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Autore: SilkyeAnders    23/02/2022    2 recensioni
Juvia è una ragazza dal passato triste e burrascoso.
Natsu è un ragazzo dal passato sereno seppur con i suoi alti e bassi.
Entrambi condividono un ricordo rimosso da tempo e, a quanto pare, non sono gli unici a voler ricordare.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Come nelle favole...


Capitolo 1: C'era una volta...



"Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano"- P. Coelho.


Ci sono quegli incontri che ti cambieranno la vita senza che tu lo sappia e ci sono quegli incontri che non avresti mai voluto, quelli di cui è meglio scordarsi e quelli di cui, se ti scordi, è quasi un delitto.
Tutti gli incontri sono importanti? Tutti sono indispensabili? Non è una domanda che ci poniamo subito quando conosciamo qualcuno, è una domanda che arriva con il tempo ed è inevitabile perché man mano che conosci qualcuno impari anche a conoscere il suo io peggiore, quello che non ti appartiene.
Da ogni incontro si può apprendere qualcosa di utile per la propria vita, questa è una massima inequivocabile.
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Natsu era sempre stato un bambino amichevole, attivo e disponibile. Non aveva mai avuto un attimo di esitazione in tutta la sua breve vita di bimbo, anzi, a volte era persino più deciso degli adulti.
A tutti risultava bizzarro che un bambino così vispo e ottimista avesse per migliore amico un ragazzino come Gray, taciturno e scontroso.
Eppure, contrariamente all'immaginario comune, quei due andavano d'amore e d'accordo (quasi sempre).
Entrambi condividevano la passione per le arti marziali e, entrambi, possedevano un cuore enorme e un'anima nobile. I punti d'incontro fra loro erano veramente pochi ma bastavano per alimentare il loro rapporto.
Insieme ai due ragazzini ce n'era sempre una terza: Erza. Lei era totalmente diversa da ogni bambina, era autoritaria e seria ma ogni tanto si lasciava andare mostrando pienamente i suoi otto anni d'età.
Un giorno, mentre i tre stavano giocando allegramente nel parco della loro città, si trovarono di fronte a una ragazzina avvolta da una pesante coperta blu.
-Che cos'è?- chiese Natsu curioso.
-Sembra una bambina- rispose Erza altrettanto stupita.
I tre si avvicinarono per parlarle ma la ragazzina scattò in piedi immediatamente indietreggiando e stringendosi sempre più nella sua coperta.
-Sei spaventata? Guarda che non ti mangiamo mica!- esclamò Erza.
La bimba non accennò nemmeno ad aprire la bocca per parlare, semplicemente si coprì il viso con la coperta.
-Hai proprio paura, eh?- incalzò Gray.
-Come mai sei così spaventata?- chiese Natsu.
Erza si portò una mano al viso :-Non parli? Ci dici almeno se va tutto bene?-.
La misteriosa ragazzina annuì energicamente ma era evidente che stesse tremando come una foglia, nessuno degli altri tre avrebbe saputo dire se per il freddo o per altro.
Natsu stava per dire qualcosa ma fu interrotto immediatamente da un urlo isterico proveniente da poco lontano, una donna interamente vestita di nero stava correndo verso di loro a gran passo.
-Per la miseria! Allora è qui che ti nascondevi! Sei proprio una mocciosa impertinente! Ti pare forse il modo di andartene? Guarda che poi ci rimetto io se ti succede qualche cosa di spiacevole...- gridò la donna.
Natsu inclinò la testa da un lato, non capiva se quella signora fosse la madre della ragazzina ma il modo in cui le stava parlando non gli piaceva e, dalle espressioni contrite dei suoi amici, poteva intuire che non piacesse nemmeno a loro.
-Non la sgridi! Non vede che è terrorizzata poverina?- esclamò Erza.
-Figurati se una come lei ha paura di qualcosa. Coraggio, torniamo indietro mocciosa insopportabile! I grattacapi che mi provochi...- borbottò infastidita la donna.
I tre bambini la osservarono afferrare il braccio della poverina con forza e trascinarsela appresso come fosse un trolley per poi svanire oltre la strada.
-Povera bambina... Chissà che le è capitato?- chiese Erza.
Gray e Natsu fecero spallucce prima di riprendere il loro gioco.
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A Magnolia batteva un sole intenso quella mattina.
Il piccolo Natsu si alzò dal letto pieno di energia come ogni mattina e corse a svegliare suo fratello maggiore, ancora profondamente addormentato.
Natsu e suo fratello non avevano i genitori, purtroppo erano orfani da qualche anno ormai. Di loro si occupava il nonno di un amico di famiglia, il quale aveva l'abitudine di prendere con sé ragazzini in situazioni problematiche.
Natsu piombò in camera di Zeref e, senza pensarci su due volte, balzò sul suo letto con scatto felino facendo sobbalzare suo fratello dallo spavento.
-Sei fuori di testa?- esclamò.
Natsu scoppiò a ridere divertito :-E' ora di colazione- disse prima di uscire dalla stanza.
-Tuo fratello è proprio un ghiottone- sospirò un ragazzino seduto nel letto di fronte a quello di Zeref.
-Credi non lo sappia? Se non ci muoviamo per noi non rimarrà più nulla Luxus-.
I due si alzarono dai rispettivi letti e, stancamente, si trascinarono lungo il corridoio per raggiungere la cucina al piano inferiore.
-Buongiorno figlioli- disse il vecchio Makarov con un sorriso.
Natsu, già seduto a tavola a mangiare, rivolse una smorfia ai due cercando di sfuggire allo sguardo del nonno.
-Buongiorno nonno- rispose Luxus.
-Buongiorno Signor Makarov- mormorò Zeref timidamente.
-Su, su, quante volte te lo devo dire, eh? Chiamami pure nonno- esordì l'uomo porgendo due ciotole con latte e cereali ai due ragazzini.
Erza giunse al tavolo poco dopo e si accomodò accanto a Natsu :-Nonno- disse timidamente.
L'uomo le rivolse un sorriso incoraggiante per indicarle che poteva proseguire nel discorso.
-Ieri, mentre giocavamo nel parco, è successa una cosa molto strana- confessò la bambina.
Natsu annuì energicamente e, senza nemmeno aver inghiottito il boccone, si affrettò a parlare :-E' vero!-.
-Natsu, ingoia prima di parlare- lo rimproverò Luxus.
-Ha la bocca talmente piena che mi meraviglierei se riuscisse a farlo- sentenziò Zeref.
Erza porse al suo amico un bicchiere di succo d'arancia per mandare giù il cibo che aveva in bocca.
-Che è successo?- chiese Makarov.
-Abbiamo visto una bambina, era tutta avvolta da una coperta e non parlava... Sembrava spaventata. Poi una signora è arrivata e se l'è portata via, la trattava male- spiegò Erza.
Makarov annuì :-Capisco... Probabilmente quella signora era una parente della piccola-.
-Non credo, si è rivolta molto male a quella poverina- osservò la ragazzina.
-Bè, comunque ormai è andata- esordì Natsu dopo aver inghiottito il suo cibo.
-Ma non sei nemmeno un po' preoccupato per lei? Io mi sento in colpa...- mormorò Erza.
-Per cosa dovrei sentirmi in colpa? Io quella lì non la conosco e poi, magari la signora era sua mamma... Certo, non l'ha trattata bene ma forse lei si era comportata male prima- offrì il bambino.
Erza non sembrava per nulla convinta di quella spiegazione.
-Ma sembrava essere fuggita di casa- osservò.
-Magari è una bambina un po' ribelle, come il nostro Natsu- propose Makarov.
Erza annuì con un lieve sorriso divertito sulle labbra, forse stava veramente pensando troppo a quella storia. Decise di non pensarci più, in fondo non era stata una situazione poi così sconvolgente. La donna non l'aveva picchiata e, anche se aveva alzato la voce, non aveva fatto nulla che potesse risultare pericoloso, Erza era appena più tranquilla.
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L'orfanatrofio di Magnolia era un luogo triste e lugubre, la maggior parte dei bambini che finiva lì raramente veniva adottata. Alcuni crescevano e diventavano dipendenti della struttura, passando letteralmente tutta la loro vita lì dentro.
Juvia era una bambina solitaria, taciturna e che spesso veniva tratta male sia dai compagni che dal personale. Quella mattina era seduta sul davanzale della finestra con una gamba a penzoloni nel vuoto e la sua coperta blu saldamente avvolta al corpo.
La bambina sospirò mentre osservava il paesaggio fuori della sua prigione, il giorno precedente aveva avuto modo di svignarsela per qualche minuto ed era scappata nel parco.
Una volta fuori, però, si era spaventata. Abituata ad un trattamento spregevole non riusciva a comprendere tutte le persone che, apparentemente gentili, le si avvicinavano per chiederle se stesse bene o dove fossero i suoi genitori. Persino al parco le si erano avvicinati tre bambini che sembravano avere la sua età, anche loro le avevano fatto delle domande ma lei non voleva rispondere.
Nella sua mente si era stampata l'immagine del ragazzino dai capelli neri e dall'espressione vuota, appariva talmente regale... Juvia non poté evitare di pensare che aveva proprio l'aspetto di un principe.
La bambina amava particolarmente leggere, specialmente le fiabe che avevano per protagonisti una principessa e il suo amato principe. Nonostante fosse ancora molto piccola, Juvia aveva una fervida immaginazione e aveva anche un'anima romantica per condire bene il tutto.
Da sempre sognava il suo principe azzurro che sarebbe riuscito, in un modo o nell'altro, a liberarla dalla sua prigione di cristallo.
Ovviamente, seppure fosse una semplice bambina, Juvia si rendeva perfettamente conto che la vita reale non era certo una fiaba e, per quanto le dolesse ammetterlo, sapeva anche che nessun principe sarebbe arrivato a salvarla in groppa al suo cavallo bianco.
Certo, era un vero peccato...
Juvia scese dal davanzale, il suo stomaco brontolava fortissimo ma, dato che il giorno prima era fuggita, quella mattina non aveva avuto il permesso di fare colazione né di uscire dalla sua camera.
-Juvia deve andare in bagno- si disse in un mormorio.
La bambina si diresse verso la porta per poter andare al gabinetto in fondo al corridoio, era da quando si era svegliata che sentiva il bisogno di andare ma nessuno la lasciava uscire dalla stanza. Una delle dipendenti le aveva detto che sarebbe potuta andare non appena fossero passate tre ore e, per la gioia di Juvia, era finalmente il momento.
Dopo tre ore quella che era iniziata come una semplice necessità fisiologica era diventata un bisogno impellente, di fatto la bambina faceva anche fatica a camminare correttamente data la forte pressione che avvertiva sulla vescica.
-Che vuoi?- chiese la stessa donna del giorno prima quando la vide sbucare dalla porta.
-Juvia può usare il bagno? Sono trascorse tre ore- chiese la piccola.
-No-.
-M-ma... Juvia deve andare di corsa- spiegò la bambina, una mano tra le gambe per cercare di trattenere lo stimolo.
-Potevi pensarci prima di comportarti male- asserì la donna, l'espressione severa.
-Non è giusto! Juvia deve solo usare il bagno, quando avrà fatto tornerà qui, promesso- esclamò.
A quel punto la bambina era oltremodo disperata, non sapeva veramente più come resistere allo stimolo.
-Per quanto mi riguarda puoi anche fartela addosso, non ho intenzione di farti uscire di lì fino a stasera- rispose la donna seccata :-Se ora ti lasciassi andare in bagno non impareresti nulla, ogni azione ha la sua conseguenza e questa è la tua-.
Juvia scosse il capo, totalmente incredula dinanzi a una tale mancanza di empatia. Si sarebbe messa a piangere se non fosse che aveva cose più urgenti a cui pensare.
-Per favore, Juvia non ce la fa più- lamentò la bambina.
La donna si avvicinò alla porta della sua camera con un' espressione disgustata, spinse dentro Juvia e richiuse la porta sigillandola a chiave.
Juvia cadde a terra a causa dello spintone perdendo definitivamente controllo sulla propria vescica. Lì, nel silenzio assordante della sua camera vuota, Juvia poteva sentire solo il rumore della propria pipì che scivolava sul pavimento.
L'umiliazione e il disagio che provava in quel momento erano immensi, la bambina non seppe fare altro se non piangere disperatamente dalla vergogna. Non si era mai sentita così frustrata prima.
Si chiese quando sarebbe potuta uscire da quel luogo maledetto, si chiese se al mondo qualcuno l'avrebbe mai tratta bene o le avrebbe mai voluto bene.
La bambina portò le gambe al petto, l'odore di urina le risultava insopportabile ma era troppo triste per alzarsi da terra. Non è che non volesse cambiarsi ma si sentiva talmente umiliata da non volere nemmeno provare a darsi una sistemata.
Rimase rannicchiata lì a piangere per tutto il giorno con un unico desiderio: scomparire dalla faccia della Terra.
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C'era una volta una principessa rinchiusa in una gabbia di cristallo, non poteva uscire perché la matrigna cattiva non le dava il permesso.
La principessa implorava ogni giorno di essere liberata per poter vedere un mondo diverso da quello a cui era abituata, anelava con ogni forza la libertà e la ricercava nelle piccole cose con insistenza.
La sua gabbia, seppure la teneva lontana dai pericoli del mondo esterno, era noiosa e stretta e la principessa non vedeva l'ora di poter uscire per sgranchirsi le gambe e sentire il calore del sole sulla pelle pallida.
Il suo desiderio più grande era quello di un principe valoroso dall'armatura scintillante che venisse a salvarla dalle grinfie della perfida matrigna, sognava di essere portata via in groppa al suo cavallo bianco e di essere finalmente libera da ogni catena.
Aspettando il suo amato principe azzurro, la principessa aveva iniziato a immaginare il loro incontro in ogni minimo particolare pur di rimanere sana di mente nella situazione in cui si trovava.
Ogni giorno, la giovane fanciulla pensava al suo amato sperando di poterlo incontrare molto presto.
   
 
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