Chi
si nasconde dietro le iniziali C.G., è un dubbio che
infastidisce Manila
durante l’intera nottata. Seppure, alle prese con nuovi e
numerosi clienti, la
ragazza ha la mente occupata e non trova una soluzione che possa
mettere a
tacere tanti pensieri.
È
quasi l’alba quando ogni dipendente del Mariposas rientra
nella rispettiva
stanza.
Esauste,
le due spogliarelliste operative in quella serata, percorrono assieme
il
corridoio che separa la camera di una da quella dell’altra.
Stoccolma
non è visibilmente in forma, il che sembra mettere da parte
le intenzioni di
Manila di indagare circa la persona del fax, e focalizzarsi sullo stato
di
salute della collega.
“Sei
pallidissima, cos’hai?”
“Sto
benissimo, tranquilla” – risponde la bionda,
seppure traballante.
“Sicura
di non aver bisogno di aiuto? Non vorrei che tu avessi disobbedito al
protocollo bevendo qualcosa offerto da un cliente! Sai bene che non
possiamo
farlo” – precisa la mora.
“Vuoi
ricordarmi le regole? Dimentichi che stai parlando con me? Non mi
chiamo mica
Tokyo o Nairobi. So cosa va e cosa non va fatto” –
alquanto altezzosa, rammenta
di essere la sola che non disobbedisce mai, quindi interpreta la
preoccupazione
di Manila come un attacco alla sua perfezione comportamentale
– “Non farmi
ramanzine, sai che non sono io quella che le merita!
Buonanotte” – così
dicendo, lascia il braccio della collega, a cui si era sorretta fino a
qualche
istante prima, e si avvia verso il proprio uscio.
Manila
sa quanto Stoccolma sia fedele a Berrotti ed è cosciente che
non riceverà mai
risposte da lei. Eppure, il pensiero dell’ignoto C.G. torna
ad insospettirla.
“Chi
cazzo ha ordinato la riapertura del Mariposas, nonostante
l’ordinanza della
Polizia?”
Non
le converrebbe immischiarsi, né tantomeno porre domande in
giro, visto l’ordine
ricevuto da Martin, ma è proprio uno strano suono,
proveniente da una stanza
poco distante dal punto in cui è ferma da alcuni minuti, ad
attirare la sua
attenzione.
Più
che un suono sembra un lamento.
Combattuta
se seguire l’istinto o rispettare quanto impostole, la
ragazza esita.
In
tutta quella faccenda qualcosa comincia a puzzarle, seriamente. Se
prima ha
finto o ha chiuso non solo un occhio ma entrambi, per un protocollo che
ha
firmato quando, tempo addietro, mise piede per la prima volta al
Mariposas, la
sparizione di Lisbona, le indagini, gli ultimi bizzarri comportamenti
del
proprietario del Night Club, e perfino la
“punizione” che quest’ultimo ha detto
di aver fatto scontare a Tokyo e Nairobi, iniziano a crearle dei dubbi
su cui
non può più sorvolare.
Guardandosi
attorno, come a volersi sincerare dell’assenza di possibili
spioni, in primis
la stessa Stoccolma, nota per la fama di cagnolino del boss, Manila a
passo
affrettato raggiunge il luogo da cui proviene il gemito.
Riconosce
subito che quella è la stanza di Nairobi, sparita nel nulla
da ormai 24ore.
Allora,
decisa a capirne di più, bussa.
Nessuna
risposta, se non un continuo lamentarsi.
Per
sua fortuna, l’uscio è aperto, così da
permetterle di varcarlo e constatare che
la collega è stesa sul letto, sotto delle pesanti coperte.
Però
dorme.
Un
sonno disturbato.
“Nairobi”
– la chiama, sperando in un suo risveglio.
Il
contorcersi della gitana, infatti, è inquietante.
È
come se Agata si ribellasse ad un incubo piuttosto reale.
“Apri
gli occhi, per favore. Mi stai spaventando” –
ripete. A quel punto, le siede
vicino e la scuote.
Ma
la zingara non ha reazioni, se non un improvviso e raggelante grido di
terrore.
Di
fronte a tale urlo, Manila si alza in piedi e si allontana, agitata.
“Cosa
ti succede? Che ti hanno fatto?” – domanda, temendo
il peggio.
Le
idee che le balenano in mente sono molte; tante perfino senza logica.
Setaccia
la stanza, cercando delle tracce. Chissà…pensa
Manila…magari ha assunto
farmaci, o droghe… anche se è espressamente
vietato farlo su ordine del
Mariposas.
Non
trova nulla di tutto ciò, il che è maggiormente
preoccupante, in quanto la
presenza di qualche prova avrebbe giustificato tali gemiti. Invece non
esiste
niente che possa dare risposta alla condizione di Nairobi.
L’ultima
possibilità di ricerca della verità è
verificare lo stato fisico della gitana.
Così, raccolto il coraggio e la forza, la ragazza solleva la
coperta nella
quale è ben celata Agata.
“Cazzo”
– esclama, sconvolta, quando ciò che vede
dà prova alle sue preoccupazioni.
Ciò
accade proprio quando il sole è alto in cielo e Madrid si
appresta ad
accogliere un nuovo giorno.
Ma
cosa è invece accaduto a Lisbona, alcune ore prima?
Già…perché
Santiago è fermamente deciso a scoprire
l’identità del figlio di Jacov.
“Avete
dimenticato qualcosa?” – chiede Dolores, aprendogli
la porta, dopo appena
cinque minuti dai saluti.
Daniel
si appella alla recitazione del socio, non avendo trovato il tempo
necessario
ad elaborare una bugia adeguata alle circostanze. Lo osserva,
limitandosi al
silenzio.
“Scusateci,
siccome l’Hotel è alquanto distante da qui, mica
potremmo utilizzare la
toilette”
“Ehm,
certo, prego, entrate” – la donna li invita
all’interno, accompagnandoli, uno
alla volta in bagno.
“Vai
prima tu, forza” – sussurra Lopez
all’amico, approfittando del fatto che il
presunto Axel è seduto proprio in salone, concentrato nel
gioco della Play.
E
Ramos esegue la performance richiestagli.
Ciò
che si presenta al maggiore degli ispettori è una situazione
favorevole al suo
intento. Approfittando del videogioco può, infatti,
attaccare bottone con il
ragazzino.
“Wow,
e così ti piace cucinare. Io ci provo ma sono una frana.
Riesco solo nel
barbecue, quello mi viene divinamente”
Il
ricciolino dai capelli neri non risponde, si limita a tenere fissi gli
occhi
sullo schermo del televisore.
“Conosco
una donna di nome Agata che è bravissima ai
fornelli” – aggiunge, inventando
storie su Nairobi, con l’intento di suscitare nel bambino una
reazione udendo
il nome della presunta madre.
Invece
nulla.
Il
figlio del croato non batte ciglio.
“Va
tutto bene qui?” – chiede Jacov, unendosi ai due.
“Si,
notavo che a tuo figlio piacciono i giochi di cucina. Giuro che non ne
avevo
mai visto uno di questo tipo, per la Play”
“Forse
perché sei abbastanza vecchio…”
– commenta il minore, ricevendo l’immediato
richiamo paterno.
Ma
è Santiago stesso a far cenno al capofamiglia di star
tranquillo perché non si
è offeso.
“Si,
hai ragione, giovanotto. Sono un po' over per queste cose,
forse…ma non mi hai
mai visto giocare a Wrestling nelle vecchie Play” –
sostiene Lopez, mostrandosi
orgoglioso dei suoi successi in giovane età.
“Ah
si? Beh allora… ” – a quel punto il
gitano, mantenendo la sua fierezza e la sua
freddezza con l’ospite, lo mette alla prova –
“… fammi vedere di cosa sei
capace!”
Ecco
finalmente l’occasione per relazionarsi al moretto e indagare
a fondo le sue
origini.
“Certo!
Non dirmi che hai anche questa tipologia di videogiochi?”
– gli domanda,
lasciandosi trasportare dal momento di gioco.
“Ovviamente
sì” – si mette in piedi, tirando fuori,
da una vecchia scatola, quanto
necessario.
Daniel,
nel mentre, rientrato dalla toilette, non sa più come
guadagnare tempo. Chiede
dell’acqua, cerca di allungare il brodo quanto
può. Tutto ciò accade mentre
Lopez e il piccolo sconosciuto danno il via allo scontro virtuale.
“Bisogna
inserire i nostri nomi per giocare. Allora… metto subito il
mio” – ecco cosa
cerca davvero Santiago. Opta per la sola Play, di cui andava
ricordandosi, che richiede
l’inserimento di un nome di ciascun giocatore. Entusiasta, si
affretta a
scrivere il proprio, attendendo, ansioso, quello del gitano.
“Ora
tocca a te” – gli dice.
È
quello il momento tanto atteso.
“Beh,
io mi limito a Giocatore2”
“E
perché?” – richiesta lecita da parte di
Santiago, deluso.
I
due si guardano per qualche istante, in silenzio.
Ma
è la piccola Victoria, comparsa all’improvviso,
con la sua bambola nuova tra le
braccia, a rivelare – “Alek, sbrigati! Mi avevi
promesso che avrei potuto
guardare in santa pace il mio cartone animato preferito. È
quasi ora!”
“Alek?
È così che ti chiami?” – la
domanda dell’ispettore, accompagnata da uno sguardo
incredulo, giunge immediata.
“Aleksandar,
per la precisione” – spiega Dolores, unitasi al
gruppo, per avvisarli che la
cena è pronta.
“Ah…”
– commento amaro del quarantaduenne.
È
Ramos, a quel punto, a prendere in mano le redini della situazione.
“Beh,
grazie della toilette. Noi ora andiamo, si è fatto davvero
tardi. Buona cena,
signori” – preso sottobraccio il socio, lo trascina
fuori dalla villa.
Accusato
il colpo, Santiago si ammutolisce, cercando di fabbricare idee nella
sua testa
che diano spiegazioni logiche all’accaduto.
“Siamo
quasi arrivati. È mezzora che non apri bocca. Amico, so che
sei deluso. È stato
un buco nell’acqua, però, l’importante
è non averci sperato troppo ed essere
giunti alla verità il prima possibile” –
sostiene Daniel.
“No”
– risponde l’altro.
“No,
cosa?”
“È
strano, non trovi?”
“Che?
A me sembra tutto più che trasparente. Lo zingarello croato
è figlio dei
signori Marković”
“Mmh… però il nome Alek non ricorda
vagamente Axel?”
Il
trentenne solleva un sopracciglio, spiazzato da una constatazione ai
limiti del
paradossale.
“E
io mi chiamo Dani, però è simile anche a David.
Potrei scoprire di essere un
certo David e di essere stato adottato!” –
banalizza la situazione, giocandoci
sopra – “Dai, siamo seri. Quel bambino non
è Axel. Punto”
Giunti
in hotel, dopo una abbondante cena, i due si ritirano, esausti dalla
giornataccia, ciascuno nella propria stanza.
Dopo
un bagno caldo, Santiago cerca di rilassarsi più che
può, mettendo da parte la
vicenda di Axel.
In
fondo, la priorità è Raquel Murillo.
E
invece…fatica a concentrarsi. Pensa e ripensa a Nairobi, e
non sa darsi pace. È
come se sentisse un filo che la tiene legato a quella donna.
Una
volta a letto, coperto da morbide e profumate lenzuola bianche, Lopez
chiude
gli occhi cercando di affidarsi a Morfeo per staccare dalla
realtà.
È
passata l’alba quando il suo dormire viene disturbato dalla
vibrazione del
cellulare.
Lo
ignora.
Ma
il cellulare continua. Poi si interrompe. Poi riprende.
Un
susseguirsi di chiamate che iniziano a preoccuparlo.
Rassegnato
al destino da ispettore sempre rintracciabile e mai in riposo, nota che
a
contattarlo con insistenza è un numero sconosciuto.
“Sì?
Chi è?” – la sua risposta.
La
voce dall’altro lato non è alquanto rassicurante.
“Ispettore
Lopez…”
“Con
chi parlo?”
“Sono
Manila, del Mariposas! Non ho molto tempo, potrebbero scoprire che ho
preso un
cellulare”
“Che
succede?”
“Perché
avete riaperto il locale?”
“Cosa?
Noi non abbiamo riaperto nulla!”
“E invece sì”
“Mi sembra molto strano, a meno che il nostro sostituto non
abbia…” – poi si
zittisce, pensando proprio a quella opzione.
“Avete
affidato il caso ad altri?” – esclama, incredula,
lei.
“Ora
ci troviamo altrove, però stiamo ancora investigando sulla
Murillo”
“Penso
che in gioco ci sia qualcosa di troppo grosso e che non abbia a che
fare sono
con Lisbona” – confessa, con voce tremante.
“Non
capisco”
“Non ci giro intorno… sono stata nella camera di
Nairobi e…”
“E?”
– sentirla pronunciare il nome della gitana, allerta Santiago
che teme il
peggio.
“Ho
intuito che tra voi c’è stato qualcosa, non sono
cieca. Proprio per questo ti
ho telefonato… non sta bene”
“Cosa
vuoi dire? Ha avuto qualche malore?” – dimenticando
il riposo, il sonno, e quant’altro,
istintivamente Lopez si alza dal letto accingendosi ad indossare
perfino le
scarpe.
“Accadono
fatti strani…e ho appena visto cosa ha sul corpo”
Quell’affermazione
fa sussultare Santiago che terrorizzato, si immobilizza –
“Sul corpo? Cazzo,
Manila! Cosa mi stai cercando di dire?” – ripete
spaventato.
Trattenendo
il pianto, ormai prossimo ad esplodere, la giovane rivela -
“Temo l’abbiano torturata!”