"Torturata”
… “l’hanno torturata”
… “forse l’hanno torturata”
Le
parole di Manila rimbombano violentemente nella mente di Santiago che
si
scollega, per quei secondi, dalla realtà.
E
mentre la ragazza parla, singhiozza la sua paura, e lascia trasparire
la
gravità della situazione, Lopez non riesce che a pensare a
Nairobi, a una donna
dalla tempra d’acciaio, piegata in due da qualcosa
più grande di lei.
Qualcosa
che, oggi più che mai, l’ispettore sente di dover
svelare, per epurare tutto lo
schifo che si nasconde tra le pareti del Mariposas.
Perché
ormai ne è certissimo… il locale è
permeato di malvagità. Altro che regole da
rispettare e protocolli dei buoni comportamenti…
lì ogni dettaglio è studiato a
tavolino per rendere la vita di povere donne un vero e proprio inferno.
Manila
nel frattempo, si zittisce, appena avverte dei passi sospetti.
“Devo
lasciarti! Potrebbero scoprirmi…” –
chiude in tutta fretta, lasciando Santiago
preda di una crisi interiore e di una rabbia accecante che sfoga
gettando a
terra tutto quanto ha di fronte.
E
quando molta della roba contro cui si è scagliato
è sul pavimento, osserva il
casino fatto e cerca di calmarsi, respirando profondamente. Lo fa una,
due, tre
volte…inutilmente.
“Li
ammazzo” – ripete, conscio di non sapere neppure
chi possa aver recato male ad
Agata.
Solo
una cosa è per lui certezza assoluta. Il Mariposas
chiuderà i battenti. È una
promessa che fa a se stesso.
“Li
rovino! Li mando tutti in galera, quei figli di puttana!”
Con
ancora indosso il pantalone di una vecchia tuta, che utilizza a modi
pigiama,
corre nella camera di fianco.
Daniel
Ramos dorme profondamente, ignaro di quanto appena accaduto.
Santiago
non si fa scrupoli a bussare con forza pur di svegliarlo; piuttosto lo
chiama
anche a gran voce, causando lamentele giustificate di altri clienti
dell’Hotel.
“Ehi,
amico, che cazzo gridi così? Che succede?”
– il trentenne, con l’aria di uno
zombie, gli apre la porta, ben dieci minuti dopo, borbottando.
“Finalmente!”
– esclama, alquanto seccato, il maggiore dei due.
“Sembri
agitato…”
“Agitato
è dir poco. Io torno a Madrid”
“Che? Ma bisogna terminare le indagini qui”
“Tornerò
appena possibile”
“Cioè
mi lasci da solo?” – di fronte all’idea
dell’amico, Ramos sembra salutare il
sonno e caricarsi di adrenalina.
“Te
la senti di farlo? Si tratta di un altro giorno, dopotutto”
“Scusa,
puoi raccontarmi come mai hai deciso questo? Prima sei venuto per
risolvere il
caso Murillo, poi ti dedichi esclusivamente alla faccenda del bambino
da
ritrovare, e adesso opti per il rientro in Spagna. Non sto capendo
più nulla…”
– sostiene, alquanto confuso, il ragazzo.
“Hai
ragione. È che si tratta di Nairobi e…”
“Ancora
lei? Santiago, ma non ti sarai seriamente innamorato? Non ti
è mai capitato di
prendere a cuore una storia e soprattutto una testimone di
un’indagine”
Ma
Lopez non replica, piuttosto sposta il discorso sulle ore precedenti.
“Ho sentito Manila, stanotte. Mi ha telefonato”
“La
farfalla del Mariposas?”
“Sì,
ha detto che… hanno fatto del male alla sua
collega”
“Porca
puttana, che vuol dire le hanno fatto del male?” –
spiazzato, Daniel ha
un’immediata reazione di shock. Infatti, la sua mente si
focalizza su
Stoccolma. Teme che possano aver recato danno anche alla biondina.
“Allora
torno con te”
“No,
ascoltami. Ci penso io, per il momento. Inoltre, Manila mi ha detto che
il
locale è stato riaperto. Questo significa che il nostro
sostituto ha dato l’ok”
“Cazzo,
ora mio padre mi sentirà. Lo telefono e gli faccio una bella
predica. Vediamo
chi tra noi è quello più indisciplinato. Accusava
me di poco cervello e poi lui
cosa fa? Affida l’incarico a qualcuno che manda a fanculo
tutto il nostro operato?”
Senza
esitare afferra il cellulare e contatta il genitore.
Ciò
accade mentre Santiago prenota un volo in mattinata diretto proprio
nella
capitale spagnola.
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Manila,
dopo la telefonata con l’ispettore, decide di avvertire anche
Tokyo in merito
alla faccenda della gitana.
Fortuna
vuole che la stanza della ribelle del gruppo non sia chiusa a chiave,
esattamente come non lo era quella di Nairobi.
Berrotti
ha sorvolato su quel dettaglio, avendo piena fiducia delle Mariposas
rimastegli
fedeli, le quali mai avrebbero disobbedito e interferito in faccende a
loro
estranee.
E
invece…
“Tokyo,
sono io! Svegliati, dobbiamo parlare di una cosa importante”
– le siede
accanto, certa che la collega stia dormendo beata, approfittando delle
ore di
libertà concessele dal capo.
Non
riceve alcuna risposta, tanto da allarmarsi che possa esserle accaduto
lo
stesso della zingara.
Spaventata,
va’ in paranoia cominciando a sentirsi osservata da ogni
angolo, percependo,
forse per la prima volta, la stessa mancanza di libertà
delle due Farfalle
anticonformiste del gruppo.
“Avevate
ragione voi” – commenta, abbassando lo sguardo,
amareggiata. Posa gli occhi
sulla dormiente, appurando che respira e ha un sonno tranquillo. Niente
a che
vedere con quello di Nairobi. Ciò, parzialmente, la
rasserena.
Pensa
a come agire nei minuti successivi, avvertendo la necessità
di spalleggiare le
colleghe nel loro muoversi contro l’intero sistema. E lo fa
lasciando alla
collega un bigliettino, precisamente poco prima di udire, nei corridoi,
la voce
di Martin.
Questa
è la ragione che la costringe a darsela a gambe,
raggiungendo in tutta fretta
la sua di stanza.
È
allora che becca, di sfuggita, lo stesso Berrotti entrare nella camera
da letto
di Stoccolma.
Manila
è nel panico, cominciando a temere per
l’incolumità di tutte le Farfalle,
perfino della fidata biondina.
Decide
di origliare, scegliendo di intervenire semmai sentisse liti o grida
dell’amica.
“Cosa
succede Palermo?” – domanda la bionda al Boss,
chiamandolo con il nome in
codice.
Questa
modalità di approccio indica, in teoria, una certa
complicità e confidenza tra il
datore e la dipendente. E Manila sa bene che Martin pretende dalle sue
lavoratrici il massimo del rispetto. Solo Nairobi ha sempre avuto la
sfacciataggine di rivolgersi a quell’uomo con
l’appellativo di città, a
ricordargli di essere uno di loro e non al di sopra.
Adesso
è Stoccolma a parlargli con fare informale, tanto da
alimentare i dubbi della
collega intenta a spiare.
“Niente,
sono venuto qui per dirti di badare anche alla tua amichetta. Temo che
l’alzata
di testa della gitana, possa aver condizionato, automaticamente, anche
lei”
“Manila
è una ragazza seria, fidati. Non è come quelle
due casiniste”
“Controllala,
e continua a tenerla dalla tua parte”
La
riccia annuisce, succube delle pretese dell’uomo. Poi,
però, manifesta la sua
preoccupazione circa le condizioni della gitana.
“Cosa
hai fatto a…?” – domanda, non
pronunciando il nome, ma lasciando intuire che si
trattasse di Agata.
“Ha
avuto la punizione che meritava, vedrai che non si ribellerà
più. Ha osato
sfidarci, ed eccone le conseguenze. Ho sopportato anche troppo la sua
spavalderia, adesso basta.”
“Mi
chiedo come possa avere la faccia tosta di ribellarsi, sapendo che suo
figlio
Axel è nelle vostre mani”
“E’
proprio per questo che lei provoca, lo rivuole indietro”
“Glielo
restituirete?”
Quella
domanda fa ridere Berrotti che ovviamente risponde –
“Certo che no! Ce ne siamo
sbarazzati da tempo ormai. Lei crede sia con noi, però
liberarci del bambino ci
ha ripagati con un bel gruzzoletto, non immagini quanto
consistente” – spiega,
estasiato al ricordo di denaro in abbondanza.
“L’avete
illusa?” – esclama la donna, avvertendo
immediatamente pena per quella mamma.
“Beh,
cosa pretendeva? Ha accettato le condizioni imposte dal Mariposas
quando è
arrivata qui. E sapeva benissimo che non sono accolti minori. Di
qualsiasi età
e sesso”
“Quindi,
semmai una di noi rimanesse incinta…?” –
chiede Stoccolma, alquanto tesa.
“Ovviamente
non succederà. Avete l’obbligo di prendere le
pillole, altrimenti noi non ve le
regaleremmo tanto facilmente, no?”
“Già”
– risponde la bionda, incupendosi.
Eppure,
del suo improvviso cambio d’umore, Palermo non si accorge e
continua a vantarsi
di aver piegato la grintosa gitana.
“Sta
di fatto che ho pensato bene di placare anche Tokyo. Dormirà
un po', ma quando
riaprirà gli occhi, troverà la sua migliore amica
che le dirà di non ribellarsi
mai più, di tapparsi la bocca e limitarsi a
lavorare”
“Si
può sapere cosa è capitato a Nairobi?”
– insiste la riccia.
“Ascolta,
Monica, sei alquanto intelligente da capire a cosa posso riferirmi
quando parlo
di punizione” – il boss la chiama addirittura per
nome, lasciando trasparire il
paradossale legame instauratosi.
“Non sarà mica corporea? L’avete
torturata?” – seppure da sempre fedele alleata
dei padroni, la giovane intuisce che si è superato il limite
umano e
impallidisce.
“Beh,
se l’è cercata, non trovi?” –
afferma, rilassato, Berrotti, non dando peso al
volto incupito di Stoccolma.
“Non
capiterà più come per Lisbona, fidati!”
– aggiunge poi.
“Invece
non comprendo cosa sia successo a lei. È sparita nel nulla,
ma… non mi pare vi
disobbedisse”
“Questo
non sei tenuta a saperlo, mia cara! Piuttosto, sono venuto qui anche
per darti
la tua parte!” – rivela, tirando fuori dalla tasca
una mazzetta di banconote.
La
bionda, impassibile di fronte a tanto denaro, per la prima volta da
quando ne
riceve, lo fissa alquanto disturbata e amareggiata.
“Ora
riposa!” – la saluta, sorridente, avviandosi
all’uscita, giusto il tempo, per
Manila, di nascondersi dietro una parete, controllando poi il suo passo
lento e
fiero percorrere i restanti metri che lo conducono alle scale.
Scioccata
da quanto udito, trattiene la rabbia, che preferirebbe scagliare contro
una
traditrice pronta a vendere le socie per soldi.
“Stronza”
– commenta, riferendosi a Stoccolma –
“Avrà sicuramente raccontato qualcosa
contro Nairobi ed ecco spiegato come mai è ridotta
così…”
Batte
un pugno alla parete, rendendosi conto di avere sempre sostenuto una
compagna
falsa e ingannatrice.
“Cosa
ci fai tu qui?” – è proprio la riccia,
udito un rumore, ad aver aperto la porta
e riconosciuto la ragazza.
Manila,
di spalle a lei, non si volta. Avrebbe voglia di gridarle lo schifo che
sente,
ma gioca sporco, esattamente come la collega –
“Stavo tornando nella mia
stanza! Ciao…”
La
freddezza della Farfalla è colta al volo da Stoccolma che si
pone in allerta.
“Cosa
nascondi?”
La
mora stringe i pugni, mantenendosi calma, e replica –
“Nulla, cosa dovrei mai
nascondere… io! Andiamo a dormire, sono le sette del mattino
ormai, e sono
esausta!”
Non
dà modo alla bionda di controbattere o indagare,
perché usa al meglio le
proprie carte, mostrandosi pacata, come suo solito. Ora sa che
Stoccolma
potrebbe parlare e raccontare cose a Martin, quindi è bene
per Manila
tutelarsi.
Chiusasi
in camera, si stende sul letto, cercando di trovare pace. Eppure,
fatica a
farlo. L’immagine di Nairobi, vittima di cattiveria umana, la
scuote dentro.
Però
ha poche scelte. Non può agire da sola. Sa che contattare
Santiago Lopez è
stata una mossa positiva; non le resta che attendere il suo arrivo.
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È
tardo pomeriggio quando Tokyo si risveglia da un lungo sonno, di cui
è poco
conscia.
“Cosa
mi è successo?” – si solleva dal letto,
avvertendo una strana pesantezza alla
testa.
Confusa,
la giovane donna cerca di ricordare le ultime ore.
Le
basta poco.
“Bastardo,
mi ha sedata!” – esclama, rammentando Martin e la
loro discussione.
Si
mette in piedi, seppure ancora fiacca, e si avvia all’uscio.
Nessuno
può permettersi di controllarla come ha fatto il suo capo
mettendola k.o.
Però,
appena si avvicina alla porta, pronta ad uscire per fronteggiare il
nemico,
nota un biglietto sul tappeto e lo legge.
“Nairobi
ha bisogno d’aiuto. Ho chiamato Santiago Lopez.
Arriverà a breve. Perdonami se
non ti ho mai appoggiata. Ora sono una di voi… M.”
Sorvolando
su chi potesse essere il mittente, la giovane si fionda nella camera
della sua
migliore amica, mettendo da parte Berrotti e la vendetta contro di lui.
La
sua priorità adesso è lei: Agata!
Getta
a terra il foglio di carta e si allontana, arrivando, in pochi minuti,
alla
porta di quella stanza e a pochi passi dalla
verità… una verità che le frantuma
il cuore e lo carica di sensi di colpa: Nairobi, inerme, stesa sul
letto, con
abiti strappati e lividi ben evidenti sono la prova di un dramma,
l’ennesimo,
vissuto dalla gitana.
“Amica
mia, che cazzo ti hanno fatto?!” – con voce
tremante, Tokyo avanza verso di
lei.
Disperata,
frustrata, arrabbiata con il mondo intero, si inginocchia di fronte
all’amica,
le sfiora i capelli morbidi e le sussurra – “La
pagheranno, fosse l’ultima cosa
che faccio in vita mia!”
Poi,
afferrata una cassetta medica, di cui ciascuna Farfalla dispone nella
propria
camera, si appresta a curarla, covando un odio profondo nei confronti
di chi è
responsabile di tutto quel dolore, in nome del quale sarebbe disposta a
uccidere.