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Autore: NPC_Stories    16/02/2022    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: Dira_
Genere: introspettivo, comico

Note: qui le strade di Dora e Rupert si allacciano a quella di Thrip'ad, simpatico goliath di Il mio nome è Thrip. Questa storia finisce, ma a breve ne inizierà una nuova. La loro.



Nuovi inizi. Nuovi incontri.



Waterdeep, Anno 1370. Inizio inverno.

Rupert era a Waterdeep.
Erano quasi sette anni che Dora non lo vedeva: mentre lei studiava come chierica al Tempio, il gemello era stato accolto dall'Ordine del Sole, monaci fedeli a Lathander che occupavano piccoli monasteri in giro per la Costa della Spada.
Rupert doveva essere arrivato in città per un motivo. Non gliel'aveva detto però, neppure in una delle strampalate lettere che ogni tanto le inviava. Era semplicemente arrivato.
Doveva capire perché. 
“Portatrice dell'Alba!” si sentì apostrofare alle spalle. Dora stava percorrendo uno dei lunghi corridoi che portavano all'uscita del Tempio, in senso opposto alla cattedrale.
E dato che era quasi il Tramonto, questo era per lei insolito.
“Risvegliato Alton…” saluto voltandosi con un sorriso gentile, automatico e comodo come indossare un paio di pantofole da camera.
Dora aveva vent'anni ed era un Cerimoniere dell'Alba da solo un anno, ma gli adepti più giovani la guardavano con ammirazione. Era una responsabilità, ma anche motivo di grande orgoglio.
Solo che in quel periodo era più che altro un fastidio, anche se non dipendeva dal giovane halfling che corse per raggiungerla. “Portatrice dell'Alba, la messa sta per iniziare!”
“Grazie Alton, ma stasera non parteciperò. Vi guiderà nei canti il Portatore dell'Alba Merric.”
“Sul serio?” gli occhi del ragazzino rifletterono delusione; corresse subito il tiro però. “Ah, certo! ” esitò. “Però prima di andare… ecco, avrei bisogno di parlarti.”
Dora era impaziente di prendere la via del Distretto del Campo, dove le era stato detto Rupert alloggiasse, ma Alton era uno degli adepti che le era stato affidato, ed era uno dei migliori, devoto, studioso… e oggettivamente adorabile con quegli enormi occhioni grigi. “Dimmi tutto.”
“Gli altri… beh, si dice in giro che partirai!” buttò fuori il ragazzino. “Raggiungerai la Portatrice dell'Alba Kethra?”
Dora inspirò.
Kethra era partita due anni prima da Waterdeep per unirsi ad una banda di avventurieri, anche se aveva mascherato la cosa come desiderio di fare proselitismo a Nord del Faerûn.
Era partita con lo stesso spirito che aveva da quando la conosceva; d'improvviso e senza dare troppe spiegazioni.
 
“Dai Dora, Waterdeep ha più chierici che un tempio il giorno della Canzone dell'Alba! Che differenza posso fare qui?”
“Puoi diventare Signore dell'Alba e nel frattempo fare del bene al tempio, in città. Volevamo farlo assieme!”
“Non è che se manco io il tempio crolla, eh!”

Sì, ma non è questo il punto.
Dora inspirò, cercando di sorridere al visetto preoccupato del giovane adepto. “Ti hanno detto bene… ma tornerò presto, non sarà un addio.”
Il ragazzino annuì rinfrancato. “Sono sicuro che tu e la Portatrice dell'Alba Kethra farete grandi cose assieme!”
Già. Se la trovo.
Perché Dora non avrebbe raggiunto Kethra; sarebbe andata a cercarla, dato che da mesi la disgraziata non dava più notizie di sé, quando le aveva promesso di mandarle una lettera ogni volta che si fosse fermata in un posto in grado di spedirle.
E mica se n'è andata nelle Terre dell'Orda.
L'ultima volta che le aveva scritto aveva detto di essere a pochi giorni di viaggio da Neverwinter, a Nord, ma di voler tornare presto a casa. E poi era sceso il silenzio.
Avrebbe già dovuto essere qui. Anche andando a piedi, anche fermandosi a celebrare riti e fare proseliti nei villaggi lungo la strada…
Kethra sarebbe dovuta tornare e non l'aveva fatto. La puntualità non era mai stato il suo forte, ma l'amica la conosceva bene: sapeva che se avesse tardato senza dirle niente si sarebbe preoccupata.
Le doveva essere successo qualcosa e Dora dubitava le cose sarebbero migliorate finché non l'avesse ritrovata; avrebbe dormito sonni tranquilli solo dopo averle tirato una sberla in quella faccetta da schiaffi - vado a godermi il mondo Dora! Ciao Ciao!
Avrebbe dormito serena soltanto dopo averla sgridata per averla fatta preoccupare a morte, soltanto dopo averla abbracciata, stretta a sé, ispirando il suo odore e sapendo che finalmente erano assieme, Kethra e Dora, Dora e Kethra, migliore amiche inseparabili da quando zia Jhessail aveva deciso di punire la giovane illuskan esiliandola nella camerata dei novizi…
Soltanto allora.
“Portatrice dell'Alba Dora?”
La vocetta di Alden la riscosse dai suoi pensieri. Si era di nuovo persa in rimuginii e da un po', da come stava venendo fissata in pura perplessità. “Vai Alden,” borbottò arruffandogli i capelli ricci, “Non far aspettare i tuoi compagni e Merric, che sei sempre in ritardo.”
“Buona serata! Che l'alba sia con te!”
“…si dice alla Prossima Alba,” sospirò divertita. Poi si voltò, e marciò fuori dal Tempio, tra le luci sfavillanti della città.
 
Il Quartiere dei Campi era un posto poco adatto ad una giovane chierica di Lathander.
Non perché fosse particolarmente pericoloso - c'erano posti ben più malfamati in città, come il Distretto del Porto, con la sua folla di tagliagole e ladri - ma la povertà che trasudava dalle meste casupole, dai pochi negozi e dall'assoluta mancanza di pulizia poteva essere un campanello d'allarme per chi girava letteralmente avvolto nell'oro e nell'argento.
Il simbolo del suo dio che le dondolava sul petto la rendeva però riconoscibile come un faro nella notte ed era un deterrente sufficiente. Persino i malintenzionati più disperati sapevano che le sarebbe bastato toccarlo per infondere magia alla punta delle sue dita.
Non che abbia preparato incantesimi offensivi…
Sperava non fosse necessario. Dopotutto doveva soltanto trovare suo fratello, che le avevano detto alloggiasse all'Endishift, una taverna al limitare del quartiere, famosa per avere un nutrito gruppo di avventori che faceva parte della Guardia Cittadina. Era un posto dilapidato e dalla pessima birra, ma relativamente sicuro.
Dora lo conosceva, ma non per sua volontà: Kethra ce l'aveva trascinata un paio di volte durante l'adolescenza, quando il desiderio di trasgressione diventava insopprimibile per la giovane illuskan e semplicemente dovevano uscire. Allora indossavano abiti qualunque, nascondevano il simbolo, e andavano in giro per la città a bere, cantare, danzare e giocare a dadi fino all'alba.
Era un miracolo non fosse loro mai successo niente. Un miracolo, e la parlantina di Kehtra.
Quei momenti erano lontani come un sogno. Com'erano i ricordi che aveva con Rupert.
Sembrava passata una vita elfica da quando lei e il suo gemello si cacciavano nei guai nei campi della fattoria o nelle infinite stanze della locanda di Krystel. Si sarebbero riconosciuti?
Dora varcò la porta cigolante della locanda e un mostruoso muro di suoni e voci la investì come un'onda.
Un ragazzo, vestito solo di un paio di pantaloni di tela ed una casacca, assolutamente inadatti per il clima ancora invernale, era in piedi sul bancone e stava facendo roteare una serie di boccali tra le mani, in piedi su una gamba sola come un fenicottero lunatico.
 
“AMMIRATE LA PERFEZIONE E IL CONTROLLO PLEBAGLIA!”
 
…I muscoli, il volto affilato e la statura non potevano fuorviarla. Manco un po'.
Dora sospirò e si passò una mano sul viso.
Rupert Honeycomb era arrivato in città.
 
“…e quindi erano così deboli e patetici che mi sono detto, ho imparato tutto quello che c'è da imparare, è il momento che il grande Rushe spicchi il volo! E così me ne sono andato, ma prima ho detto a dei paladini rincoglioniti che c'era un demone nel monastero, e vedessi come sono entrati di gran carica!”
“…hai fatto cosa?”
Era passata solo mezz'ora da quando lei e Rupert si erano riuniti e Dora già sentiva montare il mal di testa. Forse perché era dalla stessa quantità di tempo che si era infilata le mani nei capelli e aveva cominciato a tirare.
Rupert - che ora rispondeva al nome di Rushe, letteralmente, perché quando aveva provato a chiamarlo col suo vero nome aveva cominciato a gridare e cercare qualcuno che fosse suo omonimo perché lui non si chiamava così - sfoderò un enorme ghigno, come quelli che faceva da ragazzino.
Solo che era un uomo fatto e questo lo faceva sembrare uno squilibrato certificato.
Al monastero non gli hanno insegnato niente.
A parte essere pieno di muscoli e con un'insolita refrattarietà per i vestiti. “Avresti dovuto vedere le loro facce, sorellona!”
“Meglio di no,” borbottò afferrando il proprio boccale e dandone un vigoroso sorso. Sarebbe stato il primo di molti. “Ascolta… non che non sia contenta di vederti e ti trovo… bene?”
“Meravigliosamente bello e sexy vuoi dire?”
“Sì, come no,” inspirò posando il boccale. Le era venuto in mente che sarebbe stata una splendida arma contundente contro la testa del gemello. “Sono contenta di vedere che stai bene, ma che ci fai qui?”
“Boh!”
“Come boh?”
Rushe si lasciò cadere contro lo schienale della sedia, facendo poi spallucce. “Waterdeep è un posto come un altro e sto cercando di capire da dove iniziare la mia nuova grande avventura. Ho girato per un po' per la Costa della Spada, ma non c'è nessun posto che mi ispiri…”
“Quindi sei senza un posto dove vivere e non sai cosa fare?”
“Esatto!”
Dora si passò una mano sul viso. Solo quella ci mancava; oltre che doversi preoccupare per Kethra avrebbe dovuto anche occuparsi di non far morire il gemello nella sua ricerca del senso della vita.
“Però qui ci sei tu.”
Dora alzò lo sguardo, riflettendosi nelle iridi nocciola dell'altro. Avevano gli stessi occhi, lo stesso taglio. Crescendo le somiglianze tra di loro si erano accentuate, lei aveva preso la corporatura robusta e squadrata degli Honeycomb mentre Rushe era snello e slanciato come il lato materno della loro famiglia…
Però se lo guardava negli occhi era come riflettersi ad uno specchio.
Uno specchio rotto, ma vabbeh.
“Mi dispiace non esserti venuta a trovare…” mormorò sfiorandogli un braccio. “Al Tempio c'è sempre tanto da fare, e quando posso liberarmi torno alla fattoria, papà non fa che dirmi che gli manco… e tu non ci sei mai, neppure per la festa di Mezza Estate."
L'espressione allegra di Rushe si rabbuiò di colpo. Fu come veder chiusa una finestra da un colpo di vento. “In quel posto di merda non tornerò mai più.”
Dora si morse un labbro. Avrebbe voluto dirgli che invecchiando il padre si era ammorbidito, ma non era vero. Era sempre il solito… e mentre Stedd era andato nell'Entroterra a cercare fortuna, Randall era rimasto, ed era peggio di prima.
L'ultima volta era così ubriaco che papà l'ha sbattuto a smaltire nella stalla prima che diventasse anche aggressivo…
“Non fa niente sorellona! Sono venuto io, e adesso potremo vederci tuuttte le volte che vogliamo!”
Dora esitò. “A proposito di questo… in realtà no. Parto.”
Rushe batté le palpebre. “Te ne vai? E dove?”
“Non ne ho idea…”
“Ah! Una foglia nel vento come il sottoscritto, capisco! Gran scelta!”
“No… è che… è complicato…”
Gli raccontò tutto. Di fronte al terzo boccale della serata ruppe le dighe e raccontò di Kethra, della sua partenza improvvisa… della sorpresa, la confusione, del dolore. Soprattutto di quello; era forse destino per lei perdere o allontanarsi dalle persone a cui voleva bene?
Prima Tine, poi Rupert, poi Kethra…
Delle tante lettere che si erano scambiate, di come alla fine fosse venuta a patti con quella lontananza inspiegabile e stupida… e della felicità quando l'amica le aveva scritto che sarebbe tornata, con una lettera che lesse ad alta voce al fratello perché teneva sempre con sé.
 

"Mia carissima Dora,
spero che questa lettera ti trovi bene. In questo momento mi trovo a qualche miglio da Neverwinter. Fa molto freddo, la primavera è assai lontana. Sto tornando a casa, o almeno, nel posto che ho sempre ritenuto casa mia. sto tornando a Waterdeep, sto tornando da te. Mi manchi, amica mia, mi mancano i nostri pomeriggi spensierati  passati inseme tra il marmo rosato baciato dal sole. guarda come sto diventando malinconica...
Allora eravamo spensierate, vero? Forse sciocche, ma felici.
non vedo l'ora di abbracciarti, mia dolcissima Dora, ma mi chiedo se tu vorrai riabbracciare me. dov'è la persona che ero un tempo? Forse non sarei mai dovuta partire.
Ci sarà ancora un'altra alba?
Sempre tua,
Kethra Brightraven"


 
“Mmh,” commentò Rushe pizzicandosi il mento. “Mmmmh! Secondo me è suuuuper pentita di aver telato!”
“Vero?” Dora annuì, rinfrancata. “Vero che ha capito di aver sbagliato, che il suo posto è qui, a Waterdeep, al Tempio…”
Con me.
“E poi…” aggiunse, e fece una smorfia, perché quella teoria era stata bocciata da chiunque. “…credo che sia nei guai. Le ultime lettere che mi ha inviato erano come questa, parlavano di quanto le mancava casa, di quanto si sentisse cambiata e… non lo so, non mi hanno fatto una bella impressione. Era come se fosse spaventata da qualcosa.”
“Questa è l'ultima?”
“Sì, e sono passati mesi, per questo sono preoccupata. Devo andare a cercarla, ma non so da dove iniziare… né come,” ammise. “Già ci ho messo un secolo a convincere zia Jhessail a farmi partire.”
Era stata una delle conversazioni più penose della sua vita. Zia Jhessail era stato un punto fermo durante la sua formazione, ma essendo anche il chierico responsabile di tutti i novizi non aveva mai voluto dare l'impressione di favorirla. Per questo era stata una figura d'autorità, più che una parente.
E si era opposta strenuamente alla sua partenza.
 
“Servi qui Dora. Hai un avvenire in questa città. Sei un Cerimoniere dell'Alba adesso, ma puoi puntare molto più in alto… persino più in alto di dove sono arrivata io. La tua fede è grande, ed è un esempio per i giovani Risvegliati. Vuoi forse privarli di una guida?”
“Sarebbe solo finché non trovo Kethra, zia…”
“Kethra ha fatto una scelta, ha deciso un nuovo inizio che non ti coinvolge. Perché non riesci ad accettarlo?”

 
Perché non lo capisco.
Dora premette le dita sul boccale, ormai caldo.
Non lo capisco.
Lei e Kethra, da quel pomeriggio nel dormitorio, non si erano più separate; avevano studiato assieme, si erano allenate assieme, assieme avevano avuto accesso alla magia. Avevano condiviso paure, sogni, speranze. Avevano pianificato il loro futuro all'interno del Tempio; sarebbero arrivate in alto, avrebbero speso tutte le loro energie per la loro comunità e in particolar modo avrebbero curato e potenziato l'orfanotrofio del loro Distretto. Lo avrebbero reso un porto sicuro per la gioventù di Waterdeep. Avrebbero reso il Tempio un faro luminoso che avrebbe illuminato anche gli angoli più scuri e sordidi della città, portandovi luce e risollevando le sorti di tanti bambini e ragazzi che come Kethra avevano perso tutto prima ancora di conoscerne il valore.
E poi l'amica, di punto in bianco, aveva deciso di partire. 
 
“Voglio solo essere sicura che stia bene. Poi riprenderò i miei compiti. Te lo prometto, zia. Ti ho mai deluso?”
Un vago sorriso, una carezza. La seconda che le avesse mai dato in vita sua. La Portatrice dell'Alba Jhessail era una donna retta e giusta. Ma la sua era una luce fredda, invernale, e non aveva mai scaldato.
“No, Dora. Non ho mai rimpianto di aver lottato per te quella primavera, alla fattoria. Non vorrei averne motivo adesso però.”
“E non lo avrai! Zia, io… per favore… non riesco a concentrarmi, a fare nulla, sono rosa dalla preoccupazione… so che Kethra è sempre stata una testa calda ma è una di noi! Potrebbe essere nei guai! Dovremo curarci del prossimo, aiutare, andare oltre noi stessi e i nostri bisogni…”
“E aggrappandoti a quella ragazza vai oltre i tuoi bisogni o tenti di soddisfarli? Sei una donna ormai. Questo tuo attaccamento è morboso. Non sono mai intervenuta perché non ha mai interferito con i tuoi compiti, ma se mi dici che adesso lo sta facendo, devo mettere un punto fermo.”
“Zia, per favore…”
“Dimenticati di Kethra Brightraven. È un ordine.”
 
“Dora?” Rushe le passò una mano davanti al viso. “Ci sei? Sei sbronza?”
Dora scosse la testa; lo era, ma non c'era quantità di alcool che le potesse far dimenticare cosa aveva combinato.
 
“No.”
“Prego?”
“No, non voglio. E se non mi vuoi dare il permesso di partire a cercarla, lo chiederò più in alto. E se non lo otterrò, rinuncerò al simbolo e andrò a cercarla nuda per il mondo. E questo sarebbe un problema anche per te, vero?”

 
Zia Jhessail era diventata pallida come una statua di cera. Non aveva detto nulla, l'aveva lasciata andare via, ma qualche giorno dopo le era arrivato il permesso di  partire per portare la parola di Lathander fuori da Waterdeep.
Dora aveva ringraziato e da allora non si erano più rivolte la parola. Non le interessava. Doveva riportare Kethra a casa.
 
“Potrei unirmi ad una compagnia di avventurieri diretta a Nord… ne passano di continuo in città, e mi è stato detto che accolgono a braccia aperte i chierici… solo che vanno all'avventura, e avrebbero degli obiettivi diversi dai miei. D'altro canto viaggiare da sola…”
“Sola?” Rushe la interruppe con una risata. “No-uh! Andremo assieme!”
Dora scoccò un'occhiata all'altro. Era evidentemente sbronzo quanto lei e gli occhi gli brillavano della solita, familiare scintilla di follia, ma il tono era serio.
“Io vado dove vai tu, sorellona,” biascicò mettendole davanti un pugno. “Gemelli Honeycomb in partenza!”
Dora sentì un sorriso premere sulle labbra, così come lacrime all'angolo degli occhi. Sbatté il proprio pugno con quello dell'altro. “Allora è deciso… viaggeremo assieme.”
“E ritroveremo Catra!”
“Kethra.”
“Sì, sì, quella… la tua fidanzata, giusto?”
Dora avvampò. “Amica! Non siamo… siamo chieriche donne!”
“Ah, Lathander è omofobo?” domandò Rushe grattandosi la testa. “Il tuo dio è pure più merda di quel che pensassi.”
“Sei un monaco dell'Anima del Sole, idiota! È anche il tuo dio! E comunque no, non ha problemi con due donne che… solo che, non… siamo soltanto amiche!” balbettò. Per tutti i non morti, che era venuto in mente a suo fratello? Cosa del suo racconto aveva frainteso?
Non sarebbe la prima volta… - sussurrò una vocina maligna dentro la sua testa.
Dora non perdeva tempo con le malelingue che inevitabilmente serpeggiavano in una socialità ristretta come quella del Tempio, però le orecchie le aveva: non poche persone erano graniticamente convinte che lei e Kethra fossero state amanti segrete, specialmente dopo che entrambe avevano rifiutato possibili matrimoni vantaggiosi (lei uno solo, Kethra molteplici). 
Quelle voci erano ridicole e generate dall'invidia, invidia per qualcosa che gli altri non avevano. Non avevano la loro sintonia, la comunanza di idee e la capacità di comprendersi con un solo gesto - letteralmente, aveva insegnato a Kethra l'alfabeto gestuale di Tinefein.
Era invidia.
Sì, ma Rushe? Che motivo avrebbe per invidiarvi?
Neanche la conosce.
Tacitò quel pensiero. “È la mia migliore amica, tutto qui.”
Rushe si strinse nelle spalle, ingollando un altro sorso di birra. “Come ti pare sorellona.”
“Com'è!” Inspirò. “Va bene… pensiamo alle cose serie. Dobbiamo trovare un posto dove farti dormire stanotte. Puoi venire al Tempio con me, ma devi comportarti…”
Un improvviso tonfo e rumore di legna spezzata li fece girare entrambi di scatto. Trovandosi in una nicchia in fondo alla locanda Dora non capì subito cosa fosse successo, ma intuì che era nei pressi del bancone.
“QUESTA BIRRA È TERRIBILE!!” ruggì un vocione dal forte accento straniero. “TI MERITI ZERO STELLINE!”
“Ma che cazzo…” Dora si guardò con Rushe, che fluido come acqua si alzò in piedi, facendo guizzare i muscoli delle spalle mentre si scrocchiava il collo.
“Botte,” sussurrò con tono orribilmente deliziato.
“No botte,” ribatté afferrandolo per il retro della casacca. “Andiamo a vedere però.”
Si avvicinarono e scansata un po' di gente - che in realtà sembrava avere una gran voglia di andare nel senso opposto rispetto al loro - si trovarono al bancone. Dietro c'era l'oste,  pallido come gesso di fronte ad una montagna di muscoli grigio-azzurri. Un goliath delle montagne, riconobbe Dora deglutendo, grosso come un armadio a due ante, e vestito come chi c'era appena sceso, da un picco. E armato di una grossa ascia.
“È la migliore che abbiamo…” balbettò l'oste facendosi piccolo. “Offre la casa?”
“NON TI VERGOGNI A CERCARE DI COMPRARMI?” ruggì il bestione brandendo l'ascia con aria minacciosa.
Merda.
Caso voleva che quella sera nessun armatura o simbolo della Guardia Cittadina fosse in vista. Erano tutti civili e quasi tutti se l'erano filata.
A guardar bene, a parte l'oste e il barbaro furioso, erano rimasti soltanto lei e il gemello.
MERDA.
“Perdono… non mi uccida…”
Dora doveva intervenire. Era l'unica figura di autorità là dentro… e anche se dubitava che un goliath delle montagne fosse particolarmente avvezzo a dar retta ai chierici umani, doveva comunque cercare di calmare le acque…
Come? Non hai incantesimi preparati, se non i miei soliti di guarigione!
E quelli ho paura che potrebbero servire dopo.
“Ehi, coglione! Lascia stare l'oste!” berciò Rushe. Dora si voltò e sconvolta notò come il gemello fosse in posizione da combattimento. Saltellava anche da un piede all'altro, e al di là del modo perfettamente bilanciato con cui lo stava facendo, era uno spettacolo terrificante.
Perché il goliath si voltò e li guardò sorpreso. “Come mi hai chiamato?”
Il ghigno di Rushe diventò enorme. “Coglione. Hai muschio anche nelle orecchie per caso?”
Il goliath parve rifletterci seriamente. Poi sogghignò ferale. “No, ma tra poco TU non avrai le orecchie,” e urlando in una lingua incomprensibile si lanciò su di loro.
Dora provò una sensazione che pensava di aver dimenticato: l'inebriante desiderio di voler bestemmiare fortissimo.
 
Una rissa, un mucchio di boccali, sedie e tavoli rotti dopo…
 
In qualche modo lei e Rushe non erano morti. E non erano manco stati arrestati per aver messo a ferro e fuoco la locanda. Lathander davvero aveva preso le redini quella notte.
Rushe e il goliath se l'erano date di santa ragione senza risparmiare praticamente nessun pezzo di arredamento. Dora, cercando di evitare che il gemello venisse polverizzato, aveva rimediato un occhio nero, diverse costole ammaccate e un mantello completamente rovinato da birra rovesciata, sangue e quello che sospettava fosse piscio, un grande classico dei pavimenti di quel posto.
Alla fine la situazione era stata robustamente sedata da un drappello di guardie cittadine e sarebbe finita con la successiva gattabuia e zia Jhessail che la strangolava con il simbolo, se tra le guardie non vi fossero stati due giovani paladini che conosceva.
I due ragazzi erano sembrati shockati quanto divertiti dal trovarla lì e in quelle condizioni, e avevano intercesso con il Capitano della compagnia per risolvere la cosa con una semplice reprimenda e parecchie monete d'oro sonanti.
 
Si erano così trovati fuori dalla locanda, nel silenzio della notte, liberi. Lei, Rushe… e il goliath, che si massaggiava la mascella. 
Spero che Rushe gliel'abbia rotta.
“Beh! Tempio?” propose Rushe sputando a terra un grumo di sangue. “Si va?”
“Prima ti curo, pezzo di deficiente, non puoi entrare così…” borbottò sfiorando il simbolo. Un flusso caldo e dorato di magia le illuminò brevemente la mano che poi posò sul petto del fratello. Durante l'operazione Dora sentì gli occhi del goliath su di sé.
“Ah, quindi sei una chierica di Lathander,” esordì placido, come se non si fossero fatti a pezzi fino a poco prima. “Puoi curare anche me per favore?”
“No!” sbottò incredula, prima di schiarirsi la voce. “Cioè… scusa, ma non… ci siamo menati?”
Il goliath annuì. “È stato uno scontro soddisfacente, vi siete battuti con valore per essere due piccoletti. Avete il mio rispetto, e accetto le vostre scuse per esservi intromessi.”
“Vuoi altre botte?” domandò Rushe e Dora lo tacitò con uno schiaffo sulla spalla anche se la pensava come lui.
Il goliath lo ignorò rivolgendosi direttamente a lei. “Non ci sono molti che riescono a tenermi testa in questa città. Di solito strillano e scappano.” Ora che era fuori da quella che doveva essere stata ira aveva un'espressione gioviale sul volto pietroso. Le sorrise. “Mi chiamo Thrip'ad della tribù Kuntana delle Orsraun, posso sapere i vostri nomi?”
“Il mitico Rushe e Dora Honeycomb, fratelli meraviglia,” rispose Rushe per lei gonfiando il petto e sfoderando un sorriso che sarebbe sembrato minaccioso, se non avesse avuto la faccia gonfia come una zampogna.  “E ripeto, vuoi botte Trippa della tribù Corta?”
Per il radioso, ora ci ammazza.
Il goliath non diede segno di aver captato il tono irriverente di Rushe. “Thrip'ad della tribù Kuntana delle Orsraun,” lo corresse gentilmente. “Grazie, ma per stasera basta, sono un po' stanchino. Piuttosto… vi ho sentito parlare. Cercate un modo per viaggiare la Costa della Spada, vero?”
Dora si scambiò uno sguardo con Rushe e annuì incerta. Il goliath continuò: “Io faccio il corriere per l'Emporio d'Aurora, al Distretto dei Mercanti. Vitto e alloggi convenzionati in quasi tutti i villaggi… anche la paga non è male, e si viaggia tanto. Se non volete fare gli avventurieri, perché non venite a lavorare con me?”
Ma anche no.
Dora però fermò il rifiuto a mezze labbra. Perché la proposta in effetti era molto meno pericolosa dell'eventualità di affiliarsi ad una cricca di scalmanati in cerca di tesori.
E poi, chi romperebbe le palle ad uno così?
“Tra pochi giorni parto per una consegna, ma sarei da solo e mi farebbe piacere avere compagnia. Voi mi sembrate saper badare a voi stessi, anche se lui…” e indicò Rushe che si era messo a fare flessioni per terra per chissà quale astruso motivo, “è scemo.”
“Sarai bello te!” sfiatò Rushe cominciando ad usare una mano sola.
“Sì, lo è,” confermò Dora con un sospiro. “Non mi pare però che tu possa permetterti di giudicare. Senza offesa… ma non ci si comporta così in città. Hai rischiato di essere arrestato!”
“Ma non è successo, no?” Ribatté Thrip'ad scrollando le spalle e Dora non ebbe la forza di iniziare l'ennesima discussione con l'ennesimo matto. “Vi ho risolto un problema, credo. Me la merito questa cura?”
Dora alzò gli occhi al cielo. “Domani verremo a parlare con Aurora. Vedremo… nel frattempo voltati, ho visto un pezzo di sedia spuntarti dalla schiena. Inizio da lì.”
   
 
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