Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: _aivy_demi_    08/03/2022    5 recensioni
Gli individui sudcoreani di sesso maschile sono tenuti a prestare un totale di due anni di servizio militare, che può essere effettuato tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
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Sarà doloroso separarsi dalla sua seconda famiglia, tanto quanto decidere se aprire o meno il proprio cuore al collega più giovane, prima di partire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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When the time will come

Fake smiles



«Jungkook, smettila di tossire, guarda che così ci distrai e basta!» Jimin urlò dall’altra parte della sala prove, il viso madido di sudore, i capelli umidi attaccati alla fronte. Raggiunse l’amico di corsa, schiantandosi a terra scivolando sul pavimento, come suo solito. Rideva, così come stava ridendo Jungkook della figuraccia a cui ormai era abituato.
«Ma cosa ridi! Avrei potuto farmi male davvero, uffa! Comunque… è bello sentirti così, sai? Sembra tu stia meglio.»
L’altro guardò Jimin negli occhi, prima di sprofondare in attimi di lenta amarezza e tornando poi a sorridere malinconico. «Sì, dai. Questa tosse però non se ne va, mi sto annoiando a lavorare meno del solito.» Jungkook alzò lo sguardo in direzione dei colleghi impegnati a ripassare l’ultima parte di una coreografia lenta, emotiva, conciliante. Cercava di non ripensare agli ultimi giorni, all’allontanamento graduale da Jin, alle lacrime versate sulla maglietta blu del pigiama di Jimin qualche sera prima: si stava impegnando, sorrideva un po’ più spesso, concentrandosi sulla composizione di qualche testo. Appoggiato alla parete di specchi all’angolo opposto degli amici, impegnati ad esercitarsi sui passi da perfezionare, teneva stretto a sé il quaderno su cui stava riversando le idee: scriveva, riempiva i fogli di inchiostro, concentrato quel tanto da fermarsi ogni manciata di minuti a causa della base musicale avviata ad alto volume nello stanzone. Ci avrebbe rinunciato anche stavolta, pensò, lanciando a un paio di metri da sé il blocco e relativa penna.
«Posso?» Jimin allungò lo sguardo sull’oggetto maltrattato tentando di recuperarlo con le piccole dita.
D’istinto Jungkook strattonò l’altro verso di sé, rovesciandoselo addosso in una breve sequela di imprecazioni: aveva sbattuto la testa sull’ultima lastra trasparente, un tonfo sordo che s’era propagato per tutta la stanza attirando l’attenzione dei presenti.
I ballerini si bloccarono focalizzandosi sui due, mostrando reazioni differenti pennellate sui volti accaldati. Taehyung si stupì della scena, scoppiando a ridere subito dopo in una sonora smorfia ilare; Yoongi, sfiancato più che mai dalle ultime due ore si passò il dorso della mano sul volto, scostando la frangia scura, la fronte corrugata in direzione di Jin.
Impassibile.
Fermo.
Bloccato, anzi. Gli occhi di quest’ultimo erano incastrati sulla scena; non batteva neppure un ciglio.
«Jin?» osò chiedere Yoongi, «tutto bene?»
L’altro non rispose, non c’era da stupirsene in fondo: Jimin era incastrato a forbice sul corpo di Jungkook, e non s’era nemmeno alzato, i due a guardarsi per una serie di interminabili secondi. Jin sentiva mordere qualcosa fin dentro le viscere, mordere fino a fargli desiderare di urlare “ma che cazzo state facendo?” Aveva frenato l’impulso di staccarli uno dall’altro e scaraventarli ai due punti più lontani della sala, impedendo quel contatto decisamente ambiguo. Il bisogno di andare lì e smuoverli di propria iniziativa era imperante.
«Levati.»
Glaciale.
Jin strattonò Jimin facendo affidamento sui centimetri in più di altezza e sulle spalle ben più larghe, lavorando di leva e trascinandolo via dal giovane, inerme quanto sorpreso. L’unica cosa che uscì dalle labbra del ragazzo fu uno sbuffo confuso, accompagnato da uno sguardo altrettanto spaesato.
«Cosa…?» non era riuscito a dire altro. Che Jin fosse più fisico del solito era un dato di fatto, che lo fosse con tutti tranne che con lui… era demotivante.
«Non intrometterti.» Le pupille dilatate di Jin intimarono a Jungkook ancora sdraiato a terra di stare buono. «E tu, Jimin, stai più attento la prossima volta.» Jin mascherò l’impulso di urlargli contro di non toccarlo – non toccarglielo. «Potevate farvi male entrambi.»
Tentativo patetico di nascondere la gelosia che gli stava mangiando le pareti dello stomaco come una gastrite in fase acuta. Voltò un’ultima volta il capo in direzione di Jungkook, rabbuiato: non disse nulla.
Per lui la lezione era finita.


«Si può sapere che ti prende?» Yoongi aspettava l’arrivo di Jin fermo sullo stipite della porta d’ingresso allo spogliatoio, ma il ragazzo non era ancora uscito dalla doccia: gocce di acqua tiepida ricadevano sulle piastrelle azzurre del pavimento del bagno comune, mentre la sua fronte era ancora poggiata alla parete. Non ci poteva credere, cosa gli era passato per la testa? Un gesto tanto plateale, impulsivo, in una situazione simile era stato soltanto dannoso: sperava in cuor suo di aver sviato l’attenzione fingendo una preoccupazione che in quel momento non gli apparteneva, ma Yoongi era sempre stato attento e riflessivo, aveva il raro dono di riuscire a leggere tra le righe di azioni e reazioni, e non fidarsi delle parole.
Un’arma a doppio taglio la sua, un’arma puntata su Jin, nudo, sigillato dietro quell’asse di plexiglass bianco opaco a dividerli.
«Devo parlarti.»
Il suono umido di un colpo su una piastrella bagnata fu l’unica risposta.
«Se fai così ti spacchi le nocche, lo sai?»
Jin inspirò ad occhi chiusi contando lo scorrere dei secondi sperando in un silenzio di cui aveva assoluto bisogno.
«Jimin gli è solo caduto addosso, non capisco proprio tutto questo astio.»
«Poteva farsi male, potevano sul serio farsi male.» Le fughe bianche parevano uno spettacolo degno d’attenzione.
«Smettila, sei imbarazzante. Quanto credi faccia bene a Jungkook vederti trattare così chiunque gli si avvicini? Con quale diritto, poi?»
Con quale diritto.
Nessun diritto, effettivamente.
«Lasciami in pace.»
«Ti dà fastidio venga toccato? Siamo i suoi colleghi, è normale ci sia contatto fisico tra noi, anche se lo trovo una pratica non apprezzabile. Loro sono sempre stati ottimi amici, qual è la differenza?»
Nessuna.
Nessuna, rispetto a quasi due settimane prima, quando tutto era ancora normale, quando nessuno aveva ancora parlato, quando i suoi sentimenti erano imprigionati nella gabbia di un’emotività troppo aderente ad un futuro pericolosamente vicino.
«Jin, qual è la differenza?» Yoongi spostò spazientito il peso da un piede all’altro, le braccia incrociate sulla maglietta con cui s’era allenato, i pantaloncini aspettavano soltanto di essere levati e buttati in lavatrice; voleva concludere prima il discorso per poi spogliarsi, lavarsi e sciacquare via finalmente la stanchezza della giornata. «Non vuoi rispondere, vedo. Sappi che Taehyung ha visto Jungkook piangere tra le braccia di Jimin. Naturalmente ho dovuto estorcergli le parole di bocca, perché lui è l’unico stupido che si sente in colpa per quello che ha fatto. Per la cronaca, sono stato io a convincerlo a registrarti, altrimenti staresti ancora adesso a soffocarti con i tuoi stessi sentimenti.»
Il divisore si spalancò, un corpo incurante della propria nudità si avvicinò rapido. «Cosa hai detto?»
«Hai sentito benissimo. Fossi in te, terrei gli occhi aperti. Hai scelto di allontanarlo, e puoi avere tutte le ragioni che vuoi, ma sappi che non è tua proprietà. Fa che non diventi quella di qualcun altro, prima o poi. Ora vado, e copriti prima che arrivino gli altri.»
Jin raccattò un asciugamano, il profumo di ammorbidente a mischiarsi a quello del docciaschiuma creava una strana fragranza contrastante; lo legò in vita prima di raggiungere lo stipetto con il cambio dei vestiti, lasciandosi cadere sulla panca in legno dello spogliatoio. “Cosa cazzo intendeva dire?”


«Jungkook, sono io, posso entrare?»
Jimin bussò un paio di volte prima di procedere verso la camera: quando avvertì una parola di assenso si accomodò, constatando con piacere come il disordine dei giorni scorsi stava lasciando spazio a un concentrato tentativo di risistemazione.
«Scusami, stavo pulendo.» Jungkook lasciò la scopa in un angolo, stiracchiando la schiena e allungando le braccia in direzione del soffitto. «Sono stufo di tutto questo casino. È ora di sistemare.»
«Sei tanto nervoso?»
L’amico aveva imparato a riconoscere i chiari segnali del nervosismo dell’altro, dopo tutti quegli anni di convivenza. Nulla di più efficace per costringerlo a sistemare maniacalmente ogni angolo della propria stanza.
«Dai, siediti, parliamone se vuoi. E non voglio sentire storie, so che hai bisogno di sfogarti.»
Jungkook sospirò lasciando lo straccio intriso di sottile polvere sul mobiletto adiacente al letto.
«Vieni qui e raccontami cosa ti gira per la testa.»
«Hai visto come ti ha trattato?» Inspirò il ragazzo, sbuffando spazientito.
«Chi, Jin? Ah, lascialo stare, era solo preoccupato per te.» Preoccupato non era certo la parola che avrebbe voluto dire davvero, incazzato nero sarebbe stata un’espressione più efficace ma preferiva non infierire sulla faccenda.
«Non ti sembrava… ecco, più infastidito del solito? Molto di più, intendo.» Il moro intanto giocherellava con gli anelli che indossava sempre, facendoli tintinnare, cozzare l’uno con l’altro, cambiandone posizione continuamente. Jimin poggiò le proprie mani sulle sue ad interrompere gesti meccanici rapidi e inconcludenti.
«Calmati, dai.»
«Secondo te potrebbe essere gelosia?»
Una domanda più che lecita. Jimin voleva soppesare le parole considerando che quel tipo di reazioni avrebbe potuto dare speranze, e forse l’amico ora non aveva bisogno di quel genere di sicurezze con basi tanto traballanti.
«No, non credo. Ti sono caduto addosso e hai battuto la testa contro un vetro spesso come un mio mezzo dito. Chiunque avrebbe reagito. Sei un po’ più convinto?»
Il monosillabo incerto fu l’unica risposta. Jungkook riprese a giocare con le proprie dita, martoriandosi le pellicine con le unghie. Il gesto precedente venne ripetuto, Jimin lo fermò dal continuare a torturarsi sottilmente.
«Dovresti staccare la testa e non pensarci, secondo me.»
«È che da quando, beh, sì, lo sai… da quando se n’è andato non viene più a trovarmi oltre l’orario di lavoro, e mi manca. Ah, Jimin, lascia stare, sono soltanto uno stupido che crede ancora a qualcosa che viene smentito ogni giorno. Sono, sono… non so proprio quale parola potrei usare… »
Jimin si allungò su di lui stringendolo a sé, aggrappandosi al tessuto di cotone a macchie colorate all’altezza delle scapole, affondando il volto contro lo sterno: lo faceva soffrire vederlo in quelle condizioni, era davvero difficile rapportarsi a qualcuno che era sempre stato capace di sorridere per poi dimenticarsi come farlo. Sapeva di aver parte della colpa, ma non negò a se stesso di star odiando Jin e il suo atteggiamento controverso. Jungkook meritava ogni singolo buon sentimento possibile, meritava di essere felice, di ridere, di vivere di quella serenità che il ragazzo di cui era innamorato non era capace di donargli al momento. Strinse più forte, sussurrando quanto potesse dispiacergli di ogni cosa.
È colpa tua. Se solo tu fossi stato a casa a farti i fatti suoi, ora continuerebbe a stare bene, ignaro di tutto. Sei orribile. La sua coscienza stava giocando sporco. Un fremito lo colpì dritto in mezzo alle vertebre.
L’altro lo prese per le spalle, controllando stesse bene: le iridi lucide di Jimin si nascosero dietro alle palpebre serrate con violenza.
Tua e di Jin, lui più di tutti. È colpa vostra. Non fosse per lui, Jungkook starebbe bene. Avrebbe voluto fermare quei pensieri invasivi e opprimenti, ma non riusciva a negarne il contenuto.
Il volto dell’amico a pochi centimetri.
«Tutto bene?»
No, non va bene, avrebbe voluto dirglielo, dirgli quanto la sua vicinanza fosse eccessiva, quanto lo spazio vitale ormai divorato dall’amico fosse inutile. Avrebbe voluto dirgli di allontanarsi, di lasciare perdere tutto, di pensare a sé stesso.
Di pensarmi.
E di cercare di guarire presto, non solo nel fisico, dando modo all’emotività e al resto di trovare un equilibrio.
Pensami, Jungkook.
Di riprendere a lavorare con la testa sgombra, il petto leggero.
Di ricordare che Jin sarebbe partito entro breve.
E io invece resto.
Si alzò sorridendo improvvisato, sciogliendo l’abbraccio di malavoglia e scostandosi dall’apprensione forse eccessiva. Il volto troppo vicino, il corpo attaccato al suo.
Le lacrime viste e sentite addosso.
I singhiozzi non trattenuti, il cuore a sgretolarsi ogni volta di più.
E io invece… resto.







   
 
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