Sherlock lo raggiunse che camminava
lento appoggiandosi al suo
ombrello, sembrava portare un peso sulle spalle. Non c'era l'auto che
lo
aspettava, era solo. Questo lo turbò notevolmente.
Lo chiamò, poche parole
taglienti.
"Mycroft, non hai casi da
sottopormi. Eppure vieni a Baker Street a importunarmi, per quale
motivo?"
Lo affiancò con un sorrisetto ironico.
"Centra qualcosa
l'anniversario della morte di zio Rudy? "
Non aveva consultato il calendario
a caso, Mycroft dimenticava raramente le ricorrenze.
Il maggiore rimase silenzioso
camminando pochi metri in più, si voltò,
alzò lo sguardo impassibile. Sapeva
che non poteva nascondere molto a suo fratello. Ma era ancora incerto
su come
approcciarsi a un argomento che lo aveva devastato per anni. Sherlock
era poco
oltre di lui.
"Quindi ti ricordi, del caro
zio Rudy? Ti ritorna la memoria?"
Fu sarcastico, sulla difensiva,
una barriera serrata e invalicabile. Si concesse poche frasi. "Sai
quello
che successe a Eurus. E del perché fu rinchiusa, sai di
Victor." Il minore
socchiuse gli occhi, capì che c'era qualcosa che tormentava
suo fratello.
Accennò un sì con il capo ricciuto.
Mycroft abbassò le
barriere appena
un po'. Prese aria si appoggiò al suo ombrello.
"Zio Rudy non era esattamente
un santo." Abbassò la testa, un sorriso amaro sulla bocca,
gli uscì un
filo di fiato.
Sherlock rimase immobile, mentre
valutava la portata di quello che stava succedendo. Non era facile per
lui
ammettere che il fratello tanto sprezzante e autoritario fosse in
difficoltà.
Perché era evidente che Mycroft cercava aiuto e non lo aveva
mai fatto.
Aveva bisogno di parlargli, voleva
liberarsi di un peso che non voleva più portare.
Abbandonò ogni forma
sarcastica e
fu quasi gentile quando gli rispose. "Lo ricordo, ma vagamente e lo
odiai
quando ti portò a Londra. Non gli piacevo, credo mi
giudicasse un piantagrane.
Eri tu il suo preferito." Avevano ripreso a camminare affiancati, il
Belfast nero di Sherlock che svolazzava, il ticchettio dell'ombrello di
Mycroft.
Il più anziano scosse la
mano come
se scacciasse una mosca fastidiosa.
"Già, è
quella fu la mia
condanna." Sospirò profondamente, guardava la strada che
portava al
Tamigi. Prese forza, ma la voce era incolore. "Non sai nulla di lui
fratello mio. Fu un inferno stare alle sue dipendenze."
Sherlock strinse le labbra, mentre
una nausea inaspettata gli salì dallo stomaco,
sentì il tormento nella sua voce
tanto familiare. Lasciò che prendesse il suo tempo.
Raggiunsero silenziosi il Tamigi,
la giornata nuvolosa lo rendeva grigio e minaccioso. Il maggiore degli
Holmes
si fermò a osservarlo. Indugiò, poi si
appoggiò con i gomiti sul muretto che
delimitava la riva. Portò le mani giunte sotto al mento.
Sherlock invece si
appoggiò di spalle al fiume. Prese due sigarette dal
cappotto e una la offrì al
fratello maggiore.
"Rigorosamente light,"
scandì Mycroft sorridendo, la prese e Sherlock le accese.
"Ce ne vorrà
più di una
fratellino." Con voce bassa, Mycroft aspirò la prima boccata.
Abbassò le barriere, e
si scoprì
come non faceva da anni. Iniziò a parlare con lentezza.
"Eri un ragazzino affettuoso
Sherlock pieno di voglia di conoscere. E pensavo che sarei stato sempre
con
te." Si interruppe aspirò, il fumo fece dei cerchi bizzarri.
"Lo Zio Rudy fece pressione
con i nostri genitori, fu convincente, disse che ero sprecato in quel
posto di
campagna. Mi allontanò dalla famiglia, soprattutto da te.
Aveva convinto nostra
madre che la mia mente brillante sarebbe servita al paese. Aveva un
incarico
prestigioso presso il governo e mi portò a Londra."
Aspirò un altro po' di
fumo senza
voltarsi.
"Eri rimasto sconvolto da
quello che era successo con nostra sorella e non ne avevi memoria. Te
lo
lasciarono credere. Zio Rudy disse che era la cosa migliore che ti
potesse
capitare, non ero d'accordo perché pensai che ti avrebbe
danneggiato. Ma la mia
opinione non contava e dovetti accettare di vederti crescere in quel
modo. Alla
mia partenza ti promisi che sarei tornato a riprenderti, per aiutarti a
crescere, ma..."
Aspirò e
tossì, si fermò fissando
il fiume.
Sherlock sorrise. "Fumi
ancora come un adolescente."
La sua memoria corse a quei giorni
tristi quando suo fratello era partito provocando la prima incrinatura
nel loro
rapporto. Si era sentito abbandonato.
"Non lo facesti, non tornasti
più. Mi chiesi spesso il perché e non ebbi
risposta. Presi a odiarti perché mi
avevi abbandonato. Rimasi solo con quell'intelligenza che non riuscivo
a
gestire e tu non c'eri. Poi sai come finì." Sentiva che
Mycroft era in
pena. Si addolcì. "Te ne andasti senza spiegarmi nulla....."
"Avevo vent'anni
Sherlock..." Sussurrò con un filo di voce.
"E io tredici, uno stupido
adolescente." Brontolò il minore che cominciava a intuire
qualcosa.
Mycroft si ammutolì,
guardò la
punta della sigaretta e riprese.
"Tu non sai quello che era lo
zio Rudy. Stravagante era dir poco, intelligente sì, ma di
una intelligenza
corrotta, malata. Non fu facile Sherlock. Dovetti adattarmi molto al
suo
comportamento. Fui debole, non riuscii a gestirlo. E rimasi anche se
disapprovavo i suoi metodi."
Sherlock cercava di leggere nel
volto del fratello ogni più piccolo cedimento.
"Ricordo che ti sfuggì
una
battuta su certe sue ossessioni per gli abiti femminili. Lo presi per
uno
scherzo. Allora non capii, ero piccolo."
Mycroft improvvisamente si
irrigidì, il corpo sembrava stretto nei vestiti costosi, la
sigaretta gli
tremava nella mano. Era turbato, gli occhi sembravano smorti.
La sensazione di nausea di
Sherlock aumentò, un dolore improvviso lo percorse dalla
testa al cuore.
"Che ti ha fatto, fratello
mio?" Rimarcò quell'appartenenza, quella fratellanza che li
aveva visti
nascere.
Mycroft aspirò altro
fumo, non lo
guardava quasi avesse vergogna, gli occhi sul fiume. La sua bella voce
era
irriconoscibile.
"Io vivevo con lui a Londra
in quella grande casa a Pall Mall, piena di stanze. Sapeva di vecchio
dentro e
fuori. Eppure mi piaceva stare lì, un giorno ti sarei venuto
a prendere,
saresti cresciuto sereno lontano dai ricordi che ti tormentavano. Avevo
convinto zio Rudy, che avevi le capacità, che saresti
diventato equilibrato e
responsabile. Fui quasi felice in quel periodo, pensando di portarti
con
me."
Fece una pausa, un'altra boccata
di fumo.
"Ma ero inesperto, troppo
giovane. Lui decisamente furbo, mi lasciò sempre meno
spazio. Mi stava addosso,
mi persuadeva che lo faceva per me e per voi."
Mycroft si fermò, la
sigaretta con
la cenere arroventata.
"Fu un giorno, che era in
ritardo, mi chiese di consultare il suo portatile. Scoprii l'indirizzo
di
Sherrinford e appuntato sotto, il nome di nostra sorella. Non mi ci
volle molto
a capire che era viva e rinchiusa in un carcere di massima sicurezza.
Rimasi
sbalordito e decisi di parlargliene."
La mano passò rapida
sugli occhi
grigi, li tenne chiusi pochi secondi. "Quella fu la mia condanna."
"Vuoi prendere tempo,
Mio?" Sorrise al nomignolo con cui lo chiamava da piccolo. Sherlock
aveva
rinunciato a qualsiasi ostilità. Mycroft si
rincuorò, riprese il suo racconto.
"Quando si stava per
avvicinare il giorno per portarti con me, mentre passavo di fronte alla
sua
camera vidi la porta socchiusa. Lo scorsi in abiti femminili. Aveva un
paio di
scarpe rosse con tacchi alti e un evidente trucco femminile. E si
compiaceva
davanti allo specchio, ma mi vide, perché ero rimasto
impietrito, totalmente
sconvolto." Mycroft fece un'altra pausa. La sigaretta spenta, la cenere
fra le dita, Sherlock gliela sfilò con gentilezza.
"Mi ordinò di entrare,
aveva
una voce tagliente che mi spaventò, ma varcai la soglia con
la convinzione di
averlo preso in un momento di debolezza e di potergli parlare di Eurus.
Ma lui
aveva preparato la trappola, solo dopo capii che il computer era stata
l'esca,
la porta lasciata socchiusa apposta."
Mycroft rivisse in modo vivido
quei momenti.