per vivere?"
"Sono un polizotto. Un tenente della polizia."
Benjamin si fermò e abbozzò un sorriso. "È una bella coincidenza. Un ex membro di una banda e un tenente della polizia. Sembra l'inizio di una barzelletta." Ritornò a scavare. "Magari sei stato tu ad arrestarmi?"
"Non credo. Molti anni fa mi occupavo di rapine e cose così. Mai stato nella narcotici."
Benjamin si asciugò il sudore dalla fronte. "Ora mi spiego perché ti sei trascinato dietro la bambina. Per te servire e proteggere è importante. Altri l'avrebbero abbandonata."
Marvin restò in silenzio per un po'. "Riposati. Continuo io."
L'uomo fu ben lieto di dargli la pala. Il terreno era duro e pietroso, difficile da scavare. "Eri diretto da qualche parte?"
"Sì, al dipartimento. Lì abbiamo i mezzi per difenderci da quelle cose."
"Quindi avete allestito un avamposto per i superstiti?"
Marvin affondò la pala nel terreno. "Non lo so. È accaduto tutto così rapidamente... In strada ho visto dei posti di blocco della SWAT. Suppongo che lo abbiano fatto anche lì."
Benjamin non sapeva se dirgli quanto aveva da dire. "È meglio tenersi alla larga da quei posti."
"Ho visto anch'io cosa fanno."
"Allora puoi spiegarmi perché sparano alla gente?" chiese Benjamin, turbato. "Sei un poliziotto, no? Immagina che tu sappia il perché."
"Hanno tentato di sparare anche me."
Benjamin corrugò la fronte, perplesso. "Se vuoi arrivare al dipartimento, devi superare due posti di blocco. Sono tutti invasi dai non-morti. Non sarà semplice arrivare lì."
"Tu non verrai?"
Benjamin si guardò intorno con fare nervoso. "Beh... A dire la verità non lo so. Voglio dire, ho visto cosa hanno fatto gli SWAT. Non vorrei venire con te e poi ritrovarmi con una pallottola in fronte. Ci tengo ancora al mio culo." Fece un mezzo sorriso, nervoso.
Marvin smise di scavare e diede la pala a Benjamin. "Ti capisco. Neanche io mi fiderei, se fossi in te." Si pulì via la polvere dai pantaloni. "Non so perché la SWAT abbia agito in quel modo, ma lì sarai al sicuro. Ci sono altri agenti che possono proteggerti, e poi sai sparare. Magari ci saranno altri sopravvissuti. Potresti aiutarci."
Benjamin rifletté per un po'. "Anche i poliziotti potrebbero agire come gli SWAT, non credi?"
"No, conosco tutti in centrale. Nessuno sparerebbe ai civili. Nessuno."
L'uomo prese in braccio Tasha e la trasferì delicatamente nelle braccia di Marvin, che l'adagiò nella buca. Poi lo aiutò a tirarsi su.
Benjamin si fece il segno della croce e mormorò una preghiera.
Marvin afferrò la pala e ricoprì la fossa di terra, chiedendosi se le due donne più importanti della sua vita fossero ancora in vita?

   
 
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