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Autore: Zikiki98    15/02/2022    0 recensioni
- Avevo iniziato a scrivere questa storia qualche anno fa, lasciandola incompleta. La sto modificando e sto aggiungendo delle parti per renderla più piacevole e completa. Potete trovarla sia su Wattpad sia qui su Efp. I primi 9 capitoli li ho pubblicati tutti insieme, in modo che la storia segua lo stesso ritmo della pubblicazione su Wattpad. Spero vi piaccia -
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E se Bella provenisse da un mondo diverso da quello in cui siamo abituati a vederla?
Dopo la battaglia terrificante contro i demoni, avvenuta circa cento anni fa, non si è più sentito parlare di Shadowhunters, ovvero, di Cacciatori di Demoni. Da quella strage di Nephilim, tutte le creature del mondo invisibile, vale a dire vampiri, licantropi, maghi e fate, hanno creduto che si fossero estinti.
E se non fosse così? E se si fossero solo nascosti?
I demoni stanno ripopolando il mondo e la vita, non solo degli esseri umani, ma anche delle creature mitologiche presenti nelle favole dei bambini e nei racconti terrificanti degli adulti, è a rischio.
Chi li manda? Come possono uscire dalla loro dimensione? La terra potrà tornare ad essere un pianeta "sicuro"?
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Instagram: _.sunnyellow._
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FanFiction su Twilight e Shadowhunters.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clan Cullen, Edward Cullen, Emmett Cullen, Isabella Swan, Quileute | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


18. “Clair De Lune”
 
- Sei totalmente certo che sia questo l’indirizzo? – domandai a Stephan, mentre scendevo dalla moto.
- Certo – rispose, togliendosi il casco, ma restando in sella al suo mezzo – Me lo ha scritto Emmett per messaggio -.
Lo guardai sorpresa, da dietro la visiera– Ti scrivi con Emmett? -.
Sbuffò – Ovvio, siamo amici! -.
Era un giovedì di inizio novembre e ci trovavamo fuori casa dei Cullen, anche se non ne ero totalmente certa. Sicuramente era un pregiudizio bello e buono, ma di certo non mi aspettavo di trovarmi davanti ad una casa del genere. Non so perché, ma istintivamente, mi immaginavo una specie di grande castello in pietra, tetro e influenzato dall’arte gotica. Magari, vicino ad un cimitero.
Invece, quello che mi trovai davanti fu totalmente inaspettato: la casa era moderna e dava sulle montagne. Era situata precisamente tra il bosco e una stradina asfaltata, probabilmente sfruttata solamente dalla famiglia Cullen. Era molto grande e strutturata almeno su quattro livelli. Aveva delle ampie vetrate e, poco distante, ci doveva essere un ruscello, perché riuscivo a sentire la delicata musica che creava l’acqua quando si scontrava con le rocce. Se anche la loro casa si trovava vicino al fiume Calawah, probabilmente le nostre abitazioni erano vicine.
- Benvenuti – urlò Emmett, cogliendoci totalmente di sorpresa.
Quando mi volai, vidi che si trovava in veranda, accanto alla porta di ingresso. Indossava una semplice maglietta a maniche corte e un paio di pantaloncini da basket, abbigliamento che risaltava decisamente la sua stazza e i suoi muscoli.
- Ehi! – gridò di rimando Stephan, felicissimo di vedere il suo amico – Come stai, gigante buono? -.
L’altro scoppiò a ridere – “Buono”, è ancora tutto da vedere – rispose con una certa punta di malizia – Non avrò alcuna pietà in questa partita -.
Dopodiché, si voltò nella mia direzione e mi disse – E tu Isabella? Hai paura che ti cada un meteorite in testa? -.
- Perché? – domandai confusa.
Sorrise divertito incrociando le braccia al petto – Stai indossando il casco sulla terra ferma -.
Gli lanciai un’occhiataccia che sicuramente aveva notato anche da sotto la visiera. Slacciai subito il casco e me lo sfilai dalla testa, posizionandolo poi sotto al braccio sinistro. Spostai meglio lo zaino sull’altra spalla e mi incamminai verso l’ingresso della casa, salendo lentamente gli scalini, mentre Emmett dava istruzioni a Stephan su come parcheggiare la moto nel vialetto in sicurezza.
Mentre mio fratello terminava di fare le sue manovre, Emmett ne approfittò per cercare di fare due parole con me.
- Allora? Come te la passi, Scricciolo? – chiese, con un’aria decisamente troppo divertita per i miei gusti.
Inspiegabilmente, quel soprannome, mi procurò un brivido lungo la schiena. Nessuno mi aveva mai chiamata in quel modo, eppure non mi sembrava nuovo. Sentivo di avere un ricordo a riguardo, ma non lo riuscivo a ricollegare a nessun cassetto della mia memoria.
Cercai di fare finta di niente - Tutto bene, finché non mi hai chiamata “Scricciolo” -.
Scoppiò a ridere in una fragorosa risata – Dai, non essere permalosa -.
Nonostante gli arrivassi all’altezza dei pettorali, non ebbi alcuna esitazione nello scoccargli un’occhiata da dura – Non sono permalosa -.
Emmett captò la provocazione e non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto – Sento aria di sfida -.
Non staccai neanche per un secondo lo sguardo dal suo – Quando e dove vuoi -.
Il vampiro in questione fece per ribattere, quando qualcuno lo interruppe.
- Emmett, potresti, per favore, lasciare in pace la mia ospite – disse la voce soave di Edward, con una certa serietà.
Mi voltai immediatamente. Si trovava esattamente davanti alla porta d’ingresso, in tutta la sua bellezza. I capelli rossicci erano più spettinati del solito. Indossava un maglione blu, che donava particolarmente alla sua carnagione così chiara, un paio di pantaloni morbidi color beige e delle scarpe marroni molto eleganti, che in realtà utilizzava anche per venire a scuola.
Emmett, dopo essere stato ripreso da Edward, si placò immediatamente e raggiunse mio fratello che, in quel momento, stava controllando la carrozzeria della moto.
- Benvenuta – sorrise cordialmente Edward, aprendo la porta d’ingresso – Entra pure -.
- Grazie – accennai timidamente, mentre varcavo la porta d’ingresso.
Come mi aspettavo, avendo visto l’esterno della casa, l’arredamento interno era contemporaneo e non mi deluse. Era tutto molto elegante e allo stesso tempo, moderno. In salotto c’era un ampio divano in pelle bianca, con diverse poltrone abbinate. Posizionato in mezzo, su un tappeto persiano, si trovava un tavolino di vetro e, al centro della parete, era appesa la tv a schermo piatto, proprio davanti al divano. Inoltre, non si poteva non notare, in un angolo del salotto, vicino alle scale che conducevano al piano superiore, un pianoforte a coda bianco latte. Appena lo vidi mi paralizzai. Restai totalmente incantata a guardarlo e, non me ne resi nemmeno conto ma, come ipnotizzata, cominciai a camminare in quella direzione, dimenticandomi addirittura della presenza di Edward, che naturalmente stava studiando ogni mia mossa.
Una volta che fui davanti a quel bellissimo strumento, non potei fare a meno di sfiorarlo delicatamente con le dita. Ero totalmente estasiata.
Sentii i passi di Edward avvicinarsi a me, mentre io giravo lentamente intorno al pianoforte per poterlo ammirare completamente.
- Ti piace il pianoforte? – chiese Edward, notando questo mio interesse spropositato.
Alzai lo sguardo verso di lui e, riuscii a pensare che, probabilmente, quella era per la prima volta che vedeva un sorriso sincero e limpido sul mio viso. Non era una semplice smorfia di circostanza, ma era incontenibile e contagiava persino gli occhi. Insomma, si poteva facilmente capire che era creato da un’emozione vera.
- Questo strumento meraviglioso è tuo? – domandai, strabiliata.
Vidi lo sguardo di Edward illuminarsi come non mai, sempre più stupefatto – Sì, me lo hanno regalato i miei genitori, Carlisle e Esme -.
- Wow, devi proprio essere un figlio modello – ipotizzai, e il ragazzo non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
- Per la maggior parte del tempo, diciamo di sì – rispose poi, quando si calmò, ma decisamente mantenendo il buon umore – Sai suonare? -.
- Suonavo, quando ero più piccola – risposi brevemente e cambiai subito discorso – Ti andrebbe di suonare qualcosa? È da tantissimo che non ascolto la musica di un pianoforte dal vivo -.
Edward sembrava quasi imbarazzato dalla mia richiesta, ma mi accontentò. Si accomodò sul seggiolino, in tinta al pianoforte, e mi invitò a fare altrettanto. Con un po’ di incertezza, mi sedetti accanto a lui. Eravamo estremamente vicini, tanto che riuscivo a percepire il freddo che emanava il suo corpo. Il cuore mi batteva all’impazzata per la strana energia che si era creata tra di noi. Poi, con una delicatezza disarmante, appoggiò le sue dita lunghe e affusolate sui tasti dello strumento, e cominciò a suonare.
La melodia risuonava in tutta la sala e, probabilmente, anche nel resto della casa. Era estremamente dolce e armoniosa, e ad un certo punto la riconobbi. Era una delle canzoni che mia madre mi suonava sempre al pianoforte quando era ancora in vita. Dopo quella personale rivelazione, il petto mi si strinse in una morsa e la malinconia prese il sopravvento.
Quando Edward finì di suonare non mi ero nemmeno resa conto che, dopo anni che non accadeva, le mie guance si erano inumidite per le lacrime. Mi ero commossa, per la prima volta in tutta la mia vita.
- Non ti è piaciuta? – chiese allarmato.
- Era “Clair De Lune” – dissi, guardandolo negli occhi, sorridendo tra le lacrime.
Il suo sguardo tornò nuovamente stupito – Conosci Debussy? -.
- Mia madre lo adorava, era il suo compositore preferito – risposi – Grazie per aver suonato, sei davvero bravissimo -.
Ignorò il mio complimento – Il motivo per cui stai piangendo, riguarda lei? -.
- Non sto piangendo – mi difesi, asciugandomi le lacrime – Mi sono solamente commossa, perché avevamo questa passione per la musica in comune -.
- Stai parlando al passato, però – constatò, con preoccupazione.
Sorrisi, quasi con imbarazzo, cercando di deviare il discorso – È storia vecchia e complicata -.
- Puoi parlarmene se ne senti la necessità – si offrì dolcemente, facendomi un sorriso rassicurante, come per incoraggiarmi.
Era semplicemente curioso. Curioso di saperne di più su di me e sulla mia vita, come io lo ero di lui. Avevo un sacco di domande da fargli, ma prima lui doveva rivelarmi la sua vera natura. Anche se lui di certo era a conoscenza del fatto che io sapessi a che specie appartenesse insieme a tutta la sua famiglia, questo non voleva dire che avrei fatto io il primo passo o che lo avrei costretto a “smascherarsi”. Volevo tentare di rispettare i suoi tempi. Se non cominciavo a fidarmi di lui e ad aprimi, per quanto possibile, lui non avrebbe mai fatto altrettanto con me. E inspiegabilmente, a quel punto, desideravo che Edward si fidasse di me.
Presi un respiro profondo e iniziai a parlare, con voce tremante - Quando ero piccola, molto piccola, passavo molto tempo con mia madre. Lei suonava benissimo il piano e mi ricordo che ci passavamo pomeriggi interi. Nel suo repertorio, Debussy non mancava mai e il suo componimento preferito era proprio “Clair De Lune”. Fu la prima canzone che imparai a suonare, lei era una maestra eccellente – presi un respiro e continuai - Quando poi è morta, quando entrambi i miei genitori sono morti, questo componimento per me è diventato una specie di commemorazione, qualcosa che mi aveva regalato prima di andarsene e che mi avrebbe aiutata a non dimenticarla mai. E direi che ha funzionato -.
Edward restò in silenzio a guardarmi per qualche secondo, con un’espressione cupa sul viso, prima di ricominciare a parlare – Come è successo? -.
Sentii la sua mano gelida, appoggiata al seggiolino, avvicinarsi leggermente alla mia, come per sfiorarla. Non mi tolsi da quel lieve contatto e, con la mente, tornai indietro a dieci anni prima.
 
Ad Alicante era un pomeriggio d’estate qualunque. Eravamo tutti e quattro insieme nel giardino della nostra casetta vicino al bosco e, come noi, tante altre famiglie di Cacciatori si stavano divertendo all'aria aperta, giocando a palla o semplicemente chiacchierando un po' in veranda.
Io ero seduta sull'erba verde del nostro prato, dando le spalle a mia madre, che in quel momento mi stava facendo una lunga e grossa treccia.
Papà e Sebastian invece, che si catturava sempre tutte le attenzioni del primo, stavano giocando a pallone con una palla fatta di stracci, rilegati insieme da una composizione di nodi, assumendo così una forma un po' più ovale rispetto a quelle che utilizzavano i mondani, ma per loro era perfetta.
Ci stavamo godendo quella bella giornata di sole, tutti quanti, quando ad un certo punto, verso sera, da lontano, le torri anti-demoni diventarono rosso fuoco e iniziarono a lampeggiare, in segno di pericolo.
Qualcuno aveva abbattuto le difese di Idris ed era riuscito ad entrare.
Mamma e papà ci ordinarono, come fece qualsiasi altro genitore con i propri figli in quell’immediato istante, di correre dentro casa e di non muoverci di lì. Sguainarono le loro spade angeliche dai foderi delle loro cinture e si misero in posizione d’attacco. A noi spettava solamente eseguire gli ordini, ma eravamo dei piccoli coraggiosi e non volevamo lasciarli a combattere da soli. Perciò, ci nascondemmo sul portico di casa, tra le strette ringhiere in legno, in modo da poter guardare ciò che sarebbe successo, convinti di poter intervenire in qualsiasi momento per proteggere la nostra mamma e il nostro papà.
Dopo qualche secondo iniziarono a vedersi i primi demoni. Quella fu la prima volta che li vidi e, fin da subito, provai un senso di repulsione nei loro confronti.
All'inizio, mamma e papà se la cavarono bene, poi però, un demone più intelligente rispetto agli altri si accorse della nostra presenza e ci puntò, distraendo i nostri genitori. Noi, di conseguenza, ci mettemmo ad urlare, attirando l'attenzione di nostra madre che si posizionò tra noi e il demone, combattendolo da sola.
Ma non ce la fece: quel mostro di due metri, dopo essere stato accoltellato due volte, addentò per il busto nostra madre, facendola urlare tremendamente di dolore, la lanciò in aria, per poi farsela cadere perfettamente nell'enorme bocca che si ritrovava.
Io e mio fratello, dopo aver visto quella scena, ci immobilizzammo come due statue, totalmente paralizzati. Non ci eravamo messi a piangere, non avevamo urlato, non eravamo andati incontro al demone per dirgliene quattro e farci restituire nostra madre, eravamo rimasti semplicemente sotto shock.
Anche nostro padre, che aveva assistito a tutta la scena, si bloccò immediatamente ma, quando si accorse che, dietro di lui qualcuno era pronto ad attaccarlo, ormai era troppo tardi. Non fece in tempo a concludere nessuna mossa che il demone gli aveva già staccato la testa.
Quel prato, come tutto il resto d’Alicante, non aveva più niente di verde: ormai era ricoperto da litri di sangue, sia rosso che nero. E un pomeriggio d’estate qualunque, diventò il giorno dell’Attentato.
 
Socchiusi gli occhi e scossi la testa, nel tentativo vano di smettere di pensare all’unico ricordo dei miei genitori che, purtroppo, ricordavo più chiaramente.
Decisi di rispondergli, ma restai comunque sul vago – Sono stati assassinati e noi eravamo presenti -.
Lo sentii sussultare, probabilmente non se lo aspettava. Ero sicura di averlo colpito con le mie parole, così dirette e distaccate.
La sua mano si spostò delicatamente sulla mia guancia, senza esitazione, estremamente dispiaciuto – Non avrei mai dovuto chiedere… -.
Aprii gli occhi all’istante davanti a quel gesto, ma non mi tirai indietro. Anzi, cogliendolo totalmente di sorpresa, appoggiai a mia volta la mano sulla sua, che mi stava ancora accarezzando.
Mantenendo il suo sguardo, lo rassicurai – Non ti preoccupare. Fortunatamente io e Sebastian siamo stati adottati dalla famiglia di Stephan e siamo riusciti ad avere un’infanzia normale -.
Un’infanzia normale, per due bambini che crescendo avrebbero dovuto vivere ammazzando demoni come se non ci fosse un domani, certo.
- Anche i miei genitori sono morti - disse improvvisamente con un tono che lì per lì non seppi decifrare, come se saperlo potesse aiutarmi a sentirmi compresa - molti anni fa, per una malattia mortale. Anche mia madre suonava il pianoforte e mi ha insegnato tutto ciò che sapeva. Mio padre l'amava molto - sorrise con mestizia - non ricordo molto di loro, ma la scena che mi è rimasta più impressa è quando mio padre tornava dai suoi lunghi viaggi di lavoro. Mia madre si arrabbiava tantissimo per la sua assenza, scossa dall'ansia per non aver ricevuto sue notizie per settimane magari, ma quando poi le mostrava il regalo che comprava puntualmente per lei, per farsi perdonare, tutta l'ira, l'ansia e l'agitazione scomparivano. Sempre. Non era tanto attaccata all'oggetto in sé, non le importava se era prezioso o meno, non era quel tipo di persona. Per lei il fatto di avere fra le mani il suo dono, era come avere la conferma che mio padre era riuscito a tornare a casa. Ancora una volta -.
Gli sorrisi dolcemente – Si dovevano amare davvero molto -.
- Sono il mio esempio d’amore vero e puro, insieme ad Esme e Carlisle – rispose guardandomi intensamente negli occhi – È quello a cui auspico -.
Involontariamente rabbrividii e sentii improvvisamente le guance calde. Stavo già inspiegabilmente arrossendo, reazione che mi capitava davvero molto raramente, per non dire mai.
Senza che nemmeno ce ne rendessimo conto, i nostri visi si stavano avvicinando sempre di più, tant’è che riuscivo a sentire il profumo del suo alito fresco e dolce. Il mio cuore stava battendo all’impazzata e penso che per la prima volta riuscii a sperimentare il concetto di “farfalle nello stomaco” di cui spesso avevo letto nei libri. Ero totalmente spaesata e in balia del momento, non mi era mai capitato di sentirmi così in tutta la mia vita. Non riuscivo più a negare di sentirmi attratta da Edward e, a vedere il suo atteggiamento nei miei confronti, forse pure lui provava qualcosa per me, anche se era tremendamente sbagliato. Appartenevamo a due specie troppo diverse che, nonostante gli Accordi, in quel momento erano rivali. Non era colpa nostra, non era colpa di nessuno, ma questa era la verità. Come se non bastasse, io avrei dovuto essere sotto copertura, cosa che ultimamente, non mi stava riuscendo per niente bene. Stavo andando contro a tutte le regole che ci aveva imposto il Conclave. Avevo stretto amicizia con un essere umano, mi piaceva un Nascosto che, per di più, insieme alla sua famiglia, avevano notato che non ero una Mondana qualunque.
Giusto un secondo prima che Edward potesse sfiorare le sue labbra con le mie, mi allontanai di scatto, alzandomi da seggiolino e mettendo un po’ di distanza tra i nostri corpi, cercando di smorzare l’attrazione che si era creata.
Mi asciugai totalmente le lacrime e, inscenando una sicurezza che in quel momento non mi apparteneva, dissi scherzosamente – Dovremmo cominciare a studiare e a buttar giù qualcosa. Non vorrei mai che mi accusassi di averti abbassato la media del corso -.
Edward, che era rimasto totalmente preso alla sprovvista dalla mia reazione improvvisa, cercò di non dare troppo a vedere la sua delusione e sforzò un sorriso – Puoi tentare quanto vuoi di sfruttarmi per alzare la media dei tuoi voti, tanto non te lo permetterò -.
Scoppiai a ridere, anche per scaricare un po’ di tensione, cosa che fece anche il mio compagno di studi.
- Dai, seguimi – aggiunse poi, nascondendomi le sue emozioni, facendomi un cenno verso le scale che conducevano al piano si sopra.
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[POV EMMETT]
 
– “Sono stati assassinati e noi eravamo presenti” – disse Isabella ad Edward.
Stavo palleggiando, mentre di nascosto ascoltavo la conversazione tra mio fratello e la sua compagna di studi.
Schivai Stephan, che stava cercando di bloccarmi il passaggio, e feci canestro subito dopo.
C’erano troppe somiglianze in questa storia per essere una coincidenza. Probabilmente potevo sbagliarmi, ma la sensazione di essere sulla strada giusta era troppo potente. E più Edward si interessava a Isabella, più avevo chance di andare scoprire la verità.
- Emmett? – mi richiamò Ste, con il fiato corto – Tutto ok? Perché sei lì fermo? -.
Non mi ero nemmeno accorto di essermi fermato esattamente sotto al canestro per riflettere, ma la possibilità che la persona che stavo cercando fosse proprio a casa mia in questo momento, viva e vegeta mi paralizzava. Se era davvero lei, era riuscita a sopravvivere all’Attentato, nonostante fosse stata così piccola.
- Sì, tutto ok – risposi ad un certo punto, correndo verso di lui per prendergli la palla – Ricominciamo. Abbiamo bisogno di allenarci, soprattutto tu -.
Stephan sbuffò e si mise in posizione di gioco.
 
 
Zikiki98
 
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Besos :-*
 
 
Mi dispiace se mi ci è voluto tanto per pubblicare, ma ho fatto due settimane di turno di notte consecutive che mi hanno sconvolto la vita.

 
  
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