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Autore: Sasita    08/03/2022    1 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. Nuova settimana, nuovo capitolo. Non sono finiti gli incontri per Dean, e non sarà neanche questo capitolo ad esaurirli. La canzone che ispira questo capitolo è Pictures of you, dei The Cure. Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione!



CAPITOLO IV
Pictures of you

 

Remembering you fallen into my arms 
Crying for the death of your heart 
You were stone white
So delicate 
Lost in the cold 
You were always so lost in the dark
Remembering you how you used to be 
Slow drowned 
You were angels
So much more than everything 
Hold for the last time then slip away quietly 
Open my eyes 
But I never see anything

If only I'd thought of the right words 
I could have held on to your heart 
If only I'd thought of the right words
I wouldn't be breaking apart 
All my pictures of you

Looking so long at these pictures of you 
But I never hold on to your heart 
Looking so long for the words to be true
But always just breaking apart
My pictures of you

 

Un furtivo raggio di sole sfrigolò sulle palpebre chiuse di Dean. Dalla finestra appena accostata entrava una lieve brezza primaverile dall’intenso profumo di fiori ed erba tagliata, facendo svolazzare la tenda leggera. Con un mugolio si rigirò nelle lenzuola fresche, strofinando il viso contro la stoffa fino ad oscurare del tutto la luce impertinente del mattino, inutilmente però: ormai era sveglio. Un sorriso gli distese i lineamenti del volto, ancora ad occhi chiusi e abbandonato a pancia in giù sul materasso, le braccia che formavano un rombo intorno al cuscino. Si stiracchiò, prese un respiro profondo e si lasciò sfuggire un mugolio soddisfatto. 

In qualche battito di ciglia si abituò alla luminosità e lanciò uno sguardo fugace alla sveglia sul comodino. Gli ci volle solo un attimo per farsi comparire un’espressione orripilata sul viso.

«Mezzogiorno?», guaì scattando a sedere sul bordo del letto.

Non che gli importasse più di tanto che ore fossero, né che avesse chissà cosa da fare, ma era a casa di suo padre e sua madre, e se conosceva John non avrebbe perso l’occasione per commentare il fatto che alla veneranda età di quarant’anni non si vergognasse di dormire fino a tardi come un adolescente. Poco importava che se per la stragrande maggioranza della sua esistenza si fosse concesso poco più di quattro ore di sonno a notte. Rise di sé stesso e di quella situazione tragicomica. Dopotutto, cosa gliene importava? Distese le spalle, abbandonò i gomiti sulle ginocchia e si passò le mani sul viso per stropicciarlo dopo il lungo sonno, poi si distese i capelli con le dita affusolate.

Buffo, pensò, che il suo orologio da polso fosse fermo e non segnasse il tempo, mentre tutti gli altri orologi paradisiaci non sembravano aver alcun problema a fare il loro lavoro. Probabilmente c’era una motivazione inconscia simile a quella che avrebbe dovuto spiegare il suo aspetto maturo, ma Dean non aveva alcuna intenzione di andarla a cercare. 

Dopotutto, perché inseguire spiegazioni di cose che non avevano bisogno di risoluzioni.

Si alzò dal letto quasi barcollando, ancora pieno di sonno, e si dondolò un attimo davanti allo specchio per decidere come presentarsi al piano di sotto. Avrebbe potuto tranquillamente rimanere in pigiama, mettersi addosso una vestaglia come quella che aveva nel bunker, ma probabilmente si sarebbe guadagnato le occhiate di disapprovazione di suo padre. Oppure avrebbe potuto vestirsi, e perdere di colpo tutta quella beatitudine che i vestiti morbidi gli davano. Optò per una soluzione di compromesso. 

Scavando nei cassetti dell’armadio, stranamente già pieni di vestiti di vario genere, trovò una maglietta dei The Cure e una tuta composta di pantalone e felpa grigio scuro con la zip. Si guardò nello specchio senza riuscire a decidere se fosse l’abbigliamento adatto per affrontare la sua prima colazione - o meglio, pranzo - in famiglia da… beh, trentasette anni. Sembrava Sam prima di una delle sue corse di salute. Storse la bocca, si morsicchiò il labbro e decise che la soluzione migliore era vestirsi del tutto. 

Si mise un paio di jeans puliti, calzini e scarpe. Stava per cambiare anche la maglietta, ma decise di tenerla: dopotutto gli calzava a pennello. Agguantò la prima camicia sportiva che gli capitò a tiro e si passò di nuovo le mani nei capelli castani, leggermente più lunghi di quanto si ricordasse. Sorrise, finalmente soddisfatto, e si diresse al piano di sotto.

Appena aprì la porta, un profumo intenso di torta di mele, detersivo per i pavimenti, biscotti, pasta al forno e alcol etilico si insinuò nelle sue narici. Una cacofonia di voci e risate risalivano su per le scale come un vortice di parole e sillabe mozzate. A lunghi salti, scendendo gli scalini due a due, si ritrovò nell’atrio di casa davanti a una piccola folla di persone.

Un sorriso ancor più grande si aprì sul suo volto.

«Bobby!», disse avvicinandosi di slancio al più vicino degli ospiti. Strinse il buon vecchio padre putativo con un abbraccio filiale e poi si rivolse all’uomo accanto a lui stringendogli una spalla con la mano. «E Rufus, vecchia canaglia…», rise. «Spero che tu abbia trovato il miglior scotch possibile quassù!»

Rufus era irrigidito e schivo come al solito, ma ricambiò l’espressione gioviale. «Neanche un po’… in compenso non mi manca mai la musica in casa!», disse lanciando uno sguardo adorante all’angolo opposto della sala.

«Non ci credo!», esclamò Dean, emozionato come un bambino davanti alle caramelle. «Non mi dirai che è la vera Aretha!»

Bobby grugnì. «In carne ed ossa… oh, beh… più o meno. Uno con quella sua brutta faccia che si trova una donna così… assurdo», scosse la testa.

«Ehi, razza di imbecille…», gli rispose l’amico.

Dean rise e si strofinò le mani una contro l’altra. «È fantastico»

«Non so se ti ricordi di Karen, ragazzo…», gli disse Bobby ignorando Rufus.

Il maggiore dei Winchester si voltò verso il punto in cui lui stava guardando, e il suo viso si aprì in un sorriso caloroso. «Beh, più o meno…», rispose. «…ti trovo decisamente meglio dell’ultima volta», le disse.

La moglie di Bobby ridacchiò gentilmente. «Potrei dire la stessa cosa», rispose. «Benvenuto in Paradiso… tua madre mi ha chiesto di mettere a frutto le mie doti in cucina per darle una mano. So che ti piace la crostata di mele, non è vero?»

Il volto di Dean si illuminò d’immenso, e l’unica espressione che gli dipinse il volto fu quella di pura estasi. «Diavolo sì!», esclamò.

Una gigante massa nera gli si infranse contro le gambe, sferzandolo con la coda. «Rumsfeld!», squittì. «Stupido vecchio cane!», rise accasciandosi per dargli una grattata tra le orecchie sulla grossa testona pelosa.

«Dean…» La voce di Mary lo distrasse da quel momento di pura pace, costringendolo ad alzare lo sguardo. Lo guardava sorridente e radiosa.

«Ehi», rispose lui. «Scusami se sono sceso tardi ero… tra i miei pensieri», mentì, almeno parzialmente.

«Non preoccuparti, avevi molto da recuperare e metabolizzare», lo rincuorò lei. «Vieni in giardino, John sta preparando la griglia per la tua festa di “benvenuto permanente”», rise. 

Dean era convinto di non potersi sentire più raggiante, ma si sbagliava.

«Ci sono un paio di persone che vorrebbero vederti»

Senza farselo ripetere Dean fece un cenno a Bobby, Rufus e Karen e lanciò uno sguardo di pura adorazione verso Aretha Franklin, che neanche lo aveva visto, presa com’era a parlare con persone che lui non conosceva. Si morse un labbro. «Aspetta un attimo…», le disse.

Sua madre ridacchiò e intrecciò le braccia al petto. «Muoviti… non sparirà comunque!»

«Ma è una delle più grandi star della musica…», obiettò lui, contrariato come un ragazzino. «Oh, dai, ci metto un istante!», disse tutto entusiasta, sorridendo da un lobo all’altro e riempiendo lo spazio del salone a lunghe falcate.

Giunse accanto alla cantante in men che non si dica, con le mani che gli sudavano e un lieve colorito roseo che minacciava di trapelare dalle guance. Tra l’imbarazzato e l’emozionato, simile a una fan di Supernatural davanti a Jensen Ackles, Dean si grattò la testa.

«Oh! Tu devi essere Dean!», disse lei rendendosene conto. «Bobby mi ha parlato di te… sono felice di conoscerti… o meglio, mi dispiace che tu sia morto ovviamente, ma non vedevo l’ora di conoscere tu e tuo fratello, siete l’argomento principale di ogni nostro brunch a quattro!»

Dean lanciò uno sguardo di sfuggita a Bobby, che avvampò. «È… sono io che… wow, signora, è un onore per me conoscerla!»

«Oh, ma che sciocchino, dammi del tu ragazzo!», gli disse lei porgendogli la mano.

Dean iperventilò, si passò la lingua su un labbro e fece guizzare lo sguardo tra Aretha, sua madre che rideva insieme a Karen, Bobby imbarazzato, Rufus accigliato e le altre due donne accanto alla più grande voce della storia che non aveva degnato neanche di uno sguardo. Le prese la mano e la strinse tra entrambe le sue. «Wow… non ci credo che sto stringendo la mano a Aretha Franklin! E… non ci credo che quel co— che Rufus abbia avuto una fortuna sfacciata come questa…», si voltò verso il vecchio collega cacciatore, «…grazie!», gli disse.

La donna rise, con la sua voce potente e cristallina. «Ha più doti di quante gliene concediate…», scherzò facendo l’occhiolino a Rufus prima e a Dean poi.

Il maggiore dei Winchester si lasciò sfuggire un esclamazione divertita. «Oh Di— Jack!, questo paradiso si che è una figata, dannazione!»

«Dean!», lo chiamò di nuovo Mary. «Ti assicuro che nessuno di loro se ne andrà, ora vieni in giardino…»

A malincuore lui lasciò andare la mano di Aretha con gli occhi spalancati e gioiosi, e le fece segno con le dita che sarebbe tornato. Passando accanto a Rufus gli tirò una sonora pacca sulla spalla, e poi seguì sua madre verso la grande finestra vetrata sul retro, non senza voltarsi più del necessario per assicurarsi di non star sognando.

«Oh, incredibile, ero convinto che Bobby mi prendesse per il culo…»

«Dean, ti prego, le parole!»

Lui rise. «Da quando sei così puritana, mamma?»

«Da quando tutta la tua famiglia è qui per salutarti…» Suo padre sorrise andandogli incontro. «Ce l’hai fatta a raggiungerci alla fine, eh?» John gli mise una mano sulla spalla e gli piantò le iridi scure negli occhi, scrutandolo nel profondo. «Spero ti sia riposato», gli disse semplicemente. «Venire quassù non è facile per nessuno», lo giustificò. 

«Famiglia?», chiese semplicemente Dean, con la fronte aggrottata e le sopracciglia che quasi si toccavano. Era abbastanza sicuro che Sam non fosse ancora morto, o almeno lo sperava, e non era certo che i suoi considerassero effettivamente Castiel o Jack membri della sua famiglia, per quanto lo fossero per Dean. Per cui non rimanevano che i famigliari di sangue. Ricordava bene i Campbell. Ricordava la prima volta che li aveva finalmente conosciuti, nel suo viaggio nel tempo, e quanto suo nonno fosse scontroso, scostante e selvatico e quanto sua nonna fosse al contrario, seppur timida, gioviale e gentile. Ricordava poi il disastro che lui e i cugini avevano fatto insieme al Sam senza anima. Ricordava anche Henry, il padre di suo padre, e la tragica morte che aveva incontrato per colpa di Abbadon. Ma a giudicare dallo sguardo di sfuggita che aveva dato alle spalle di John, c’erano molte persone in quel giardino, più di quante sapeva di conoscere.

Suo padre sembrava euforico. Una strana emozione da immaginare in faccia a John Winchester. «Sì, sono tutti qui!», disse. Poi prese suo figlio per la spalla e gli si pose al fianco.

Impacciato e schivo, Dean lanciò uno sguardo in tralice a sua madre, che lo guardava emozionata. «Grandioso…», esclamò lui deglutendo. Com’era che tutti si erano messi in testa che doveva fare indigestione di rimpatriate condensate in così poco tempo? Non aveva forse l’eternità per incontrare le persone della sua vita un po’ alla volta? Possibile che nessuno si rendesse conto che aveva solo bisogno di tempo per adattarsi? Ma dopotutto, pensò, la sua vita non era stata poi così diversa. Un caso dopo l’altro, un disastro dopo l’altro, una scoperta dopo l’altra, senza mai una pausa, senza mai un momento per metabolizzare il precedente. Audace da parte sua credere che in Paradiso sarebbe stato diverso.

«Samuel! Deanna!», chiamò suo padre. 

«Ma lui non ti odiava?», scherzò Dean lanciandogli uno sguardo.

John rise appena. «Mortalmente…», confermò, «…ma prima che diventassi un cacciatore anche io. Ora abbiamo qualcosa in comune, almeno»

Dean ci pensò su, poi inarcò le labbra in un’espressione di persuasa comprensione. 

I suoi nonni si voltarono verso lui e John, avvicinandosi sorridenti. «Dean! Che piacere rincontrarti in momenti migliori…», gli disse sua nonna stampandogli un bacio sulla guancia.

«Ragazzo…», disse l’uomo, con le spalle ben dritte e l’espressione austera. «…vale anche per me»

Dean annuì, non troppo sicuro di cosa dire. In mente gli venivano solo battute sagaci e taglienti, non senza una punta di insolenza, per cui preferì tacere. 

«Ti ricordi anche di Gwen?», gli chiese Samuel indicandole la cugina.

«Certo!», rispose lui. «E Mark e Christian?», chiese stringendo la mano a Gwen.

I suoi nonni si scambiarono un’occhiata. «Non sono quassù…»

«Oh… brutta storia», disse solo. Non gli sembrava il caso di confermare che non ne era affatto sorpreso. Quelle due teste calde erano talmente arroganti che avevano finito per farsi ammazzare, e avrebbero fatto uccidere anche lui, Sam e tutti gli altri se non fosse stato per il sangue freddo e la consapevolezza di Dean, e il sacrificio di Gwen. E poi, combattevano solo per i motivi sbagliati, si sentivano superiori a chiunque altro e provavano piacere nel vedere soffrire gli altri. Sì, probabilmente era meglio che Dean se ne stesse zitto a riguardo. 

«Questi invece sono Carl e Gabrielle, mia sorella e suo marito, i genitori di Gwen», li presentò Samuel.

Dean alzò lo sguardo verso quelle persone, tutte stranamente giovani, tutte stranamente sorridenti. Lui si sentiva già sopraffatto. Probabilmente lo avevano scambiato per Sam, sempre a suo agio in situazioni come quelle, in cui dover gestire una moltitudine insopportabile di rapporti umani, anche con persone di cui non sapeva nulla e di cui non gli importava nulla. Avrebbe voluto sentire qualcosa, provare un legame familiare con tutti loro, ma l’unica cosa che sentiva era una gran fame. In ogni caso sorrise, si mise le mani in tasca, e fece un cenno a tutti loro. Seguì una sfilza di altre presentazioni. Rivide suo nonno Henry e conobbe finalmente sua nonna Millie e insieme a loro altri Winchester, di diverse generazioni e gradi di familiarità. 

«Vado a mettere la carne sul fuoco», si congedò John, lasciandolo circondato da quello stuolo di parenti.

«Oh, grazie al cielo…», si lasciò sfuggire Dean. «Spero ci siano abbastanza hamburger», mugugnò.

«E birre!», esclamò qualcuno alle sue spalle.

Bastò la voce a trasportare Dean in un’altra dimensione, a svegliarlo dal torpore in cui era caduto, a trarlo fuori dall’imbarazzo della situazione, e a farlo voltare di scatto. Un flash gli accese nella mente una carrellata di ricordi che si affastellavano l’uno sull’altro, come la sequenza di slide impazzita nel film Tarzan.

«Jo!», esclamò. «Ellen!»

Senza pensarci due volte buttò loro le braccia al collo, e alzò lo sguardo verso Bobby, di poco alle loro spalle, ringraziandolo con una strizzata di palpebre. Una fitta di rimorso, di senso di colpa, si impadronì di lui. Ma fu solo il dolore di un momento. 

«Sono così felice di rivedervi… di sapere che state bene! È stupendo…», esclamò.

«È lo stesso per noi, bel faccino!», gli rispose Ellen, ricambiando l’abbraccio.

Jo gli lanciò un’occhiata furtiva. «Insomma, alla fine ci sei arrivato anche te, eh? Ci eravamo convinti un po’ tutti che tu e Sam foste immortali…»

Dean rise. «Mi sa che ne ero convinto anche io…», disse. «Comunque, ho appeso le armi a un chiodo…», scherzò. «Quasi letteralmente!»

Ellen gli posò una mano sul braccio. «Hai conosciuto tutta la tua famiglia?»

Lui fece una smorfia, lanciandosi uno sguardo alle spalle con un sorriso tirato stampato sulla faccia. Tutti i Winchester e i Campbell se ne stavano dispersi in gruppetti di persone, un po’ lo guardavano, un po’ parlavano del più e del meno, un po’ si stavano già perdendo in cibo e bevande. «Beh… se è così che li vogliamo chiamare», disse, grattandosi la nuca.

«Lo sono…», lo rimbrottò la donna.

Dean inclinò la testa da un lato. «Sono dell’idea che la famiglia sia più quella che si sceglie che quella ci capita…», disse sottovoce. «Comunque… non vi immaginate neanche come sia felice di vedervi!»

Jo schioccò le labbra e gli tirò una botta sulla spalla. «Saremmo rimasti in pace ancora anche se non ci avessi raggiunto così presto, idiota!»

Dean rise e le scompigliò i capelli. Sembrava così strano, adesso, con l’esperienza, la vita e l’aspetto di un quarantenne che era morto e risorto fin troppe volte, che si era trovato disperso in purgatorio, che aveva passato quaranta altri anni all’inferno, che era diventato un demone, poi un angelo, poi la strana ossessione di una creatura primordiale, guardare Jo. Ricordava bene cosa aveva provato per lei, quell’affetto sul filo sottile tra fratellanza e attrazione. E sapeva benissimo cosa lei aveva provato per lui a quel tempo, fin troppi anni prima. Ricordarlo così, in Paradiso, quando tutto nel frattempo era cambiato e si era stravolto centinaia di volte, creava uno strano iato nella sua mente. Quasi che tutta la vita nel mezzo fosse stata solo una strana bolla di sogni lucidi privi di senso. 

Eppure guardandola adesso, sentiva che tutto ciò che poteva provare per Jo altro non era che un sentimento di fraterna protezione.

«Sai com’è… ho smesso di essere nelle grazie di Dio e il nuovo capo ha pensato bene di non tirare le fila per evitarmi di crepare ogni volta che faccio qualcosa di stupido— oh, beh, facevo. Immagino che adesso qualunque idiozia io possa fare non morirei comunque, quindi…», disse facendo spallucce.

Jo rise, e lo abbracciò di nuovo. «È strano vederti così vecchio», lo schernì.

«Ehi! Ragazzina…», si indignò lui, liberandosi dell’abbraccio. «Non sono affatto vecchio…»

«Sicuramente hai un bel po’ più di rughe su quel tuo bel faccino!», rincarò Ellen. «Ma sei sempre un gran bel ragazzo…»

«Mamma!», la rimproverò Jo.

Dean si mise in posa da modello. «Non ho mai negato di esserlo», rise.

«Oh, ma piantala…», si intromise Bobby.

«E Ash che fine ha fatto?»

Il viso di Ellen si distese in un sorriso sereno. «Oh, è partito qualche tempo fa con un gruppo di hippie per fare il “giro del Paradiso”…», rise. «È riuscito a scovare un po’ di gente famosa che piaceva a lui… sai tipo Janis Joplin, Bob Marley, Freddie Mercury… hanno fatto un pulmino e sono partiti»

Dean rise con lei. «Oh, sì, ce lo vedo!»

Mary si avvicinò, e gli porse una birra chiara. «Allora?»

Lui fece spallucce, ringraziandola con un gesto della testa. «Non mi aspettavo tutto questo», disse semplicemente.

«Spero non sia troppo… John voleva… sai… penso fare il padre normale, per una volta»

Dean rise e alzò le sopracciglia, bevendo un po’ di quella euforia liquida. «Oh, beh, allora ne vedremo delle belle!»

Mary lo guardò con un pizzico di severità. «Sai che ci sta provando… e ha molto da recuperare ma—»

«Oh, ma dai Mary!», si intromise Bobby, «Questo ragazzo si è praticamente cresciuto da solo a scatole di fagioli, cereali e proiettili… e ha fatto da fratello e da padre a Sammy. Voglio veramente tanto bene a John, lo sai, è stato un amico per me e ci siamo aiutati entrambi in momenti molto bui della nostra vita… ma non basteranno una grigliata in famiglia in stile Labor Day e una bella rimpatriata per cambiare le cose!»

Ellen annuiva in silenzio, con le braccia incrociate sul petto. «Sì, insomma, io e John abbiamo avuto… un’amicizia travagliata. Ed è stato un vero stronzo con questi ragazzi… li ha amati, e amava te più di ogni altra cosa, Mary— ma il modo in cui li ha cresciuti…»

«Anche tu hai fatto crescere tua figlia in un pub per cacciatori», la rimbeccò Mary, con un’occhiata serafica.

Dean tossicchiò. «Papà ha fatto quello che riteneva di dover fare… non gli porto rancore per questo, e neppure Sam. Ne abbiamo già parlato…»

«E allora perché non gli dai un po’ di soddisfazione?», gli chiese la madre.

Dean fece uscire l’aria di netto dal naso, in un brevissimo sbuffo di incredulità. «Cosa vorresti che facessi esattamente? Sono qui da neanche due giorni e già mi avete presentato l’intero albero genealogico e ora vorreste che io fossi—»

Mary gli mise una mano sulla spalla. «Vogliamo solo che ti senta a tuo agio qui…»

«Ascolta… tu mi hai conosciuto per troppo poco tempo, e in un momento abbastanza concitato della mia vita— non che ce ne siano stati di meno impegnativi… ma comunque non hai veramente idea di chi io sia e di come sia fatto. Vi ringrazio per tutto questo, lo apprezzo… ma se vi aspettavate tante effusioni e molte chiacchiere avete preso il figlio sbagliato…», disse semplicemente. 

«Oh, ma smettila, da quando sei il tipo che si lamenta di una bella giornata goliardica piena di cibo?», scherzò Jo per stemperare un po’ gli animi.

Dean annuì e bevve un altro sorso. «Su questo hai ragione… sono sicuro che dopo un paio di queste e qualche bel pezzo di carne arrostita nello stomaco sarò molto più gioviale!», rise. «E poi mi sono praticamente appena svegliato e non sono neanche passato dal caffè…», disse pensandoci un attimo.

Mary gli lanciò un’occhiata tra il dispiaciuto e l’incuriosito, ma Dean non le lasciò il tempo di controbattere o ragionare troppo sul loro breve diverbio. Se lo voleva gioviale, l’avrebbe avuto tale. Dopotutto era sua madre, aveva passato letteralmente un’intera vita in attesa di poter passare del tempo con lei, e ora che ne aveva - di nuovo - l’occasione stava rovinando tutto facendo il ragazzino offeso. 

D’altro canto però aveva vissuto tutti i suoi anni mascherando la propria sofferenza, e in quel momento in realtà il suo cuore era spaccato in due: da una parte una serenità, un appagamento e una gioia profondi lo riempivano di beatitudine, dall’altra sentiva un vuoto, una mancanza, un fastidio che lo rendevano indisponente. Sentiva anche una stilla di invidia. Tutte quelle persone erano insieme già da moltissimo tempo, avevano avuto modo di ricostruire rapporti, di ricominciare a frequentarsi, a conoscersi, a rinnamorarsi. A lui tutto questo non era stato concesso, ancora, e già era stato catapultato nel bel mezzo della mischia.

Non poteva neanche negare di essere su di giri per tutta quell’attenzione, per tutto quell’affetto e quell’interesse che quelle persone, familiari di sangue o per scelta, gli stavano dimostrando. Ma avrebbe voluto fare tutto con i suoi tempi. Si era fatto una sorta di scaletta mentale, in cui aveva distribuito in un opportuno lasso di tempo e per ordine di necessità personale tutti gli incontri che avrebbe voluto fare in Paradiso. Sicuramente non era bello da pensare, ma era pur vero che Campbell e Winchester non erano in cima alla lista. Sua madre e suo padre, certamente, erano stati i primi che aveva voluto affrontare… ma tutti quei famigliari? 

Dean aveva passato tutta la sua vita a considerare Sam, Castiel, Bobby, Mary e John la sua unica famiglia. Poi si erano aggiunti Charlie, Jack e incredibilmente anche Rowena e Crowley. Non aveva mai sentito il bisogno di altro. E certamente, quando aveva conosciuto i suoi nonni la prima volta si era sentito emozionato, euforico perfino, ma il secondo incontro con Samuel non era stato poi così piacevole, e dopotutto, comunque, non aveva mai sentito di poterlo veramente considerare famiglia. Per Dean si trattava di un qualcosa di elezione. Poteva capire il legame di sangue che lo univa a loro, ma non lo sentiva. E trovarsi in quella situazione, in cui impulsivamente si sentiva di dare molta più considerazione a Bobby, Ellen e Jo piuttosto che a tutta quella lauta e stramba combriccola di cacciatori e uomini di lettere, lo destabilizzava. 

E comunque la sua lista prevedeva di incontrare per prime tutte quelle persone che aveva perso lungo la strada e per le quali sentiva ancora, profondo, lacerante, il dolore del senso di colpa. Ed era felice di aver già visto Ellen e Jo, ma mancavano ancora Charlie, Kevin, Adam. Una fitta al cuore lo ferì, rendendosi conto che da quel piccolo rendez-vous suo padre aveva escluso un figlio che non gli aveva mai rivelato di avere, un fratello a cui non l’aveva mai riunito, qualcuno che non aveva istruito alla pericolosità del mondo come aveva fatto con lui e Sam, sperando forse di proteggerlo come non aveva saputo fare con loro, ma che aveva finito per soccombere per primo a quella realtà abominevole di creature malvagie. 

Per un attimo gli si chiuse lo stomaco, ma il profumo inebriante di salsicce arrostite e formaggio fuso al grasso degli hamburger lo rinvigorì. Si congedò velocemente da sua madre e gli altri e percorse a lunghe falcate tutto il giardino rivestito di fiori e alberi fino all’angolo del barbecue; si trovava in un patio riparato, di belle pietre grigie levigate.

«È pronto?»

Suo padre sobbalzò per la sorpresa, un’eco dell’uomo che era stato che ancora si mostrava attraverso il suo atteggiamento. «Sì», esclamò lanciando uno sguardo a Dean.

Senza farselo ripetere, il maggiore dei Winchester prese il primo piatto che trovò a disposizione e lo riempì di diversi tipi di carne.

«Lasciane un po’ anche per gli altri…», lo rimproverò John.

Ma Dean aveva già pezzi di cibo in bocca che colavano grasso dovunque. Sgranò gli occhi con l’espressione di uno scoiattolo con le guance piene di ghiande, e sorrise mostrando tutti i denti impiastricciati. «È la mia festa o no?», biascicò.

John storse le labbra, ma non rispose. Di contro, Dean si ricordò che in casa lo aspettavano altre prelibatezze. Scendendo aveva sentito odore di pasta al forno, e ci avrebbe scommesso che si trattava di mac’n cheese della migliore fattura. Con la birra sotto braccio, il piatto stracolmo in una mano e uno spiedino di carne colante nell’altra, ripercorse tutto il tragitto e rientrò nel salone senza degnare nessuno di uno sguardo. Svoltò dal lato opposto del salotto e si infiltrò in cucina con passo felpato. 

Se fosse stato di nuovo in Scooby-Do i suoi occhi sarebbero diventati a forma di cuoricino, come in ogni cartone animato che si rispetti: sull’isola centrale, coperti da tovaglioli e carta stagnola, si trovavano montagne di cibo, quasi che i suoi genitori si aspettassero un reggimento. Karen stava tirando fuori dal forno un’altra teglia, ma non si spaventò quando voltandosi si trovò Dean intento a scrutare con interesse ogni singolo vassoio.

«Hai fatto tutto te?», le chiese.

La donna rise. «Oh, no!», disse appoggiando la teglia sul ripiano di marmo chiaro. «Aretha e tua nonna Deanna mi hanno aiutato… insieme a quelle due biondine… Ellen e Jo!», ricordò. «Soprattutto Ellen in verità… Jo ha fatto da aiuto chef, è molto più brava con i coltelli che con i fornelli!», rise di nuovo, con un suono cristallino, gentile. Non si poteva certo dubitare, sentendola parlare, che Bobby l’avesse amata tanto in vita. «Ma anche Rufus e Bobby sono stati d’aiuto, e anche Mary… almeno ci ha provato»

Dean le sorrise e le chiese con tutto il garbo di cui era capace chi aveva preparato cosa, e come, e di cosa si trattasse. Ovviamente c’era il mac’n cheese che aveva fiutato fin dal momento in cui aveva messo un piede fuori dalla sua stanza, ma c’era anche una montagna del pollo fritto tipico di Memphis e uno splendido brisket dal profumo speziato e affumicato. Il purè di patate dolci sembrava chiamarlo cantando, così come le alette di pollo piccanti che gli fecero tornare in mente Donatello, insieme alle frittelle di mele e al cornbread. Una vera e propria vasca di patatine fritte dorate e luccicanti di granelli di sale lo ipnotizzò.

«Questo è un sogno…», esclamò con la bocca piena.

Con ampie cucchiaiate, scusandosi con Karen per la sua rozzezza, si riempì un secondo piatto di ogni prelibatezza possibile, scansando accuratamente verdure e insalate come suo solito. La prima forchettata di mac’n cheese gli provocò una scarica di piacere così intensa che non riuscì a trattenere un gemito, che si intensificò con il primo morso a quel pollo fritto perfettamente croccante fuori e succoso dentro. Gli occhi gli si ribaltarono dietro le palpebre e tutto il suo corpo fu pervaso da scariche di endorfine da cibo.

In quel limbo di beatitudine lo colpì, inaspettato e pungente come una stilettata tra le costole, la mancanza di Sam e Castiel. Li percepì come se fossero stati lì al suo fianco, come sempre. Castiel che lo guardava fisso, con quel suo modo strano, che adesso avrebbe saputo descrivere come innamorato, e Sam, che scuoteva la testa per le sue scelte discutibili in fatto di dieta. 

«Non vorrai strozzarti!»

Improvvisamente distratto sia da quel piccolo momento nostalgico sia dalla sua ingozzata, Dean spalancò gli occhi, e deglutì tutto d’un colpo, provocandosi una terribile fitta allo sterno per il boccone troppo grande. Davanti a lui una faccia leggermente squadrata circondata da rossi capelli sbarazzini lo guardava con un sorriso enorme, e gli occhi lucidi di gioia.

«Charlie…», soffiò.

Lei aprì le braccia in segno di ovvietà. «La sola e unica… o meglio, mi hanno detto che in realtà ora ce n’è un’altra sulla Terra di me… ma… si ecco… direi che sono almeno l’originale», disse scuotendo la testa come a pensarci su.

«Charlie», ripetè Dean, abbandonando i piatti sull’isola e raggiungendola di volata per prenderla tra le braccia.

La giovane ricambiò l’abbraccio. «Ehi! Mi stai stritolando…»

«Mi dispiace», disse lui semplicemente.

«Ma smettila…»

«No, non avrei mai dovuto… sono stato un’idiota, uno stronzo, un— e Sam…»

Lei si staccò dall’abbraccio e lo guardò imbronciata. «Smettila, Dean! Non è stata colpa vostra, sapevo a cosa andavo incontro… ho scelto di restare al vostro fianco, la mia corsa era finita. Ma ora sono qui, siamo entrambi qui, siamo in pace—»

Dean continuava a tenerla per le braccia. «Non sarebbe andata così se non fossi—»

«No. Se non ci foste stati tu e Sam probabilmente non sarei neanche qui in Paradiso…», disse lei con serenità.

«Ora stai sparando stronzate…», rise lui.

Lei tentennò la testa, poi si stampò un sorriso sul viso, con gli occhi socchiusi. «Forse sì, forse no… comunque questo non è il posto per i sensi di colpa!»

«Sto imparando a capirlo…»

Charlie annuì, felice. «Vedo che ti sei già buttato sul cibo… tipico!»

Dean le fece strada con il braccio in modo teatrale. «Benvenuta all’abbuffata del secolo… penso che i miei siano impazziti… dannazione, hanno fatto preparare da mangiare per tutto il Paradiso!»

«Immagino che se lo aspettino, probabilmente», rise lei.

«Ma tu come—»

«Come faccio ad essere qui?»

Nel frattempo Dean aveva ricominciato a rimpinzarsi, sporcandosi tutte le mani con le alette di pollo. «Mhm», annuì, spronandola a continuare.

«Beh un po’ come tutti i tuoi amici che i tuoi non hanno conosciuto di persona… hanno chiesto a Castiel!»

Quella volta Dean rischiò veramente di strozzarsi. Tossì, e si scolò tutto il resto della birra per ritrovare la forza di parlare. «Ora tutto ha senso…», disse. «Mi sembrava strano che fosse tutta opera loro…»

Lei fece spallucce, prese una manciata di patatine e si piegò in avanti sull’isola appoggiando i gomiti per fronteggiare Dean faccia a faccia. «Penso in realtà che buona parte dell’idea sia proprio dell’angelo…»

«Ci scommetto…», brontolò lui. «Lui e le sue idee…»

Charlie ridacchiò. «Quando ieri ha passato la comunicazione sulla mia radio sono quasi caduta dalla finestra dallo spavento…»

Dean alzò un sopracciglio e si pulì la bocca con il polso, peggiorando la situazione. «E che ci facevi sulla finestra?»

Lei gli porse un tovagliolo. «Oh, non vuoi saperlo…», gli disse facendogli l’occhiolino.

Lui la guardò con lo sguardo vuoto di quando non capiva qualcosa, e Charlie scoppiò a ridere. Dean rise con lei e d’un tratto tutto il tempo che era passato, tutta la vita che si era frapposta tra quell’orribile scenario nel bagno del motel, la rabbia che aveva provato per Sam, la solitudine e la tristezza di aver perso l’unica amica con cui sentiva di poter essere sé stesso senza neanche saperlo, sembrò sparire, trasformato in una strana bolla all’interno di un sogno molto lontano. Un altro pezzetto del peso che gli aveva oppresso il petto per tanto tempo cadde e sparì, come aveva fatto il giorno prima durante la conversazione con suo padre. In quel momento di spensieratezza alzò lo sguardo e vide passare Bobby, Rufus, Ellen e Jo, che ridevano e scherzavano come ragazzini, con i volti distesi e una luce negli occhi che non credeva di avergli mai visto in vita. Era un’emozione strana, pensò, la serenità. Così lontana da ogni sentimento e sensazione forti che avesse mai provato, così docile, così setosa, eppure così prorompente. La sentiva scorrere nelle vene come un fluido caldo che lo riempiva fino ai più piccoli e lontani millimetri del suo corpo. Non gli faceva battere il cuore all’impazzata o imperlare la fronte di sudore, non gli faceva prudere le mani dal desiderio di battersi, di rompere qualcosa, non gli faceva provare niente di prepotente, nel bene e nel male, eppure gli faceva provare tutto.

«A proposito di Castiel…», lo interruppe Charlie che nel frattempo aveva afferrato un panino al pulled pork. «…come mai non è qui?»

Dean aggrottò la fronte. «Non sapevo neanche che ci sarebbe stata una festa per me… quindi come dovrei fare a saperlo!»

Lei sollevò un sopracciglio. «Che succede tra voi?»

Lui iperventilò un istante, ma dissimulò stringendo la mascella e sbattendo gli occhi molto lentamente. Quella donna l’aveva sempre letto dentro più di quanto non riuscisse a fare lui. Non che ci volesse molto, lui non si leggeva affatto. «Che vuoi dire?»

Charlie fece spallucce. «Non saprei… siete sempre stati strani, come due stupide calamite girate dal lato della stessa polarizzazione»

Dean si leccò e mordicchiò il labbro inferiore, poi rise nervosamente. «Stronzate», disse.

«Quindi vi siete finalmente girati dai poli opposti?», chiese lei schioccando le labbra e assottigliando lo sguardo.

Una vampata di rossore tinse gli zigomi di Dean non appena i suoi neuroni compresero la battuta. «Cos— no! Ma che…»

«Ma dai, Dean! Ti ricordi quando hai flirtato con quella guardia tramite me?», rise lei con quel suo sguardo vispo di quando sapeva di avere in tasca la carta vincente. «Sei fin troppo sveglio per non renderti conto che hai un talento naturale con gli uomini…», lo schernì.

Il viso dell’ex cacciatore si fece di marmo. «Avevamo detto che non ne avremmo mai fatto parola!», le ricordò.

«Non l’ho mai promesso…», disse lei semplicemente. «…e poi diciamocelo, ne è passato di tempo da allora. Speravo che avessi superato quella fase ormai!»

Gli occhi di Dean guizzarono intorno a loro per controllare che nessuno li stesse origliando. «Quale fase?»

«Quella del coglione»

Lo sguardo gli si piantò sul viso dell’amica, con un’espressione contrariata stampata sul volto, e poi i suoi occhi rotearono, seccati e divertiti contemporaneamente.

«Lo so… credevi di esserti liberato di me, non è vero?», chiese lei con uno squittio.

«Mai», rispose lui solerte. «Non avrei mai voluto liberarmi di te!»

Charlie si lasciò sfuggire un guaito di tenerezza, abbandonò il panino nel piatto e strinse Dean in un altro abbraccio, cingendolo con le braccia intorno al busto. Lui sorrise e ricambiò, assorbendo come una spugna tutto il calore che quel ritrovo gli dava. Dentro, però, era turbato. 

«Sai, avevo un cassetto in camera mia, nel Bunker… dove custodivo alcune foto. Ce n’erano alcune nostre… una durante quella rivisitazione medievale, una di te con il braccio rotto…», rise. «…una tua con Dorothy…», si guardò intorno. «…le tenevo insieme a quelle di mia madre, di Sammy da piccolo, di me e Sammy con la mia bellissima baby…», fece un rumore come se stesse facendo le fusa. «…e poi c’erano foto di Lisa e Ben - diavolo mi ero promesso di non rinominarli mai più… - di Castiel e Jack, Kevin…», lanciò uno sguardo a Bobby, Ellen e Jo. «…c’era anche una foto di me e Crowley durante la nostra “estate di fuoco”», rise di nuovo, poi un brivido gli corse lungo la schiena al ricordo. «…comunque…», tossicchiò. «…le guardavo continuamente per ricordarmi perché facevo quello che facevo, perché non avevo ancora mollato. Ed era per tutti voi. Per te…»

La ragazza alzò lo sguardo verso il viso di Dean. 

«…ho perso moltissimo lungo la strada. Ho— beh, perdere tutti voi, perdere te in quel modo, dopo quello che ti ho fatto, dopo quello che è successo… vendicarvi era l’unica cosa che mi spingeva ad andare avanti», rivelò.

«Oh, Dean…», commentò lei semplicemente. 

«Vederti così… in quel bagno… io—»

«…quella vita è finita. Sei libero adesso, sei… in pace. Qui non c’è niente che possa attentare alla nostra esistenza, niente che possa interrompere la nostra serenità, la nostra beatitudine eterna…», ci pensò su. «…beh a pensarci bene è un po’ una gran palla, ma questo significa che sta a noi mettere un po’ di pepe in questa nuovo capitolo. Nessuno tira le fila se non noi, e nessuno può farci del male… se non noi, Dean», gli pose un palmo sul cuore. «…smetti di farti male, vivi quello che vuoi vivere, non ci sono più motivi di fermarti. So che hai paura di soffrire ma… non accadrà. Non quassù, non se non rovinerai tutto con le tue stesse mai»

«Non so se ne sono capace… tutto quello che mi si avvicina— che mi si avvicinava… non finiva bene»

«Smettila di torturarti», lo redarguì lei. «Tu hai fatto del tuo meglio. Sia tu che Sam. Avete cercato di salvare tutti senza che nessuno ve ne fosse mai riconoscente… è stato un onore per me lavorare al vostro fianco, ruotarvi intorno anche solo per un po’… grazie a voi ho vissuto veramente. Ho conosciuto un mondo che avevo solo immaginato, che credevo esistesse solo nei libri… ho frequentato una fata!», disse sognante. «E poi sono andata ad Oz… e ho avuto esperienze davvero assurde e wow… il sesso con le creature soprannaturali è—»

«Si, okay, ho capito…»

Lei rise. «Oh, beh… in ogni caso meriti di perdonarti. Nessuno di noi ti porta rancore, Dean. Tu sei l’uomo più—»

«“Generoso e altruista del mondo?”», concluse lui, riecheggiando un altro noto momento ben più solenne con una vena di sarcasmo.

Charlie aggrottò le sopracciglia. «Non so se del mondo, ma sicuramente di coloro che conosco… tu e Sam avete fatto del vostro meglio, è il momento che lo accetti, che ci credi e ti lasci andare»

«Mi sto impegnando per riuscirci», commentò lui in un sussurro.

Charlie lo guardò fisso finché non catturò il suo sguardo, incatenandolo con il proprio. Gli occhi chiari di lei, sulla pelle diafana e coperta di lentiggini, ancora più enfatizzata dal rosso acceso dei capelli lo ipnotizzò. «È proprio questo il punto! Devi smettere di impegnarti… è tutto già dentro di te, Dean. Tutti noi lo sappiamo, tutti noi lo vediamo. Lasciati andare e soprattutto…», si spostò, lo prese per un braccio e lo trascinò via dalla cucina. Dean fece appena in tempo ad afferrare i suoi piatti per non lasciare il suo agognato cibo incustodito.

Giunsero in giardino, dove il profumo della carne si era fatto ancora più intenso e dove un denso fumo di griglia si stendeva come nebbia nell’aria. Da uno stereo suonava la canzone Pictures of You dei The Cure. Dean schioccò le labbra; “ovviamente”, pensò, lanciando uno sguardo fugace alla sua maglietta.

«Soprattutto?», chiese a Charlie guardandola dritta in faccia.

Lei sorrise. «Goditi la felicità che meriti… qui non ti servono le foto per riviverla»

Gli fece un occhiolino e poi un cenno verso i capannelli di persone che serpeggiavano in quello spazio grande, eppure angusto. Gli occhi di Dean saettarono da un volto all’altro, e il suo fu di nuovo illuminato dal sorriso. Chiunque avesse fatto parte della sua vita almeno per un po’, chiunque credeva di aver perso per sempre, chiunque aveva alimentato, con la propria dipartita, il suo senso di colpa e di impotenza, era lì.

Era vero, non aveva più bisogno delle loro foto. Tutto quello che gli serviva era un respiro profondo, tanta birra, musica al massimo volume e un’overdose di proteine e carboidrati, per vivere a pieno la prima vera festa che avesse mai avuto in suo onore. Si sentì bambino e adulto insieme, come se quel benvenuto celeste comprimesse in sé tutti i compleanni che non aveva mai veramente festeggiato, e si sentì appagato.

Si volse di nuovo verso Charlie, le tirò una leggera pacca sulla spalla e si stampò un’espressione stupidamente felice sulla faccia. 

«Grazie», disse. 

E lo intendeva davvero dal profondo del cuore.




 

   
 
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