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Autore: Ivy001    05/03/2022    1 recensioni
RIECCOMI CON UNA NUOVA FANFICTION, STAVOLTA DAI TRATTI DI UN VERO E PROPRIO GIALLO, CON LA SPARIZIONE DI UNA DONNA E LE INDAGINI CONDOTTE DA ISPETTORI CHE ERAVAMO ABITUATI A CONOSCERE CON I PANNI DI RAPINATORI. SPERO VI PIACCIA. ATTENDO DI SAPERE COSA NE PENSATE PERCHE’ QUESTO MONDO CHE RACCONTO NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA TRAMA DE “LA CASA DI CARTA”
BESITOS A TODOS
Genere: Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bogotà, Il professore, Nairobi, Palermo, Raquel Murillo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nessuno più di Tokyo teme per l’incolumità di Nairobi.

Ovviamente sa che la sua migliore amica è una che non si fa di certo piegare da una sberla o dall’ennesimo rimprovero di Martin.

Ciò di cui invece ha paura è che le venga inflitta una punizione da chi si trova più in alto dello stesso Berrotti.

Precisamente per evitare che la moretta ribelle possa creare problemi, i due buttafuori del Mariposas hanno l’ordine di chiuderla a chiave nella sua camera. Ed è ciò che fanno, mentre lei, a squarciagola grida di voler essere liberata.

“Basta con queste urla, Tokyo. Noi essere stanchi di tue isterie” – la rimprovera Helsinki.

“Isterie? Cosa cazzo dici? Ti rendi conto che Nairo potrebbe aver bisogno di aiuto, quella è gente pericolosa”

“Silenzio” – ripete, ignorandola.

Ma alla donna ribolle il sangue nelle vene sapendo che i colleghi preferiscono sottostare, piuttosto che intervenire.

“Devo fare qualcosa” – cerca di pensare in maniera lucida, camminando avanti e indietro, nella stanza, però l’agitazione è troppa e le impedisce di trovare una soluzione immediata.

Se fingesse un malore, idea che le frulla in mente, non le crederebbe nessuno, avendo già sperimentato tempo addietro una scenetta simile con scarsi risultati.

Anche se non si direbbe, i serbi sono piuttosto svegli quando si tratta di sgamare gli inganni.

“Avete dei cuori di ghiaccio. Siete degni cagnolini di Palermo”

A quel punto, la sola modalità che conosce e che sa attuare è offenderli e cantargliene quattro, sputandogli in faccia il suo disprezzo.

I due, infastiditi, decidono di non replicare, allontanandosi dal corridoio.

Borbottano qualcosa nella loro lingua, riferendosi al cattivo comportamento di Tokyo. A detta di Oslo, meritava la stessa punizione di Nairobi.

“Tempo al tempo, amici miei” – una voce alle loro spalle, si fa ben udire.

“Capo, sei tu” – esclama Helsinki, ricomponendosi dopo il nervosismo alle stelle di pochi istanti prima.

“Immagino vi stiate lamentando di Tokyo, tranquilli. A lei penserò io, così non avrà ulteriori alzate di testa. Ho fatto il buono per troppo tempo, ora basta”

Congedandoli, sgombrato il corridoio da possibili disturbi al suo operato, Martin si incammina verso la meta.

Pochi passi lo separano dalla porta della camera della giovane donna.

Prima di raggiungerla, però, si attrezza di qualcosa utile ai suoi scopi.

Aperta una cassaforte, nascosta da un vecchio dipinto, afferra un oggetto, sistemandolo in pochi minuti; lo nasconde nella manica della sua giacca e, attento ad ogni movimento che dovrà compiere da lì ai minuti successivi, si dirige definitivamente verso la stanza della ribelle Farfalla.

La stessa, udito il rumore di scarpe, si pone in posizione di fuga, non appena la porta verrà spalancata.

“Finalmente vi siete decisi, razza di merde umane” – commenta a bassa voce, riferendosi alla sicura presenza dei due buttafuori.

Ma la trentenne ha fatto male i suoi conti.

Girato il chiavistello, a varcare l’uscio è Martin.

“Dove pensi di andare? Ferma lì” – blocca le intenzioni della Farfalla e, a braccia incrociate al petto, con aria di superiorità, intende rimetterla in riga.

“Figlio di puttana, fammi passare, devo andare dalla mia amica” – e ovviamente Tokyo non si risparmia nel solito gergo che la contraddistingue, fregandosene del ruolo che quel tipo ha al Night Club.

“Inutile che cerchi, non la troverai” – con lo scopo di ferirla e ammansirla per bene, l’uomo le scaglia contro terribili verità.

“Co.…cosa?” – balbetta, confusa.

“Hai sentito bene, non c’è. Tornerà quando lo deciderò io”

“Tu?” – ripete Tokyo, inarcando il sopracciglio – “Permettimi di dubitare che tu possa avere le capacità di scegliere qualcosa sul Mariposas”

Berrotti grugnisce i denti, irritato.

E la giovane continua – “Palermo, ora ho il coraggio di chiamarti anche io con il nome in codice, non mi fai paura. Se è questo il modo che hai di punirci, nascondendoci chissà dove, sappi che i giochetti finiscono prima o poi”

La risposta del proprietario del locale non si fa attendere - “Senti, ragazzina, io ti ho accolta qui, quando nessuno voleva averti tra i piedi, neppure i tuoi genitori. Eri un intralcio e lo sei ancora. Quindi ritieniti fortunata a vivere nel lusso del Mariposas, chiaro?” – quale arma migliore se non annientarla emotivamente appellandosi ad un affetto familiare inesistente!?

Un colpo basso a cui la mora reagisce, con mani tremanti e rossore sul viso - “Me ne fotto, sarei pronta anche a vivere per strada, sotto i ponti. Se devo restare qui a vita, solo perché mi avete illusa di avere un’occasione di riscatto dalla vita, vi sbagliate di grosso. Mi sono rotta il cazzo di vendermi per farvi arricchire. Non sono la tua fedele Stoccolma, e neppure Manila. Io so dire basta quando la circostanza non mi conviene” – la forza e la determinazione, che tanto la rendono simile a Nairobi, sono apprezzabili, se non fosse che tale atteggiamento viene utilizzato contro Palermo stesso.

“Non ti ho cacciata di qui e avrei potuto farlo, solo perché questo carisma che sia tu che Nairobi avete è la vostra carta vincente. Mi avete fatto guadagnare soldoni profumati perché i clienti preferiscono voi due, alle altre”

“E se noi ce ne andassimo? Sarebbe per te la sconfitta peggiore della vita”

“Precisamente per questo non vi verrà mai permesso di lasciare il Mariposas” – e con un sorrisetto malefico stampato in pieno viso, l’uomo si prepara alla mossa decisiva.

“Figlio di…”

“Sei solo una donnaccia, un’irriconoscente. Ma ti avviso subito, fossi in te terrei a bada quella lingua. Potresti trovarti come la tua cara socia” – riprende le accuse.

“Cosa le è stato fatto, maledetto?” – a quel punto la giovane donna impallidisce, temendo seriamente il peggio.  

“È stata punita per la sua impudenza e per aver disobbedito al protocollo”
“Vi ammazzo tutti, hai capito lurido pezzo di merda?” – la giovane gli si avventa contro, cercando di colpirlo in qualche modo.

Poco le importa se verrà punita anche lei, desidera soltanto sapere della gitana e rivederla.

Mai avrebbe immaginato che a metterla k.o. sarebbe stato proprio il suo nemico.

Approfittando del corpo di lei piuttosto vicino al suo, Martin estrae una piccola siringa e inietta del sedativo nelle vene della donna.

“Maledetto” – sono le sole parole che lei pronuncia, prima di accasciarsi sul pavimento.

Farle perdere la coscienza, così da liberarsi delle sue alzate di testa, è la soluzione più rapida e decisamente vincente che opta di mettere in atto.

“Fai una bella dormita. Più avrai gli occhi chiusi, più eviterai di crearci casini” – ripulendosi di ogni traccia e ogni “arma”, per non destare sospetti alcuni, solleva il corpo di Tokyo e lo adagia sul letto. La copre con una coperta, riposta su una sedia e, fiero della buona riuscita del piano, lascia la stanza, chiudendosi la porta alle spalle. 

Percorre le scale che lo conducono al secondo piano, fischiettando, sereno e sollevato. Si appresta a raggiungere la sua camera, certo di trovarvi qualcuno in particolare. Lì, infatti, lo attende una bella visitina.

“Grassone, vedo che sei già pronto!” – afferma notando Helsinki sdraiato sul suo letto, desideroso di regalargli divertimento e piacere.

Ciò che nessuno sa del proprietario del Mariposas è che è solito intrattenersi con uno dei due buttafuori.

Ed ecco spiegato il motivo dell’estrema venerazione di Helsinki verso Berrotti.

In cuor suo, il serbo fa ciò che gli viene ordinato per amore di chi, invece, non ha intenzione alcuna di ricambiare quei sentimenti.

******************************

Quella notte è difficile per tutti, non solo per i dipendenti del Night Club sotto indagine.

Santiago Lopez fatica a trovare sonno. Si gira e rigira nel letto, schiavo di pensieri negativi.

Ha trascorso le ore precedenti a studiare ogni minimo dettaglio della foto sul bambino di Nairobi.

Prima di lasciare la stanza di Agata, infatti, ha scattato un flash all’immagine, così da averla a portata di mano, in ogni momento, sullo schermo del suo cellulare.

Ma zoomare i vari lati della fotografia, scrutarne i dettagli, non porta a nessuna soluzione.

Il solo dettaglio scoperto è il nome del piccolo.

Axel.

Il suo IPhone, con una fotocamera di eccellente qualità, è riuscito a carpire perfino scritture incise su un biberon su cui, evidentemente, realizzate dalla zingara.

“Axel, dove sei?” – pensa tra sé e sé, l’ispettore, cominciando a familiarizzare anche con l’appellativo del bambino. Ed è uno dei tanti dubbi che si arrovellano nella sua mente impedendogli di cedere alla stanchezza.

A parte la rivelazione sul nome del piccolo, una cosa certa è la palese somiglianza madre-figlio.

“Assurdo come questi due siano uno la fotocopia dell’altra”

I capelli nero corvino, la carnagione olivastra, due occhi grandi scuri e penetranti.

Lo scatto rappresenta proprio la gitana, poco più che vent’enne, sorridente e felice, con in braccio il suo tesoro più grande, all’incirca di due anni. Nel suo sguardo non c’è paura, né resistenza alla vita e alla felicità. Si percepisce il suo essere una mamma fiera e libera.

È proprio questo quello che manca alla zingara di cui Santiago si è innamorato: la maternità e la libertà.

“Ti restituirò ciò di cui ti hanno privata, lo giuro” – nonostante si fosse ripromesso di dimenticarla, non riesce a non mantenere fede alla parola data.

E inevitabilmente il pensiero vola ai suoi di eredi, di cui sa poco e nulla.

“Lei per Axel farebbe tutto, e io…? Per i miei sette…”  - sospira, amareggiato.

Una donna come Agata ha risvegliato in lui anche quell’istinto paterno mai posseduto.

Restituire il piccolo gitano alla sua mamma significa riscattare il suo pessimo comportamento di genitore irresponsabile. In fondo, non ha mai sentito appartenergli il ruolo di padre. Era una prigione a cui non avrebbe voluto né potuto abituarsi. Ed ecco spiegato il perché di vari pargoli messi al mondo in diverse parti del mondo, quando un giovanissimo Santiago, preda di ormoni e divertimenti notturni, si allietava con donne per una notte.

“Chissà se uno di loro è come me…” – è l’ultimo pensiero che gli invade la mente poco prima che il messaggio di Daniel Ramos giunge a ricordargli di addormentarsi quanto prima.

“Ricorda che domani abbiamo il volo per Lisbona, fra’, cerca di recuperare le energie.”

Bevuta l’ennesima tisana rilassante, per giunta non di suo gusto, imposta la sveglia e chiude gli occhi.

Basta ripensamenti sulla vita! Mettendo in standby il suo inconscio. Santiago cede alle braccia di Morfeo.  

*******************************************

È tarda mattinata quando i due ispettori, assieme a Paquita, offertasi di accompagnarli ai fini delle indagini, raggiungono la città di Lisbona.

Stabilito di interrogare chi vicino alla Fuentes, gli ispettori lasciano, nel mentre, al Commissario la scelta di un sostituto nelle ricerche al Mariposas.

“Eccoci, la casa è laggiù” – comunica la governante dei Vicuña, scendendo dal taxi. Indica una piccola villetta circondata dal verde, poco distante dalla fermata a cui sono scesi.

Con un borsone in spalla, contenente l’indispensabile per quei pochi giorni di pernottamento, i tre raggiungono l’abitazione della signora Marivi.

Suonano il citofono senza ricevere immediata risposta.

Infatti, subito dopo, è un uomo a raggiungerli.

La sua tenuta da giardiniere fa intendere che lavora presso quella famiglia.

“Voi chi siete?” – chiede ai tre.

“Jacov, non mi riconosci? Sono Francisca…Paquita” – lo saluta la donna, a braccia aperte.

Lopez e Ramos intuiscono immediatamente che l’accento di quel tipo non è portoghese, tantomeno spagnolo. E anche il suo nome.

Lo sconosciuto, con dei buffi baffi, accenna un sorriso quando finalmente capisce che si tratta di gente di cui fidarsi.

Dopo un abbraccio a Paquita, e una stretta di mano agli ispettori, è proprio lui a condurre i tre all’interno dell’abitazione.

“Chi sarebbe costui?” – domanda Daniel alla signora.

A rispondere è il diretto interessato – “Mi chiamo Jacov Marković, sono nato in Croazia. Abito nella villa qui accanto, e presto anche servizio alla signora Fuentes, di tanto in tanto”

“Mi stai dicendo che saresti una specie di domestico?” – chiede Santiago, piacevolmente colpito.

“Giardiniere, per la precisione!” – spiega il croato, invitandoli a sedersi sul divano in soggiorno.

La casa è bella, accogliente, con numerose foto incorniciate, poste sulla parete.

“Questa bambina è Paula, immagino” – constata Daniel.

“Si, un vero tesoro” – aggiunge Paquita – “ed è molto somigliante a sua nonna, sapete? Quando vedrete Marivi e sua nipote, assieme, vi sbalordirete”

Quello che colpisce Santiago è, invece, una fotografia delle tre donne assieme: Raquel Murillo con sua madre e sua figlia.

L’immagine della serenità.

“Il signor Vicuña non lo vedo in nessuno scatto, hai notato anche tu?” – sussurra Lopez al collega.

“Già, forse non erano in buoni rapporti” – ipotizza Daniel, spiegando le sue idee all’amico.

“Mhmm…bisogna indagare su questo! Direi di interrogare il giardiniere!” – sostiene il quarantaduenne.

“Qualcosa non va?” – domanda Jacov agli ispettori, accortosi del loro confabulare.

“Ehm, no no, è che ci spiazza vedere, per la prima volta, la vera Raquel Murillo. Purtroppo, le immagini che ci sono state consegnate per le indagini, la ritraggono in altre vesti” – aggiunge il figlio del Commissario.

“Beh, la signora Murillo è una donna dolce, semplice e amorevole. Guardate che sorriso ha!” – precisa Paquita, emozionandosi pensandola chissà dove e con chissà chi.

“Non so cosa è accaduto a Raquel, prego che la riportiate qui il prima possibile. Lei non appartiene al mondo notturno. Lei è una persona che aveva tutto nella vita” – afferma, dispiaciuto, il croato.

“Probabilmente le mancava la felicità. È questo che accomuna le varie donne che lavorano lì” – spiega Santiago, ricordandosi di Nairobi e della sua esperienza.

Il silenzio di Marković non fa che alimentare alcuni dubbi nei due spagnoli.

“Potremmo farle qualche domanda in merito?”

È Jacov a rivelare, subito, un importante dettaglio - “Io non conosco bene i Vicuña, però l’unica cosa che posso dire è di aver sentito spesso Raquel lamentarsi di suo marito, a telefono”

“A telefono? E con chi?” – domanda Paquita, partecipando nel formulare domande che le sorgono spontanee.

“Non lo so. Io l’ho vista tre volte qui a Lisbona. E tutte e tre le volte lei era sempre con il cellulare in mano, e molto nervosa… parlava di Alberto”

“La questione diventa spinosa” – aggiunge Daniel.

“Se il signor Vicuña è morto, a chi si può estrapolare informazioni sulla loro relazione matrimoniale?” – chiede Francisca ai due ispettori, intenzionata, anch’essa a darsi da fare per dare una mano.

“Alla sola persona che li viveva tutti i giorni…” – risponde Jacov senza giri di parole – “A Paula!”

 

   
 
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