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Autore: Sasita    26/03/2022    1 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. Siamo arrivati alla chiave di volta. Spero che la mia interpretazione di come mi immagino che sia la prima volta che i due scemi finalmente vivono un momento comune di felicità pura vi piaccia! Se così fosse, ma anche se non vi piacesse, lasciatemi una recensione per farmelo sapere! Le recensioni scaldano il cuore... 
 


Close your eyes

 

Qualche unità celeste più lontano Castiel aveva lo sguardo fisso nel vuoto davanti a sé, nella grande stanza bianca dell’headquarter angelico. Il suo tramite se ne stava scomodamente seduto su una sedia, con i muscoli delle gambe intorpiditi e le braccia appoggiate sulla superficie lievemente riflettente del grande tavolo centrale davanti a lui. Da quando Dean gli aveva chiesto di “indossare” un corpo umano, l’angelo non aveva più abbandonato il vecchio aspetto di Jimmy Novak, e ne era rimasto legato soprattutto per riabituarsi alle sue varie estremità, così qualora l’uomo l’avesse cercato, Castiel avrebbe evitato di irritarlo di nuovo. 

Nonostante fosse rimasto dentro a quel corpo limitato e tangibile, la sua essenza di serafino era libera di estendere la propria coscienza agli angoli più estremi del paradiso, per controllarli in assenza di Jack: se i suoi occhi fisici erano persi nel bianco davanti a lui, la miriade di occhi interiori erano ben concentrati sull’enorme regno celeste sotto la sua supervisione, simili a una rete di telecamere di sicurezza. 

Parte della sua concentrazione era rivolta a una vasta zona urbana che ritraeva fedelmente la città di Costantinopoli e ospitava molte anime piuttosto vetuste, almeno secondo una scala di giudizio umana. L’imperatore Adriano stava giusto entrando in un supermercato insieme ad Alcinoo; a quanto Castiel aveva capito, aspettavano a cena Saffo, Pericle, Nefertari e Ji Ru insieme a Virginia Woolf, Federico Garcia Lorca e Donatello. Aveva sentito nominare anche un altro paio di persone, ma non le aveva riconosciute. In ogni caso, un bel simposio di menti per una sola cena. Da quando Jack l’aveva riportato indietro dal Nulla ne aveva viste di rimpatriate particolari. Sembrava quasi che le persone collidessero in base a strani disegni, e soprattutto coloro che lungo il tragitto lineare del tempo erano nati più tardi erano stati quasi calamitati verso i loro idoli del passato, creando meravigliose connessioni che solo il nuovo Paradiso poteva rendere possibili. Una volta aveva osservato affascinato una sorta di improvvisazione artistica a dieci mani: Raffaello, Van Gogh, Picasso, Frida Khalo e Artemisia Gentileschi si erano ritrovati per realizzare un enorme dipinto che rappresentava una versione molto letteraria del Paradiso da regalare a Dante Alighieri. E a proposito di scrittori, Joyce e Shakespeare erano soliti andare a bere insieme all’Old Lantern Pub, dove servivano il miglior liquore di malto di tutto il regno celeste, mentre Oscar Wilde sembrava aver trovato in Boccaccio e Catullo i sui migliori amici, e poco di meno si poteva dire del legame tra Tolkien e Luciano di Samosata. Ogni volta che quei due si vedevano sicuramente un nuovo universo di fantasia avrebbe preso vita. A quanto ne sapeva, la trilogia sul Sovrano delle Nubi aveva già surclassato qualunque altra saga fantasy mai scritta fino a quel momento… era un vero peccato che la Terra non ne avrebbe mai sentito parlare. In ogni caso, sicuramente il fatto che in Paradiso la punizione divina seguita alla Torre di Babele fosse venuta meno, e tutti potessero capirsi senza difficoltà, aiutava ad avvicinare anche i più lontani nel tempo e nello spazio. 

Castiel si era concentrato su queste simpatiche riunioni di cervelli da quando aveva lasciato Dean sul ciglio della strada quasi due mesi addietro; prima era sempre stato attento a controllare cosa facessero John e Mary, Bobby e tutte le altre persone importanti per il cacciatore. Una delle primissime cose che aveva fatto insieme a Jack una volta completata la ristrutturazione di Paradiso e Inferno era stata andare a ripescare l’anima persa di Kevin Tran sulla Terra. L’aveva trovato sull’orlo della follia, ma l’aveva ripreso appena in tempo, portandolo in Paradiso in prima persona. Non avrebbe mai voluto che Dean soffrisse sapendolo solo e abbandonato a vagare in pena per il resto dell’eternità. In ogni caso, da quando lui era tornato, Castiel non aveva avuto il coraggio di rivolgere anche solo uno dei suoi occhi verso quel piccolo lembo di Paradiso che racchiudeva la gran parte dei protagonisti della vita dei Winchester: non poteva rischiare, neanche per un istante, di incrociare Dean. Non sarebbe stato capace di allontanare lo sguardo, e non voleva assolutamente spiare nella sua mente e nella sua vita. Lui gli aveva chiesto tempo, e a Castiel andava bene.

La sua coscienza tornò tutta di colpo dentro al suo tramite quando qualcuno gli toccò una spalla.

«Castiel», lo chiamò l’angelo davanti a lui. «C’è un messaggio per te»

Il serafino sbatté le palpebre un paio di volte, adattando la sua vista sovrumana a quel piccolo corpo, e come sempre gli scappò un sorriso: Jack aveva voluto ricreare nell’headquarter il salone del bunker. C’erano le stesse sedie, le stesse librerie, la stessa scalinata e gli stessi mobili, solo tutto in un’unica sfumatura di bianco. Il grosso tavolo davanti a lui, però, poteva riflettere qualunque mappa volesse: al momento rimandava un’immagine molto vivida del gigantesco Paradiso, ma poteva anche mostrare la Terra e l’Inferno, oltre agli altri mondi che Jack era andato a ricostruire. 

«Castiel», ripetè Shiraz.

Lui si alzò, prese un profondo respiro e sorrise. «Sì?»

«C’è un messaggio per te»

Castiel annuì. «Quale messaggio?»

«È di Charlie Bradbury»

 

 

******

 

Da quando Rowena era al comando dell’inferno, i rapporti tra i due regni dell’aldilà si erano trasformati in una mutua collaborazione. Lei e Jack avevano avuto una conversazione molto proficua sull’importanza di trasformare l’Inferno in un luogo di espiazione, e non solo di tortura. I demoni, dunque, non avevano più niente da guadagnare dagli accordi con le anime umane, ma svolgevano quel lavoro solo quando chiamati volontariamente dagli uomini sulla Terra. Jack era stato categorico: niente doveva cambiare in apparenza. Gli esseri umani dovevano poter scegliere, nel bene e nel male, se condannarsi a una lunga permanenza ai piani inferiori (o, nei casi peggiori, un’eternità), o consacrarsi alla beatitudine del Paradiso. Sarebbero state le loro decisioni e le loro azioni a decidere, e lui si sarebbe occupato di cercare di tenere il più possibile insieme l’universo, cercando di evitare tragedie di proporzioni più che bibliche. Per il resto, le singole anime avrebbero continuato il loro corso, chiedendo favori ai demoni o consegnandosi nelle mani degli angeli. Compito degli uni e degli altri sarebbe stato quello di valutare ogni minimo cambiamento degli uomini, dando massima considerazione alle eventuali prese di consapevolezza, assicurandosi di spiegare molto bene i termini e le condizioni delle eventuali scelte, e cercando, dove possibile, di ripotare le anime sulla buona strada. Non sorprendeva nessuno che, nonostante le accortezze e nonostante fosse universalmente illegale far cadere gli umani in tentazione di proposito, loro ci si lanciassero di testa spontaneamente alla prima difficoltà la vita gli ponesse davanti. 

Poco male, comunque. Con i poteri di Jack e la consapevolezza di Rowena al servizio di una ristrutturazione totale dei regni celesti, l’Inferno era diventato qualcosa di decisamente più complesso di quello che era stato fino a quel momento. Una specie di specchio del Paradiso, ma alla rovescia, in una struttura tra il dantesco e il platonico. Le anime erano legate ai loro peccati, e in base ad essi venivano punite fino al momento in cui non fossero state chiamate ad essere analizzate, non poco dolorosamente, da una giuria di angeli e demoni selezionati e chiamati a collaborare gomito a gomito. In questo modo il neo-Dio aveva revocato la regola per cui le anime dell’inferno non potevano accedere in paradiso, e aveva girato in lungo e in largo per tutta la Terra insieme a Castiel per ritrovare le anime buone che Chuck aveva condannato alla dannazione per divertimento e che poi erano rimaste nel velo dopo che aveva spalancato le porte dell’inferno nel tentativo di incasinare ancora di più la vita di Sam e Dean. Poi, prima di partire a tempo indeterminato per risolvere gli altri innumerevoli danni che Chuck aveva creato nell’universo, Jack aveva controllato che tutti i regni celesti funzionassero a dovere, aveva chiuso il Purgatorio e spedito le anime dei mostri effettivamente malvagi all’inferno e quelle dei buoni in Paradiso e annientato i Leviatani una volta per tutte. Infine aveva stabilito che i custodi di un regno non fossero banditi dall’altro, così da facilitare al massimo la collaborazione tra Cielo, Inferi e Terra e snellire la burocrazia, soprattutto in sua assenza, dato che era l’unico essere nell’intero creato a poter vedere e sentire ogni singolo atomo nello spazio e nel tempo, anche attraverso le pieghe dei mondi. Grazie a Dean, Sam, Castiel, Mary ma anche Rowena, Jack aveva imparato l’importanza del lavoro di squadra, e aveva deciso di fare di tutto pur di mantenere la pace e la concordia per il bene di tutte le creature, fossero esse viventi, celesti o infernali. Per ultima cosa quindi poi aveva abbracciato la strega, le aveva restituito i suoi poteri ed era sparito lasciando dietro di sé un sorriso largo e sincero e una nube di fumo rosso.

 

Crowley sedeva annoiato sullo scranno al fianco di quello di sua madre. Da quando era tornato dal Nulla lui e Rowena si alternavano nella risoluzione della miriade di problemi che sorgevano costantemente tra Terra e piani bassi, soprattutto in seguito allo stravolgimento del sistema del libero arbitrio, messo finalmente in funzione a pieno regime. L’inferno era un vero caos, i demoni non facevano che ripetere sempre le stesse domande banali. 

«Ma quindi non posso andare a comprare anime a Las Vegas in cambio di vittorie facili?»

Il custode degli inferi roteò gli occhi per l’ennesima volta. Era seduto scomposto sul trono con il peso tutto spostato su un lato e il viso appoggiato all’indice e il pollice della mano destra. «No, Flegias, maledetto idiota, te l’ho già ripetuto almeno un milione di volte…»

«Ma perché!»

Crowley stava giusto per perdere la pazienza e schioccare le dita per farla finita con quella conversazione inutile e sfiancante, quando Rowena rientrò nella sala del trono vestita di un lungo abito a sirena in raso verde smeraldo e i capelli perfettamente acconciati. I suoi occhi, ormai eternamente viola per il luccichio dei suoi poteri, sprizzavano euforia.

«Perché è così e basta, Flegias, stupida capra… se gli umani ti chiamano, tu vai, gli spieghi per bene tutte le conseguenze in cui potrebbero incorrere, e se insistono gli compri l’anima e li fai vincere. Dopodiché ci penseranno gli Osservatori, vedi di ficcartelo in testa, va bene?», disse lei concludendo con una risatina a labbra strette. «E… non ti azzardare a non spiegare bene termini e condizioni del contratto, altrimenti sai che il patto si annulla in automatico e avrai fatto un lavoro inutile. Adesso vattene»

Crowley si alzò dallo scranno scrocchiandosi le ossa del collo. «Finalmente, sono passati eoni! Quanto impiegherà mai un maledetto massaggio shatzu!»

«Oh, ma dai Fergus… avevo bisogno di una pausa! Su, su!», sghignazzò la rossa. «E comunque sono stata contattata da Aphizrael proprio a metà del massaggio… sciocco angelo, scommetto che non ha ancora fatto il suo periodo sulla Terra, altrimenti saprebbe benissimo che non bisogna mai interrompere una dama durante la sua pausa di bellezza…»

«Madre», la rimbeccò Crowley. «Che voleva l’angelo?»

Rowena sorrise e arricciò le labbra, poi fece un breve applauso che liberò una nuvoletta di luce violacea tra i suoi palmi. «Mettiti pure un abito nuovo, mio caro… siamo stati convocati ai piani alti!»

 

******

 

Alla roadhouse l’aria era leggera e distesa. Ellen stava passando uno straccio pulito sul bancone dopo che l’ultimo avventore ci aveva rovesciato sopra metà della sua birra, mentre Jo serpeggiava tra i tavoli per consegnare le ordinazioni. Rufus e Bobby erano già al terzo giro di scotch, mentre Karen rideva ascoltando per l’ennesima volta il racconto di quando suo marito era stato pestato da una baby gang che aveva incontrato mentre cacciava una strega. Li aveva avvertiti che stare in mezzo alla strada era pericoloso perché c’era una “persona pericolosa” e aveva tirato fuori il suo finto badge dell’FBI e i ragazzini l’avevano assalito al grido di “fanculo la polizia”, e dandogli di vecchio coglione. Rufus aveva guardato la scena ridendo sotto i baffi prima di intervenire tirando fuori il suo fucile da caccia per far scappare la gang, ma non senza godersi prima la scena esilarante di Bobby che si faceva sopraffare da dei bimbetti di dodici anni. Aretha, invece, aveva già preso il monopolio del palco e stava cantando Respect a squarciagola insieme alla band chiamata per allietare la serata. 

Mary e John erano seduti a un tavolino tondo proprio davanti ai musicisti, e si tenevano mano nella mano senza una parola. Tra loro aleggiava quell’intesa leggera delle coppie che hanno attraversato l’inferno per poi ritrovarsi. Charlie invece era arrampicata su uno sgabello laterale al bancone, il corpo teso in tutta la sua iperattività. Il suo sguardo guizzava tra la porta d’ingresso e quello splendore angelico davanti a lei. Da quando Jack e Castiel avevano ristrutturato il paradiso era la regola che angeli e anime si mescolassero: il serafino era stato categorico a riguardo, e il neo-Dio non aveva avuto niente da ridire. Ogni angelo avrebbe dovuto passare del tempo sulla Terra o a contatto con le anime del Paradiso, non per intervenire nelle questioni umane, ma per imparare di più sugli uomini, sulle loro vite, sulle emozioni, sul dubbio e sul libero arbitrio. Entrambi erano convinti che esperienze simili potessero essere propedeutiche per svolgere meglio il proprio ruolo nell’equilibrio delle cose.

La ragazza lanciò un’altra occhiata alla porta basculante che lasciava poco spazio alla vista della strada, poi tornò a posare gli occhi su Ruth, un metro e settanta di splendente pelle color caramello e una cascata di riccioli del bruno più caldo che avesse mai visto, in grado di accendere ancor di più due brillantissimi occhi verde acqua. Ellen le porse un cocktail analcolico alla ciliegia e le fece un occhiolino d’intesa. 

Dall’ingresso un sorridente Kevin Tran sbucò a braccetto con una giovanissima versione della scienziata Rosalind Franklin. Il ragazzo fece un cenno con la mano prima a Charlie e poi a Bobby, incrociando il loro sguardo, e insieme alla sua compagna andò alla ricerca di un posto abbastanza tranquillo, in cui potessero sedersi dando le spalle al muro e lo sguardo a tutta la sala. In poco tempo la Roadhouse si riempì di anime e angeli; Pamela entrò seguita da una statua dalla pelle color ebano e gli occhi chiari come il cielo del circolo polare artico nei mesi di sole e una bella donna sulla cinquantina in abiti da rocker e una lunga treccia brizzolata che le scivolava sulla spalla sinistra, e si diresse senza esitazioni al tavolo dove sedevano Bobby, Rufus e Karen, che si strinsero un po’ per fare loro spazio. Missouri era già arrivata quel pomeriggio insieme ad Ash, trasportati senza grandi cerimonie da un messo angelico. 

Charlie aveva fatto del suo meglio per rendere speciale quella serata, cercando di raggruppare tutte le persone importanti per Dean per dargli la carica necessaria. Tutti, a dire il vero, si erano spesi anima e corpo perché tutto fosse il più perfetto possibile: Jo e Ellen avevano annullato il loro tradizionale Soul Sunday Sandwich scambiandolo con un Pie Hard and Rock a Pint Sunday, Bobby e Rufus avevano spostato il loro ritrovo settimanale alla Roadhouse, Karen aveva disdetto la lezione di cucina con le sue amiche e Missouri aveva abbandonato la riunione delle “medium per il bene” senza fare neanche il suo intervento. 

«Non sarà mica già arrivato il testone, vero?»

Rowena e Crowley si materializzarono in mezzo al locale in un guizzo violetto. Charlie si catapultò giù dal suo sgabello scusandosi con Ruth e lanciò le braccia al collo della custode dell’inferno. «Siete venuti!»

«Che succede?», tagliò corto lui, spazzolandosi con le mani il completo damascato nero e verde scuro.

«Shhh!», lo zittì Charlie. «È una sorpresa»

«Per chi, di preciso?», le domandò Rowena con la sua tipica espressione incuriosita.

Charlie fece una faccia entusiasta. «Intanto per Dean…»

«Quindi il non-testone alla fine è riuscito a farsi ammazzare…», disse Crowley, non troppo sorpreso.

La ragazza lo guardò storto. «Lui ha organizzato tutta questa serata ma non sa… non sa niente dei rapporti tra Paradiso e Inferno, insomma, non volevamo dargli troppe informazioni in una volta sola e soprattutto non sa che—»

«Charlie!», la voce di Dean arrivò potente dalla cucina alle spalle del bancone. «Charlie!», ripetè. «Ho imparato a fare la crema pasticciera!», esclamò sbucando dalla porta e affacciandosi dalle spalle di Ellen per guardare la sala con un’espressione estatica. «Char—», la voce gli morì in gola. «—Ma che caz— cavolo…», si corresse.

«Appunto…», sussurrò la ragazza contraendo il viso prima di voltarsi verso l’amico.

«Non può essere…», disse ancora Dean. Con uno sguardo veloce valutò la possibilità di saltare il bancone come in un film, facendo leva solo sulla mano, ma poi riconsiderò la sua decisione e si diresse in tutta fretta verso l’uscita e raggiunse in tre falcate il piccolo gruppo in mezzo al salone.

«Tu sei morto…», disse guardando Crowley, «…e tu sei all’inferno!», continuò guardando Rowena. Poi si voltò di scatto verso Charlie, con gli occhi spalancati di un bambino.

«Beh… Jack ha cambiato un po’ di cose», disse la ragazza.

Dean sfiorò con lo sguardo tutti loro. «Non ci credo», disse. «Oh, amico, ci avrei scommesso un testicolo che non ti avrei mai più rivisto…», esclamò sporgendosi per abbracciare Crowley. «…e l’avrei perso!»

Il demone si irrigidì, batte imbarazzato il palmo della mano sulla spalla dell’uomo e poi tossicchiò. «Ora non vuoi più uccidermi con le tue mani?»

Dean rise. «Nah! Siamo stati una bella squadra…», disse, poi si rivolse a Rowena con le braccia aperte.

Lei lo guardò storcendo un po’ le labbra sottili. «Oh, e va bene», accordò, lasciandosi abbracciare.

«Ma come… che…?», chiese l’uomo, senza riuscire a formulare a pieno il suo dubbio. 

«Il vostro ragazzo ha trascinato il mio culo fuori dal Nulla…», disse Crowley, ancora stupito dal suono delle sue stesse parole.

«Non ti ha neanche mai conosciuto!», commentò Dean altrettanto sorpreso, grattandosi la nuca. Aveva ancora la frusta macchiata di crema in mano e il grembiule bianco sporco degli albumi che si era rovesciato addosso nel separarli dai tuorli. 

Rowena fece spallucce. «Immagino che abbia voluto esaudire un mio piccolo desiderio… ma è possibile che ci abbia messo lo zampino Amara»

La bocca di Dean si piegò a formare una piccola “o”, poi annuì ricordandosi del dono che la sorella di Dio gli aveva fatto prima di sparire, prima dell’ennesimo disastro cosmico, prima di troppe cose per ripeterle tutte. «Sì, è un’appassionata di queste piccole sorpresine…», concordò. «Ma… cosa ci fate qui?»

Rowena e Crowley si guardarono, poi si voltarono verso Dean e Charlie. «Ci avete convocato…»

Lui alzò un sopracciglio. «Io non sapevo neanche che fosse una possibilità…»

Charlie si morse un labbro. «Sono stata io…», disse. «…sapevo quanto ci tenessi che questa sera fosse speciale, per cui ho cercato di fare del mio meglio»

Sul volto di Dean si aprì un largo sorriso. «Pazzecco! Ma come hai…?»

La ragazza fece spallucce, si portò l’indice alla tempia e lo picchiettò un paio di volte. «Alla fine ho trovato qualcosa da hackerare… tipo il sistema di comunicazione inferno-paradiso», rise. «E ho spedito il primo messo angelico in ascolto a fare una “commissione importantissima per il custode del Paradiso”»

«Che sarebbe?», domandò Dean con un’espressione sciocca.

Charlie roteò gli occhi. «Castiel, ovviamente», rispose insieme a Rowena. Le due donne si scambiarono un’occhiata e ridacchiarono. 

«Ginger power!», squittì la ragazza alzando in alto il palmo della mano destra.

Rowena la guardò incuriosita, alzando un sopracciglio, senza muoversi di un centimetro.

Charlie sbuffò e si batté il cinque da sola. «Comunque—»

«Sta arrivando!», Ruth apparve accanto ai quattro con gli occhi verdi che brillavano, attivati dalla sua grazia stuzzicata dal radar angelico.

D’improvviso Dean si fece teso, tutti i suoi muscoli si irrigidirono e sul viso gli si dipinse un’espressione costipata. Crowley lo guardò tra l’incuriosito e il disgustato, con quella sua tipica faccia da poker. Rowena invece lo osservò con attenzione, scrutandone il linguaggio del corpo, poi saettò uno sguardo a Charlie, che le annuì. Le due donne proseguirono il loro dialogo silenzioso fatto di espressioni e sguardi, poi la custode dell’inferno sorrise eloquentemente. «Oh», disse. «Sei pronto a scoprire la quinta base?», chiese non senza una punta di malizia divertita.

Detto fatto, l’uomo si fece rosso e ancora più rigido, incapace di controbattere.

«Qualcuno vuole aggiornare anche me, per tutti i segugi infernali?», si stizzì Crowley.

Rowena stava per rispondergli, ma Charlie la frenò con un’occhiata. «Sediamoci in un punto degno del nostro rango, Fergus, ti spiego tutto…», ridacchiò trascinando con sé il figlio.

I due si allontanarono un po’, sedendosi al posto più vicino al palco che trovarono. Con un guizzo della mano la strega trasformò un banalissimo tavolino basso di legno rovinato in uno rialzato in elegantissimo marmo di Carrara, e rese le due sedie degli alti sgabelli di bronzo completati da morbidi cuscini di velluto verde.

«Ehi!», le gridò Ellen. «Quello è il mio materiale…»

Rowena le lanciò uno sguardo indifferente. «Meno male che ci sono io a risollevare almeno un angolo di questo posto, mia cara…», e si sedette.

Ellen scosse la testa e fulminò Charlie con lo sguardo, mimandole con le labbra qualcosa tipo “è tutta colpa tua”.

Charlie le mostrò i palmi in un atteggiamento di scuse, e tornò a guardare Dean, che non si era mosso. «Sei pronto?»

Lui sembrava sul punto di svenire. «Uhm…», mugugnò.

«Andrà benissimo!», lo sostenne lei. Poi lo squadrò. «Magari però togliti questo grembiule e lascia la frusta in cucina…»

Dean guardò la sua mano e sé stesso come un automa, e annuì, senza però fare nulla. 

«Ehi!», Charlie gli schioccò le dita davanti al viso. «Paradiso chiama Dean Winchester! Stai bene?»

Lui scosse la testa come per togliersi qualcosa di dosso, poi soffiò fuori tutta l’aria e strizzò forte gli occhi. Quando li riaprì, una luce determinata ne illuminava il verde caldo delle iridi. «Sì», esclamò. 

In poche falcate raggiunse il bancone, consegnò indumento e strumento da cucina a Ellen e con un solo movimento dell’indice chiese un bicchiere di whiskey, che buttò giù in un unico sorso. Guardò il suo bicchiere vuoto e poi di nuovo Ellen, che roteando gli occhi glielo riempì per la seconda volta. «Dai ragazzo! Puoi farcela!»

Dean la ringraziò con lo sguardò e trangugiò anche il secondo bicchiere. Poi batte forte i palmi sul ripiano del bancone e si voltò verso Charlie. Un’espressione decisa rendeva i suoi lineamenti ancora più netti. «Puoi scommetterci che posso farcela», disse a sé stesso. 

Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, si sistemò il colletto della camicia di flanella e alzò il pollice verso Charlie. «Vado», disse.

Lei gli rispose alzando entrambi i pollici in un gesto di incoraggiamento, mentre tornava con Ruth a sedersi al bancone e lo guardava dirigersi senza esitazione al palco dove la band continuava a suonare canzoni di diverse sfumature di rock. 

Dean salì tra i musicisti e si rivolse al chitarrista, sussurrandogli qualcosa all’orecchio che Charlie, da dove si trovava, non potè sentire. Il ragazzo annuì e poi rivolse alcuni comandi veloci agli altri, che iniziarono a provare una nuova melodia confondendosi nell’improvvisazione con la canzone precedente. Dean afferrò il microfono e fece saettare lo sguardo su e giù lungo la sala, soffermandosi un poco su tutti gli astanti. Sua madre gli rivolse un sorriso incoraggiante, annuendo piano. Suo padre lo guardava sereno, senza un solo segno di giudizio nello sguardo. Bobby stava tirando gomitate nelle costole a Rufus, e Dean, pur non riuscendo a sentirlo oltre la cacofonia degli strumenti che si accordavano, ebbe l’impressione che gli dicesse “ecco il mio ragazzo”. Una sensazione di calore si avvolse intorno al cuore di Dean, che non riusciva comunque a diminuire il ritmo dei battiti. Si soffermò su Rowena e Crowley, che lo guardavano la prima con un’espressione maliziosa e il secondo con le braccia incrociate e una certa faccia da “era l’ora”. Pamela e Missouri stavano borbottando qualcosa tra di loro, senza staccare gli occhi dal palco, mentre Ellen aveva interrotto il servizio e si era messa in un angolo insieme a Jo e Ash. Kevin dal fondo della sala gli fece un cenno con la testa, mettendo in pausa per un po’ la conversazione con uno dei cervelli più belli della storia. Charlie invece era rivolta verso di lui e nel tentativo di trasmettergli telepaticamente tutta la forza possibile cercava di non battere le palpebre. Il chitarrista alle spalle di Dean gli picchiettò la spalla, facendogli cenno che lui e gli altri musicisti erano pronti a suonare.

 

Fu in quel momento che Castiel entrò nella Roadhouse, con il suo impermeabile sgualcito, la cravatta annodata male come sempre e un’espressione confusa stampata sul volto. Si guardò intorno cercando di capire come mai tutte quelle persone si trovassero nello stesso posto nello stesso istante, e fece qualche passo al centro del salone, spostando lo sguardo su tutti gli avventori. Poi riconobbe un profumo, e i suoi occhi azzurri scattarono fulminei verso un punto in fondo al pub. 

Lì se ne stava Dean, piantato a terra con i piedi abbastanza distanti da garantirgli l’equilibrio, aggrappato all’asta del microfono come se ne dipendesse della sua permanenza in Paradiso. Castiel inclinò piano la testa da un lato, in un gesto automatico. Tutta la sua grazia ebbe un fremito, facendo brillare un poco il suo tramite. Era così bello, pensò, come era sempre stato. Gli occhi di Dean catturarono i suoi, e il fremito si fece più forte. Senza capire cosa stesse succedendo, la musica che gli stuzzicava le meningi e la grazia che minacciava di sgusciare dal suo corpo, Castiel rimase in silenzio mentre una strana forza lo spingeva ad avvicinarsi al palco.

«Finalmente siamo tutti», esordì Dean con uno strano tremolio nella voce. 

L’angelo lo guardò ancora più confuso, con le sopracciglia che piano piano gli si abbassavano sulle palpebre.

«Forse qualcuno di voi si sarà domandato perché vi ho chiesto di venire qui stasera…», continuò l’uomo, sempre più aggrappato al microfono. «…Beh, si, ecco siete qui perché… perché…», sembrava che Dean non avesse ben chiaro il motivo, e soprattutto non sapesse come continuare la frase. Castiel lo guardò mentre scambiava uno sguardo con Charlie, seduta al bancone, e si voltò a sua volta per capire cosa stesse guardando. Quando tornò a posare gli occhi su Dean, l’uomo incatenò lo sguardo al suo, tossicchiò e poi si raddrizzò. I suoi muscoli si distesero visibilmente e Castiel sentì uno strano fuoco accendersi dentro al suo petto. 

«Siete qui perché per tutta la mia vita ho finto di essere qualcuno che non ero…», iniziò. Fece spallucce e sorrise di sghembo, tra l’imbarazzato e l’esaltato. «…un duro, uno stronzo, un vero coglione con tanto di patentino. Un assassino a sangue freddo. Mi sono negato le più tenere emozioni, mi sono chiuso all’amore, mi sono imposto un’immagine… temevo il giudizio degli altri quando in realtà ero io a guardarmi allo specchio e odiare ciò che vedevo. E mi sono rifugiato nella caccia, nell’alcol, nelle— nel sesso», disse tossicchiando, «nel tentativo di riempire un vuoto che non riuscivo a colmare diversamente perché avevo… paura. Paura di perdere chiunque mi si fosse avvicinato come avevo già perso… beh, tutti», disse sfiorando con lo sguardo sua madre Mary per un istante, prima di tornare a guardare Castiel.

L’angelo sentì la sua grazia pulsare come il battito di un cuore sempre più rapido e aritmico. Avrebbe potuto scommettere su qualunque cosa che la sua agitazione gli fosse manifesta sulla pelle, baluginando come una patina luminosa intorno a tutto il suo corpo. Per quanto cercasse di trattenerlo, non ci riusciva. Sentiva dentro di sé come una corda annodata tirata dalle estremità, che si stringeva sempre di più intorno al suo spirito angelico, destabilizzandolo. Era come l’atomo in scissione, sul confine sottile tra esplodere distruttivamente o diventare una fonte eterna di energia pura.

«E per anni ho nascosto a me stesso oltre che agli altri quello che provavo davvero… e ci ho provato a costruire relazioni ma ogni volta ho mandato tutto a puttane… ma ora non sono più sulla Terra, sono qui, e ho avuto modo di riconciliarmi con tutti voi e… e di comprendere davvero le parole di qualcuno di speciale: credevo di fare quello che facevo per odio, ma l’ho sempre fatto per amore… sbagliando e facendo un casino dopo l’altro, ma cercando di fare del mio meglio…»

Con i suoi sensi di angelo attivi al massimo, Castiel percepì prima ancora che si materializzassero le lacrime negli occhi di Mary.

«…e devo essere stato un vero idiota… un vero… coglione, se ho finito per far credere a quel qualcuno di speciale che l’unica cosa che voleva era qualcosa che non poteva avere», disse tutto d’un fiato.

Castiel si accorse di aver trattenuto il fiato nel momento in cui tutta l’aria uscì di getto dai suoi polmoni, e sentì gli occhi bruciare. Si rese conto d’improvviso che lacrime calde si stavano addensando sulla soglia delle sue palpebre. 

«Sono sempre stato molto meno di bravo di Sam con le parole…», disse poi Dean con un risolino nervoso e la fossetta nella mandibola che appariva e spariva intermittente. «…ma sicuramente sono un cantante migliore», scherzò. «Quindi vorrei dedicare questa canzone a quel qualcuno di speciale…»

Il serafino lo osservò mentre l’uomo faceva un cenno con il capo ai musicisti dietro di lui. Dean prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e li riaprì. Le sue iridi verdi rifulgevano nelle luci del locale quando le posò di nuovo in quelle umide di Castiel.

«Close your eyes/ Let me tell you all the reasons why/ Think you're one of a kind/ Here’s to you/ The one that always pulls us through/ Always do what you gotta do/ You’re one of a kind…»

Con la voce graffiata di Dean e il ritmo molto più rock, la canzone di Bublè sembrava una cover radiofonica in grado di sbancare le classifiche per settimane. 

Il Winchester sbatté le palpebre in modo eloquente, senza staccare per un attimo lo sguardo da Castiel, che da parte sua stava vivendo un’emozione stranissima, una delle più forti che avesse mai vissuto in tutta la sua eternità. 

«…Thank Jack you’re mine…», continuò l’uomo con una risata nascosta nella voce. «…You’re an angel dressed in armor/ You’re the fair in every fight/ You’re my life and my safe harbor/ Where the sun sets every night/ And if my love is blind/ I don't want to see the light…»

La corda annodata che Castiel sentiva dentro di sé d’improvviso si sciolse, e una vampata di potere angelico eruppe dal suo corpo, illuminando tutta la sala come la notte di capodanno. Guardò Dean preoccupato, ma lui gli sorrideva soddisfatto e sereno allo stesso tempo; un luccichio speculare al suo gli sfavillava negli occhi. 

«…It’s your beauty that betrays you/ Your smile gives you away/ Cause you're made of strength and mercy/ And my soul is yours to save…»

Per quanto strano potesse essere per un angelo, a quelle parole Castiel sentì come se tutto il calore gli confluisse al viso. Si sentì pieno di gioia e di serenità e soprattutto, guardando Dean come se ci fossero solo loro due in quella sala piena di gente, si sentì amato.

«…I know this much is true/ When my world was dark and blue/ I know the only one who rescued me was you…»

La sensazione si dilatò dentro di lui, mentre la sua memoria angelica si prolungava all’indietro nel tempo per accarezzare ogni singolo istante che lui e Dean avevano vissuto insieme. Si sentì ridere, come se si trovasse a distanza di chilometri dal suo stesso corpo, al solo pensiero di aver creduto di vivere un momento di felicità quando aveva rivelato i suoi sentimenti. Quello non era niente, niente, paragonato a ciò che sentiva in quel momento. Da una parte lo colpì l’amarezza di aver creduto, in quei terribili attimi, che quello sarebbe stato l’apice della sua intera eterna esistenza. Da un’altra lo attanagliò la paura al pensiero che il Nulla apparisse da un momento all’altro per portarlo di nuovo via. Gli ci volle una grande concentrazione per ricomporsi e ricordarsi che Jack aveva fatto un patto con quell’entità cosmica, che non avrebbe mai più potuto avvicinarsi a Castiel e in cambio avrebbe avuto un sonno eternamente indisturbato. Quelle due sensazioni furono comunque presto sostituite da un’euforia pura. Castiel sentiva le ali che prudevano e minacciavano di spalancarsi da un momento all’altro, richiamate dal potere immenso che sentiva gorgogliare dentro di sé.

«…When your love pours down on me/ I know I'm finally free/ So I tell you gratefully/ Every single beat in my heart is yours to keep…», continuò Dean. «Cass…», disse poi lasciando spazio agli strumenti, senza ripetere il ritornello un’altra volta, «…la cosa che vuoi e pensi di non poter avere… puoi averla…», sussurrò nel microfono. Ma anche se la voce flebile con cui aveva detto quelle parole non fosse stata amplificata, Castiel l’avrebbe sentita comunque. 

Istintivamente, a una velocità inumana, si mosse lungo la sala e arrivò ai piedi del palco, con gli occhi spalancati e pieni di aspettativa. Dean staccò il microfono dall’asta e con un salto scese dal suo punto rialzato, e si fermò a poco meno di mezzo metro dall’angelo, senza distogliere lo sguardo da lui. Intorno a loro, a parte la musica, nessuno parlava, nessuno quasi respirava.

L’uomo grattò un po’ la gola, poi schiuse le labbra per completare la canzone. «…You’re the reason why I'm breathing/ With a little look my way/ You’re the reason that I'm feeling/ It’s finally safe to stay»

Fermi in quella posizione, a una distanza ben inferiore del rispettivo rispetto dello spazio personale, Dean e Castiel lasciarono che la musica scemasse e che tutta la Roadhouse cadesse nel più tombale silenzio. L’angelo aveva la stessa espressione di quando si era sacrificato nel bunker, con le iridi azzurre brillanti di un’ammirazione e un amore difficili da descrivere a parole. Dean, invece, aveva il volto disteso, un lieve sorriso a increspargli le labbra, gli occhi verdi sereni, parlanti, e neanche una ruga a solcargli la pelle. Rimasero in silenzio per quelli che parvero a tutti minuti, poi il Winchester ruppe quella staticità e buttò le braccia intorno all’angelo, stringendolo come non l’aveva mai stretto. Gli affondò il viso nell’incavo tra il collo e la spalla, con le labbra a pochi millimetri dalla sua pelle luminosa, e Castiel sentì con tutta la precisione di cui la sua natura divina era capace il calore del respiro di Dean che gli provocava un esplosione di brividi. In un movimento automatico, bisognoso, si aggrappò forte alla camicia dell’uomo. Sentì una lacrima rotolargli giù prima su una guancia, poi sull’altra. 

No, pensò, non aveva mai provato veramente la felicità fino a quel momento, e difficilmente ne avrebbe provata una più grande. Ovviamente, si sbagliava. Dean si mosse un po’ nell’abbraccio, senza lasciarlo andare, e in un istante la bolla di silenzio che si era protratta fino a quel momento esplose. Struscii di sedie sul pavimento si unirono a risate e ad applausi, ma tutto quello che loro riuscivano a sentire era un suono lontano, ovattato.

«Scusami se ci ho messo tanto…», sussurrò Dean, soffiando appena nell’orecchio di Castiel. Un’esplosione di grazia e luce riempì di nuovo la sala. «Cas, davvero, scusami se…», l’angelo lo sentì grugnire, poi l’uomo si allontanò un poco, abbastanza da poterlo guardare negli occhi. Castiel sentì tutto il suo corpo prudere, fremere e solleticare. Niente che avesse mai provato era anche solo lontanamente simile a quello che provava in quel momento.

«Anche io ti amo, Cas—Castiel», sussurrò Dean. Così piano che in quel caos che li circondava solo l’angelo lo sentì. 

E andava bene così.





 

   
 
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