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Autore: Il cactus infelice    21/03/2022    1 recensioni
La notte in cui Sirius fece scoprire a Piton il segreto di Remus... Fu un tradimento per i Malandrini. Un tradimento che trascinò con sé enormi conseguenze. Sirius Black venne sbattuto fuori dal gruppo. Come biasimare i tre ragazzi dopotutto?
Ma per Sirius... Per Sirius fu molto più di questo. Sirius si trascinò per giorni e giorni in uno stato che si alternava tra il depressivo e il catatonico. E tutta la scuola se ne accorse, professori compresi. C'era ancora la possibilità che Sirius potesse ritornare a essere amato dai suoi amici e dal suo ragazzo?
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In questa storia si parla di depressione, autolesionismo e tentato suicidio. Leggere con cautela.
Remus e Sirius sono una coppia formata in questa oneshot. Il finale è comunque felice. Insomma, è una storia in cui tutto va molto male prima che possa andare bene.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Questa storia contiene episodi di depressione, autolesionismo e tentato suicidio. Vi prego di porre attenzione. Se vi riconoscete in alcuni di questi aspetti, chiedete aiuto. Prendetevi cura di voi e della vostra salute mentale.
E ricordatevi, c’è sempre qualcuno che vi ama. 

Buona lettura

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La notte che ci vide cadere

 

Se Sirius avesse avuto una Giratempo l’avrebbe certamente usata per riportare indietro il tempo a quella fatidica notte che portò alla caduta dei Malandrini.
In fondo, fu colpa sua… Colpa sua e del suo temperamento se aveva perso la pazienza con Piton e gli aveva detto di controllare nella Stamberga Strillante, colpa sua se poi Piton aveva scoperto il segreto di Remus rischiando di morire sotto le fauci di un lupo mannaro che sicuramente in quel caso sarebbe stato abbattuto. A Sirius venivano i brividi lungo la schiena al solo pensiero. Come aveva potuto mettere in pericolo così la vita di una persona che amava più di sé stesso? Solo perché era un coglione che si lasciava trasportare da quel mostro di rabbia e violenza che ogni tanto sentiva prendere il sopravvento dentro di lui. Gli scherzi non presupponevano il mettere in pericolo una persona o rischiare la vita del tuo migliore amico, gli scherzi dovevano essere divertenti e senza conseguenze.
Ma non c’era un modo per cancellare quello che aveva fatto.
James aveva ragione; James usava la testa anche se aveva un cuore leggere e apparentemente non sembrava preoccuparsi di nulla. James sapeva quale linea di confine non doveva essere varcata.
Ma non era stato James a tradire Remus. Era stato Sirius. Sirius che si preoccupava così tanto di non essere come la sua famiglia, di non agire come farebbero loro. Era talmente preoccupato di non essere il classico erede della Nobile e Antiche Casa dei Black da non accorgersi che stava letteralmente finendo per diventare così. Poteva immaginare il ghigno di soddisfazione dipinto sul volto di sua madre. Quell’immagine era diventata talmente indelebile nei suoi incubi dalla notte dello Scherzo da rendergli impossibile dormire la maggior parte delle notti. Nemmeno una Giratempo avrebbe potuto aiutarlo, anche se fosse riuscito a entrare nel Ministero e mettere le mani sopra una di quelle.
Non poteva uscire dalla propria pelle, non c’era una cura al veleno della sua famiglia che circolava nel suo sangue.
Era inutile che si raccontasse illusioni. Non era colpa delle circostanze, della sfortuna, dei pianeti che si erano incrociati nella posizione sbagliata. Era solo colpa sua. 

Alla fine si era scoperto per quello che era, sua madre glielo aveva sempre detto: sarebbe tornato strisciando davanti alla loro porta chiedendo perdono.
Walburga e Orion non vedevano l’ora e probabilmente lo avrebbero fatto soffrire un po’, lo avrebbero deriso e insultato prima di riaccettarlo in famiglia.
A Sirius venne da vomitare al solo pensiero e non indugiò ulteriormente in quella fantasia.
Era troppo tardi per tornare dalla sua famiglia e nemmeno lo voleva.
Persino Regulus lo disprezzava ora. Ma aveva anche rovinato tutto con i Malandrini.
Sirius non si era mai sentito così inesorabilmente solo.
In un primo momento aveva pensato che tutto si sarebbe sistemato in qualche giorno, che sarebbe bastata una battuta o uno scherzo ben assestato per farli tornare come prima. In fondo, gli amici litigano a volte, giusto?
Ma poi i giorni diventarono settimane e le settimane un intero mese.
E dopo un mese che i tre nemmeno lo salutavano, non si sedevano con lui a lezione o durante i pasti, Sirius aveva iniziato a stare male, emotivamente, psicologicamente e fisicamente.
Il silenzio e l’indifferenza di James erano peggio delle pugnalate o delle Cruciatus di sua madre. La delusione e il disprezzo che leggeva negli occhi di Remus quelle volte che lo beccava a guardarlo erano come una condanna a morte. Merlino, proprio Remus col quale si era trovato a condividere il letto più volte che no, quel Remus che lo baciava e lo abbracciava come se la sua vita ne dipendesse. Quel Remus a cui aveva ceduto il proprio cuore per poi vederselo demolito in mille pezzi. Ma era colpa sua. Persino Peter… Peter faceva quello che faceva James, in fondo, probabilmente lo avrebbe anche perdonato se James gli avesse dato il permesso di farlo.
Gli mancava anche la timida vocina di Peter.
Quando a Pozioni si era trovato senza compagno e Lumacorno aveva chiesto a James di unirsi a lui e questi aveva quasi supplicato il professore di non metterli in coppia - gli sarebbe andato bene chiunque altro, persino un Serpeverde - Sirius aveva desiderato che il pavimento si aprisse sotto di lui e che lo risucchiasse per sempre.
Nessuno aveva detto niente ma l’intera classe sembrava aver trattenuto il fiato per lo shock. Alla fine Lumacorno aveva accettato e una riluttante Lily si era avvicinata al suo tavolo con un sopracciglio alzato, ma non aveva commentato. Sirius aveva trascorso l’intera lezione in una specie di stato confusionale, lasciando fare gran parte del lavoro a Lily.
Poi, dopo la lezione, era scappato dalla classe precipitandosi nel bagno più vicino dove aveva vomitato bile, non avendo mangiato nulla a colazione. Ormai si era trovato a farlo troppo spesso. Non andava quasi mai a mangiare in Sala Grande, non dopo le prime volte; non riusciva a sopportare la vista dei suoi amici che mangiavano e chiacchieravano amabilmente senza di lui e stare così bene... senza di lui.
Spesso e volentieri allora saltava i pasti e quando proprio veniva colto dai crampi della fame scendeva nelle cucine. Ma qualche volta finiva per vomitare anche quel poco che mangiava.
Cominciò a pensare di aver iniziato a soffrire di qualche disturbo alimentare. Solo che non finì lì. No.
Dopo la scena della lezione di Pozioni, Sirius si trovò a contemplare la lametta che si era staccata da uno dei rasoi Babbani di Remus.
E prima che potesse rendersene conto si trovò a premerla contro la propria pelle e a contemplare il sangue rosso scuro che contrastava con la sua pelle bianca. Almeno il dolore fisico era qualcosa che poteva sopportare - era abituato - e rendeva più tollerabile la sofferenza emotiva, così come la fame. Dolore e fame erano il suo nuovo modo di fronteggiare quel vuoto profondo che sentiva nel petto, il suo nuovo rifugio.
E in men che non si dica diventò un’abitudine. Giornate passate piegato sul water, cicatrici che si accumulavano sulle sue braccia e sulle cosce…
E non era certo colpa di James, Remus o Peter. Era solo colpa sua, era stato lui che si era ridotto in quel modo. Lui, con le sue stesse mani. Sirius allora aveva capito: non stava più vivendo. Stava solo sopravvivendo, a spizzichi e bocconi.
E non aveva nemmeno idea di quanto sarebbe durato. 

Tutta Hogwarts ormai si era resa conto della caduta dei Malandrini. O meglio, di qualcosa che non andava nel gruppo.
Da più di un mese a quella parte non c’erano scherzi, non li si sentiva più parlare a gran voce per i corridoi o far esplodere le cose, andare in giro per il castello a notte fonda e fare battute in classe.
E certo, forse Sirius non si sedeva più vicino a loro in classe, forse solo lui sembrava essere il centro di quel dramma che li vedeva coinvolti, però persino James, Remus e Peter non sembravano passarsela bene; erano molto silenziosi, si trascinavano come degli zombie e… Semplicemente non sembravano più loro stessi. Non cercavano nemmeno di attaccare i Serpeverde per i corridoi.
Anche gli insegnanti se ne erano accorti. E, per quanto sembrasse assurdo, nessuno riusciva a venire a patti con la cosa. Speravano tutti che i quattro amici riuscissero a riappacificarsi ma nessuno osava avvicinarsi a loro per chiedere. Nessuno eccetto Marlene McKinnon. Marlene non era una che accettava un no come risposta ed era anche quella che aveva la faccia tosta di chiedere al diretto interessato.
Marlene si lasciò cadere sull’unica sedia vuota di fronte a Sirius nell’angolo più remoto della biblioteca dove il ragazzo aveva preso l'abitudine di sedersi da quando non parlava più coi suoi amici, a fare i compiti o - come faceva spesso - a fissare il vuoto con occhi inespressivi.
Sirius alzò lentamente lo sguardo dal figlio di pergamena su cui stava scrivendo il compito di Trasfigurazione e lo poggiò su Marlene, seduta a braccia conserte e un’espressione di sfida.
Sirius sollevò un sopracciglio, perplesso.
“Che c’è, McKinnon?”
“Non so, dimmelo tu, Black”.
Sirius inclinò il capo da un lato.
“Sei tu che ti sei seduta qui”.
La ragazza parve studiarlo per qualche tempo, poi disse: “Che cazzo succede tra te, Potter e compagnia?”
Sirius abbassò la piuma, lentamente attento a non macchiare in giro con l’inchiostro.
“Non vedo come questi siano affari tuoi”.
Marlene sbuffò, un verso più simile a un ringhio che a un sospiro.
“Certo che sono affari miei, lo sono di tutta la scuola”.
“Che diamine stai dicendo?”
“Ogni volta che entri in una stanza con quel muso lungo cade il gelo. Sembra quasi che risucchi le anime di chi ti sta attorno, come un Dissennatore. E muso lungo è un eufemismo; sembra sempre che tu sia sull’orlo delle lacrime”.
Sirius si morse il labbro: davvero la sua disperazione era così apparente da essere visibile anche ad altri? Eppure, se c’era una cosa che Sirius aveva appreso vivendo in casa Black era celare le emozioni e i pensieri.
I Grifondoro, i Malandrini, lo avevano reso un dannato groviglio di emozioni e sentimenti che non sapeva nemmeno di essere in grado di provare.
“Davvero, Marlene, non sono affari tuoi”, mormorò, tirando le maniche del maglione della divisa come a nascondere i tagli sulle braccia, anche se erano già ben nascosti.
“Non potete fare quella cosa che fate di solito voi ragazzi? Un paio di pacche sulle spalle, una battuta e tornare amici come prima? Che sarà mai? Non era un’amicizia a tutti i costi la vostra?”
Sirius incurvò le spalle. Fosse stato così semplice… Amicizia a tutti i costi? Alcune cose non si potevano risanare con un paio di pacche sulle spalle.
Marlene si protese in avanti, incrociò le mani sul tavolo e addolcì l’espressione, come una madre che ha appena rimproverato il figlio e ora cerca di fargli capire che è per il suo bene.
“Senti, qualsiasi cosa sia… Vedete di sistemarla. Sono sicura che potete farlo. Per favore, Sirius, superatela perché si vede che stai soffrendo e…  Non vorrei che facessi qualcosa di stupido”.
Sirius alzò di scatto gli occhi sulla ragazza per chiedere più spiegazioni, ma lei se ne era già andata. Qualcosa di stupido? Purtroppo era andata ben oltre quello.
Sirius raccolse velocemente le sue cose e cominciò a camminare verso l’aula di Trasfigurazione per la lezione del pomeriggio. Non ne aveva voglia ma non poteva saltare un’altra lezione. Già un paio di mattine era rimasto rannicchiato sotto le coperte, troppo stanco e svuotato per riuscire ad alzarsi. Aveva ascoltato i rumori attutiti dei suoi compagni di stanza mentre si preparavano senza disturbarsi di chiamarlo.
Era diventato bravo ad evitarli: la mattina si alzava prima o dopo di loro e la notte non rientrava mai prima che loro fossero a letto.
In aula di Trasfigurazione si sedette al solito posto, in fondo, da solo. Sembrava che davvero tutti quanti avessero preso a evitarlo, come se avesse la peste. Questo servì solo a farlo rendere conto quanto fosse dipendente dai suoi amici… ex amici. Faceva un male cane. 

 

“Signor Black!” lo fermò la professoressa McGranitt quando la lezione terminò e tutti i suoi compagni avevano lasciato l’aula o comunque lo stavano per fare a breve.
Sirius era rimasto indietro; lo stato di confusione mentale nel quale si trovava gli aveva fatto completamente perdere il senso dello spazio e non si era nemmeno accorto di quando la lezione era finita. Non aveva ascoltato nulla, non avrebbe nemmeno saputo dire quale fosse l’argomento.
Si fece passare la borsa a tracolla sopra la testa e restò immobile in mezzo all’aula fronteggiando la McGranitt che invece lo osservava dalla scrivania.
“Ti do un’altra possibilità per rifare il compito, d’accordo?” disse la strega.
Sirius abbassò lo sguardo: probabilmente si riferiva al compito nel quale aveva preso una T, il primo voto così basso nella sua carriera accademica. Il fatto che nemmeno gli importasse era un segno sufficiente per capire quanto male era messo. Come se tutti gli altri segnali non fossero già sufficienti.
Ma lui non perdeva mai occasione di vantarsi quanto potesse essere bravo con il minimo sforzo. Quella era sicuramente una macchia nel suo orgoglio.
“Raramente concedo così tante possibilità ai miei studenti. Non vorrei fare favoritismi. Vedi di non deludermi”.
Sirius strinse i pugni sentendo il cuore precipitare da qualche parte nel suo stomaco. Gli stava dando una seconda possibilità perché la prima consegna l’aveva totalmente mancata.
La McGranitt non era famosa per questo tipo di gentilezza o per essere flessibile.
“Ehm… Io… La ringrazio”.
Sirius si girò per andarsene sentendo che stava per crollare malamente e non volendo certo che la sua insegnante di Trasfigurazione assistesse. Lei però non sembrava essere dello stesso avviso.
“Sirius!” lo richiamò quando il ragazzo era già vicino alla porta pronto a fuggire.
Sirius si girò, sempre più agitato. Lo aveva chiamato per nome e non era un buon segno. La donna si tolse gli occhiali, abbassò lo sguardo per un istante come se dovesse ricomporsi e poi lo riportò sullo studente; questa volta la durezza che normalmente la contraddistingueva venne sostituita da una certa dolcezza che usava in casi molto rari e con poche persone. No, non era affatto un buon segno.
“Immagino che tutto questo sia a causa di quello che è successo col signor Piton”.
Sirius sobbalzò, ma non disse nulla. Tuttavia, non sembrava che la professoressa si stesse aspettando una risposta.
“Confido però che tu e i tuoi amici siate più… resistenti di un litigio”.
Anche lei… Possibile che tutti avessero la loro idea sui Malandrini? Possibile che tutti si illudessero che la loro amicizia fosse così solida? Anche lui si era illuso.
“Dobbiamo tenerci stretti gli amici, soprattutto di questi tempi in cui tutto è incerto”.
Sirius forzò un sorriso.
“Non- Non si preoccupi. Me la vedo io”.
“Non ho dubbi, Sirius. E mi raccomando, non trascurare lo studio. Altrimenti dovrò scrivere ai tuoi genitori”.
Quell’ultima frase gli sarebbe suonata come una condanna a morte se Sirius già non si stesse sentendo come un condannato a morte. Respirava e camminava ancora, ma quelle erano azioni che faceva solo in automatico ormai. 

 

Non appena abbandonò l’aula, Sirius si precipitò nel primo bagno che trovò. Per fortuna era vuoto, ma poi si ricordò che era quello delle ragazze del secondo piano e che tutti evitavano per non essere molestati da Mirtilla Malcontenta. Ma in quel momento non sembrava che lo spettro della triste studentessa fosse presente, per somma gioia di Sirius che altrimenti non sarebbe stato libero di fare quello che voleva fare. Appoggiò le mani ai lati del grande lavandino sostenendo quasi tutto il peso del corpo sulle braccia.
Quando sollevò lo sguardo sul proprio riflesso trasalì; non riusciva a riconoscersi nella persona che vedeva di fronte a sé. Poteva dirselo da solo, sembrava un uomo che aveva vissuto anni di tormenti piuttosto che un ragazzo di appena quindici anni e nel pieno della gioventù. Non era da stupirsi che tutti avessero capito che qualcosa non andava, il suo aspetto parlava da solo: aveva delle borse profonde sotto gli occhi, conseguenza delle notti passate senza riuscire a dormire, quando non tormentate dagli incubi, dopo aver pianto per ore fino ad addormentarsi. Qualche volta si trasformava in Padfoot perché la forma del suo Animagus rendeva i suoi pensieri meno chiari e più annebbiati.
Ma durante il giorno non poteva correre in giro come cane e fuggire lontano da James, Remus e Peter.
C’era anche un certo rossore che circondava le iridi e Sirius era abbastanza sicuro che pure quello fosse ormai un tratto permanente del suo aspetto. Il suo volto sfoggiava un pallore più accentuato del solito, quasi malato e i capelli gli scendevano lunghi sulle spalle senza la loro solita lucentezza. E… Possibile che avesse perso peso? I suoi zigomi non erano mai stati così pronunciati. Forse se ci passava sopra il dito riusciva anche a tagliarsi e non avrebbe dovuto usare la lametta per farlo.
Certo, aveva preso la malsana abitudine di vomitare talvolta quando metteva qualcosa nello stomaco, ma di solito per ridursi a quel modo ci voleva più tempo. Che stesse sviluppando un disturbo alimentare? O era solo stress? Quale dei diversi problemi che aveva sviluppato lo doveva preoccupare di più?
Sirius non riusciva a preoccuparsi davvero di nessuno di quei problemi, non quando i suoi amici avevano smesso di parlargli e con tutta probabilità lo stavano odiando. Non quando Moony, il suo Moony, non riusciva a guardarlo, a toccarlo.
Non li avrebbe mai riavuti indietro, non importava quante volte la McGranitt o Marlene gli ripetessero che la loro amicizia fosse forte. Non era forte, non abbastanza.
Con quei pensieri, Sirius tirò fuori la lametta che aveva preso l’abitudine di portarsi dietro e se la rigirò tra le mani prima di appoggiare la lama tagliente contro la pelle bianca dell’avambraccio sinistro. C’erano già dei tagli che si stavano cicatrizzando malamente. Almeno ora, per un po’, avrebbe avuto la compagnia del dolore fisico a cui aggrapparsi per smettere di sentire quel dolore dentro il petto. 

 

Era passato quasi un mese da quella maledetta notte e un’altra luna piena si stava avvicinando. Remus stava impazzendo. Non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a resistere senza parlare con Sirius, senza abbracciarlo o baciarlo.
Aveva sviluppato una sorta di dipendenza dal ragazzo e la consapevolezza di questo non lo preoccupava quanto avrebbe dovuto. Percepiva che anche James avesse lo stesso problema. Per James, Sirius era come un fratello e non parlargli doveva essere un tormento anche per lui. Lo vedeva dal mondo in cui stringeva qualsiasi cosa avesse per le mani ogni volta che Sirius passava per trattenersi dal corrergli incontro. Lo vedeva dal modo in cui stringeva la mascella e il suo corpo si irrigidiva. Non aveva nemmeno più proposto di fare scherzi. Se ne stavano perlopiù in silenzio per i fatti loro. Da quanto tempo James non cercava più di convincere Lily a uscire con lui? Probabilmente persino la ragazza aveva iniziato ad accorgersene. Non mostrava nemmeno entusiasmo per il quidditch e questo era grave.
Eppure erano d’accordo, avevano deciso di ignorare Sirius per un po’ perché il ragazzo doveva capire di aver sbagliato. Sirius faceva delle cazzate e spesso nessuno gli diceva niente, come se non importasse, come se tutto gli potesse essere abbonato e lui nemmeno se ne accorgeva e Remus pensava che fosse per il modo in cui era stato cresciuto e Remus lo avrebbe perdonato perché non era colpa sua. Remus gli avrebbe perdonato qualunque cosa. Piton conosceva il suo peggior segreto e avrebbe potuto rivelarlo a chiunque in qualunque momento e Remus avrebbe dovuto convivere con quell’ansia fino alla fine della scuola. Ma dannazione se non lo avrebbe perdonato!
Questo faceva capire quanto Sirius fosse ormai entrato sotto la sua pelle.
Avevano deciso di far saltare a Sirius la luna piena che stava per arrivare perché doveva imparare la lezione e Remus sapeva già che Moony sarebbe stato più agitato del solito, senza l’odore di Padfoot. Temeva che la sola presenza di Prongs non sarebbe stata sufficiente a tenerlo a bada. Peter, essendo un animale piccolo, era praticamente inutile nel trattenere un lupo mannaro.
“Quanto ancora durerà questa cosa?” Chiese Remus girandosi verso James. “Per quanto ancora non parleremo con Sirius?”
James scosse il capo. “Non lo so”.
Remus sospirò. Sperava che James avesse architettato un piano per quanto riguardava insegniamo a Sirius che ha fatto una cazzata ignorandolo un po’.
Ma anche James sembrava a corto di idee.
“Tu che ne pensi, Pete?” Chiese poi girandosi verso l’altro amico. Peter spalancò gli occhi e lo guardò quasi terrorizzato.
“Non-Non saprei”, mormorò il ragazzo.
Remus non lo torturò ulteriormente, a Peter probabilmente nemmeno importava se parlavano o no con Sirius, lui obbediva solo a James. Lui e Sirius non erano mai stati particolarmente legati e Remus avrebbe potuto dire che sembrava quasi che alle volte Pete avesse paura di Sirius. Forse era per il nome che quest’ultimo si portava dietro. O forse perché Sirius sapeva mettere in soggezione certe persone. In molti avevano soggezione dell’erede della Nobile e antica casa dei Black, nonostante Sirius avesse dimostrato più volte di non c’entrare nulla con quella famiglia.
La verità era che si trovavano ad un punto morto. Nè Remus né James sapevano come far tornare le cose come erano prima. Non sapevano come avvicinarsi a Sirius. Si erano aspettati che l’altro ci provasse di più, che cercasse di avvicinarli, che chiedesse scusa e si mettesse in mostra fino a farli cedere. E poi, una pacca sulla spalla, uno scherzo ai danni dei Serpeverde, una scopata nel caso di Remus e Sirius, e tutto si sarebbe aggiustato da solo. Perché era quello che Sirius faceva, ti convinceva con l’esaurimento. Tutto si erano aspettati fuorché quella reazione. Sirius sembrava aver realmente rinunciato. E, cosa ancora peggiore, sembrava stare fisicamente male. E non era che Remus fosse deluso o arrabbiato per non aver avuto la reazione che si aspettava da parte di Black. Era preoccupato. Gli occhi arrossati e infossati di Sirius, il pallore spettrale, il modo in cui tirava le maniche delle maglie come a volersi coprire il più possibile lo preoccupavano sempre di più.
Quello non era il Sirius allegro e spensierato del quale si era innamorato. Era un’ombra. E lo sentiva sempre più lontano.


Sirius sentiva che quella situazione non sarebbe potuta peggiorare ulteriormente. E invece si sbagliava. Perché quando arrivò la luna piena e i suoi amici lo abbandonarono in dormitorio senza invitarlo - senza dirgli nulla - capì che quel casino era definitivo. Era la fine dei Malandrini. O meglio, era la fine di Sirius coi Malandrini. Aveva mandato tutto a fanculo platealmente.
Sirius riusciva a vedere ben chiara davanti agli occhi la figura di Remus contorcersi per terra, il corpo scosso dalla trasformazione e le ossa piegarsi e deformarsi per rispondere al richiamo della luna piena. Non gli serviva essere lì nella Stamberga Strillante per poterlo immaginare. Le lune piene precedenti che aveva trascorso con Remus erano sufficienti per stamparsi quell’immagine indelebile negli occhi. Lo aveva sempre fatto soffrire vedere il proprio ragazzo contorcersi dal dolore senza poter fare nulla, ma almeno correre con lui  nella Foresta Proibita sotto forma di animali e impedirgli di farsi male aiutava a togliere una parte del peso. Ed ora, sapere che Moony non aveva più Padfoot con sé a condividere la gioia e il dolore, a inseguirsi e cacciare insieme… Era insopportabile. Peggio della cintura di suo padre o delle Cruciatus di sua madre. Diamine!, anche a quella distanza Sirius riusciva a sentire gli ululati disperati di Moony. Chissà se anche Moony era agitato come lui. Sapeva che Remus perdeva il controllo quando si trasformava in lupo e che non si ricordava nulla, ma Sirius era convinto che qualche sensazione gli rimanesse.
Al quarto ululato, Sirius crollò in ginocchio nel mezzo della stanza vuota. Grosse lacrime irruppero dai suoi occhi e gli scivolarono lungo le guance prima che potesse fermarle. E poi cominciò a singhiozzare, forte, quasi isterico, con una voce che non riconosceva nemmeno come sua.
Cadde in avanti ritrovandosi carponi, la fronte premuta contro il pavimento, il corpo scosso da irrefrenabili tremiti e le lacrime che gli impedivano quasi di aprire gli occhi.
Andò avanti così per un po’, sentendo una sorta di dolore fisico che accompagnava la disperazione interiore. Rimase così fino a che non cominciò a fare fatica a respirare, un accenno di attacco di panico in corso d’inizio.
Si raddrizzò e crollò nuovamente, questa volta contro il letto, quello di Remus e rimase così per diverso tempo. Si sentiva svuotato, non provava più niente e se gli fosse crollato il soffitto addosso uccidendolo non gli sarebbe importato.
Si sentiva talmente esausto che stava per addormentarsi lì, per terra. Trovò la forza di alzarsi e, dopo essersi infilato uno dei maglioni di Remus, si rannicchiò sotto le coperte. Forse l’odore del suo Moony lo avrebbe protetto dagli incubi, ma non ci sperava troppo. 

 

Una settimana dopo quella sofferta luna piena, Sirius riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti durante le lezioni, o a reggersi in piedi. Mangiava ancora meno e dormire per più di due ore di fila era un’impresa; solo trasformato in Padfoot riusciva ad avere un po’ di sollievo. La mattina dopo la luna piena aveva esitato fuori dalla porta dell’infermeria, camminando avanti e indietro e scavando quasi un solco nel pavimento, indeciso se entrare o meno. Alla fine aveva deciso che era meglio di no: Remus con ogni probabilità non lo voleva vedere e voleva evitare qualsiasi tipo di dramma. Non voleva affaticarlo o turbarlo a così poche ore dalla luna piena; litigio o non litigio, la salute di Remus sarebbe stata sempre una delle sue prime preoccupazioni.
Ormai non aveva alcuna idea di come stessero o di cosa facessero i suoi amici. James non lo vedeva quasi mai al di fuori delle lezioni, era come se tornasse in dormitorio solo quando era costretto - cioè per dormire - e Peter se lo incrociava in corridoio cambiava strada senza nemmeno provare a nasconderlo, con un’espressione di puro terrore in volto. Li vedeva tutti e tre piuttosto silenziosi, ma probabilmente evitavano di parlare quando lui era nei paraggi.
Il brutto tempo stava lasciando spazio a un debole sole che ogni tanto faceva capolino permettendo ai ragazzi di uscire all’aria aperta o godersi l’arrivo della primavera. Ma Sirius non aveva alcuna voglia di uscire e socializzare. Con l’avvicinarsi della fine dell’anno scolastico si avvicinava anche il ritorno a casa. Come avrebbe fatto a sopravvivere un’altra estate con la famiglia Black e la consapevolezza di non avere più i suoi amici da cui tornare o la casa dei Potter in cui rifugiarsi?
Forse fu proprio quest’ultimo pensiero a portarlo a compiere quell’ultimo gesto estremo. Un grido d’aiuto o la totale scomparsa di ogni speranza. Sirius non si accorse nemmeno di quello che stava facendo. 

 

James, Remus e Peter erano già tutti a letto; James - totalmente sveglio - fissava il soffitto dietro le tende del suo baldacchino, ascoltando il ritmico russare di Peter che era crollato senza troppi problemi non appena toccato il cuscino, e il respiro leggero e quasi impercettibile di Remus. Sapeva che anche Moony era sveglio, ormai riconosceva il suo modo di respirare, e probabilmente anche lui era tormentato dai stessi pensieri che tormentavano James. Fu tentato di chiamarlo per parlarci e ragionare sul da farsi, ma si guardò dal farlo. Voleva stare da solo, riflettere per conto proprio, evento più unico che raro per James Potter.
Aveva perdonato Sirius da un po’, ormai non gli importava più quello che aveva fatto e sapeva che anche Remus era dello stesso avviso. Entrambi i ragazzi però tenevano in piedi una facciata dura solo per mero orgoglio e tra un po’ sarebbe crollata. Nessuno però sapeva come approcciare l’argomento né come avvicinarsi a Sirius con qualcosa che significasse più di una banale pacca sulla spalla. Più il tempo passava più diventava difficile. Ma vedevano che Sirius stava soffrendo e non potevano lasciarlo così ancora a lungo.
A un certo punto sentì la porta del dormitorio cigolare e il passo di Sirius entrare nella stanza. Sirius aveva preso l’abitudine di tornare in stanza quando i Malandrini erano già a letto e James non aveva idea di dove spendesse quel tempo.
Sirius non si preoccupò di accendere la luce quando si trascinò verso il bagno, ma lo sentì imprecare sottovoce quando inciampò contro qualcosa lungo la strada. Poi la porta del bagno si richiuse.
James si ripeteva come un mantra che sarebbe stato Sirius il primo a crollare e ad andare da loro chiedendo scusa. Doveva essere lui il primo. Tutto si sarebbe sistemato.
Eppure ciò non avveniva, Sirius non accennava minimamente a tornare da loro. Com’era possibile? Non era tipico di lui evitare così i problemi, nonostante l’orgoglio. Era disposto a mettere in piedi uno show spettacolare pur di attirare l’attenzione. Ora sembrava un animale terrorizzato.
James si girò su un fianco e cercò di prendere sonno. Dopo qualche tempo però Sirius ancora non era uscito dal bagno e ciò iniziò a farlo preoccupare. Non sentiva nemmeno il suono di una doccia o di uno sciacquone.
Fu però un tonfo sordo a fargli riaprire gli occhi di colpo. 

 

Sirius non aveva avuto intenzione di premere la lametta così forte. O forse sì. Non ne era sicuro. Sapeva solo che quando aveva visto il sangue fuoriuscire dai tagli lungo le braccia pallide aveva provato una sorta di sollievo. Come fosse una liberazione. Liberazione dal tormento che aveva provato in quell’ultimo mese.
E mentre crollava sul pavimento, con la schiena nuda premuta contro le piastrelle della vasca da bagno, riuscì a pensare solo alla pace che avrebbe provato una volta che tutto quello fosse finito, e alla serenità dei suoi amici quando non avrebbero più dovuto sopportarlo. Alla serenità di Remus per essersi liberato di lui. Era meglio così. Sirius distruggeva tutto e non avrebbe distrutto anche i Malandrini con la sua presenza. Lo aveva già fatto abbastanza.
Si trovò quasi a sorridere, gli occhi fissi su un un punto indefinito di fronte a sé. 

 

Adesso basta!, si disse James. Ne aveva abbastanza.
Se non lo voleva fare Sirius, allora le avrebbe tirate fuori lui le palle. Non era stato smistato in Grifondoro per nulla.
Alzandosi di scatto dal letto con un forte sospiro, afferrò la bacchetta e illuminò la stanza con un Lumos, marciando verso il bagno senza preoccuparsi di fare piano.
Remus osservò il suo profilo muoversi nella penombra.
James aprì la porta del bagno con un colpo e…
Impiegò qualche istante a registrare quello che gli si parava dinanzi agli occhi: Sirius mezzo steso per terra e mezzo seduto contro la vasca, i polsi aperti e il sangue che si raccoglieva sotto di lui.
James rimase completamente paralizzato. Quello non era Sirius, non era suo fratello. Non poteva esserlo. Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere. No. No. No.
“James?” Chiamò Remus sporgendosi dal letto per vedere che cosa stesse succedendo. La sua voce suonava preoccupata.
A quel punto anche Peter si era svegliato e passava gli occhi gonfi dal sonno da James a Remus cercando una spiegazione.
Quando James non reagì, non si girò, ma continuò a fissare quello che stava vedendo in bagno, Remus si alzò e lo raggiunse. Venne accolto dallo stesso orrendo spettacolo.
“Merda!” Esclamò sottovoce, l’unica cosa che gli venne in mente e che gli sembrò comunque fuori luogo.
A differenza di James, Remus reagì subito, come se sapesse cosa fare. Reagì d’istinto, come se qualcuno avesse acceso il pilota automatico nel suo corpo. Non perse tempo a chiedersi perché o a fissare Sirius come se non credesse ai propri occhi.
“James, aiutami!” Gridò all’amico dietro di lui. Si chinò su Sirius. La prima cosa da fare era controllare che fosse vivo - e no, non si sarebbe fermato a pensare all’orrenda possibilità - perciò mise due dita sulla giugulare del ragazzo. Sentendo il battito del cuore tirò un sospiro di sollievo.
“James, cazzo!” Gridò nuovamente.
James non si era ancora mosso.
“Peter, ci sono delle bende nel mio baule. Prendile!” Disse quindi a Peter che aveva visto avvicinarsi con la coda dell’occhio.
Il ragazzo forse non aveva avuto il tempo di capire che stava accadendo, ma obbedì comunque perché era raro che Remus usasse quel tono.
Remus prese i polsi di Sirius e osservò le ferite. Erano profonde. Afferrò due asciugamani e glieli premette sugli avambracci.
Sirius aveva uno sguardo fisso e vuoto che gli faceva paura. I suoi occhi grigi - quelli dei quali si era innamorato - sembravano due disperati pozzi senza fondo.
“Sirius. Ehi”, lo chiamò piano sentendo le lacrime riempirgli gli occhi. La situazione era chiara davanti ai suoi occhi ma non poteva lasciarsi andare ora. Prima doveva pensare a curarlo e poi avrebbe cercato di capire. E magari si sarebbe anche fatto un bel pianto. Prima c’era Sirius, però.
“Pads?” Lo chiamò di nuovo, il più dolcemente possibile.
Finalmente ottenne una reazione. Gli occhi di Sirius smisero di fissare il vuoto e si spostarono verso Remus.
“Moo… Moony?” Mormorò il ragazzo sbattendo le palpebre per mettere a fuoco Remus.
“Ehi”, disse Remus piegando le labbra in un debole sorriso.
Se Sirius stava tornando pian piano in sé significava che non era così grave la situazione. Forse. Ci sperava.
Anche James sembrò riprendersi dallo stato catatonico in cui era precipitato e si inginocchiò accanto a Remus senza dire nulla. Peter tornò con le bende. Remus tolse gli asciugamani impregnati di sangue e con la bacchetta fece degli incantesimi per richiudere le ferite. Poi prese le bende e cominciò ad avvolgerle sui polsi di Sirius. James gli diede una mano. Erano delle bende magiche che suo padre gli aveva dato per usarle sulle proprie ferite post-trasformazione. Non le aveva mai usate e di questo ne fu grato.
Sia lui che James evitarono di soffermarsi sulle altre cicatrice che decoravano le braccia di Sirius, o persino quelle sulle cosce. Potevano aspettare.
“Dovremmo portarlo da Madame Chips?” Chiese James mentre Remus cominciava a fasciare l’altro polso. Il sangue gli aveva macchiato le mani e il pigiama.
Il licantropo stava facendo di tutto per mantenersi composto e non mostrare alcuna emozione, ma dentro di sé voleva urlare e piangere.
James lo guardò di sottecchi cercando di cogliere qualcosa di più di quella situazione. Sapeva che quando Remus era così serio e professionale voleva adire che non stava bene. Lui stesso stava tremando come mai in vita sua.
“No!” Rispose Remus duramente. “Ci pensiamo noi”, aggiunse poi.
E’ colpa nostra se è successo questo casino, in fondo. Ma questo non lo disse. Remus Lupin non aveva bisogno di sentirlo dire per intuire che il disperato gesto di Sirius era dovuto al loro litigio e a quello che ero successo con Piton.
Anche James lo aveva capito, così come aveva capito perché non potevano portare Sirius in infermeria. Madame Chips avrebbe fatto domande e le domande avrebbero portato a risposte scomode se l’evidenza non fosse già evidente di suo, e poi sarebbe stata chiamata in causa la McGranitt, insieme a Silente e infine i Black. E i Black avevano solo un modo per risolvere la cosa: portare Sirius via da Hogwarts e farlo rinchiudere nel reparto di malattie mentali del San Mungo.
“Prongs”, chiamò Sirius con voce piccola e spaventata.
“Ehi, Pads”, fece James tornando a rivolgere l’attenzione all’amico: gli portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio per liberargli il viso e si scontrò con due occhi resi enormi dalle lacrime che tratteneva. James non aveva mai visto suo fratello così distrutto. Sentì una morsa stringergli il cuore.
“Aiutami a tirarlo sù. Mettiamolo a letto”, disse Remus e James questa volta non esitò. Lo prese sotto le ascelle, il suo corpo non gli era mai apparso così fragile e leggero. Sirius gli si aggrappò addosso come se la sua vita ne dipendesse.
Quando James lo fece sedere sul suo letto, Remus si mise alla ricerca di qualcosa da mettergli addosso. Notò uno dei propri maglioni appallottolato proprio sul letto di Sirius e decise che quello sarebbe andato bene. A Sirius piaceva indossare uno dei maglioni caldi di Remus e da quando si erano insieme glieli aveva chiesti in prestito varie volte.
Non appena glielo mise addosso, Sirius cominciò a tremare. Grosse lacrime cominciarono a scivolargli lungo le guance e il suo petto ad alzarsi e abbassarsi freneticamente per cercare di incanalare quanto più ossigeno possibile.
“Respira, Pads”, gli ordinò Remus, il tono sempre dolce e calmo. Gli mise le mani sulle spalle e si abbassò per essere alla sua stessa altezza e guardarlo in volto. Poi gli prese una mano e se la mise sul proprio petto cercando di fargli capire come respirare correttamente. Il trucco sembrò funzionare e il respiro di Sirius cominciò a calmarsi. Il pericolo di un attacco di panico venne scongiurato.
Le lacrime però non si fermarono. Dovevano lasciarlo sfogare. Allora Remus lo aiutò a infilarsi sotto le coperte e subito dopo lo seguì.
“Ah, fanculo!” Sibilò James e, scavalcando sia Remus che Sirius, si infilò anche lui nello stesso letto, abbracciando l’amico da dietro. Il ragazzo sembrò rilassarsi in quell’abbraccio a tre, lasciandosi andare contro James e affondando il volto nel petto di Remus che intanto gli accarezzava i capelli e cercava di tenere duro.
“Spegni la luce, Pete”, disse James.
Peter obbedì e poi si sedette per terra con la schiena appoggiata al letto, non essendoci più spazio con i suoi amici e non sapendo bene cosa fare di sé stesso.
“Shh, va tutto bene. Ci siamo noi ora, va tutto bene”, gli sussurrava Remus all’orecchio. James da dietro gli massaggiava le spalle e la schiena.
Remus alzò lo sguardo su James come a cercare con lui una muta conversazione e James ricambiò. Dopo un po’ i singhiozzi cessarono e Sirius sembrò calmarsi tra le braccia dei suoi due migliori amici.
“Sirius?” Lo chiamò piano il licantropo e con cautela, come se temesse di disturbare una creatura aggressiva. Sirius finalmente alzò il volto su di lui e Remus si sentì come se qualcuno gli avesse strappato il cuore dal petto. Sirius esibiva gli occhi più rossi e gonfi che avesse mai visto e un’espressione talmente distrutta che Remus non sapeva come avrebbe fatto a farlo tornare a sorridere di nuovo.
“Va tutto bene, piccolo”, gli sussurrò. “Siamo qui. James è dietro di te e Peter è qua giù. Va tutto bene”.
Sirius affondò nuovamente il volto nel petto di Remus e il suo respiro piano pianto rallentò, segno che si era addormentato.
Remus guardò di nuovo verso James. “Che cosa abbiamo fatto, Prongs?”
“Abbiamo esagerato”.

 

Alla fine, ad un certo punto, i quattro ragazzi si addormentarono. Peter si era alzato ed era andato nel suo letto. Nè James né Remus lo avevano sentito. I due ragazzi si svegliarono la mattina dopo disturbati dalla luce del sole che filtrava dalla finestra. Non si erano mossi dalla posizione in cui erano, formando un nido attorno a Sirius che invece era ancora profondamente addormentato.
James cercò di stiracchiarsi senza disturbare l’amico; sentiva il corpo intorpidito per aver passato troppe ore nella stessa posizione e non era abituato.
“Sta ancora dormendo?” Chiese a bassa voce.
“Sì. Non me la sento di svegliarlo”.
“Nemmeno io”.
“Non voglio nemmeno lasciarlo solo però. Tu e Pete andate a lezione. Io resto con lui”.
“Sei sicuro?”
“Sì, basta che ci coprite”.
James scavalcò i due amici per alzarsi dal letto e andò a svegliare Peter. “Forza, Pete. E’ ora di alzarsi”.
Poi si chiuse in bagno.
Peter mormorò qualcosa di indistinguibile e si girò pigramente buttando le coperte a terra. Una volta rimasto solo con Sirius - James e Peter non erano mai stati così veloci a prepararsi - Remus guardò verso Sirius, osservando le sue ciglia lunghe e spesse, il naso arrossato, il volto pallido.
Le immagini di quello che aveva visto solo l’altra sera - Sirius a terra mezzo morto, il sangue, i tagli - lo perseguitavano ancora e probabilmente lo avrebbero perseguitato per sempre.
Non poteva fare altro che sentirsi in parte responsabile. Per aver allontanato Sirius così tanto. Davvero aveva pensato che lo odiassero così tanto da non poter venire da loro a chiedere aiuto? Che cosa lo aveva spinto a fare quel gesto?
Remus ritirò il proprio braccio da sotto la testa di Sirius e si alzò. Gli dispiaceva lasciarlo, anche se era solo per un minuto, però doveva andare in bagno.
Il più silenziosamente possibile si diresse verso il bagno, aprì la porta e lo sguardo gli cadde immediatamente sul punto in cui avevano trovato Sirius svenuto nel suo sangue l’altra sera. Brividi freddi gli percorsero la schiena e si ritrovò a respingere indietro le lacrime.
Le piastrelle ora erano immacolate, James doveva averle pulite, ma erano rimasti ancora gli asciugamani sporchi di sangue.
Remus li prese e li buttò nel cesto delle cose da lavare.
Quando ritornò dal bagno, un paio di occhi grigi lo fissavano confusi. O spaventati.
“Sirius!” Esclamò accorrendo a sedersi sul letto accanto a lui. Rimase a guardarlo per qualche istante, cauto, come per accertarsi di qualcosa, ma nemmeno lui sapeva cosa.
Non pensava di trovarlo già sveglio, e aveva sperato di poter avere qualche minuto in più per rimuginare sulla mossa migliore.
Tutto quello che era successo era stata una veloce discesa finita nel peggiore dei modi che potevano aspettarsi e, sebbene Sirius aveva commesso qualcosa di estremamente pericoloso e sbagliato, anche Remus, James e Peter avevano le loro colpe per aver spinto la situazione oltre il limite, tutto per orgoglio più che rabbia vera e propria.
Avevano sopravvalutato l’ego di Sirius, dimenticando quanto in realtà fosse fragile. Remus si voleva prendere a sberle perché soprattutto lui avrebbe dovuto capire questa cosa, avendo accolto Sirius nel proprio letto più sì che no, calmato i suoi incubi e le lacrime quando la sua famiglia lo denigrava.
“C-Come ti senti?” Chiese piano cercando di sorridergli dolcemente.
Avrebbe solo voluto stringerlo tra le proprie braccia come pochi minuti prima.
“Bene”, rispose Sirius incerto, la voce roca. Poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani e sulle bende che intravedeva dalle maniche.
“Dove sono Peter e James?”
“A lezione. Ci coprono per oggi”.
“Oh”.
Di nuovo silenzio. Remus cercava disperatamente qualcosa da dire - o meglio, aveva un milione di cose da dire, gli mancava il modo - perché improvvisamente si sentiva a disagio e teso, lui che aveva sempre apprezzato di più il silenzio al caos.
“Sirius”.
“Remus”.
I due parlarono in contemporanea.
“Vai prima tu”, concesse poi Black.
Remus si umettò le labbra; avrebbe preferito che fosse stato l’altro a iniziare, ma ora non era il caso di fare i capricci o tirarsi indietro.
“Sirius? Che è successo l’altra sera? James ti ha trovato in bagno e… Saresti potuto morire”.
Sirius si spinse con le mani per sedersi contro il cuscino.
“Mi dispiace, io… Non stavo pensando. Avevo solo bisogno di… Non lo so, non sentire più niente. Non pensavo di tagliare così in profondità”.
Remus scrollò il capo, gli occhi bassi e tormentati.
“Sirius, cosa? Tagliare? Tu non fai queste cose”.
Sirius sospirò e tirò fuori le gambe da sotto le coperte, esponendo le cicatrici che gli ricoprivano le cosce. "Che ne sai? Ora le faccio”. Si alzò di colpo per andare a ruminare nel proprio baule e tirare fuori un pacchetto di sigarette. Poi si sedette alla finestra con le gambe incrociate e si mise a fumare.
Remus si alzò e gli si avvicinò, appoggiandosi al letto di James.
“Sirius”, fece.
Black non rispose, continuò solo a fumare. Ma nemmeno Remus disse nulla. Fece un passo incerto verso l’altro, indeciso se raggiungere Sirius sul davanzale o mantenere una certa distanza.
“Non ti preoccupare, Re”, disse allora Sirius, gli occhi fissi sul muro di fronte, la sigaretta fumata a metà. “Chiederò alla McGranitt di cambiarmi stanza. Così vi renderò la vita più facile”.
Remus alzò lo sguardo di colpo e strabuzzò gli occhi.
“Che stai dicendo?”
“Re, è chiaro che non riesci nemmeno a guardarmi”.
Remus si sentì il cuore crollare.
“Pads”, mormorò. Poi finalmente si sedette sul davanzale anche lui, a pochi centimetri dall’altro. “Pads, non è assolutamente quello che vogliamo”.
Questa volta toccò a Sirius guardarlo confuso.
“Sirius, io, Peter e James non vogliamo che te ne vai. Ti abbiamo già perdonato”.
“Cosa?” Sirius lanciò la sigaretta dalla finestra leggermente aperta e rivolse l’attenzione a Remus.
“E tutto questo tempo voi… Non avete detto niente?”
“Non sapevamo come iniziare l’argomento. Sì, all’inizio volevamo fartela pagare, te lo meritavi, ma poi… Non aveva più importanza. Pensavamo saresti venuto tu da noi per primo. Non sapevamo quanto tu… Che tu stessi così male”.
Remus posò una mano sulla caviglia nuda di Sirius, allungando le dita verso i polpacci e poi alle cosce, come se volesse accarezzargli le cicatrici.
Sirius guardò prima la mano e poi alzò gli occhi su quelli ambrati dell’altro. Infine, si districò dalla presa del licantropo alzandosi di colpo.
“Ma quello che ho fatto…”.
“Quello che hai fatto è stata una stronzata”, lo interruppe Remus scivolando dal davanzale. Aveva paura che Sirius potesse sfuggirgli prima che riuscissero a parlare. “La peggiore che potessi fare. Ma quello che c’è tra di noi Malandrini, tra me e te, è più forte. Eravamo arrabbiati all’inizio, ma… Non ha più importanza, davvero”.
Sirius si portò le mani nei capelli, un misto di disperazione, confusione e sollievo sul volto. Le maniche della felpa scivolarono in giù scoprendo le braccia bendate.
“I sensi di colpa mi hanno divorato, Re… Pensavo non voleste più saperne niente di me. Avevo… Avevo paura. Paura di tornare a casa e sapere che mi odiavate, pensavo di aver rovinato tutto, come faccio sempre, come fa la mia famiglia”.
“Ehi”.
Remus lo afferrò per i polsi interrompendo quella cascata di parole sconnesse. Poi si accorse delle lacrime che avevano iniziato a rigare il volto dell’altro.
“Mi dispiace, mi dispiace da morire”, sussurrò dolcemente. Sirius ancora non affrontava il suo sguardo, ma almeno si era lasciato prendere.
“Ci siamo spinti troppo oltre. Non volevamo che finisse così. Ma davvero… Davvero volevi…?”
“Non so cosa volevo!” Esclamò Sirius capendo la domanda che Remus non aveva avuto il coraggio di fare. “Volevo solo smettere di sentire… quel peso dentro. Il dolore fisico almeno mi faceva concentrare su altro. Ieri sera mi ero spinto troppo oltre. Non ragionavo”.
Remus tirò Sirius contro di sé e appoggiò la propria fronte contro la sua, intrecciando le loro mani e accarezzandogli le dita.
“Non ci pensare più, okay? Siamo qui, siamo insieme. Ti amo, Pads”.
“Ti amo anche io, Moony. Mi dispiace”.
“Shh. E’ passato”.
Sirius si allungò per posare un bacio sulle labbra dell’altro, dapprima piano e con cautela, come se stesse testando il terreno, e quando Remus ricambiò tirandolo per i fianchi per avvicinarlo a sé, il bacio divenne più intenso e appassionato e finalmente tutto tornò a posto, tutto tornò come prima. Più o meno. Non era qualcosa che avrebbero dimenticato, ma almeno avrebbero iniziato a parlarne. Remus sentiva che quel gesto di Sirius non era dovuto solo a quello e… Non avrebbero fatto finta di niente.
I due indietreggiarono verso il letto di Sirius, Remus sbatté contro il bordo e cadde all’indietro sul materasso, trascinando con sé anche l’altro. Poi si staccarono per riprendere fiato, e Remus guardò gli occhi sul volto ora più sereno di Sirius e gli sorrise spostandogli i capelli dalla faccia.
“Allora, siamo a posto?” Chiese Sirius con tono incerto.
“Certo, Pads, siamo a posto”. E come per confermarlo, lo baciò di nuovo.
Rimasero così per il resto della mattinata, a baciarsi e coccolarsi nel letto.
“Come mai non mi avete portato da Madame Chips?” Domandò Sirius a un certo punto, la testa appoggiata sul petto di Remus.
Quest’ultimo sospirò e sembrò ponderare su cosa dire. Poi in tono calmo, ma serio, disse: “Perché avrebbe capito subito cosa… Avessi fatto e… Insomma, avrebbero pensato che…”.
“Avessi cercato di suicidarmi”, concluse Sirius per lui quando Remus sembrava non avere il coraggio di dirlo.
Remus rabbrividì.
“Sì”.
Sirius sollevò la testa incontrando gli occhi di Lupin.
“Non era quello… Voglio dire, non ci stavo davvero pensando. Non ero lucido”.
“Lo so, Siri. Lo so, non ti preoccupare”. Remus lo baciò sulla tempia.
“E le bende?”
“Sono mie. Sono magiche, non dovrebbero lasciare cicatrici”.
L’espressione di Sirius si trasformò in panico. “Ma… Ma tu… Non dovevi sprecarle su di me”.
“Ehi”. Remus circondò la vita di Sirius con un braccio e lo strinse a sé. “Non ti preoccupare. Stavano nel mio baule da un po’. Con te, James e Peter non ne ho avuto bisogno”.
“Davvero?”
“Certamente”.
E dopo quello, Sirius non domandò altro e i due tornarono alla loro sessione di coccole e baci.
Fu così che James e Peter li trovarono rientrando in dormitorio poco prima di pranzo.
Sirius scattò a sedere non appena vide i due amici varcare la soglia, ma i suoi occhi erano posati solo su James.
“Sirius! Stai bene?” Gli chiese quest’ultimo.
Sirius annuì.
James lo guardò come se non si fidasse delle sue parole, spostando lo sguardo dal maglione che gli copriva malamente i polsi, alle gambe nude coi tagli sulle cosce.
“Io…”, cominciò Sirius, ma si trovò a corto di parole. “Mi spiace, Prongs. Io non volevo… Non avevo intenzione di…”.
Le parole gli morirono in gola quando sentì due braccia avvolgerlo e stringerlo sé. James gli si era lanciato contro per abbracciarlo. Era una cosa inaspettata, anche se James era sempre prono al contatto fisico e ad elargire abbracci. A parte con Remus, Sirius era molto attento al contatto fisico in generale. Tuttavia, stretto in quell’abbraccio, sentì un certo conforto scaldargli il petto.
“Non importa. Scusami tu. Non avremmo dovuto… E’ tutto okay”.
Sirius lo strinse e affondò il volto nell’incavo del collo dell’amico.
“Non farlo mai più”, disse James in tono fermo e perentorio, ma senza perdere la dolcezza. Lo guardava dritto negli occhi.
“Okay, Pads? Se dovessi… Se dovessi sentirne di nuovo l’urgenza vieni da me. Vieni da noi, okay? Siamo i tuoi amici”.
Sirius annuì. Non aveva mai sentito James parlare così, con quel tono determinato e a tratti spaventato e gli occhi lucidi. Non aveva mai visto James piangere.
“Promesso?”
“Promesso”.
E forse le cose non erano del tutto perfette, ma i Malandrini avevano di nuovo l’un l’altro. 

___ 

Questa storia è rimasta dormiente nel mio taccuino per un po’ di tempo e finalmente mi sono decisa a pubblicarla, dopo averla ricopiata al computer e averla editata. E’ una storia pesante, me ne rendo conto, ma ha trovato un lieto fine.
Anche se non è finita qui di certo e Sirius avrà bisogno di tutto l’affetto del mondo.
Ho sempre pensato che la Rowling avesse fatto soffrire questo personaggio eccessivamente. 

Se avete letto fino alla fine vi ringrazio molto. E se vorrete lasciare un commento vi ringrazierò ancora di più.
Se doveste averne voglia, date un’occhiata anche alle mie altre storie. Ci sono una long sempre di Harry Potter e un’altra oneshot molto più dolce e tranquilla di questa. 

Grazie mille e… Alla prossima storia!

C.

   
 
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