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Autore: _aivy_demi_    08/03/2022    4 recensioni
Gli individui sudcoreani di sesso maschile sono tenuti a prestare un totale di due anni di servizio militare, che può essere effettuato tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
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Sarà doloroso separarsi dalla sua seconda famiglia, tanto quanto decidere se aprire o meno il proprio cuore al collega più giovane, prima di partire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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When the time will come

Heavy thoughts




Jin sospirò nuovamente, l’umore nero degli eventi passati aveva lasciato spazio alla concentrazione necessaria per portare avanti il programma in modo soddisfacente: le prove procedevano spedite, e nonostante la difficoltà si stava impegnando in modo costante, dando tutto se stesso in ogni passo, cadenza, mossa, salto. Faticava, certo, ma era l’unico modo che aveva per zittire la vocina – benedetta, angelica, melodiosa quanto stronza vocina – che continuava a sussurrargli di mollare tutto, andare da Jungkook, stringerlo a sé e scaraventarlo contro qualsiasi cosa per poter impossessarsi delle sue labbra e del suo respiro. Ogni giorno era sempre più difficile staccarsi da lui, dal pensiero delle sue mani tremanti, di quella dichiarazione che aveva volutamente interrotto a metà: stupido lui a non averlo visto prima, a non aver notato niente, troppo assorbito dall’idea di provare un sentimento tanto profondo, destabilizzante, quanto a senso unico. Staccò gli occhi dallo smartphone bloccando lo schermo, rivelando l’immagine impostata di un Jungkook che stava dormendo beatamente seduto davanti allo specchio del camerino, mentre l’hair stylist stava acconciandogli i capelli per un servizio fotografico. Era adorabile, tanto da essere stato scelto per lo sfondo in lock screen.
Un piccolo tesoro personale il suo, come tanti altri scatti rubati.
Li guardava e riguardava quei momenti di vita impressi: Jungkook rideva, strizzava gli occhi, Jungkook mangiava, dormiva, russava, Jungkook si allenava, se ne stava assorto seduto. Smorfie, sorrisi, occhiatacce, linguacce. Era ovunque, nei neuroni, nelle fibre nervose, tra i muscoli e i legamenti, tanto a fondo nel petto, impossibile da sradicare.
Jin espirò sdraiandosi malamente sul divano, anche quella notte non riusciva a prendere sonno. La sala era in penombra, illuminata solamente dalle luci d’un bianco pallido dei lampioncini in giardino, piccoli fantasmini immobili tra i fili d’erba scuri e le aiuole celate dal velo buio. Sentiva leggeri brividi corrergli sulle vertebre, la pelle d’oca saliva sulle braccia scendendo fino alle cosce; una certa pigrizia s’era impossessata della sua pazienza, non avrebbe ceduto. Non si sarebbe alzato per recuperare la coperta, nemmeno a modificare di un paio di gradi la temperatura sul termostato.
Era stanco, era comprensibile, e cadde nel dormiveglia.


Il leggero fruscìo Jin l’aveva avvertito davvero.
Calore, morbidezza.
Il suo corpo non si lamentava più silenzioso, si stava beando della piacevole consistenza dell’enorme coperta in pile dai molteplici colori che solitamente se ne stava in sosta sul poggiabraccio sinistro del sofà. Si rannicchiò seppellendo i capelli castani sotto lo strato pesante, ritirando al petto le ginocchia.
Quanto stava bene. Così bene da non chiedersi nemmeno chi fosse stato.
«Buonanotte.»
Un lieve sussurro, colto a malapena.
Sollevò le palpebre stropicciandosi gli occhi come un bambino qualunque, alzandosi di scatto.
Il sorriso di Jungkook brillava nella poca luce presente, così come gli occhi scuri: era inginocchiato di fronte a Jin, incastrato tra il divano e il tavolino, una distanza minima a separarli. Stava fotografando ogni singola sfumatura del suo volto, era così raro vederlo felice, che si ritrovò ad arrossire improvvisamente, nascondendo mezzo viso tra le mani.
«Non volevo svegliarti, scusami…» la voce bassa, un’espressione desolata a dipingere le iridi stanche.
Gli occhi di Jin spuntarono da sotto le dita, si scansò e fece segno al ragazzo di accomodarglisi accanto. Non fiatò, gli avvolse la spalla col braccio e lo trascinò contro il suo fianco.
«Non dire niente, domani ricomincerò a fare finta di nulla ma adesso stai qui.» Non serviva certo lanciare un’occhiata attenta alla sua sinistra per capire che Jungkook stava ridendo imbarazzato: lo sapeva bene, lo conosceva abbastanza da ricordare la sfumatura del rossore dipinto sui suoi zigomi. Era stanco di doverlo evitare, tremendamente frustrato all’idea di continuare a parlare solo e soltanto di lavoro, lezioni, preparazione, al massimo di cibo o caffè.
Gli mancava terribilmente.
Troppo.
Stava sbagliando forse, ma aveva bisogno di sentirlo vicino, almeno quando non c’era nessun altro nei paraggi. Fare il finto tonto in sala prove, in salone, durante la giornata risultava sfiancante, anche perché erano sempre stati vicini, fin dall’inizio; dormivano spesso nella stessa stanza, cenavano assieme, condividevano tante piccole cose, ma tutto s’era perso dopo l’episodio che invece di unirli li aveva separati.
«Jin.»
Il susseguirsi dei pensieri del giovane venne interrotto da Jungkook, che timidamente lo stava strattonando per la maglietta. Deglutì inspirando con le palpebre schiuse.
“Non dirlo…”
«Posso…»
Jin si girò verso di lui, tanto vicino da poter vedere nitidamente ogni particolare del volto dell’altro in una stanza quasi completamente immersa nel buio della notte tarda.
“Non chiederlo…”
«Posso addormentarmi qui? Non riesco a prendere sonno, e sai, mi ero abituato bene quando avevo la febbre e stavo da te.»
“Fallo e basta.” Glielo avrebbe sussurrato volentieri, l’idea di poterlo stringere a sé e riprendere a dormire con un altro tipo di calore a conciliargli il sonno era una cosa così bella, che subito sembrò sbagliata. Se l’avesse abituato a tutti quei gesti intimi, importanti, fino a caratterizzare una quotidianità di questo tipo, cosa ne sarebbe stato poi di lui, di loro, dopo la sua partenza? Doveva prendere la situazione di petto ancora una volta, guardarlo negli occhi, impostare il giusto tono di voce autoritario ma non scontroso, poggiare le mani sulle sue spalle e dirglielo, senza dargli possibilità di ribattere. Severo ma giusto, non pretenzioso. Mantenere le distanze Jin, mantenere le distanze, si ripeteva in testa.
Poi lo guardò nuovamente, vide quelle due punte luminose incastonate in un volto stremato dagli ultimi strascichi dei sintomi che lo avevano bloccato in quell’ultimo periodo, vide l’attesa, la speranza in un sì. Erano palesi, lo sapeva bene.
Autoritario, dritto al punto.
Schiuse le labbra.
«Va bene, solo per stasera.»


Dormire non fu mai più piacevole.


Jungkook tentava di sistemarsi comodamente ma non ci riusciva: era già la quarta volta che rischiava di cadere dal divano, non era certo un letto ma aveva ingenuamente pensato di riuscire a incastrarsi con facilità. Come no. Due ragazzi di un metro e ottanta su un semplice sofà a tre posti. La cervicale stava implorando pietà, così come la schiena. Scostò delicatamente il plaid che ricopriva Jin solo per metà, visto che s’era appisolato ancora seduto per permettere all’altro di riuscire a ottenere più posto possibile.
Utopico.
Tirò a sé il lato corto del pile e poggiò la testa sulle cosce di Jin, la nuca a contatto con il suo addome, la mano sul suo ginocchio, assestandosi così. Era rannicchiato, ma la posizione confortevole. Poteva sentire i gorgoglii dello stomaco, i risucchi, il battito, e cominciò a sghignazzare senza motivo, sussultando quando venne richiamato.
«Non ridere, lasciami dormire.»
La voce impastata si mischiò ad un altro paio di sillabe mugugnate in maniera incomprensibile.
Jungkook si tappò la bocca con le mani evitando un rumoroso scoppio di ilarità, si trattenne a fatica, soffiò via gli ultimi attimi di pressione da risata ed espirò il nervosismo. Tante volte aveva immaginato di ritrovarsi immerso nel più totale silenzio a diretto contatto con Jin, troppe, e ora che si trovava lì sentiva il bisogno di averlo più vicino, soltanto un poco di più. Voltò il capo e sollevò con l’indice la maglietta dell’altro, respirando con la bocca, il caldo soffio agitato usciva con impazienza. Deglutì un paio di volte, e poggiò le labbra sulla pelle tesa del ventre.
Jin si scostò un attimo, reclinando il capo di lato e lasciandosi andare ad un sonoro sospiro, continuando a dormire.
«Scusami…» sussurrò a malapena, ritraendosi come scottato.
Che stupido, stava facendo una cosa simile a chi ancora stava dormendo, si vergognava del suo stesso atteggiamento. Non poterlo avere non aveva certo cancellato il desiderio, ma approfittarne in modo così evidente era da vigliacchi; si issò sui gomiti osservando dal basso il soggetto della sua completa attenzione, sospirò.
Guardarlo gli dava pace, ma non era sufficiente.
Potergli stare vicino era bello, ma non abbastanza.
Sfiorarlo gli provocava i brividi, ma ne voleva di più.
Fece per alzarsi, stava sbagliando tutto, doveva andarsene, tornare in camera e fare finta di nulla, come sempre, come tutte le sere degli ultimi anni.
Dita forti si chiusero sul suo polso strattonandolo verso il basso, Jin lo aveva attirato a sé inglobandolo in un abbraccio che non ammetteva repliche o vie di fuga. «Non c’è nessuno, non andare via.» Occhi svegli, espressivi, il tono non ammetteva repliche. «Resta.» Lo fece sedere sulle proprie gambe, stringendolo, inspirandone il profumo dall’incavo del collo. Era bloccato così, non aveva bisogno di altro.
Jungkook si sentì avvampare con una tale violenza che il tentativo di allontanamento fu più rapido della comprensione di ciò che stava succedendo. La morsa che avvertiva a livello della fascia lombare non era rappresentata solo dalle braccia di Jin, cercava maldestramente di nascondere l’erezione che sfregava contro i tessuti.
Se ne sarebbe accorto Jin, di sicuro. Il disagio cresceva, ma l’agitarsi non faceva altro che aumentare la frizione. Stava impazzendo, e il primo gemito non tardò ad arrivare. Jin non mollava, Jungkook fu costretto a fermarsi voltando la testa in direzione di un punto fisso verso la finestra.
«Guardami.»
Non l’avrebbe fatto, sapeva di essere un libro aperto ormai: le sue emozioni stavano avendo la meglio, e frenarle era l’unico modo di fermare tutto, chiudersi al piano di sopra, mordersi le labbra e lasciarsi andare ai sospiri in solitudine.
«Ehi, guardami. Non vergognarti.»
Lunghe dita gli afferrarono il mento, non poteva sfuggire a Jin.
Non voleva.
Si lasciò cadere su di lui affamato, le labbra a chiudersi e riaprirsi alla ricerca di aria, di sapori, di mugolii. Ne aveva bisogno, più dell’ossigeno che gli stava mancando. Le mani di Jin lo accarezzavano sulla schiena, scendendo e risalendo lente, una vertebra alla volta, fermandosi all’elastico dei pantaloni della tuta. Quando le dita scesero ad afferrare le natiche, Jungkook si staccò ansante da lui: una muta richiesta la sua.
Continua.
Jin approfondì il bacio aumentando il contatto tra fianchi e cosce, muovendosi non più impercettibilmente, bisognoso, avido. Jungkook lo sapeva, lo sentiva, era lo stesso genere di sensazioni che gli stava logorando la ragione e divorando lo spazio dietro allo sterno e dentro allo stomaco. Si avvicinò al lobo dell’altro, sussurrando di volerne di più, di resistere a fatica, di volerlo.
Continua. Pensò e disse Jin, mordendogli la spalla, la clavicola, scendendo al pettorale e saggiando odore e sapore in una scia umida.
«Jin…»
Il suono era spezzato, roco, basso. Il suo nome uscito tra i gemiti si impossessò del poco autocontrollo rimasto, si alzò rovesciando Jungkook sul divano ed inginocchiandosi di fronte al corpo tremante.
La sola luce di quegli occhi acquosi di desiderio bastò a riportarlo alla realtà, al rischio che stavano correndo in quel momento esatto: essere scoperti in condizioni simili non rientrava nei programmi di quella notte. Neanche raggiungere uno stato tale lo era, ma ormai non si sarebbe tirato indietro. Erano soltanto loro due, che male avrebbero potuto fare continuando?
«Non posso prometterti niente, lo sai…» l’amarezza di quelle parole bruciava in petto quanto sulla lingua, «ma non posso continuare a fare finta di niente.» Jin strinse le dita a pugno sulle ginocchia instabili del ragazzo, incamerando aria per poter parlare con sincerità, una volta tanto. «Jungkook, io ti amo, non posso farti soffrire. Pensavo di poterti stare lontano, facevo di tutto per evitare di darti qualsiasi tipo di stimolo, di voglia di continuare a cercarmi. Ci ho provato, non hai idea di q-»
«Non continuare, fa male… non parlare di questo adesso, potremmo pensarci domani, no? In fondo due mesi sono tanti…»
Jungkook si rese conto troppo tardi delle lacrime che stavano scivolando fino al mento, inumidendogli il collo e la pelle dove poco prima la lingua e le dita di Jin avevano lasciato il segno. Non erano tanti, meno di sessanta giorni erano niente rispetto a quello che aveva passato nell’aspettare di udire quelle parole: era felice, quel “ti amo” era la cosa più bella che aveva sentito, che gli avevano dedicato. Perché allora stava piangendo? Stupido sentimentale.
«Hai ragione, sono tanti…»
Il maggiore si sollevò in piedi, racchiudendo tra le proprie braccia un corpo che sembrava tanto piccolo, estremamente fragile. Aveva paura di romperlo, distruggerlo in piccoli pezzi: era stato liberatorio dichiararsi, quelle poche sillabe uscendo avevano alleggerito il suo essere, ma a quale prezzo? Le lacrime di Jungkook pesavano altrettanto. Lo strinse a sé, accogliendo i suoi singhiozzi spezzati, baciandogli la fronte ed i capelli, accarezzandolo; sussurrava lievi parole per tranquillizzarlo, non sapeva esattamente cosa dire, si lasciava trasportare da ciò che aveva tenuto nascosto dentro, qualsiasi cosa avesse fatto star bene l’altro sarebbe stato sufficiente.
«Cosa direbbero gli altri se vedessero uno grande e grosso come te piangere così?»
Jungkook sorrise strofinandosi gli occhi e il naso con un lembo della canotta scura che indossava, singhiozzando nuovamente. «La stessa cosa che direbbero di te, grande e grosso.» Allungò le dita sugli zigomi bagnati dello stesso Jin, quest’ultimo non se n’era nemmeno accorto; passò delicatamente i polpastrelli sulla sua pelle, asciugandone ogni tratto. «Siamo proprio irrecuperabili…»
«Non vuoi arrenderti, vedo.»
«Sai che sono testardo, Jin. E sai che non potrei fare a meno di te.»
“Lo so. È questo il problema, Jungkook.” La stretta si fece più viva, il tremore era passato: sorrisero entrambi, ma l’ultimo pensiero materializzatosi nella testa di Jin pesò come una condanna.








   
 
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