Il
pranzo, consegnato da gente fidata del quartiere, è stato
appena all’ingresso, a
Helsinki e Oslo.
Una
solita routine a cui tutti sono ormai abituati.
Berrotti
ignora, però, che la polizia è prossima, con un
mandato di perquisizione, a
controllare ogni angolo del suo locale.
“Adesso
andate a riposare un po', nel pomeriggio vi recherete sul posto con
alcuni
uomini e setaccerete tutto” – è
l’ordine che il Commissario dà agli ispettori.
E
così, esausti, ma al contempo vogliosi di mettersi al
lavoro, i due rincasano.
Un
breve ristoro e tutto sarebbe ricominciato da capo.
Sono
le 13.30 quando Santiago si butta sul letto, deciso a chiudere gli
occhi per
almeno un paio d’ore.
Quanto
accaduto quella notte è rimasto impresso nella sua mente e
domina perfino i
suoi sogni.
Quello
che l’inconscio gli mostra ha a che vedere solo ed
esclusivamente con Nairobi.
Qualcosa in quella gitana l’ha mandato totalmente fuori
controllo. E domande
sul perché ciò è accaduto non sembrano
dargli pace.
“AIUTOOOO!!!”
“Lasciatela
stare, bastardi”
“Un
coglione che salva una farfalla indifesa, sei patetico”
Delle
voci e dei flash poco chiari si fanno strada nella mente di Lopez,
invadendo un
sogno che inizialmente aveva i contorni di qualcosa di assai erotico.
Poi,
alle 17 in punto, la sveglia suona e gli ricorda che la missione
riparte.
Frastornato,
confuso da quanto rimastogli in memoria, l’ispettore si mette
in piedi, deciso
più che mai ad andare avanti con le ricerche.
Qualcosa
del suo passato, probabilmente, cerca di tornare a galla
perché potrebbe avere
a che fare con gente coinvolta nel giro delle farfalle.
Un
passato che, Santiago sa bene, il suo cervello ha nascosto in seguito
ad un
avvenimento di cui neppure lui in primis ha ricordi dettagliati.
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Invece,
al Mariposas, la giornata comincia diversamente dal solito, con una
forte
tensione nell’aria, dovuta anche all’assenza di
Lisbona e alla collaborazione
avuta, ore prima, con la Polizia.
Pronti
a consumare il pranzo, boss e dipendenti sono radunati nella sala
principale.
Nairobi
e Tokyo, mano nella mano, sono in disparte e conversano tenendo fuori
Stoccolma
che, invece, cerca di intuire i messaggi che le due si scambiano.
Seduto
sul divanetto, Berrotti con il registro degli incassi, si appresta, di
fronte a
un fumante piatto di paella, a conteggiare le entrate della serata
precedente.
“Ci
è costata tanto la scomparsa di Lisbona. Abbiamo dovuto
chiudere ben tre ore
prima del previsto…” – riflette Martin,
constatando un minore guadagno rispetto
al solito.
“Come
ci muoviamo adesso che c’è in corso
un’indagine?” – domanda Manila al capo.
“Siamo
costretti alla chiusura, almeno per qualche giorno. Vedrete che appena
si
calmeranno le acque, potremo tornare a lavorare!”
“Lavorare”
– borbotta Tokyo, decisamente in disaccordo nel definire
lavoro ciò che è
costretta a fare.
L’uomo,
però, non intenzionato ad accendere l’ennesima
discussione, la ignora.
“Quindi
siamo in ferie?” – chiede Nairobi, ritenendosi
libera per qualche sera.
“Diciamo
di sì, però sapete bene, da regolamento, che da
qui non può uscire nessuna di
voi. Non si supera la linea di confine”
“Assolutamente”
– risponde Helsinki, mai disposto a disobbedire.
La
gitana guarda il serbo e in quel momento, scuotendo il capo, si lascia
sfuggire
un commentino poco gradevole – “E pensare che
volevo dargliela… a saperlo così
cagnolino avrei evitato una proposta che non meritava!”
Sentendola
dire quelle parole, Tokyo ridacchia, non trattenendosi, ma è
Martin a rimetterle
in riga entrambe.
“Siete
le solite indisciplinate, piantatela. Una buona volta, comportatevi da
persone
civili”
“Scusaci...è
che siamo nate in zone poco raffinate” – replica la
zingara, polemizzando,
ingoiando un boccone della sua pietanza.
“E
allora cerca di imparare le buone maniere”
Il
silenzio che segue è accompagnato solo dal masticare e
ingoiare cibo, dal tocco
delle posate sui piatti, e dal versare da bere nei bicchieri. Ma
soprattutto
dagli sguardi severi che Martin e Nairobi si lanciano, di tanto in
tanto.
Nessuno
si pronuncia più da lì ai minuti seguenti.
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“Ci
siamo, ecco è quello il Night Club” –
comunica Daniel ad alcuni poliziotti,
indicandogli l’ingresso.
Sono
ormai di fronte al locale, e Santiago avverte una sensazione strana,
mai
provata in vita sua.
“Che
succede?” – gli chiede Ramos.
“Nulla”
– finge, eppure in cuor suo sta provando una cosa particolare.
E
al trentenne basta quella bugia palese per intuire lo stato
d’animo del
collega.
“Se
è ciò che penso, sappi che per me vale lo
stesso… ma con la biondina dai
capelli ricci” – sospirando all’idea di
rivederla, il giovane colpisce nel
segno. È esattamente questo ciò che avverte
Lopez… anche lui, stranamente, non
vede l’ora di trovarsi faccia a faccia con Nairobi.
Non
replicando di fronte all’amico che lo ha decisamente sgamato,
cambia discorso,
rivolgendosi agli uomini dietro di loro, invitandoli a dare il via al
lavoro.
Come
previsto, bussano al portone d’entrata, con insistenza.
Martin
Berrotti, rimasto il solo nel salone principale, dopo il pranzo, si
accorge dei
rumori e corre a controllare.
Scorge
da una finestra laterale, la massiccia presenza di poliziotti.
“Cazzo”
– esclama, spiazzato dall’arrivo inatteso.
Non
sa cosa vogliono esattamente, forse devono continuare gli
interrogatori, pensa
tra se e se. Per tale ragione, sistematosi al meglio, in pochi secondi,
si
appresta ad aprirgli la porta.
“Salve,
ci rincontriamo!” – lo saluta freddamente Daniel.
“Cosa
vi serve, signori?” – chiede, confuso, il
proprietario del Mariposas.
“Abbiamo
un mandato di perquisizione. Dovrà lasciarci controllare
ogni angolo del suo
Night Club” – spiega Lopez.
Spalancato
l’uscio, tramite la forza di uno dei poliziotti, gli sbirri
di Augustin Ramos
si addentrano nel locale.
“Ehm,
certo…aspettate che contatto i miei dipendenti”
“No,
non c’è bisogno. Saremo rapidi e poi…
anche se fossero impegnati in loro
affari, non ci scandalizziamo di questo” – precisa
Santiago, sospettoso che
Martin volesse, in qualche modo, mandare messaggi ai suoi lavoratori
per
metterli in guardia dell’arrivo della Polizia.
“Io
resto qui con lei, signor Berrotti!” – spiega il
trentenne, sorridendo soddisfatto
di averlo messo in una situazione poco gestibile.
“Voi
venite con me” – ordina Santiago ad altri cinque
agenti.
Percorrono
rapidi le scale per trovarsi in pochi secondi al piano superiore.
L’immenso
corridoio, coperto da un lungo tappeto rosso, fa da spartiacque tra le
varie
stanze, tutte chiuse.
“Qui
lavorano al momento quattro donne e due uomini. Ognuno
controllerà una camera.
Terminato il giro, ci ritroveremo all’ingresso, dove abbiamo
lasciato Ramos,
tutto chiaro?” – dice il quarantaduenne agli altri,
che annuiscono e si
separano.
Santiago
ricorda bene quale di quelle porte apre alla stanza di Nairobi, e
mostra
l’intento di essere lui ad incaricarsi di setacciare tale
luogo in questione.
Si
avvicina, cercando di calmare una strana ansia, e un batticuore che gli
rende
difficile perfino respirare.
È
prossimo a colpire l’uscio, quando la voce della gitana lo
paralizza.
Sta
cantando qualcosa e lo fa divinamente, lasciandolo in uno stato di
totale
estasi.
A
quel punto, pensa bene di non bussare ma di entrare direttamente.
Fortuna
vuole che la zingara non abbia serrato la camera; quindi, Lopez varca
la soglia
e si chiude la porta alle spalle.
I
suoi occhi cadono rapidi sul letto, tenuto in perfetto ordine,
ricordando cosa
accadde ore prima tra quelle lenzuola.
Cerca
di capire dove si trova Nairobi girando ogni angolo di quello che
sembra essere
un bilocale. E finalmente la vede.
È
davanti lo specchio. Indossa un lungo abito rosso, attillatissimo, con
una coda
e delle balze; sulle spalle ha uno scialle che mette in risalto le sue
origini
gitane; un fiore le adorna la capigliatura e delle scarpe con il tacco
rendono
ancora più sensuale i suoi movimenti.
Balla,
canta e si dimena come fosse una professionista di flamenco.
Lopez
resta incantato nel vederla, sentendosi uno spettatore a teatro che
assiste e
gode di puro talento.
Mantenendosi
in un angolo, non fa altro che spiarla, non riuscendo a staccarle gli
occhi di
dosso, non operando come invece avrebbe dovuto, ovvero controllando
quell’ambiente,
magari approfittando delle distrazioni della Farfalla.
La
gitana continua, e continua, canta, batte le mani a tempo, ancheggia
sinuosamente,
senza accorgersi di trovarsi un ispettore alle spalle.
E
presa da quella danza, a lei così familiare e di casa,
Nairobi si rivolge a se
stessa. Nel farlo, però, pronuncia il suo reale nome.
“Agata?”
– sente dire Santiago, ripetendolo ad alta voce.
Esattamente
quel momento fa sobbalzare la donna che, furiosa, gli si scaglia contro.
“Cosa
cazzo stai facendo qui? Come ti permetti di entrare senza
consenso?”
“Ti
chiami Agata, è così? Dimmelo, ti prego”
“Vattene
via”
“No,
aspetta io sono qui per altro…”
“Per scopare di nuovo? Io con te non scopo più,
sappilo”
“Perché sei sempre così aggressiva?
Cosa ti ha fatto tanto male nella vita da
renderti rabbiosa?”
“HO
DETTO VATTENE” – con tutto il fiato rimastole,
Nairobi grida all’uomo di
lasciare la camera.
Lopez
la guarda dritta negli occhi, leggendovi un animo buono soppresso da un
altro
prepotente. Come se la vera Nairobi, quell’Agata che si
è appena messa a nudo,
fosse intrappolata in un corpo di donna feroce, da cui vorrebbe ma non
riesce a
fuggire.
“Posso
aiutarti, se ti fiderai di me. Ti porterò via da
qui” – la proposta dell’ispettore
pietrifica totalmente la gitana.
“Mi
stai prendendo in giro, lo so”
“Non è così! Hai paura di fidarti delle
persone, l’ho capito questo”
“E
così adesso sei anche psicologo?”
“Sono
solo un uomo che ti offre la libertà”
Di
fronte a tale affermazione, la zingara sente di poter crollare
emotivamente. Nessuno
le ha mai rivolto, con un garbo simile, nonostante la sua poca eleganza
espressiva, tale opzione di salvezza, quella di farla uscire da un buco
infernale.
Placate
le acque, Nairobi si siede sul letto, cedendo al suo vero Io.
In
presenza dell’ispettore, dal quale sentiva di doversi
difendere e che
considerava una minaccia, scoppia a piangere.
“Io
sono qui per salvarti, se tu mi dai modo di farlo”
“Chi
mi garantisce che la tua non sia una tattica messa in atto per le
indagini in
corso?” – l’idea che balena nella mente
della Farfalla del Night Club è proprio
questa.
A
quel punto, Santiago le mostra le sue reali intenzioni.
“Adesso,
scenderemo insieme giù, dove sono radunati tutti gli altri.
Dirò a Berrotti che
tu verrai via con me”
“Cosa?”
“Hai
capito bene, non ti lascerò qui”
Incredula,
Nairobi guarda l’uomo cercando nel suo sguardo la
sincerità assoluta.
“Lui
non mi permetterà mai di andare via”
“Si, se sono io e la Polizia a richiederlo per le indagini.
Fingerò che tu sia
importante ai fini delle ricerche”
Ma
tale escamotage non è accettabile e la stessa Nairobi sente
di non poter
fuggire.
“No!”
– esclama subito.
“Perché
no?”
“Meglio che tu vada via, ora” – rialzate
le barriere di fronte al presunto
nemico, Nairobi si rimette in piedi e gli volta le spalle, cercando di
contenersi
il più possibile.
“Ti
prego, Agata!”
Sentirsi
riconosciuta così, tocca il cuore della zingara –
“Non chiamarmi in questo modo,
ti supplico”
Lopez però non si arrende. Le si avvicina e le sfiora un
braccio, notando la
pelle d’oca sullo stesso.
“Sei
una ballerina di flamenco? Ti ho vista poco fa, il tuo talento
è innegabile. Cosa
ti ha costretta a chiuderti qui?”
“Non
posso dire niente di me, lo capisci? Sapere il mio nome è
già tanto…”
Lopez
non sa cosa potrebbe far cambiare idea ad Agata in merito ad una
presunta
collaborazione.
Poi,
d’improvviso, gli si accende una lampadina.
“Se
ti promettessi di tenere al sicuro Anibal Cortes?”
Sentire
il nome del ragazzo della sua migliore amica, lascia Nairobi di sasso.
Lentamente
si volta verso il quarantaduenne –
“Menti?”
“Vieni
via con me e ti dimostrerò che io non dico bugie”
Le
porge le mani in attesa di una risposta positiva.
E
mentre nei corridoi, ogni polizotto ha condotto al meglio le ricerche,
e
ciascun dipendente del Mariposas ha raggiunto Daniel
all’ingresso, i due sono
ancora fissi, l’uno di fronte all’altra, prossimi a
dare una svolta decisiva o
meno al caso.
“Allora?”
– chiede di nuovo l’uomo.
“Tokyo
viene via con me. Non la lascio qui”
“Non
posso portarvi via entrambe, sarebbe troppo sospetto”
– la richiesta della
gitana è eccessiva, perfino per il ruolo che riveste Lopez.
“Allora prendi lei, io posso resistere”
“No!”
– Santiago non resiste più. La afferra per un
braccio e la tira a sé.
Le
avvolge la vita, sentendola appiccicarsi al suo petto.
“E’
da te che non riesco a stare lontano!” –
così dicendo, le sfiora una guancia e
le regala un bacio di quelli che neppure la stessa risoluta Nairobi
avrebbe mai
sognato, in vita, di ricevere.
La canzone che ho immaginato che Nairobi canta davanti lo specchio è una canzone di Lola Flores (nonna di Alba Flores) e per chi è interessato ad ascoltarla, vi lascio qui il link.
https://www.youtube.com/watch?v=JF-dTBA3ywY
Besitos a todos