Di
fronte agli occhi di Santiago Lopez e Daniel Ramos si presentano tre
giovani
donne, vestite in maniere simile, ma con atteggiamenti e sguardi
totalmente
diversi.
“Salve,
io sono Manila, come possiamo aiutarvi?” – rompe il
ghiaccio la prima di loro,
una giovane all’incirca sui 30, dai capelli castani, di media
lunghezza, che
tiene stretta la mano della bionda riccia, al suo fianco, che si
presume abbia
la stessa età.
“Siamo
qui per interrogarvi sulla scomparsa di Raquel Murillo”
– spiega Lopez, tornato
a concentrarsi sull’indagine, mettendo da parte i suoi strani
pensieri.
“Noi?
Cosa cazzo c’entriamo in questa storia?”
– interviene la moretta alle spalle
delle altre due, facendo un passo avanti – “Pensate
che possiamo averla fatta
sparire, razza di bastardi?” – rispetto al tono
pacato della prima giovane
donna, quest’ultima sembra piuttosto incazzata e non si
risparmia neppure
nell’uso di espressioni poco garbate.
“Tokyo,
per favore, tieni a freno la lingua” – la
rimprovera Manila, conoscendo quanto
la collega e amica sia una bomba ad orologeria.
Di
fronte all’appellativo “Tokyo”, i due
ispettori si rivolgono uno sguardo
confuso.
“Come
l’hai chiamata?” – domanda Daniel,
inarcando il sopracciglio.
“Non
sono cazzi tuoi” – replica ancora la tipa
irascibile.
“Piantala,
possibile che non riesci a conversare senza attaccare
qualcuno?” – perfino la
biondina, rimasta in silenzio fino a poco prima, sbotta. E la sua voce,
così
dolce e materna, in contrasto con tutto quel mondo a cui lei sembra
appartenere, colpisce Ramos che la osserva compiaciuto –
“Lei potrebbe essere
la testimone più utile” – sussurra poi a
Santiago, riferendosi al carattere
docile della riccia.
“Mhmm”
– commenta Lopez, pensieroso – “Direi di
interrogarle una alla volta, adesso! E
lo faremo insieme perché, ti conosco, ti lasceresti andare
agli ormoni e la
biondina diventerebbe un tuo passatempo e non la testimone di una
scomparsa” –
così dicendo, chiude la conversazione e si rivolge alle
donne, premettendo –
“Non stiamo accusando nessuna, ma è bene ascoltare
tutte voi perché, lavorando
qui, potreste aver colto qualche dettaglio che aiuterebbe le
ricerche!”
“Siamo
a disposizione, signore” – risponde gentilmente la
bionda – “Vogliamo
riabbracciare la nostra amica quanto prima”
La
sola che sembra contraria alla collaborazione è la giovane
ribelle.
“Siete
solo voi tre che lavorate al Mariposas?” – domanda
Santiago, colpito dal numero
esiguo di spogliarelliste.
“In
realtà, fino a ieri, eravamo in cinque”
– spiega Manila.
“Inclusa
la Murillo, immagino!” – riflette il quarantenne,
facendo i suoi calcoli – “Ne
manca una. Dov’è la quarta?”
“Impegnata
con qualche cliente, per ora ci siamo noi. Se lo faccia andar
bene…SIGNORE”
“Tokyo
ora basta!” – il rimprovero finale viene
addirittura dal buttafuori, rimasto a
vigilare davanti il tendone, ma attento ad ascoltare ogni parola.
“Helsinki,
adesso ti ci metti anche tu?” – borbotta la donna.
Perfino il tizio addetto
all’ingresso ha un nome in codice.
“Ma
qui vi chiamate tutti come città?” –
esclama Daniel, grattandosi la testa,
confuso.
E
la sua affermazione trova replica in un agghiacciante sguardo di Tokyo.
“Direi
di cominciare, stiamo perdendo tempo prezioso!” –
interviene Lopez, per evitare
ulteriori discussioni.
Invita
quello che ha scoperto chiamarsi Helsinki a condurre fuori due donne,
per
concentrarsi sulla prima.
“Cominceremo
con la più pacata…la signorina Manila”
Accertatisi
che gli altri sono ben distanti dal privé, i due ispettori
danno inizio
all’interrogatorio.
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“Tokyo,
devi smetterla di mostrarti arrabbiata, creerai sospetti
inutili!”
“Non
mi frega un cazzo, sapete che rapporti ho con questa gentaglia, non mi
piace collaborare
con loro”
“Ma
lo facciamo per Lisbona!” – insiste Stoccolma.
“Potevamo
pensarci prima…prima che accadesse quanto è
accaduto!” – tuona la mora,
camminando, nervosamente, avanti e indietro nell’atrio
principale.
Mentre
le due discutono, vengono raggiunte da Helsinki, allontanatosi per
serrare il
locale, insieme all’altro buttafuori.
“Io
e Oslo abbiamo chiuso tutto!”
“Bene,
mi domando solo dove sia Nairobi!” – precisa la
bionda, preoccupata,
guardandosi attorno.
“La
nostra gitana starà facendo quello che avremmo dovuto fare
noi, anziché
sprecare tempo a giocare con i poliziotti!” –
replica la mora, afferrando una
delle pellicce nere dall’attaccapanni, di quelle utilizzate
durante la serata.
“Dove
stai andando adesso?” – la rimprovera Helsinki.
“Dalla
mia migliore amica” – specifica, riferendosi alla
zingara, unica assente del
gruppo.
“Non
sappiamo dove sia, e poi quegli uomini devono interrogarci! Dobbiamo
aspettare
qui”
“Non fare casini, per favore” – precisa
il serbo – “O io costretto a mettere
tutto in regola!”
neppure tali affermazioni, di chi è disposto a usare le
maniere forti per
frenarla, toccano minimamente Tokyo che, per giunta, ne ride di gusto.
“Salutatemi
gli sfigati…anzi, ditegli anche da parte mia di girare a
largo perché al
Mariposas è meglio non mettere piede. Non conviene a nessuno
di loro…”
E
proprio quando è prossima a filarsela, sopraggiunge qualcuno
da un accesso
secondario.
“Eccoti
finalmente, ma che fine avevi fatto?” – il richiamo
di Stoccolma è rivolto all’arrivo
di una donna dai capelli neri come la pece e la carnagione olivastra. I
tratti
del viso molto pronunciati, gli zigomi alti, gli occhi grandi e scuri,
il naso
aquilino, danno la chiara immagine di una personalità
dominante. Esattamente
quella che caratterizza la persona in questione.
Accortasi
della presenza della migliore amica, Tokyo la raggiunge e
l’abbraccia, rivelandole
lo scoop della nottata – “Nairo, hai saputo!? A
quanto pare dobbiamo
collaborare con la polizia!”
“Sul
serio? Non ci penso proprio!” – esclama,
disgustata, la gitana.
“Ragazze
ma siete impazzite. Ne va della salvezza di Lisbona. Mettete da parte
rancori
passati” – aggiunge Stoccolma.
“Facile
parlare se non hai avuto problemi in passato con loro!”
– sottolinea la
neoarrivata, mentre stringe al petto la esile e bassina amica, che
considera
una sorella minore da proteggere.
“Andiamocene,
Nairo!” – le propone Tokyo, prendendole una mano e
tirandola verso l’uscita.
“Non
fate cazzate, rimanete qui!” – insiste Helsinki.
“Altrimenti?”
– con aria di sfida, la donna dai capelli corti e scuri, si
pone di fronte al
serbo, intenzionata a non darla vinta alle sue pressioni, fatte solo di
minacce
e forza fisica.
“Credi
che solo perché siamo donne dobbiamo sottostare?”
– aggiunge poi.
La
situazione ingestibile viene interrotta dal rientro al Night Club di
Martin Berrotti.
“Grazie
a Dio, sei arrivato al momento perfetto!” – la
riccia tira un sospiro di
sollievo – “Cerca di farle ragionare, per
favore”
“Stoccolma,
le compagne vanno difese, e non date in pasto ai leoni!”
– commenta Nairobi,
riferendosi al comportamento troppo accondiscendente della biondina,
sempre
pronta a raccontare al capo ogni minimo fatto, mettendole nei casini
ogni volta.
“Nessuno
qui fa la spia!” – prende parola il proprietario
del Mariposas, ringraziando
con un compiaciuto sorriso la sua fedele farfalla.
“Non
collaborano!” – aggiunge Helsinki, dando conferma
alle affermazioni della
riccia.
“Ah
si?”
“Avevi
qualche dubbio? Ci
conosci, sai come
siamo fatte!” – puntualizza la gitana.
“Ammetto
che ci avrei scommesso. A voi frega poco perfino della salvezza di una
vostra
collega”
“Questo
non è vero, avremmo potuto agire prima, e
invece?!” – interviene Tokyo, non
toccando nei dettagli la questione.
“Io
vi dico solo questo: se ci tenete al posto, siete pregate di portare il
vostro
sedere su quelle sedie lì, e attendere il turno per
l’interrogatorio”
Le
due amiche si guardano, disposte perfino a lasciare il locale e cercare
altro.
Ma
c’è qualcosa che glielo impedisce.
“Nairobi,
ti consiglio di pensare bene al tuo bambino. Fossi in te, eviterei
danni che
potrebbero risultarti permanenti”
“Bastardo” – grugnisce la donna,
stringendo i pugni, trattenendo la rabbia.
Il
punto debole di lei porta il nome di Axel e Martin lo sa bene. Berrotti
conosce
il passato della zingarella e di suo figlio e sfrutta, quando gli
conviene, quell’argomento
per gestire le sue alzate di testa.
Udendo
quella sorta di ricatto, Nairo china il capo e si accinge ad eseguire
quanto ordinato:
sedersi al posto ed attendere. E Tokyo, per il bene immenso che nutre
nei suoi
riguardi, la segue e le stringe una mano.
“Bene,
vedo che state iniziando a ragionare come si deve. Ogni tanto bisogna
anche
abbassare le proprie ali e capire le priorità. Dico bene,
Stoccolma e Helsinki?”
– l’uomo torna così ad avere controllo
sulla situazione. Occupando la seduta di
fronte alle due, accavalla le gambe e, a braccia incrociate, le fissa
come
quando si controlla una persona in punizione.
“Mi
auguro che non ci siano più ribellioni, o dovrò
comportarmi di conseguenza”
“Nessun’alzata
di testa, signore” – con un filo di voce,
trattenuta nel suo esplodere, la
gitana avverte l’ennesima coltellata al cuore. Ormai dovrebbe
essere abituata,
e invece ogni volta che viene fatto il nome di Axel, la ferita si
riapre,
diventando sempre più profonda, e una ferita profonda
è di quelle che persistono
e corrodono fino a condurre alla distruzione.
“Quanto
a te, Tokyo, non permetterti di disobbedire mai più. Abbiamo
fatto un patto,
anni fa, quando venisti qui. Perciò, mi devi rispetto.
Chiaro?”
La
donna replicherebbe volentieri, ma è l’amica di
fianco a frenarla.
“Come
dici tu” – risponde, di malavoglia.
Da
quel momento cala il silenzio.
Nessuno
si pronuncia, a parte lo stesso Berrotti che si complimenta con chi
come
Stoccolma e Helsinki seguono fedelmente le regole.
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Nel
frattempo, Manila, alle prese con l’interrogatorio, racconta
quel poco che sa
sulla vicenda di Raquel. E non soltanto quello. Rivelare, in totale
naturalezza, di essere una transgender, così come i dettagli
del suo
cambiamento sessuale, riferendo perfino il passato e
l’attuale nome con cui si
identifica, convince i due ispettori della sua totale
sincerità.
“Ci
stai dicendo che con Raquel non esisteva un’amicizia,
giusto?” – annota
Santiago, totalmente certo delle sue parole.
“Siamo
colleghe, tutto qui, ripeto… io e Raquel non abbiamo mai
allacciato un legame
forte da confidarci dei nostri rispettivi problemi. Io sono
più legata a
Stoccolma. Lei, invece, era solita isolarsi e tenersi tutto
dentro”
“Quindi
non si relazionava con nessuna di voi?”
“Beh,
direi quel poco che bastava per una convivenza civile! Poi lei
è qui da molto
meno tempo!” – puntualizza la ragazza.
“Da
quanto, di preciso?”
“Non
ricordo, un anno o poco meno. È arrivata in una notte molto
affollata. Perciò non
so dirti di preciso chi l’ha condotta qui e come mai. Si
è solo presentata a
fine serata, a noi altre, come Lisbona”
“Lisbona”
– ripete Santiago, cercando di comprendere come mai usassero
appellativi di
città e il perché di quella scelta.
“Bene,
penso possa bastare!” – aggiunge Daniel.
Manila,
dopotutto, non ha molto da riportare di utile ai fini delle ricerche,
se non della
totale forma di isolamento che viveva la Murillo rispetto al gruppo.
“Prima
di andare, siccome ho totale fiducia in ciò che mi
racconti…” – le sussurra
Lopez – “Come mai la scelta di utilizzare nomi di
città?”
“Beh…signore,
noi qui siamo alle dipendenze di chi ci ha aiutate a uscire da periodi
o
circostanze scomode. Non amiamo che le nostre identità siano
sulla bocca di
tutti, ed è stato il capo a chiederci di scegliere questa
tipologia di codice segreto”
“Quindi
serve come copertura!”
“Esatto,
nessuna di loro vi dirà mai il suo reale nome. Vi prego di
accettarlo senza
indagare; qui ognuna ha una privacy da tutelare” –
così dicendo si alza e fa
per uscire, non prima di aver ringraziato –
“Ammetto che mai avrei immaginato
di parlare con due ispettori di polizia come voi e trovarmi a mio agio.
Non mi
avete giudicata nonostante prima mi chiamassi Juan e questo vi fa
onore” –
sorride loro e va via.
“Possiamo
essere totalmente sicuri?” – chiede Ramos a
Santiago.
“Quella
persona è vera, più di tante maschere che ho
conosciuto nella mia vita. Non
dubiterei di quanto ha rivelato. Chi forse potrebbe ingannarci
è la miss Tokyo.
Direi di invitare proprio lei adesso”
“Vado
a chiamarla” – dice il trentenne, avviandosi
all’ingresso, dove nota
immediatamente l’arrivo non solo di Martin, che veglia sulle
sue protette come fosse
un cane da guardia, ma anche quello di Nairobi.
“E’
lei la quarta farfalla? È tornata nel suo
habitat?” – ridacchia il ragazzo,
sdrammatizzando una situazione di cui percepisce tensione fin alla
punta dei
capelli.
Poi
lancia uno sguardo sdolcinato a Stoccolma che, di contro, arrossisce e
abbassa
il capo.
“Blee”
– il verso di disgusto di Tokyo viene ignorato da tutti,
eccetto Nairobi che condivide
la medesima reazione.
“Anziché
beffeggiare gli altri, si accomodi miss Giappone, tocca a
lei” – l’ispettore,
prendendola in giro, le fa segno, con una sorta di piccolo inchino, di
avviarsi
al privé.
La
giovane, alzando gli occhi al cielo, si mette in piedi e, schifata da
quanto è
costretta ad eseguire, cerca negli occhi della migliore amica un
sostegno.
Lei
le fa intendere di stare tranquilla e di agire come meglio crede.
“Sii
te stessa!” – le dice prima di vederla andare via.
Su
quel “sii te stessa”, Martin coglie un bel
“Agisci come ti pare e piace” e cede
alla rabbia.
“Voi
due fareste perdere la pazienza a un Santo! Possibile che non capiate
quanto
sia necessario collaborare? Neppure la faccenda di Axel ti fa pensare
di stare
al tuo posto?”
“Piantala,
Palermo! Ti erigi a boss assoluto, senza esserlo davvero”
“Certo
che lo sono. Sono il proprietario del locale e tuo superiore, mi devi
rispetto.
E non permetterti
di chiamarmi Palermo!”
– il tono alto, seppure controllato, da inizio ad una delle
solite litigate tra
i due.
“Perché?
Tu ne dai a me? E poi, non vedo perché tu puoi chiamarmi
Nairobi e io non posso
chiamarti con il tuo di nome in codice!” – tuona la
gitana.
“Ehm…possiamo
evitare di litigare, di nuovo?” – interviene
Stoccolma, mentre Helsinki si
interpone tra i due.
“Nairobi,
stai al tuo posto” – le dice il serbo.
“Tranquilli!
Non farò scenate, stavolta. Ho abbassato la cresta poco fa
soltanto per placare
Tokyo. Lei non merita di pagare se io comincio una guerra,
perché sarei certa
che combatterebbe al mio fianco e rischierebbe grosso”
“Wow, che grande donna che sei, complimenti!”
– Martin, cerca di umiliarla,
beffeggiandola, nonostante l’astio che nutre verso chi
è in grado di tenergli
testa, permettendosi perfino di usare l’appellativo Palermo.
“Sempre
meglio di un omuncolo come te!”
“Nairo”
– è Manila, appena arrivata dopo una breve tappa
alla toilette, ad accorgersi
dell’ennesima litigata e ad intervenire –
“Cosa state facendo? Lisbona scompare
e voi discutete? Quando la finirete di attaccarvi?”
“Quando
miss zingarella capirà i ruoli”
“Oh
certo che li ho chiari, Palermo, certo… e voglio ricordarti
che hai un nome di
città anche tu, come noi. Questo significa una sola
cosa”
“Che?”
“Che
non sei il mio capo. E conosci le ragioni che mi tengono costretta a
spogliarmi
per degli sconosciuti, a farmi palpare il culo, a fare la lap-dance,
nonostante
io odi tutto ciò. Lo sai bene, e ne stai sfruttando a tuo
vantaggio il motivo.
Cosa posso mai pensare di chiarire, se tu mi minacci con la storia di
Axel?”
Di
fronte a delle lacrime e alla rabbia e il dolore che Nairobi gli sta
sputando
in faccia, l’uomo si ammutolisce.
“Potete
abbassare l’ascia di guerra, almeno per adesso?”
– li prega Manila.
Dopo
un breve silenzio che sembra acconsentire alla richiesta, Nairobi
conclude - “Se
il Mariposas cade nel burrone, mi frega poco. E forse sarebbe anche ora
che
saltassero a galla i misteri di questo posto, perché lo sai
anche tu… la
sparizione di Raquel è solo uno dei buchi neri del tuo Night
Club!” – così dicendo,
torna a sedersi, afferrando un bicchiere dal tavolino in vetro di
fronte ai
suoi piedi. Si versa del vino, aperto dallo stesso Palermo pochi minuti
prima,
e lo sorseggia, cercando di affogare in tal modo quella opprimente e
pesante
amarezza.