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Capitolo
Marivi
Fuentes rincasa nel tardo pomeriggio, accompagnata dalla moglie di
Jacov
Marković, che, di tanto in tanto, si offre di assisterla.
I
due ispettori, terminato l’interrogatorio di Alison Parker,
si apprestano a
lasciare la casa.
Ma
l’arrivo della signora cambia i piani.
“Chi
è questa gente?” – chiede, intimorita.
La progressione della malattia la rende
una bambina a tutti gli effetti, tanto da mostrarsi spaventata per la
presenza
di sconosciuti.
“Ciao,
amica mia! Sono Paquita” – la governante le si
avvicina e con estremo tatto e
garbo, riesce, come ormai è abituata a fare, ogni qualvolta
la incontra, a
instaurare un rapporto di fiducia.
La
sola persona che l’anziana sembra non cancellare dai ricordi
è proprio la
nipote britannica. Nessuno sa dare una spiegazione a tutto
ciò, eppure
l’Alzheimer, come è ben noto, è una
malattia in cui la logica è carente.
“Riconosce
solo lei!” – commenta Paula agli uomini di fianco,
manifestando un profondo
dispiacere – “Io per ricordarle di me devo sempre
mostrarle vecchie foto”
Coscienti
che presentarsi è inutile, perché a breve la
Fuentes dimenticherà tutto,
Santiago e Daniel decidono, ugualmente, di farsi avanti.
Il
maggiore dei due mostra il distintivo – “Siamo
della Polizia, cerchiamo sua
figlia Raquel!”
“Mia
figlia Raquel?! Perché? Cosa le è accaduto? Ha
problemi con la giustizia?
Quando torna a casa, mi sente”
Le
parole di Marivi spiazzano gli ispettori, mentre sembrano la
normalità per
tutti gli altri.
“Ehm,
in realtà…” – cerca di
spiegare Ramos.
È
il collega a fargli segno di lasciar stare.
“Dirglielo
significherebbe farle rivivere quel dolore, per l’ennesima
volta!” – precisa
all’orecchio del socio.
“Non
si preoccupi, un piccolo problemino risolvibile, nulla di
allarmante” – mente
il quarantaduenne.
È
il croato a ringraziare per quella bugia a fin di bene, con un sorriso
complice.
Di
fianco a lui si è posizionata una donna di indubbia
bellezza, dai capelli neri
come la pece e la carnagione olivastra, con indosso una lunga gonna, e
ai polsi
vari braccialetti alquanto rumorosi, assieme ad anelli e due pendenti
grandi a
forma di cerchio.
Chiunque
avrebbe pensato ad una zingara, guardandola attentamente.
Una
gitana, con precisione. Ed è proprio ciò che la
straniera è in realtà, proprio
Nairobi.
Incuriosito
dalle origini di lei, un mondo ormai entrato nel cuore di Santiago,
quest’ultimo le si avvicina, con la banale scusa della
presentazione.
“Lei
è la moglie del signor Marković?”
“Si,
signore, piacere mi chiamo Dolores, per gli amici Lolita!”
– spiega, stringendogli
la mano.
Lo
stesso fa anche con Ramos, lì accanto.
“Vi
conviene andare via, almeno diamo modo a Marivi di rilassarsi. Io
rimarrò qui,
ci sentiamo in serata, ok?” – Paquita chiede loro
di congedarsi, con
educazione, e il gruppetto lascia la villa.
Non
prima, però, di aver salutato due preziosi tasselli delle
loro ricerche: un
saluto cordiale ad Alison, in costante ansia per la sparizione
dell’adorata
zia, e un bacio tenero e paterno a Paula, avvinghiatasi al maggiore
degli
ispettori, come a voler cercare in lui la protezione che, poco prima,
gli ha
ricordato quanto fosse piccola in quel mondo di grandi.
Jacov
invita gli spagnoli nella sua dimora, intenzionato ad offrire la sua
totale
disponibilità sull’indagine.
La
sua consorte, solare e amichevole, gli spalanca le porte di casa sua,
offrendogli addirittura delle camere dove pernottare.
“Sentitevi i
benvenuti” – esclama, facendogli
segno di sedersi sul divano, porgendogli poi un vassoio con spuntini
vari e due
birre.
“Avete
racimolato informazioni utili?” – domanda il tipo
baffuto.
“Speravamo
di trovarne di più, ma, per il momento, ci faremo bastare
questi”
“Dovete
setacciare altre zone?” – aggiunge, ancora, il
croato.
“Vorremmo
recarci al Commissariato di Lisbona per chiedere dettagli raccolti dai
colleghi
portoghesi in questo ultimo anno” – spiega Daniel,
sorseggiando dalla bottiglia
la sua Estrella.
“Posso
accompagnarvi io, se vi fa piacere” – Jacov
è estremamente disponibile, tanto
da insospettire Lopez che, andando contro l’ok del socio,
rifiuta l’offerta.
E
mentre le conversazioni, sul più e il meno, continuano, il
quarantaduenne
scruta, silenzioso, il padrone di casa, cominciando a temere di
trovarsi nella
tana del lupo e di non saperlo.
Forse
sono solo sue paranoie, che, però, rimangono impresse come
macigni nella sua
mente per svariati minuti.
Il
tempo di consumare quella sorta di merenda salata e filare via.
“Aspettate,
vorrei conosceste i nostri figli” – esclama
Marković, quando gli ispettori sono
prossimi a lasciare l’abitazione.
“Siamo
in ritardo, dovremmo fare un check-in entro le 19, nell’hotel
prenotato!” –
spiega Santiago, voglioso di esporre le sue ipotesi all’amico
il prima
possibile.
“Eccoli”
– aggiunge Lolita, indicando due bambini che hanno appena
oltrepassato il
giardino adiacente.
Un
maschio e una femmina, decisamente gitani, e poco croati, nei tratti e
nei
colori.
Si
tengono per mano; il primo sembra essere più grandicello di
un paio di anni
rispetto alla piccola.
“Bambini,
vi presento due signori spagnoli che sono qui per trovare la vostra
adorata zia
Raquel”
Anche
loro definivano la Murillo come zia.
“Come
vedete abbiamo un legame fortissimo, ci consideriamo un’unica
famiglia!” –
puntualizza Jacov, fiero.
“Piacere”
– dice il trentenne figlio di Augustin Ramos –
“Io mi chiamo Daniel, e lui è
Santiago”
“Piacere
nostro, io mi chiamo Victoria” – la piccina sembra
l’esatta copia di sua madre,
anche caratterialmente.
Il
moretto, di fianco a lei, non sembra aver ereditato la parlantina dei
genitori,
né l’entusiasmo nel conoscere quelle persone.
E
mentre baby Vicky, così dice di farsi chiamare dalle
amichette di scuola, dà
mostra delle sue doti logorroiche, Lopez fissa, pensieroso, il
fratellino
maggiore.
C’è
qualcosa in lui che non lo convince.
“Tu
come ti chiami, ragazzo?” – chiede, incuriosito e,
al contempo, sospettoso.
“Perché
lo vuoi sapere? Cosa ti interessa?” – replica
l’altro, ricevendo l’immediato
rimprovero dei genitori.
Lolita
lo afferra per un braccio, trascinandolo dentro casa –
“Scusatelo, è davvero un
ribelle. Non vuole imparare le buone maniere” – per
allontanarsi con il figlio,
la gitana si congeda, lasciando suo marito e la piccola Victoria
assieme agli
ispettori.
“Perdonatelo”
“Figurati,
è un bambino. È comprensibile”
– lo giustifica il maggiore degli ispettori.
“E’
sempre il solito” – brontola la bambina, alzando
gli occhi al cielo, con fare
quasi da adulta, che fa sorridere gli uomini.
“Sembra
una piccola boss, immaginala a capo di un’impresa”
– ridacchia Daniel, sussurrandolo
al socio.
Santiago
accenna un sorriso, eppure qualcosa della figura del ragazzino sembra
averlo
toccato.
“In
lui c’è qualcosa di familiare…di molto
familiare” - precisa, prima di uscire
dal cancello dell’abitazione.
Il
cellulare in tasca comincia a vibrare costringendolo a tirarlo fuori.
“Paquita,
dimmi”
“Appena
arrivate all’albergo avvisatemi, non fatemi stare in
pena” – con fare materno,
la governante dei Vicuña ha telefonato per sapere notizie
dei due.
“Una
donna così tenera non l’avevamo mai
conosciuta” – puntualizza il trentenne,
colpito piacevolmente.
In
quel preciso istante, però, l’IPhone di Lopez lo
porta, forse per errore, forse
per destino, sulla galleria delle fotografie.
E
di fronte agli occhi di Santiago si palesa la ragione dei suoi dubbi.
“Cazzo”
– esclama, impallidendo.
“Che
succede?”
“Guarda
tu stesso” – gli porge l’apparecchio, e
Ramos fissa l’immagine ingrandita.
“Chi
è?”
“Il
figlio di Nairobi”
Il
giovane sospira, intuendo che la cotta per la gitana non è
ancora superata, e non
coglie il filo del discorso – “Amico mio, tu devi
andare avanti, possibile che
pensi sempre a lei…”
“No, no, devi osservare bene! Non sto tirando in ballo lei,
tanto per! Questo
bambino non ti ricorda quello che abbiamo appena conosciuto?”
“Chi?
Il figlio del croato?” – chiede, confuso, il
ragazzo – “Come spiegheresti
razionalmente come mai quel gitanito è
assieme a questi due, in
Portogallo per giunta?”
“Adottato,
forse” – trova la giusta motivazione e poi continua
- “Se così fosse, sarebbe
un vero e proprio fatalità!”
“Non
sappiamo neppure come si chiama!”
“Motivo
in più per scoprirlo. Preparati, mio caro socio,
perché stiamo per tornare di
nuovo in quella casa!” – lo prende sottobraccio,
ripercorrendo i metri appena
superati.
“Uffa,
sopportare di nuovo la loro parlantina è qualcosa che sfida
la pazienza di
chiunque, anche di un santo” – borbotta Ramos.
“Se
è lui, io la mia sfida con la vita l’ho
parzialmente vinta!”
“Mi
devi un favore” - commenta il trentenne, una volta di fronte
a quella porta,
per la seconda volta.
“Anche
più di uno!” – certo delle sue ipotesi,
Santiago bussa deciso all’uscio, mentre
gli frulla in testa una banale scusa che giustifichi ciò che
sta per fare e
dire.
Mentre
a Lisbona le cose circa la sparizione di Raquel non trovano un pieno
risvolto,
ma qualcos’altro sembra smuoversi in direzioni sperate, a
Madrid, precisamente
al Mariposas, la situazione sembra stabilizzarsi, a netto favore di chi
ha il potere.
“Hai
sistemato la donna al suo posto, Palermo?” – viene
chiesto a Martin, tramite
una sorta di walkietalkie e un auricolare.
“Si,
è qui di fronte a me, sul letto! L’ho anche ben
coperta” – spiega Berrotti alla
persona dall’altro lato, quella con la maschera che la gitana
incontrò ore
prima.
“Perfetto”
“Possiamo
stare tranquilli?”
“Ha
imparato la lezione, non si azzarderà più a
lasciare il Club, fidati!”
“Bene”
– sorridente e soddisfatto, il proprietario del locale,
chiude la conversazione
qualche secondo dopo, sollevato come non gli capitava da tempo.
Abbandonata
la camera di Agata, il proprietario del Night Club viene richiamato
all’ordine da
un’improvvisa telefonata.
“Pronto?
Si, sono io… sul serio?... bene….grazie”
Breve
ma intensa comunicazione che rallegra, se possibile, ancor di
più di quanto già
fosse, la sua giornata.
Percorre,
saltellante, i corridoi del primo piano, avvisando, uno ad uno, i suoi
dipendenti della decisione presa all’ultimo secondo.
“Che
succede, capo?” – chiede Manila, trovandosi Martin
in camera, improvvisamente,
mentre era dedita ad una seduta di yoga personalizzata.
“Stanotte
si torna a lavorare” – comunica, entusiasta
– “Smetti di fare queste stronzate
che servono a poco, e preparati”
Questa
è la novità che dà a chiunque vive
sotto il suo stesso tetto.
Le
sole escluse sono Nairobi e Tokyo, prive di coscienze e sconnesse dalla
realtà.
“Cosa
è cambiato nel giro di ventiquattro ore?”
– domanda Stoccolma all’amica,
quando, ormai pronte ad accogliere nuovi clienti, si scambiano battute
su
quanto accaduto.
“Non
saprei, e a dire il vero sono preoccupata per le altre”
“Chi?
Per quelle due ribelli? Meglio che non ci siano stanotte, altrimenti
dovremmo
scontrarci sicuramente sull’ennesime loro alzate di
testa” – commenta la
bionda, sistemandosi uno scollatissimo top rosso.
Manila,
però, sente che l’assenza di Tokyo e Nairobi
è alquanto fuori dal comune. In
fondo, è cosciente che se il Mariposas ha successo
è dovuto, in parte, anche
alle due Farfalle più grintose.
Così,
agitata, chiama in disparte Martin – “Che fine
hanno fatto le nostre amiche?”
“Adesso
le consideri amiche?” – ridacchia Berrotti
– “Lascia perdere, domani le
rivedrai. Per oggi le ho tenute in punizione”
“Punizione?
Cosa…? Non siamo mica in un carcere” –
sostiene.
“Cara
ragazza, ti ho appena detto di lasciar perdere. Ora va’, e
guai a te se decidi
di imitare le altre sciagurate… piuttosto, segui le orme di
Stoccolma. Lei sì
che è una rispettosa delle regole” –
ignorando gli sguardi scioccati della
ragazza, Palermo si appresta ad aprire il portone ed accendere
l’insegna
esterna.
E’
allora che Manila nota sul bancone, all’ingresso, un fax
fresco di stampa.
“Le
indagini sul locale sono state archiviate. Non è stato
riscontrato nulla che
possa impedire il vostro operato. Potete riaprire immediatamente.
C.G.”