Ovviamente
sa che la sua migliore amica è una che non si fa di certo
piegare da una sberla
o dall’ennesimo rimprovero di Martin.
Ciò
di cui invece ha paura è che le venga inflitta una punizione
da chi si trova
più in alto dello stesso Berrotti.
Precisamente
per evitare che la moretta ribelle possa creare problemi, i due
buttafuori del
Mariposas hanno l’ordine di chiuderla a chiave nella sua
camera. Ed è ciò che
fanno, mentre lei, a squarciagola grida di voler essere liberata.
“Basta
con queste urla, Tokyo. Noi essere stanchi di tue isterie”
– la rimprovera Helsinki.
“Isterie?
Cosa cazzo dici? Ti rendi conto che Nairo potrebbe aver bisogno di
aiuto,
quella è gente pericolosa”
“Silenzio”
– ripete, ignorandola.
Ma
alla donna ribolle il sangue nelle vene sapendo che i colleghi
preferiscono sottostare,
piuttosto che intervenire.
“Devo
fare qualcosa” – cerca di pensare in maniera
lucida, camminando avanti e
indietro, nella stanza, però l’agitazione
è troppa e le impedisce di trovare
una soluzione immediata.
Se
fingesse un malore, idea che le frulla in mente, non le crederebbe
nessuno,
avendo già sperimentato tempo addietro una scenetta simile
con scarsi risultati.
Anche
se non si direbbe, i serbi sono piuttosto svegli quando si tratta di
sgamare gli
inganni.
“Avete
dei cuori di ghiaccio. Siete degni cagnolini di Palermo”
A
quel punto, la sola modalità che conosce e che sa attuare
è offenderli e
cantargliene quattro, sputandogli in faccia il suo disprezzo.
I
due, infastiditi, decidono di non replicare, allontanandosi dal
corridoio.
Borbottano
qualcosa nella loro lingua, riferendosi al cattivo comportamento di
Tokyo. A detta
di Oslo, meritava la stessa punizione di Nairobi.
“Tempo
al tempo, amici miei” – una voce alle loro spalle,
si fa ben udire.
“Capo,
sei tu” – esclama Helsinki, ricomponendosi dopo il
nervosismo alle stelle di
pochi istanti prima.
“Immagino
vi stiate lamentando di Tokyo, tranquilli. A lei penserò io,
così non avrà
ulteriori alzate di testa. Ho fatto il buono per troppo tempo, ora
basta”
Congedandoli,
sgombrato il corridoio da possibili disturbi al suo operato, Martin si
incammina
verso la meta.
Pochi
passi lo separano dalla porta della camera della giovane donna.
Prima
di raggiungerla, però, si attrezza di qualcosa utile ai suoi
scopi.
Aperta
una cassaforte, nascosta da un vecchio dipinto, afferra un oggetto,
sistemandolo in pochi minuti; lo nasconde nella manica della sua giacca
e, attento
ad ogni movimento che dovrà compiere da lì ai
minuti successivi, si dirige definitivamente
verso la stanza della ribelle Farfalla.
La
stessa, udito il rumore di scarpe, si pone in posizione di fuga, non
appena la
porta verrà spalancata.
“Finalmente
vi siete decisi, razza di merde umane” – commenta a
bassa voce, riferendosi
alla sicura presenza dei due buttafuori.
Ma
la trentenne ha fatto male i suoi conti.
Girato
il chiavistello, a varcare l’uscio è Martin.
“Dove
pensi di andare? Ferma lì” – blocca le
intenzioni della Farfalla e, a braccia
incrociate al petto, con aria di superiorità, intende
rimetterla in riga.
“Figlio
di puttana, fammi passare, devo andare dalla mia amica”
– e ovviamente Tokyo
non si risparmia nel solito gergo che la contraddistingue, fregandosene
del
ruolo che quel tipo ha al Night Club.
“Inutile
che cerchi, non la troverai” – con lo scopo di
ferirla e ammansirla per bene, l’uomo
le scaglia contro terribili verità.
“Co.…cosa?”
– balbetta, confusa.
“Hai
sentito bene, non c’è. Tornerà quando
lo deciderò io”
“Tu?”
– ripete Tokyo, inarcando il sopracciglio –
“Permettimi di dubitare che tu
possa avere le capacità di scegliere qualcosa sul
Mariposas”
Berrotti
grugnisce i denti, irritato.
E
la giovane continua – “Palermo, ora ho il coraggio
di chiamarti anche io con il
nome in codice, non mi fai paura. Se è questo il modo che
hai di punirci,
nascondendoci chissà dove, sappi che i giochetti finiscono
prima o poi”
La
risposta del proprietario del locale non si fa attendere -
“Senti, ragazzina,
io ti ho accolta qui, quando nessuno voleva averti tra i piedi, neppure
i tuoi
genitori. Eri un intralcio e lo sei ancora. Quindi ritieniti fortunata
a vivere
nel lusso del Mariposas, chiaro?” – quale arma
migliore se non annientarla
emotivamente appellandosi ad un affetto familiare inesistente!?
Un
colpo basso a cui la mora reagisce, con mani tremanti e rossore sul
viso - “Me
ne fotto, sarei pronta anche a vivere per strada, sotto i ponti. Se
devo
restare qui a vita, solo perché mi avete illusa di avere
un’occasione di riscatto
dalla vita, vi sbagliate di grosso. Mi sono rotta il cazzo di vendermi
per
farvi arricchire. Non sono la tua fedele Stoccolma, e neppure Manila.
Io so
dire basta quando la circostanza non mi conviene” –
la forza e la
determinazione, che tanto la rendono simile a Nairobi, sono
apprezzabili, se
non fosse che tale atteggiamento viene utilizzato contro Palermo stesso.
“Non
ti ho cacciata di qui e avrei potuto farlo, solo perché
questo carisma che sia
tu che Nairobi avete è la vostra carta vincente. Mi avete
fatto guadagnare
soldoni profumati perché i clienti preferiscono voi due,
alle altre”
“E
se noi ce ne andassimo? Sarebbe per te la sconfitta peggiore della
vita”
“Precisamente
per questo non vi verrà mai permesso di lasciare il
Mariposas” – e con un
sorrisetto malefico stampato in pieno viso, l’uomo si prepara
alla mossa
decisiva.
“Figlio
di…”
“Sei
solo una donnaccia, un’irriconoscente. Ma ti avviso subito,
fossi in te terrei
a bada quella lingua. Potresti trovarti come la tua cara
socia” – riprende le
accuse.
“Cosa
le è stato fatto, maledetto?” – a quel
punto la giovane donna impallidisce, temendo
seriamente il peggio.
“È
stata punita per la sua impudenza e per aver disobbedito al
protocollo”
“Vi ammazzo tutti, hai capito lurido pezzo di
merda?” – la giovane gli si
avventa contro, cercando di colpirlo in qualche modo.
Poco
le importa se verrà punita anche lei, desidera soltanto
sapere della gitana e
rivederla.
Mai
avrebbe immaginato che a metterla k.o. sarebbe stato proprio il suo
nemico.
Approfittando
del corpo di lei piuttosto vicino al suo, Martin estrae una piccola
siringa e
inietta del sedativo nelle vene della donna.
“Maledetto”
– sono le sole parole che lei pronuncia, prima di accasciarsi
sul pavimento.
Farle
perdere la coscienza, così da liberarsi delle sue alzate di
testa, è la
soluzione più rapida e decisamente vincente che opta di
mettere in atto.
“Fai
una bella dormita. Più avrai gli occhi chiusi,
più eviterai di crearci casini” –
ripulendosi di ogni traccia e ogni “arma”, per non
destare sospetti alcuni,
solleva il corpo di Tokyo e lo adagia sul letto. La copre con una
coperta,
riposta su una sedia e, fiero della buona riuscita del piano, lascia la
stanza,
chiudendosi la porta alle spalle.
Percorre
le scale che lo conducono al secondo piano, fischiettando, sereno e
sollevato.
Si appresta a raggiungere la sua camera, certo di trovarvi qualcuno in
particolare. Lì, infatti, lo attende una bella visitina.
“Grassone,
vedo che sei già pronto!” – afferma
notando Helsinki sdraiato sul suo letto, desideroso
di regalargli divertimento e piacere.
Ciò
che nessuno sa del proprietario del Mariposas è che
è solito intrattenersi con
uno dei due buttafuori.
Ed
ecco spiegato il motivo dell’estrema venerazione di Helsinki
verso Berrotti.
In
cuor suo, il serbo fa ciò che gli viene ordinato per amore
di chi, invece, non
ha intenzione alcuna di ricambiare quei sentimenti.
******************************
Quella
notte è difficile per tutti, non solo per i dipendenti del
Night Club sotto
indagine.
Santiago
Lopez fatica a trovare sonno. Si gira e rigira nel letto, schiavo di
pensieri
negativi.
Ha
trascorso le ore precedenti a studiare ogni minimo dettaglio della foto
sul
bambino di Nairobi.
Prima
di lasciare la stanza di Agata, infatti, ha scattato un flash
all’immagine,
così da averla a portata di mano, in ogni momento, sullo
schermo del suo
cellulare.
Ma
zoomare i vari lati della fotografia, scrutarne i dettagli, non porta a
nessuna
soluzione.
Il
solo dettaglio scoperto è il nome del piccolo.
Axel.
Il
suo IPhone, con una fotocamera di eccellente qualità,
è riuscito a carpire
perfino scritture incise su un biberon su cui, evidentemente,
realizzate dalla
zingara.
“Axel,
dove sei?” – pensa tra sé e
sé, l’ispettore, cominciando a familiarizzare
anche
con l’appellativo del bambino. Ed è uno dei tanti
dubbi che si arrovellano
nella sua mente impedendogli di cedere alla stanchezza.
A
parte la rivelazione sul nome del piccolo, una cosa certa è
la palese
somiglianza madre-figlio.
“Assurdo
come questi due siano uno la fotocopia dell’altra”
I
capelli nero corvino, la carnagione olivastra, due occhi grandi scuri e
penetranti.
Lo
scatto rappresenta proprio la gitana, poco più che
vent’enne, sorridente e
felice, con in braccio il suo tesoro più grande,
all’incirca di due anni. Nel
suo sguardo non c’è paura, né
resistenza alla vita e alla felicità. Si
percepisce il suo essere una mamma fiera e libera.
È
proprio questo quello che manca alla zingara di cui Santiago si
è innamorato:
la maternità e la libertà.
“Ti
restituirò ciò di cui ti hanno privata, lo
giuro” – nonostante si fosse
ripromesso di dimenticarla, non riesce a non mantenere fede alla parola
data.
E
inevitabilmente il pensiero vola ai suoi di eredi, di cui sa poco e
nulla.
“Lei
per Axel farebbe tutto, e io…? Per i miei
sette…” -
sospira, amareggiato.
Una
donna come Agata ha risvegliato in lui anche quell’istinto
paterno mai posseduto.
Restituire
il piccolo gitano alla sua mamma significa riscattare il suo pessimo
comportamento
di genitore irresponsabile. In fondo, non ha mai sentito appartenergli
il ruolo
di padre. Era una prigione a cui non avrebbe voluto né
potuto abituarsi. Ed
ecco spiegato il perché di vari pargoli messi al mondo in
diverse parti del
mondo, quando un giovanissimo Santiago, preda di ormoni e divertimenti
notturni, si allietava con donne per una notte.
“Chissà
se uno di loro è come me…” –
è l’ultimo pensiero che gli invade la mente poco
prima che il messaggio di Daniel Ramos giunge a ricordargli di
addormentarsi
quanto prima.
“Ricorda
che domani abbiamo il volo per Lisbona, fra’, cerca di
recuperare le energie.”
Bevuta
l’ennesima tisana rilassante, per giunta non di suo gusto,
imposta la sveglia e
chiude gli occhi.
Basta
ripensamenti sulla vita! Mettendo in standby il suo inconscio. Santiago
cede
alle braccia di Morfeo.
*******************************************
È
tarda mattinata quando i due ispettori, assieme a Paquita, offertasi di
accompagnarli
ai fini delle indagini, raggiungono la città di Lisbona.
Stabilito
di interrogare chi vicino alla Fuentes, gli ispettori lasciano, nel
mentre, al
Commissario la scelta di un sostituto nelle ricerche al Mariposas.
“Eccoci,
la casa è laggiù” – comunica
la governante dei Vicuña, scendendo dal taxi. Indica
una piccola villetta circondata dal verde, poco distante dalla fermata
a cui
sono scesi.
Con
un borsone in spalla, contenente l’indispensabile per quei
pochi giorni di
pernottamento, i tre raggiungono l’abitazione della signora
Marivi.
Suonano
il citofono senza ricevere immediata risposta.
Infatti,
subito dopo, è un uomo a raggiungerli.
La
sua tenuta da giardiniere fa intendere che lavora presso quella
famiglia.
“Voi
chi siete?” – chiede ai tre.
“Jacov,
non mi riconosci? Sono Francisca…Paquita”
– lo saluta la donna, a braccia aperte.
Lopez
e Ramos intuiscono immediatamente che l’accento di quel tipo
non è portoghese,
tantomeno spagnolo. E anche il suo nome.
Lo
sconosciuto, con dei buffi baffi, accenna un sorriso quando finalmente
capisce
che si tratta di gente di cui fidarsi.
Dopo
un abbraccio a Paquita, e una stretta di mano agli ispettori,
è proprio lui a
condurre i tre all’interno dell’abitazione.
“Chi
sarebbe costui?” – domanda Daniel alla signora.
A
rispondere è il diretto interessato –
“Mi chiamo Jacov Marković, sono nato in
Croazia. Abito nella villa qui accanto, e presto anche servizio alla
signora Fuentes,
di tanto in tanto”
“Mi
stai dicendo che saresti una specie di domestico?”
– chiede Santiago, piacevolmente
colpito.
“Giardiniere,
per la precisione!” – spiega il croato, invitandoli
a sedersi sul divano in
soggiorno.
La
casa è bella, accogliente, con numerose foto incorniciate,
poste sulla parete.
“Questa
bambina è Paula, immagino” – constata
Daniel.
“Si,
un vero tesoro” – aggiunge Paquita –
“ed è molto somigliante a sua nonna,
sapete? Quando vedrete Marivi e sua nipote, assieme, vi
sbalordirete”
Quello
che colpisce Santiago è, invece, una fotografia delle tre
donne assieme: Raquel
Murillo con sua madre e sua figlia.
L’immagine
della serenità.
“Il
signor Vicuña non lo vedo in nessuno scatto, hai notato
anche tu?” – sussurra Lopez
al collega.
“Già,
forse non erano in buoni rapporti” – ipotizza
Daniel, spiegando le sue idee all’amico.
“Mhmm…bisogna
indagare su questo! Direi di interrogare il giardiniere!”
– sostiene il quarantaduenne.
“Qualcosa
non va?” – domanda Jacov agli ispettori, accortosi
del loro confabulare.
“Ehm,
no no, è che ci spiazza vedere, per la prima volta, la vera
Raquel Murillo. Purtroppo,
le immagini che ci sono state consegnate per le indagini, la ritraggono
in
altre vesti” – aggiunge il figlio del Commissario.
“Beh,
la signora Murillo è una donna dolce, semplice e amorevole.
Guardate che
sorriso ha!” – precisa Paquita, emozionandosi
pensandola chissà dove e con
chissà chi.
“Non
so cosa è accaduto a Raquel, prego che la riportiate qui il
prima possibile. Lei
non appartiene al mondo notturno. Lei è una persona che
aveva tutto nella vita”
– afferma, dispiaciuto, il croato.
“Probabilmente
le mancava la felicità. È questo che accomuna le
varie donne che lavorano lì” –
spiega Santiago, ricordandosi di Nairobi e della sua esperienza.
Il
silenzio di Marković non fa che alimentare alcuni dubbi nei due
spagnoli.
“Potremmo
farle qualche domanda in merito?”
È
Jacov a rivelare, subito, un importante dettaglio - “Io non
conosco bene i Vicuña,
però l’unica cosa che posso dire è di
aver sentito spesso Raquel lamentarsi di
suo marito, a telefono”
“A
telefono? E con chi?” – domanda Paquita,
partecipando nel formulare domande che
le sorgono spontanee.
“Non
lo so. Io l’ho vista tre volte qui a Lisbona. E tutte e tre
le volte lei era
sempre con il cellulare in mano, e molto nervosa… parlava di
Alberto”
“La
questione diventa spinosa” – aggiunge Daniel.
“Se
il signor Vicuña è morto, a chi si può
estrapolare informazioni sulla loro
relazione matrimoniale?” – chiede Francisca ai due
ispettori, intenzionata,
anch’essa a darsi da fare per dare una mano.
“Alla
sola persona che li viveva tutti i giorni…”
– risponde Jacov senza giri di
parole – “A Paula!”