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Autore: Sasita    14/03/2022    1 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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CAPITOLO V
(Everything I do) I do it for you

Don't tell me it's not worth tryin' for
You can't tell me it's not worth dyin' for
You know it's true
Everything I do
I do it for you
 
Look into your heart
You will find
There's nothin' there to hide
Take me as I am
Take my life
I would give it all
I would sacrifice

I'll be there, yeah
I'd walk the wire for you
I will die for you

Oh yeah
I would die for you
I'm going all the way, all they way, yeah

«Ehi, principessa… disturbo?»

Charlie si affacciò alla porta semiaperta della camera bussando piano sullo stipite. Dean se ne stava seduto sul baule ai piedi del letto, con le ginocchia aperte e i piedi ben piantati a terra; tutto il suo corpo era proteso in avanti e il peso sbilanciato sui gomiti che premevano sulle cosce. Si guardava le mani quasi in contemplazione, un’espressione crucciata gli solcava il viso.

Alzò lo sguardo verso l’amica al di là della spalla, accennando un sorriso sghembo. «Ehi», le disse dopo un piccolo colpo di tosse. «Per niente…»

Lei gli rivolse uno dei suoi sorrisi totali, che le illuminavano tutto il visto, e si chiuse la porta alle spalle per poi avvicinarsi e sedersi sul bordo del letto, alle spalle di Dean. «Tutto bene?»

Lui scrollò le spalle ad annuì, distratto.

«Di sotto stanno facendo a gara a chi si mette più in ridicolo», scherzò Charlie.

Dean si lasciò sfuggire un risolino. «Ci scommetto»

Con un movimento fluido, quasi automatico, si sistemò in modo da offrire il fianco all’amica, e non più le spalle, ma continuò a rivolgere gli occhi nel vuoto tra le sue gambe e il pavimento fissando senza vederle le proprie mani che si congiungevano e scioglievano. Aveva passato tutto il pomeriggio e gran parte della sera a parlare, mangiare, bere e parlare ancora. Una miriade di persone era arrivata e andata nel corso delle ore: alcuni volti erano sconosciuti, altri li aveva visti di sfuggita, altri ancora avevano riempito lunghi periodi della sua vita. Aveva anche rivisto Kevin, e aveva avuto finalmente l’occasione per abbracciarlo e ringraziarlo per tutto quello che aveva sacrificato per il mondo. Quel ragazzo aveva sofferto oltre ogni immaginazione; aveva perso la sua adolescenza, il suo futuro, la sua ragazza, la sua libertà, le sue ambizioni, sua madre, la sua vita e infine anche il suo aldilà, schiavo di un destino scritto da uno stronzo megalomane. Dean aveva sperato che Jack avesse rimesso a posto le cose, ed era stato felice di scoprire che effettivamente così era stato, ma vedere Kevin l’aveva scosso, nonostante fosse arrivato tutto sorridente con un enorme vassoio di kimchi piccante preparato da sua madre, che lo seguiva a ruota con il suo solito sguardo severo. Dean era stato felice di vederlo, di sentirsi liberato da quell’enorme peso della colpa, ma allo stesso tempo si era sentito sfibrato, mortificato dalla sua stessa serenità. Certo, Kevin stava bene. Ma era comunque morto per il suo egoismo, per la sua cecità e ingenuità. Non avrebbe mai avuto la possibilità di vivere una vita normale sulla terra, di andare ad Harvard, di invecchiare. La consapevolezza di avere in qualche modo contributo alla dipartita prematura di molte delle persone al piano di sotto alla fine gli aveva chiuso lo stomaco, e l’aveva fatto sentire tanto sopraffatto da avere bisogno di una pausa da quella giornata mondana. Si era rintanato nei suoi pensieri come faceva nel Bunker, isolato nella sua stanza, ma senza il conforto della musica.

«Sei pensieroso…», provò Charlie.

Dean mugugnò. «Che spirito di osservazione»

«Non fare il saccente con me, lo sai che il mio QI è troppo alto per il sarcasmo», scherzò lei.

Lui le lanciò un sorriso tirato. «Hai ragione… hai trovato qualcosa da hackerare anche qui?»

Charlie fece spallucce. «Non esattamente», disse. «In compenso posso partecipare o organizzare tutte le rievocazioni medievali che voglio… peccato che non ci siano fate quassù»

Dean storse le labbra al ricordo del suo ultimo incontro con una fata e i suoi capezzoli di luce. «Mhm… una vera perdita»

La ragazza si soffermò a guardarlo, lasciando che tra di loro cadesse un lungo silenzio. Dean sembrava angosciato: la camicia si piegava a metà della sua schiena seguendo la linea della spina dorsale, incastrata lungo il solco creato dai suoi muscoli tesi. I tendini dei polsi guizzavano ai continui movimenti delle mani, che si intrecciavano a scioglievano come mosse da un potere proprio. Gli occhi del Winchester, poi, sembravano non darsi pace, scandagliando nel buio semi-rischiarato della stanza come alla ricerca di qualcosa che tardava ad apparire. 

«Cosa c’è che non va, Dean?»

Lui assottigliò lo sguardo e si passò la lingua sul labbro inferiore in un gesto involontario. «Niente»

«Dean», insistette lei.

«Non so che dirti…», soffiò. «…niente di importante comunque. Dovresti tornare a goderti la festa…»

«È la tua festa»

«Ma io non me la merito»

Charlie alzò gli occhi al cielo, roteandoli tanto più platealmente possibile. «Devi smetterla di fare così!»

«Non ho fatto niente», la corresse lui.

Lei gli posò una mano sulla spalla, costringendolo a guardarla. «Non sei questo tipo di persona…»

«Ah sì?», la schernì, imbarazzato.

Lei annuì. «Sì, hai sempre tenuto dentro tanta oscurità, tanta colpa… ma sei anche un idiota»

Sul viso di Dean si dipinse la sua tipica espressione ostentatamente scocciata. «Oh, adesso sì che sto meglio, ti ringrazio davvero…»

«Voglio dire…», continuò lei scoccandogli un’occhiataccia, «…che sei una di quelle persone che trova sempre qualcosa di cui ridere! Ti basta uno stupido cappello da cowboy o una canzone rock e diventi un bambino sorridente… quest’aria da cucciolo bastonato, tutto rimorsi e sensi di colpa… dona più a Sam che a te»

Dean soffiò fuori l’aria in un’espressione pensosa, e alzò velocemente un sopracciglio prima di stamparsi un sorrisetto sulle labbra. «Sammy sembra sempre sull’orlo del pianto…»

«…o di un disturbo gastrointestinale», rise Charlie.

«Ah, sì, lui e la sua stupida bitch-face»

La ragazza annuì. «Già…», concordò. «…ma tu sei quello che si è travestito da cavaliere, che diventa pazzo quando vedere una crostata, che sa citare ogni film horror in circolazione, anche quello più di bassa lega… che conosce le canzoni dei Led Zeppelin a memoria e si emoziona davanti alla foto di qualche pistolero!»

«Sono proprio un bel coglione»

Lei gli tirò una spallata. «Sei diverso… è questo che ti rende speciale»

Sospirò. «Essere speciale non mi ha impedito che ti capitasse del male, però—»

«Dean, te l’ho già detto, io—»

«No, aspetta, fammi parlare…», la interruppe lui. «…lo so che ho fatto del mio meglio, e che sei felice che le cose comunque siano andate come sono andate ma… non ti meritavi di morire in quel modo. Ti meritavi di vivere, di continuare spaccare i culi a Dungeons and Dragons, di divertirti con tutte le ragazze che volevi… o fate, o cacciatrici, o ragazzine di Oz…»

«Non è stata colp—»

Dean la guardò storto. «Non sarà stata colpa mia, ma non sono stato abbastanza bravo per impedire che accadesse e comunque, anche se ho imparato a perdonarmi, a guardare me stesso e la mia vita da un altro punto di vista, non posso evitare di sentirmi sopraffare ad ogni persona che mi viene incontro là sotto… vedo Kevin che sorride e lo immagino senza occhi, steso sul pavimento del Bunker. Vedo Jo e la immagino seduta per terra morente in quel negozio sul ciglio della strada. Vedo te e… e l’immagine di quella vasca da bagno mi tormenta. Così come quando ho visto Cass non riuscivo a smettere di rivivere il momento in cui il vuoto l’ha preso… non riesco a smettere di pensarci neanche adesso»

Charlie lo guardò, e aggrottò le sopracciglia per scandagliarlo nel profondo. «Vuoi parlarne?»

«Di cosa?»

«Di Castiel…»

Dean scrollò le spalle di nuovo. «Non c’è molto di cui parlare…»

«Castiel è morto un sacco di volte, Dean… quasi più di te e Sam. Perché questa volta è stata diversa?»

«Perché credevo che fosse quella definitiva. Si è fatto prendere dal Nulla, l’ha evocato sulla terra per sacrificarsi, è sparito. Caput. Finish. Puff!», esclamò in un’escalation di suoni accompagnati dalle sue mani sempre più frenetiche.

«Ma non è stato così… Castiel è qui, in Paradiso…», disse lei come se fosse una cosa ovvia e normale. «…anche se non capisco perché non sia qui-qui…», disse indicando il pavimento.

Dean rievocò per un attimo la loro ultima conversazione, quando gli aveva detto che aveva bisogno di tempo. Avevano continuato a guardare l’orizzonte insieme, lui gli aveva offerto una birra e ne aveva presa un’altra per sé, erano rimasti in silenzio per un po’ e poi Cas l’aveva salutato, sparendo nel nulla così come era apparso, lasciando Dean con la strana sensazione di aver immaginato tutto. Poi lui aveva passato un intero mese a girovagare senza meta, rintanandosi nei ricordi, prima di prendere coraggio e andare dai suoi genitori. Aveva anche scoperto che in effetti il paradiso non era vuoto, era solo molto grande, e aveva fatto il giro di tutti i pub di quell’area paradisiaca che somigliava un po’ a una fusione tra il Kansas e la Cornovaglia, deciso a soffocare ogni rimorso e rimpianto prima di affrontare veramente ciò che lo frenava. Guarda caso, non era servito a niente. Era comunque un coglione pieno di lividi che non riusciva a smettere di pensare ai suoi fallimenti in vita, e soprattutto al più grande dei suoi fallimenti, quello che circondava ogni singola interazione che avesse mai avuto con Castiel, che gli sembrava di aver inzaccherato con tutta la sua negatività. «Immagino che non volesse invadere il mio spazio personale…», disse scuotendo la testa e schioccando la lingua.

Charlie lo guardò senza parlare, spronandolo a continuare. Dean intercettò i suoi occhi per un momento, ma non riuscì a sostenerne l’intensità, così si concentrò sul luccichio della luna oltre il vetro della finestra. Tossì. «L’ultima volta che ci siamo visti… beh, la penultima in realtà, è stato… insomma, lui ha evocato il Nulla perché portasse via Billy e per farlo ha dovuto… uhm… tener fede a un patto che aveva fatto per salvare Jack e… si, beh, ecco… è una lunga storia», concluse, incapace di proseguire. Perle di sudore minacciavano di apparirgli lungo l’attaccatura dei capelli.

«E io ho un’interna eternità per sentirla», insistette lei.

Dean si morse il labbro. «Non sei una che molla, eh?»

«Mai»

Il Winchester si contorse. Incapace di rimanere seduto si alzò, si passò le mani nei capelli, camminò fino alla finestra e lanciò uno sguardo verso il giardino, dove le luci del barbecue e delle lampadine a catena sospese poco sotto rischiaravano l’immagine della festa che proseguiva indisturbata anche in sua assenza. Tossicchiò, camminò di nuovo su e giù lungo la stanza, si infilò le mani in tasta. «Aveva fatto un patto con il Nulla perché prendesse lui invece che Jack… ma il Nulla non… maledizione, non lo so, credo che volesse vederlo soffrire, okay? Quindi non l’ha voluto prendere subito e… uhm… gli ha detto che sarebbe apparso in un… ma che ne so, nel maledetto momento di più grande felicità della sua vita eterna… o qualche stronzata del genere, credo… e guarda un po’, c’ero io in quel momento di felicità», disse a bassa voce, quasi inudibile, alzando gli occhi al cielo alla sua stessa idiozia.

Charlie era sempre più corrucciata. Si protese verso Dean, accavallò le gambe e approfondì lo sguardo, portandosi pollice e indice al mento in una posizione che gridava desiderio di ascoltare e capire. Dean, di contro, sembrava sul punto di svenire.

«Non credo di capire…», lo incitò lei. «…se sapeva che evocandolo sarebbe morto in che modo ha vissuto un momento di felicità?»

Dean iperventilò. Come erano arrivati a parlare di questo? Neanche se lo ricordava. Aveva la gola secca. «Io… Lui… sì, beh, Cass voleva salvarmi… credo, si, cioè… quindi penso…»

Charlie rise. «Cosa avrà mai fatto che non riesci neanche a ripetere… ma dai! Sei un uomo adulto! Morto per giunta… cosa può averti tagliato la lingua in questo modo?», gli chiese. «Non ti avrà mica confessato amore eterno, no?»

La ragazza stava ancora ridendo, ma Dean si bloccò come se fosse stato colpito in piena faccia fa uno schiaffo inaspettato. Sentì le budella contorcersi e percepì perfettamente il suo viso che si piegava in un’espressione costipata. Quando Charlie se ne accorse, smise immediatamente di ridere, e i suoi occhi si fecero grandi e profondi, pieni di sorpresa e trepidazione. Le sue labbra si schiusero a formare una piccola “o”, che si affrettò presto a coprire con le mani, per evitare di peggiorare la situazione.

«Vuoi dire che…», si interruppe, ci pensò un secondo, poi sorrise, gli occhi che luccicavano. «… finalmente!», squittì.

Dean era interdetto. «Finalmente?»

Lei alzò le spalle. «Non dirmi che non lo sapevi…»

«Che non sapevo cosa?»

«Non puoi essere veramente sempre stato così chiuso nell’armadio da non esserti mai reso conto dei segni… e poi dai! Vi hanno preso in giro al Paradiso e all’Inferno per anni…»

Dean aveva un’espressione di puro terrore dipinta sulla faccia. «Non— io… non ero in un armadio, io—»

«Oh, ma smettila! Per chi pensi che parlassi quando siamo andati a fare shopping e ti ho chiesto di Castiel?»

Lui la guardò senza capire. «Dean! Ti ho chiesto cosa ne pensassi di Castiel… ho detto che sembrava un tipo interessante… per chi credi che te lo stessi chiedendo?»

«Io—»

Lei alzò gli occhi al cielo, scattò in piedi e fece volare le braccia in alto e poi in basso in un gesto di pura esasperazione. «Sono lesbica Dean! Non sarei riuscita neanche a flirtare con un uomo senza il tuo aiuto… il tuo aiuto, Dean!»

«E questo cosa—», annaspò l’ex cacciatore.

«Oddio», soffiò lei, «…molto etero da parte tua guidare una ragazza nel flirting con un uomo… molto “womanizer”, davvero. Pensi che stessi chiedendo di Castiel per me? O, non so, per un amica, forse? Stavo cercando di capire quanto fossi stupido tu, a non esserti ancora reso conto del vostro…», gesticolò con le mani qualcosa che doveva somigliare a una matassa, «…qualunque cosa ci fosse di inespresso tra voi!»

«Non c’era niente di inespresso!», si difese lui.

Lei alzò un sopracciglio e intrecciò le braccia al petto. «Oh, davvero? Quindi immagino che quando ti ha dichiarato il suo amore tu fossi perfettamente pronto ad affrontare quella conversazione, giusto?»

«Io non—»

«Non te lo aspettavi, no?»

Dean si passò una mano sulla fronte, prese un respiro profondo e sbottò. «No!», esplose. «No, non me lo aspettavo, d’accordo? Soprattutto non mi aspettavo che un fottuto “angelo del signore”, che a quanto pare ha perso tutta la sua santità nel maledetto momento in cui ha salvato il mio dannato culo dalla dannazione, decidesse di sacrificarsi, di nuovo, davanti a me, per salvare la mia stupida inutile e incasinata vita dall’ennesima assurda stronzata in cui l’avevo appena trascinato… non mi aspettavo che una benedettissima creatura celeste potesse vedere me - me! - come il motivo per “tenere al mondo”, come se io fossi un qualche cazzo di premio di non so che cosa e come se fossi un fottuto punto di riferimento, okay? E no. No, non mi aspettavo che il momento più felice della sua intera dannata eternità fosse rendersi conto che “quell’unica cosa che voleva non poteva averla”, ma che “bastava dirla”, e che quell’unica fortuitissima cosa fossi io… un minuscolo, insignificante umano arrabbiato, incasinato, incapace di esprimere una sola cazzo di emozione!»

Finito di parlare, Dean era senza fiato. Con un singhiozzo involontario sentì che tutto il dolore e l’insicurezza si impossessavano di lui, costringendolo a rannicchiarsi per evitare di cadere. Si abbassò, sedendo sui suoi talloni appena rialzati e abbandonando le braccia lunghe distese appoggiate alle ginocchia rialzate. Era talmente disgustato da sé stesso e dalla sua infantilità che non riusciva neanche ad incrociare lo sguardo di Charlie, che nel frattempo si era fatto triste.

«…e io non ne valgo la pena», continuò Dean, deglutendo un altro singhiozzo che minacciava di trasformarsi in pianto. Aveva già sprecato abbastanza lacrime quando aveva creduto che non avrebbe mai più rivisto Castiel, nel buio e nell’intimità della sua stanza nel Bunker. Non l’avrebbe fatto di nuovo davanti a Charlie. «…sono stato un pessimo amico per Cas. Non ho mai saputo leggere tra le righe, non sono mai stato grato per ogni suo sforzo… ha tradito tutto il fottuto paradiso per me, cazzo! E più di una volta. Ha dato fuoco con una molotov a suo fratello… ha… ha—», pensò a quanto la sua presa su Castiel fosse forte anche senza averne piena consapevolezza, quando tre sole parole uscite dalla sua bocca piena di sangue nella cripta della tavoletta degli angeli avessero liberato l’angelo dalla lobotomia che gli aveva inferto Naomi. «—e io cosa ho fatto in cambio? Ho giocato con i suoi sentimenti, me ne sono fregato delle conseguenze… gli ho detto che non mi fidavo di lui, che era— l’ho cacciato dal Bunker, l’ho lasciato solo… l’ho ferito e non ho mai… mai dimostrato davvero di apprezzarlo. Sono stato un vero stronzo, un coglione… un emerito sacco di merda per tutti questi anni! Con tutti voi… ho sputtanato tutte le mie occasioni nella vita e ho lasciato che anche te, Kevin, Sam… e Pamela, Jo… che tutti voi buttaste via la vostra vita… e per cosa? Per prendere spunto da uno come me? Non sono certo un modello da seguire…», una risatina amara gli sfuggì dalle labbra mentre parlava.

«Tu sei solo un vigliacco…», gli disse Charlie, duramente.

Quell’attacco improvviso trascinò Dean fuori dal suo vortice di dolore, costringendolo a guardarla di scatto.

«Tu sai che non è vero nulla di quello che stai dicendo… Tutti noi, io, Jo, Bobby, tua madre, tuo padre, Sam!, Kevin, chiunque altro e anche Castiel— soprattutto Castiel!, sappiamo esattamente cosa hai fatto per il mondo… e cosa hai fatto per noi, cosa avresti fatto per noi… e, Dean, basta! Non è colpa tua. La battaglia è finita— finita! Contro cosa stai combattendo? Pensi veramente che io non veda la realtà in tutto questo tuo stupido monologo? Cos’è? Porti sfortuna, è questo che dici? Sei solo uno stupido sacco di merda… pensi che qualunque sacco di merda avrebbe passato praticamente trent’anni della sua vita a uccidere mostri per salvare gli altri? E comunque… tutti noi abbiamo fatto le nostre scelte e tu non c’entri niente con esse! Non è mai stata una tua responsabilità e Castiel… beh lui ha scelto ogni singola volta te! Se l’ha fatto vuol dire che forse non sei così pessimo come credi, no?»

Dean era senza parole, non avrebbe saputo cosa ribattere neanche se avesse voluto farlo.

«No, infatti…», si rispose Charlie da sola. «L’unico stupido motivo per cui sei qui a crogiolarti in quanto tu sia insignificante e su quanto ingiustificato sia l’amore di Castiel per te… è che non riesci a uscire dal tuo stupido armadio e abbracciare chi sei!»

«Pensi che sia facile?», gli chiese lui, con gli occhi sottili e lo sguardo tagliente come una lama.

Charlie sbuffò, un’espressione feroce stampata sul viso. «Io so che non è facile, Dean. A differenza tua ho preso coscienza di me stessa molto tempo fa, ed ho affrontato le conseguenze… cos’è? Pensi che ammettere che anche tu lo ami ti renda meno “maschio alpha”?»

«Io—»

«Oppure non lo ami anche tu? È questo che vuoi dirmi?»

Dean sembrava sul punto di vomitare, il calore gli avviluppava il viso come un sacchetto pieno d’acqua bollente, impedendogli di respirare. «Io…»

«Non voglio spingerti a dire qualcosa che non vuoi o che non sei pronto a dire… ma cazzo, Dean! Sei tornato in Purgatorio per Castiel… hai messo a repentaglio le leggi dell’universo per lui… hai pianto la sua morte come quella di un compagno di vita, hai… hai tenuto il suo impermeabile sporco di sangue in macchina come un cimelio— come nel cazzo di film Brokeback Mountain! Dai, si può essere più ovvi di così? Angeli e demoni ti hanno lanciato milioni di frecciatine e tu… tu veramente pensi che questo possa in qualche modo farti sembrare meno virile? Meno Dean-sono-un-osso-duro-Winchester? Beh, lascia che ti dica una cosa… tu non sei mai sembrato un osso duro, se non in battaglia. Tutti meritiamo l’amore, e tu non sei da meno… quant’è che non hai una donna, eh?»

«Ma…»

«Quanto?»

Dean ci pensò su, con un’espressione persa. Gli occhi che saettavano a destra e sinistra, rivolti all’indietro, verso la sua stessa mente. «Anni», ammise.

«E perché mai? Te lo sei chiesto? Un uomo tanto… beh, sì, tanto legato alla propria intimità come te… che non ha una donna da anni… perché?»

«Io non…»

Charlie lo guardò ancora un po’, poi si morse l’interno della guancia. Vedere Dean così perso, così indifeso, era troppo anche per una convinta portatrice di verità come lei. «Dean…», gli disse con voce addolcita avvicinandosi a lui. Si chinò al suo fianco, e gli posò una mano sul braccio destro. «…so che non sei uno stupido coglione», sorrise un po’, «…e so che non sei un omofobo né un idiota… ma se c’è una cosa che sei, è inconsapevole. Non so perché tu l’abbia fatto ma è ovvio che hai passato anni a nasconderti dietro a un dito, e per cosa poi? Nessuno ti avrebbe giudicato, nessuno ti avrebbe denigrato… non certo tuo fratello, non certo i tuoi amici e sono sicura che non l’avrebbero fatto neanche i tuoi genitori. E se ti guardi indietro vedrai che non è neanche una questione di sessualità o genere… tu hai sempre tenuto a distanza le persone che avevi paura di ferire. Me l’hai raccontato tu stesso… di Lisa e Ben… di tutte le porte che hai chiuso per paura che lasciandole aperte sarebbero entrati i mostri insieme a te. Ma—»

Dean tossì. «Sono solo un coglione, Charlie…», ammise, gli occhi pieni di lacrime che non volevano scendere. «…Ho chiuso tutte quelle porte in passato perché non volevo che quelle persone soffrissero, che morissero per colpa mia… ma con Cass— Castiel era diverso. L’ho messo in pericolo milioni di volte, e lui ha cambiato tutta la sua esistenza per me, ha fatto qualunque cosa solo perché gliel’ho chiesto io… l’ho dato per scontato, l’ho visto sacrificarsi mille volte e… per anni, nonostante l’evidenza, nonostante le mie stesse pulsioni… non ho mai neanche lontanamente pensato che potesse essere qualcosa di più di un amico, di un fratello… ho spinto in fondo ogni indizio che mi avrebbe dovuto far capire che c’era qualcosa di diverso tra di noi perché… perché io—»

«Te ne vergognavi…», concluse lei in un sospiro amaro.

«Io… sì», ammise Dean, abbassando lo sguardo. «E ogni volta che uno stupido angelo o un disgustoso demone faceva menzione del “legame profondo” tra me e Cas… o mi ricordava quanto io fossi la sua debolezza, beh, non faceva che ricoprirmi di vergogna nel farmi rendere conto, anche solo per un momento, che lui era la mia debolezza a sua volta… esattamente come lo era Sam, eppure in un modo diverso. Io… ci sto provando», disse poi. «Ti giuro che ci sto provando a capire… a capirmi. Ad accettare… e sono arrivato a comprendere i sentimenti di Cas, a dirli… almeno da solo. Sì, Castiel mi ama. E, penso, in un modo romantico… ma io… io…»

«Non lo sai?»

Dean scosse la testa. «Ho paura»

«E di cosa?»

Lui grugnì. «Non ci sono mai stato, okay? Non ci sono mai stato con un uomo… e sì, cazzo, d’accordo, sarei un fottuto bugiardo se non ammettessi che ci sono state volte… con Cas, ma anche con altri ragazzi, in cui ho pensato… ho immaginato… ho, non lo so, fantasticato— e ci sono stati momenti in cui mi sarei anche sentito pronto ad ammettere a me stesso che forse… forse non ero tutto tanga di pizzo e rossetti, ma che c’erano anche altre cose che mi piacevano… come… come i glutei scolpiti di qualche modello o il modo in cui la cravatta calzava al collo di Cas, o la sua pelle appariva appena da sotto la camicia bianca, o le vene delle sue mani…»

Charlie tossicchiò, per fargli proseguire il discorso senza scendere nei dettagli delle sue fantasie. Dean gli lanciò un’occhiata di striscio e mosse le labbra convulsamente. 

«Il punto è che ne ero consapevole, ma non volevo… razionalizzarlo. E, beh, un conto è pensare che una cosa o qualcuno… è bello, o attraente… e un conto è passare dalla fantasia all’azione e soprattutto… beh, sì, soprattutto è un gran bel passo passare dall’attrazione all’amore. E io non sono neanche sicuro di sapere esattamente cosa si prova, quando si ama…» 

La ragazza continuò a guardarlo, con un sopracciglio alzato. 

«Sono stato innamorato… certo, molte volte anche… e ho avuto meravigliose esperienze intime…», ridacchiò e si inumidì le labbra con la lingua, ma quando vide che Charlie non rideva insieme a lui continuò a parlare, «…ma l’amore… l’amore ti fa soffrire. E penso di averlo sempre respinto, soffocato, nascosto in fondo al cuore e… beh ecco, sostituito con la rabbia, il possesso, la furia e con Cas—»

«Hai sempre tirato fuori queste emozioni…»

«In un certo senso… sì, credo…»

Charlie annuì. «Non devi sforzarti, se non vuoi… hai tutto il tempo dell’universo per capire cosa vuoi e cosa senti ma… non pensi di meritarti un po’ di gioia, finalmente? Non pensi di meritare di lasciarti andare? Io posso solo dirti questo… da fuori, tu e Castiel… siete come due calamite. Vi attraete a vicenda. Lui rifulge in tua presenza e tu sei… come una batteria caricata al massimo. Tirate fuori il peggio e il meglio di voi stessi quando siete nelle stessa stanza—»

«Io penso di amarlo», disse Dean, tutto d’un fiato. La testa gli girava vorticosamente, l’aria fu d’improvviso completamente risucchiata fuori dai suoi polmoni. No, lui non pensava di amarlo. Lui sapeva di amarlo, si rese conto. E una miriade di farfalle si mise a vorticare come uno sciame nel suo stomaco.

Charlie si bloccò, lo guardò stupefatta. «E allora?»

«Ma non so come amarlo…», disse ancora lui, colpito come dal fulmine della consapevolezza. «E ho una paura fottuta… non mi sono mai lasciato andare in questo modo, con nessuna… e certamente con nessuno… ho paura di perdere il controllo, di non saper gestire la cosa, di rovinare tutto… e non voglio perdere il mio migliore amico per questo per— una stupida pulsione ormonale!»

La ragazza gli rivolse ancora uno sguardo, poi sorrise e gli buttò le braccia al collo, abbracciandolo. Dean tremò appena tra le sue braccia, improvvisamente nudo, scevro di ogni armatura si fosse mai messo addosso. L’aveva detto, l’aveva detto ad alta voce. Aveva ammesso quello che avrebbe creduto di non poter ammettere mai, l’aveva fatto a sé stesso e alla sua migliore amica nello stesso momento, di getto, senza pensare. Dopotutto Dean aveva sempre fatto le sue scelte migliori, e avuto i suoi impulsi migliori, senza pensare. 

«Non devi avere paura dell’intimità Dean… di nessun tipo. Non c’è niente che deve spaventarti… imparerete strada facendo, l’inesperienza fisica ed emotiva si cureranno da sole… devi solo…»

«Buttarmi?»

«No», lo corresse lei. «Sentirti pronto almeno ad affrontare quello che senti», gli disse.

Dean digrignò i denti, il peso che sentiva sul cuore che minacciava di schiacciarlo di nuovo. «Ho paura di quello che potrebbero pensare… sai, mio padre, mia madre… la mia famiglia e anche… beh, tutti», tossicchiò e poi rise, per dissimulare la tensione. «Sai, mi sono fatto una reputazione sulla terra»

Charlie roteo gli occhi, ma Dean non la vite, stretto nel suo abbraccio. «A nessuno frega un cazzo della tua reputazione, solo a te interessa…»

La consapevolezza della verità di quell’affermazione lo colpì dritto allo stomaco, lasciandolo incapace di replicare per un po’. Si sentiva stordito, affannato come dopo uno scontro corpo a corpo con un goul. Nella testa mille diverse immagini si affastellavano inseguendosi senza un nesso logico, ma tutto alla fine tornava a quel momento, a quando Cas si era fatto inghiottire dal Nulla, alle sue lacrime di gioia, al suo sorriso beato, alle sue parole libere. 

Era così bello, pensò d’improvviso. Ancora bello, ancora Castiel, anche in quel momento tanto tragico. Bello dentro e fuori, con quegli occhi azzurri come il cielo di una mattina d’estate, il suo impermeabile sempre stropicciato e logoro, quella cravatta mai legata nel modo giusto. Bello in ogni suo sacrificio, in ogni suo errore, in ogni loro scontro, in ogni occasione. Ed era vero, lo vedeva ripercorrendo a velocità supersonica tutti gli anni che avevano vissuto insieme, tutte le loro battaglie, tutti i loro scontri, ogni volta che si erano persi, ogni volta che si erano ritrovati: lui aveva cambiato Castiel, l’aveva reso più umano, l’aveva rotto in un certo senso, mettendo in dubbio un’eternità di fedeltà cieca e insindacabile per gli angeli e Dio. Ma anche Castiel aveva cambiato lui; l’aveva fatto sentire degno di fiducia, degno di tradimento, degno di considerazione, di ascolto. 

«Lui ha messo in dubbio tutto per me e io…»

«Anche tu l’hai fatto»

«Non lo so… non so se avrei mai… abbandonato Sam…»

Charlie sorrise e si staccò dall’abbraccio, gli pose una mano sulla spalla, e cercò i suoi occhi per catturarli nei propri, nel tentativo di trasmettere attraverso lo sguardo tutta la comprensione, l’accettazione, l’amicizia possibile. «Dean… non è su questo che devi basare il confronto tra i tuoi sentimenti e i suoi, non su questa scelta. Tu sei stato un fratello e un padre per Sam, vi siete cresciuti a vicenda, vi siete sostenuti, vi siete condannati l’uno per l’altro, vi siete anche mandati a fanculo più volte di quanto sia considerabile normale…», disse con un risolino. «Ma per tanto tempo, per quasi tutta la vita, siete stati solo voi due. E qualunque cosa fosse successa, qualunque cosa sia successa, sapevate che avreste sempre potuto contare l’uno sull’altro… solo l’uno sull’altro. Poi è arrivato Castiel e…»

Dean deglutì. «Sapevo che potevo contare su di lui»

«Ma a volte ti ha deluso… come ha fatto Sam…»

«Come ho fatto io», concordò lui.

«E hai provato la stessa cosa?»

Lui tentennò. «No… con Cass era diverso, con lui mi sono arrabbiato… di più»

Charlie annuì. «Come se ti avesse tradito un compagno?»

Dean si morse il labbro inferiore, gli occhi pieni di paura. Si maledisse da solo; un uomo adulto, che aveva affrontato più apocalissi di chiunque altro, che aveva stravolto il disegno di Dio, dannazione, e aveva paura dei suoi stessi sentimenti. Idiota. «…forse»

«Non avresti mai potuto tradire Sam per Castiel, ed è normale… ma sei stato capace di tradire e uccidere e distruggere chiunque altro per lui, o no?»

«Era la mia famiglia…», ammise Dean, esausto.

«E non pensi che questo abbia un valore?»

Lui scrollò le spalle. «Io—», poi una consapevolezza lo colpì dritto in faccia. In un certo senso aveva tradito Sam per Castiel, nel momento in cui aveva scelto di smettere di lottare, di lasciarsi andare. «Io non sapevo che Jack aveva modificato il paradiso…», disse.

Charlie lo guardò, rimanendo in silenzio.

«Quando sono morto io… beh ero convinto che sarei stato catapultato in un eternità di ricordi, sai, i ricordi più felici della mia vita. E quando quel chiodo mi ha trapassato la spina dorsale io… ho pensato soltanto… finalmente. Ho scelto di lasciarmi andare, di non combattere, di non chiedere aiuto e… ho scelto di lasciare Sam, di abbandonarlo perché… perché qui l’avrei rivisto…»

Charlie gli accarezzò ancora la spalla. «Dean…», soffiò, una lieve tenerezza nella voce.

«Ed ero pronto ad affrontare la consapevolezza che sarebbe stato solo un ricordo, intangibile, eternamente identico a sé stesso… ma tanto mi bastava. Non potevo… non volevo continuare a vivere una vita sulla Terra senza quello stupido angelo… ero infelice, e ho lasciato Sam per questo…», si sentì disgustato da sé stesso. «Ho abbandonato mio fratello… solo per la speranza di un ricordo»

«Dean… tu meriti di essere felice. Hai sacrificato ogni cosa per il resto del mondo per tutta la vita… ora meriti di sacrificare il resto per te stesso. Meriti di accantonare ogni blocco per essere… in pace»

Il Winchester strinse forte gli occhi, si passò una mano sul viso e fece pressione sulle palpebre finché la sua vista non fu macchiata di tante piccole striscioline di luce arancione. «Non so se ci riesco»

«E perché no?»

«Ho passato un’intera vita a dipingermi in un modo»

«Ma quella vita è finita, Dean. Letteralmente. Per tutti noi… hai la possibilità di ricominciare—»

Dean si stizzì. Non era arrabbiato con Charlie, anche se sentiva il peso della sua insistenza come un macigno che premeva contro le tempie, minacciando di provocargli la peggiore emicrania della sua vita. «Ho ricominciato più volte di quante dovrebbero essere concesse a un uomo… eppure ho fottuto ogni possibilità! Ogni volta mi sono ripromesso di fare le cose diversamente e invece? Sono arrivato a dire a Castiel che avrei voluto che fosse morto… sono arrivato a… a…», grugnì, poi si alzò in piedi, liberandosi da quella posizione fetale. «Non gli ho detto nulla, Charlie! Lui mi ha aperto il suo cuore, si è sacrificato per me— ancora una volta e io… ancora una volta non gli ho detto nulla!»

Charlie sospirò, si alzò a sua volta e si sedette sul letto, scivolando fino alla testata per poggiare la schiena contro il cuscino. Poi colpì piano piano il posto accanto a lei, invitando Dean a sedersi. 

«Che ne dici se ripartiamo dall’inizio?»

Lui aggrottò la fronte e la guardò. «Quale inizio?»

«Ricominciamo dall’inizio… come se fossimo due adolescenti che parlano delle loro cotte… alla fine, io sono lesbica e tu… beh, tu sei palesemente bisessuale, amico mio… che ti piaccia o no ammetterlo, è il momento che esci dal tuo armadio preferito e che ti guardi dentro»

Dean si contorse come un serpente in agonia. «Non mi piacciono le etichette—»

«Oh, ma non dire stronzate! Non ti piace questa etichetta forse, perché ti spaventa e mette in dubbio tutto quello che hai creduto fino ad ora… ma in generale le etichette ti sono sempre piaciute… e questa non è da meno. Devi solo imparare ad accettarla»

Lui tentennò la testa, pensandoci un po’. In effetti le etichette gli erano sempre piaciute. Per quanto tempo si era nascosto dietro una di esse, o alcune di esse, per mostrarsi al mondo in quello che pensava fosse l’unico modo per essere rispettato? «E cosa proponi?»

«Beh… facciamo finta che sia io che te siamo… due amici delle superiori, okay?»

Dean si avvicinò piano piano al letto, con le mani in tasca. «E?»

«E parliamo… tu mi parli di Castiel, dall’inizio. Da quanto vi siete visti la prima volta… ma lo devi fare senza freni…» 

«Mi servirà del Whiskey…», disse lui in un grugnito.

Lei fece spallucce, «Non dirmi che non ne hai una scorta qui…»

Dean la guardò con un’espressione eloquente, poi sorrise a sessantaquattro denti. «Ovviamente», si piegò e aprì lo sportello del comodino al fianco al letto, tirando fuori una bottiglia di whiskey e una di scotch. Le aveva rubate dall’armadietto del salone prima di rintanarsi in camera. 

«Allora vieni qua, dai… principessa», lo schernì Charlie.

«Ehi!», le rispose lui, saltando sul letto come un bambino e mettendosi comodo.

«Da dove vuoi iniziare?»

Dean prese un respiro profondo, stappò la bottiglia, buttò giù un lunghissimo sorso gorgogliante che gli inebriò corpo e mente, e poi iniziò a parlare. E raccontò di rumori assordanti, di luci scoppiate, di ombre di ali sul fondo di un capanno, di occhi celesti e terribili e di una mano stampata sulla spalla come un marchio indelebile fatto con il fuoco. E poi parlò di risate, di scherzi, di progetti, di piani, di distintivi tenuti al contrario. Di cose che aveva imparato, ed altre che aveva insegnato. Raccontò di sensazioni nuove che aveva provato, che gli avevano attanagliato le budella e gliele avevano fatte solleticare, parlò di attrazione che aveva nascosto, di sogni e di speranze. E parlò anche di perdita, di pire che non avrebbe mai voluto dover accendere, di rabbia e di desiderio di vendetta, di incapacità di perdonare, di capire… parlò di un dolore e di un cordoglio profondi come gli abissi infernali, più strazianti di qualunque tortura avesse mai subito, o inflitto. E più parlava, più si sentiva leggero, più si sentiva libero.

E più ricordava, con la lingua resa sciolta e lesta dall’alcol che gli infiammava la mente, e più si rendeva conto che in effetti, tutto quello che aveva fatto negli ultimi dodici anni, qualunque decisione, ogni singola cosa che non riguardasse Sam, l’aveva fatta per Castiel, così come l’angelo l’aveva fatta per lui. E così, tra un racconto e un altro la durezza si trasformò in risate, in spensieratezza, in doppi sensi e scambi di battute, come se fosse tornato ragazzo e stesse parlando di una cosa normalissima. Come se non stesse parlando dell’essersi innamorato di un fottuto angelo del signore che l’aveva trasportato in braccio fuori dall’inferno e risollevato dalla perdizione. Perso com’era nei suoi ragionamenti, ispirato dalla sua epifania, reso disinibito e spavaldo dall’alcol prese la bottiglia di whiskey quasi finita e la impugnò come un microfono, mettendosi a cantare a squarciagola Everything I do di Bryan Adams, con Charlie che sghignazzava e si rotolava sul letto, le costole che gli facevano male dal ridere e il cuore che gli faceva male dopo essere stato stretto in una morsa tanto a lungo, finalmente libero di battere.



 

   
 
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