Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Euridice100    27/03/2022    2 recensioni
"Centro di gravità": centro di massa (o baricentro) di un corpo o di un sistema di corpi, cioè quel punto, appartenente o no al corpo, che ha la proprietà di muoversi come se in esso fosse concentrata la massa, e ad esso fosse applicata la risultante delle forze esterne agenti sul sistema; (fig.) il punto di equilibrio di una molteplicità di elementi ideali o pratici per il conseguimento di un determinato scopo.
"Momentaneo": che dura un solo momento o, in genere, brevissimo tempo.
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Tre personaggi.
Tre storie.
Tre centri di gravità (almeno momentanei).
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bruno Bucciarati, Leone Abbacchio, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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T.W.: // riferimenti ad autolesionismo-tentato suicidio
 
 
Centro di gravità almeno momentanea
 
III – Bruno
 
I've got no place
buildin' you a rocket up to outer space
 
 
Passione saprà anche mimetizzarsi bene, ma i suoi rappresentanti hanno un certo gusto per la teatralità.
Raccattarlo in un vicolo, ripulirlo, fargli persino sostenere un colloquio con un Capo… Sbronzo com’era, sarebbe bastata una coltellata. Semplice, rapida, relativamente indolore.
Quest’attesa, invece… È beffarda, come beffarde sono state le parole di Polpo.
- La cosa più importante nello scegliere qualcuno è la fiducia. -
Tradotto: anche i delinquenti schifano n’omm’e merda come lui.
Ma, ancora una volta, può incolpare solo se stesso se si ritrova in questa situazione. Avrebbe potuto non dar corda allo sconosciuto. Non permettergli di parlare di assurdità. Non seguirlo. E invece, lo ha fatto.
Lo ha seguito perché pioveva, perché lo sconosciuto aveva un ombrello e gli ha porto una mano, perché ha pronunciato il suo nome – ed era tanto, tantissimo tempo che quelle lettere non erano accompagnate da smorfie di disgusto, e per un istante null’altro è importato, anche se lo portava alla morte, questo è stato tutto.
Lo ha fatto, e ora Abbacchio si ritrova a vegliare un accendino. Cosa succederebbe se lo spegnesse?
Lo fissa tanto a lungo che la fiamma si sdoppia.
Un cazzo. Non succederebbe un cazzo e nessuno lo scoprirebbe. E, in ogni caso, lui è un morto che cammina: presto Bucciarati – ha già sentito questo nome – tornerà e fine dei giochi.
- Se la fiamma si dovesse spegnere, vorrà dire che non sei degno di fiducia. -
Che stronzata. Tutta Napoli sa cos’è successo, cos’aspettarsi da lui.
Per una volta, Leone Abbacchio non deluderà le aspettative.
Pollice e indice sulla fiamma. Il buio. Un clic nel silenzio.
La fiammella torna a splendere.
Vaffanculo. Vaffanculo Passione, Polpo, Bucciarati. Vaffanculo tutti.
A brillare scarlatta è anche la punta di una freccia conficcata nella spalla di Abbacchio.
 
“I watch you fade
keepin' the lights on in this forsaken place”

 
Leone Abbacchio non voleva.
Non voleva essere un prescelto. Non voleva continuare a vivere.
Figurarsi se voleva uno Stand che sa di condanna. Moody Jazz non parla, ed è l’atteggiamento che lui stesso si è ripromesso di assumere d’ora in avanti. Chissà se Moody Jazz prova sentimenti. Abbacchio spera che almeno a lui sia risparmiato ciò da cui il suo Portatore, malgrado i propositi, non sempre sfugge.
Alle volte Abbacchio ancora non crede alla sua nuova, assurda realtà. Ma già il primo giorno Bucciarati gliene ha dato dimostrazione.
Quello stronzo gli ha letteralmente staccato una mano.
Abbacchio non ha mai bestemmiato tanto dal dolore.
Dopo aver ricucito il polso, sulla pelle è comparsa una cicatrice sottile. È quasi invisibile – lo stesso Abbacchio la scorge appena –, ma c’è.
Il segno del passaggio di Bruno Bucciarati.
Chissà per quale contrappasso il capo si ritrova a smembrare e unire. È riuscito a ricucire persino due metà agli antipodi, a creare una nuova figura.
Non più poliziotto, e non riesce a non esserlo; criminale, e non riesce a esserlo
No. Sta attribuendo a Bucciarati meriti che non ha. È stato Abbacchio stesso a plasmare quest’ibrido insensato quando ha accettato la mazzetta. O magari non esiste alcun artefice: forse in lui hanno sempre dimorato, sopiti, i germi di ciò che sarebbe stato.
Per capirlo, occorre riflettere, ragionare, voltarsi indietro.
E Leone lo fa. È la natura del suo potere – la sua natura. Le ore scivolano e lui analizza ogni dettaglio – lo studia, disseziona, il particolare diventa centrale. Regista e interprete di ogni scena, di due lettere diverse per illudersi di variare un destino.
Da quando è in Passione, ha scoperto così tante cose che potrebbe far tremare la città se solo parlasse.
Potrebbe. Dovrebbe.
In fondo, quella di Bucciarati è solo una finta: ama giocare al gatto e al topo coi nemici, sta facendo lo stesso anche con lui. E Fugo non è un bambino. Ha compiuto la sua scelta, ne accetti le conseguenze.
Leone ha tradito una volta. Lo farà ancora. Che differenza farebbe?
Fissa il soffitto.
Non cambierà nulla.
Non riporterà in vita Marco. Non verrà riabilitato. Non sarà riaccolto in famiglia. Per il mondo sarà sempre, ancora, un paria. Per ciò che ha fatto, per chi è, per ciò e per chi ama.
Prima lo capisce, meglio è.
Otterrebbe solo l’odio di Bucciarati.
Chissà cos’ha visto in lui uno come Bucciarati, che agisce sempre per un motivo. Abbacchio vorrebbe capire quale.
- Tu credi in me e io non posso credere in te? -
Risponderebbe così, ne è certo. Che stronzata. Ma tanto, Abbacchio non intende porre la domanda. Il piano del leader non si discute, si esegue.
E quest’indagine, deve ammetterlo, lo spaventa.
Bucciarati rappresenta tutto ciò che Abbacchio odia. Ma, per le assurdità della vita, è anche colui che gli sta restituendo uno scopo. Una ragione, sia pure sbagliata, per alzarsi dal letto la maggior parte delle mattine, per non annegare definitivamente nell’alcool, per non riprovare a. Colui che lo apprezza. Che – per la prima volta dopo tanto tempo – ascolta tutto, anche i silenzi, e non giudica.
Bruno è l’unico ad aver visto l’altro segno sul polso di Leone e a non aver fatto domande.
E lui, nonostante tutto, gliene è grato.
Bruno quella cicatrice non l’ha commentata, mai, ma l’ha baciata un’altra notte, in cui le cose da dirsi erano troppe e il coraggio per dirle ancora troppo poco.

                                                                                                                         
Little star
feels like you fell right on my head
 
 
Malgrado l’esperienza personale, Leone Abbacchio è stato a lungo convinto della preminenza dei legami di sangue su ogni tipo di rapporto.
Non aveva ancora fatto i conti con le cerniere che Bruno Bucciarati crea nei luoghi e tra gli esseri più diversi.
Dovevano essere colleghi – e Dio solo sa quanto fa male questa parola. Eppure eccoli, giorno dopo giorno, attorno al tavolo di un ristorante che è una copertura a mangiare, sfottersi, mordersi le unghie quando chi è in missione è in ritardo, litigare, far pace, volersi bene.
Non farti smuovere.
Da un giorno all’altro tutto finirà e a lui resteranno solo echi con un timer in fronte.
Ma sono dei ragazzini. Alcuni nemmeno maggiorenni. E anche chi i diciott’anni li ha festeggiati da più o meno tempo, trascina immaturità che affondano le proprie radici in cose innominabili.
Abbacchio non pone domande perché non vuole gliene siano poste. Ma non c’è bisogno di chiedere: prima o poi tutte le storie emergono. Napoli è una metropoli e forse proprio per questo, se sai dove cercare, trovi.
Alle volte non serve neppure cercare. Basta attendere per scoprire che, mentre un dodicenne sognava le vacanze, un coetaneo accoltellava gli aggressori di suo padre.
Abbacchio non chiede. Non gli pare opportuno. Anche se sa che riceverebbe risposta – il capo parla, parla tanto con lui, e lui in un qualche modo riesce a parlare col capo. Anche se i silenzi tra loro non creano mai imbarazzi.
Ma vuole sapere. Cos’amava quel ragazzino ritrovatosi di colpo all’inferno? Qual era la sua materia preferita? Cosa voleva diventare da grande?
Bruno Bucciarati resta ciò che Abbacchio odia. E diventa tante altre cose – per Leone e per il mondo. Nei suoi rioni dicono che sia giusto. Che sappia mantenere l’ordine con equità. La gente lo adora – vecchiette, scugnizzi, ragazze. È gentile, disponibile, conosce i problemi della tal famiglia, sa essere comprensivo.
Eppure Abbacchio ha assistito alla sua furia. Alla determinazione che lampeggia feroce nel suo sguardo. Al suo sadismo.
Come può la stessa persona avere tante sfaccettature, essere cento in una. Bruno tiene assieme anche le parti di sé con le sue cerniere? Alle volte, Leone ha l’impressione che Bucciarati riservi a se stesso cerniere non tanto resistenti quanto quelle che assicura al prossimo. Che le sue siano cerniere arrugginite. Allentate. Destinate prima o poi a incepparsi – e quel giorno Bruno si accascerà, si romperà in frammenti minuscoli, schegge che esploderanno al cielo e feriranno chiunque sia sulla loro traiettoria.
Sulla traiettoria di Bruno Bucciarati.
È questione di istanti. Quando sente il nome Paolo. Quando passa una famigliola felice. Quando viene a sapere di ragazzini già distrutti dalla droga. Lo sguardo gli si perde appena verso l’orizzonte, ma è un secondo – così rapido che magari è solo immaginazione.
- Quel giorno dovevamo andare a fare la spesa, a casa erano rimasti solo mele e fagioli. Sono andato avanti con quelli per una settimana – il tempo di prendere coraggio e chiedere aiuto. Ecco perché non li mangio più. -
Se Bruno si aprisse il petto, ne verrebbe fuori un bambino con un coltello insanguinato.
Quel bambino non è scomparso.
Il fumo della sigaretta si alza piano, descrive ampie volute nell’aria. Il vento gli accarezza i capelli – seta scura che gli incornicia il volto.
Se domani tutto finisse, a Leone Bruno mancherebbe più del lecito.
Non voglio che finisca, prega tra baci che non si trattengono e gemiti che si perdono.
Il tempo si ripiega su se stesso – tutto è più confuso, tutto più chiaro.
Ti prego – non facciamolo finire.

 
Gave you away to the wind

 
I ragazzi dicono che Abbacchio sia fortissimo e pazzo perché, qualunque azione gli si richieda, la porta a termine, a qualunque costo. Lui alza le spalle. Ha sempre avuto paura di deludere, Leone – sotto strati di cinismo si nasconde ancora un ragazzino che trema in una divisa scura.
C’è troppo sangue – perché c’è tanto sangue?
Anche Bucciarati è pazzo e non perde occasione di dimostrarlo. Una volta si è diviso in così tante parti che Abbacchio ha seriamente temuto non si sarebbe ricomposto.
Non farlo mai più, avrebbe voluto urlargli. Un solo errore e tu…
E io?
Leone non sa rispondere. Sa solo che non può e, soprattutto, non deve. Non deve cercare di proteggere Bruno, che si difende benissimo da solo e calcola ogni rischio. Non è uno sprovveduto. Non c’è bisogno di gettarsi in sua difesa per gratitudine o per riscattarsi per aver ucciso Marco o il rapporto con Elena.
Elena. Sono trascorsi anni dall’ultima volta che ha sentito la sua voce, ma non ha smesso di pensarla. Il nome è uno squarcio su esistenze che non saranno mai. Come sta? Dove la sta portando la vita? Elena ha saputo. Ci sono state altre chiamate perse, dopo. Poi Abbacchio ha buttato il telefono.
Non si è mai pentito di non averle risposto.
- Perché? Tu la vuoi vedere. Posso… -
- No. Deve stare alla larga da questo mondo. -
- Non correrebbe pericolo. -
- Lo so. Ma le voglio bene, e proprio per questo non posso incontrarla. -
Bucciarati riprende parola solo dopo qualche istante.
- Elena è fortunata, – non concede il tempo di chiedere perché – Com’è? -
- Una gran rompicoglioni. Ma in gamba, e divertente, e bella. Alta. Capelli scuri, – sente la bocca dello stomaco contrarsi – Occhi neri. -
Bruno si allunga verso di lui. Assaggia la bugia sul suo volto e Leone deve sforzarsi di restare immobile – di non voltarsi a conoscere la lingua di Bruno, di non riempire di segni la sua pelle e bersi tutti i gemiti di quella bocca.
Di non ammettere che voleva questa reazione.
Se solo sapesse tutte le cose che hanno fatto assieme nella sua testa…
Bruno si umetta le labbra. Un sorriso malizioso gli carezza la bocca.
- Non ha gli occhi neri. -
Quel giorno le guance di Leone restano di fuoco a lungo.
Ha un tipo ideale. Che c’è di male? Lo aveva già prima di conoscere Bucciarati. Elena e chi l’ha seguita lo dimostrano.
Sono altre le cose importanti.
Come il fatto che, da qualche tempo a questa parte, il mondo ha ripreso i suoi colori. Il caffè ha ricominciato ad avere sapore. Alle volte note di una chitarra a lungo dimenticata riempiono di nuovo l’aria.
C’è stato un momento, non tanto lontano, in cui Leone doveva ricorrere al dolore per dimostrarsi di essere ancora vivo.
Ora, però, si sente vivo quando è con Bruno.
E per questo ha paura.
C’è una sorta di schema: finora Leone ha distrutto chiunque gli abbia teso una mano. E non c’è due senza tre, recita il detto.
Lascia perdere.
Per lui, e anche per te.
Si sta ritagliando a fatica un equilibrio precarissimo. Non deve rinunciarvi per niente e nessuno. Ecco cosa gli consiglierebbero Elena e anche Bucciarati stesso.
Non era un’impressione: essere sensibili e crescere da soli in certi contesti crea un insieme letale e Bucciarati non fa eccezione. Sarà anche un leader nato, ma nella vita privata è il caos, tra il lavoro in cui si immerge fino a dimenticare se stesso, parecchio sesso occasionale e un ex che a volte ritorna e che lui riaccoglie sempre.
Una volta Abbacchio lo ha visto, questo ex dai capelli di grano e la sigaretta appesa all’angolo delle labbra come James Dean.
Gli è stato sul cazzo a prima vista.
Lascia perdere.
Ogni volta che intercetta lo sguardo di Bruno su di lui, Leone alza il capo. E quasi ogni volta Bruno gli lancia un minuscolo, segreto sorriso.
Leone è egoista. Non vuole rinunciare al calore di quel sorriso.
Più i mesi passano, più Leone si sveglia pensando che oggi quel ragazzo si occupa tanto degli altri – in fondo occuparsi degli altri è facile, molto più facile che occuparsi di se stessi – aprirà gli occhi e capirà lo sbaglio fatto tirandosi appresso un ex sbirro incapace come lui, uno che non può neanche usare nei combattimenti.
Non è successo ieri, forse non sta succedendo oggi, ma succederà domani, o dopodomani, o non sa quando, ma succederà.
È speranza. È timore. È certezza.
Cosa può fare, lui, nell’attesa? Nulla. Può solo impegnarsi al massimo, dimostrargli che vale qualcosa, anche solo briciole, perché il suo Stand non sarà letale o infallibile o qualunque altra cosa utile a una gang, ma può ricordare – e nessuno meglio di lui conosce lo splendore e il dolore di questo prodigio.
Ricordare fa paura. Ma ricordare salva – fa rivivere gli errori, illudere che non si ripetano.
Ricorderà tutto di lui.
La prima volta che ha sentito il suo nome, la prima volta che i confini tra loro si sono dissolti.
La prima volta che si è reso conto di amarlo.

 
Us against the world
just a couple sinners makin' fun of hell

 
Non doveva andare a finire così. Non doveva proprio cominciare, a dirla tutta.
Ma, tra tutte le cazzate combinate, forse questa è la più condonabile.
Bruno dopo gli chiede di andarsene. Ha i capelli arruffati e le labbra gonfie e Leone pensa di essere l’uomo più fortunato al mondo se per una, una volta nella vita, ha l’onore di questa visione.
- Ti accompagno. -
- Non c’è bisogno. -
Poche ore dopo lo rincontra a Libeccio. Ha i capelli sistemati.
Leone torna a casa tardi anche quella notte. E quella seguente. E quella dopo, e quella dopo ancora.
Non si ferma mai. Non chiede di fermarsi. Non può – potrà mai? – chiederglielo. Forse è un bene. Dormire insieme è l’anticamera della tragedia.
Del resto, non stanno insieme. Si vedono quando ne hanno voglia. Quando lavorano insieme fino a tardi. Quando per lavoro restano lontani qualche giorno di troppo. Alla fine non si conta più il tempo che trascorrono assieme. Ma non stanno insieme.
Ragioni di opportunità – appartengono allo stesso team.
Ragioni di logica – sono a malapena capaci di prendersi cura di se stessi, figurarsi di un altro. E una relazione richiede maturità, non tentativi maldestri di ricucirsi tagli e colmare vuoti.
Se lo dicono. Bruno lo dice. Anche se poi si abbandona a lui e resta ore a perdersi nelle linee della sua mano.
- Se succede di andare con un altro, non fa niente.
Monosillabi unica replica, sì, ok, mhm.
Bruno ribadisce, forse anche più volte del necessario.
- Leone – va bene comunque. -
Leone smette di rispondere
Quanto costano certi silenzi, Cristo.
Ok andare con un altro, ma non con il suo ex. Con lui è finita per sempre, dichiara Bruno, un’ombra tra parole pronunciate troppo in fretta.
Abbacchio non si illude nemmeno.
Fosse qualcun altro, non sprecherebbe energie. Il problema è che non si tratta di uno qualsiasi, si tratta di Bruno – è assurdo che una persona che ha creato una famiglia abbia tanta paura di legarsi, anche se lo vuole, è ciò che più brama al mondo, e Leone lo sa, lo vede dal modo in cui Bruno lo attira a sé, e di chi sono davvero sono le ansie che disinnesca coi baci, sono di Leone o sono le sue?
Bruno promette di non promettere, sfugge e ritorna – una nebulosa che non si lascia fotografare nemmeno dagli strumenti più potenti. Lo guarda dritto negli occhi e Leone ci crede – in quei momenti c’è Bruno, non Bucciarati, e Bruno è sincero, anche se scapperà di nuovo, anche se avrà di nuovo paura.
Alle volte Abbacchio si impone di non farsi domande. I Portatori di Stand si attraggono a vicenda, a quanto pare in più di un senso, ma loro sono abbastanza adulti da godersi il momento con razionalità. Perché di questo si tratta – di un momento. Passerà.
Che marea di stronzate.
Entrambi conoscono la verità che non si può nominare.
E Leone sa che, in un mondo che gli ha voltato le spalle, una notte di pioggia si è accesa una luce. È quella la fiamma, non un accendino, che vuole custodire. Anche a costo di scottarsi.
Il modo in cui tremano insieme.
Non voglio sia solo per distrarsi.
Le loro dita intrecciate.
Con te non è per non pensare.
Non finirà bene.
Questa fame di te – non sono l’unico a provarla.
Eppure non sarà lui a farla finire.
Sai di casa.
 
If I keep you here
I'll only be doing this for myself

 
Oggi Bucciarati è pallido come non mai. Finge naturalezza, ma il mare nei suoi occhi è inquieto. Siede, la schiena dolorosamente ritta, ogni gesto così rigido che sembra stia per spezzarsi. Gioca col cibo nel piatto, lo spezzetta, lo sposta con la forchetta.
Quando gli altri vanno a vedere il gatto che Narancia ha trovato e che vuole assolutamente portare a casa di Fugo, Leone si avvicina a Bruno.
- Ehi. Che succede? -
Il più giovane non risponde. Cincischia ancora il cibo finché la forchetta non gli scivola tra le dita, un tonfo sordo contro la ceramica. Non la recupera. Continua a fissare qualcosa che solo lui vede mentre fa per scostarsi la frangia dagli occhi.
- Ho perso un fermaglio, – mormora piano, quasi non volesse farsi sentire.
- Non lo hai perso, – il sottinteso è chiaro anche se l’interlocutore è su un altro pianeta, Bruno annuisce, più a se stesso che all’altro – Passi a prenderlo dopo? -
Bucciarati alza lo sguardo. Sembra preoccupato. Perché?
- Leone, – lo chiama per nome, come fa solo quando sono soli – Tu che fai se scopri che…
Abbacchio resterà per mesi col dubbio circa la scoperta. Perché, tutto a un tratto, la tensione che indurisce i lineamenti di Bruno lascia il posto a qualcosa di nuovo.
Consapevolezza?
- No – s’interrompe – È una cosa stupida. -
- Dimmela lo stesso. -
Lo sguardo di Bucciarati, ora che è tornato al presente, è strano. È come se vedesse Abbacchio per la prima volta – stasera e nella vita. A essere sinceri, in questo momento non è una sensazione piacevole.
Il leader scuote nuovamente la testa.
- No, credimi. Grazie, ma non è importante, – imprime alle parole una convinzione che non trasmette.
- Va bene, ma ora sono curioso. Cosa faccio se-
- Stasera devo lavorare, – Bruno tronca ogni tentativo di ultimare la frase. Si alza di scatto e si mette il cappotto, gli dà le spalle, già pronto a uscire – Non passo. -
Lo sussurra appena, ma Leone lo sente benissimo.
 
 
La mattina seguente, è Fugo a distribuire i compiti.
Bucciarati, riferisce, è fuori Napoli. Polpo in persona gli ha affidato un incarico importante. Starà via un paio di giorni, forse anche di più. Devono cavarsela da soli – ne sono capaci. Giusto?
Giusto.
Quella sera, spinto da un sesto senso, Leone passa sotto casa di Bruno.
Dalla tapparella ancora alzata filtra luce.
 
I know this thing is broken

 
Bucciarati si fa rivedere dopo una settimana, tranquillo e sereno.
Lo stesso non può dirsi di Abbacchio, che ha trascorso gli ultimi giorni a macerare in quello che il mondo chiama catastrofismo e lui preferisce definire realismo.
La missione è andata bene. Ovviamente non può dire molto, ma sono un ottimo team, si stanno facendo un nome – guarda che noi non abbiamo fatto niente, una volta tanto Mista fa un’osservazione sensata, ma Bucciarati sorride, no, non si rendono conto del loro potenziale e altre minchiate simili.
Ad Abbacchio viene una grandissima voglia di scheggiare un altro dente a Bucciarati. Onde evitare, esce a fumare la quinta sigaretta in due ore che è sveglio.
La sua non tanto beata solitudine ha vita breve.
- Ciao. Come stai? -
Uno sforzo titanico non reagire al suono della sua voce.
Che succede cosa non mi hai detto perché mi hai mentito.
- Bene. Tu? -
Quella luce non era un errore tu non faresti mai una cazzata simile era un messaggio ma perché.
Bucciarati sospira. Da una delle sue mille zip invisibili estrae un foglietto accuratamente piegato.
- Ho avuto un po’ di pensieri per la testa. -
- Immagino. Oltretutto a te non piace stare lontano da Napoli, – lo provoca. Bucciarati sa che lui sa, ne è certo. Ma deve sentirglielo ammettere.
Perché? Cosa cambia? Che pretese puoi muovere?
Nessuna. Nessuna. Nessuna.
- Abbacchio – non c’è stata nessuna missione. -
A Leone viene quasi da ridere, non sa se per il sollievo o perché è completamente andato.
- Lo so – decide di ignorare di essere stato chiamato per cognome anche se nel vicolo non c’è nessuno – Mi chiedo solo perché mentire. -
- Avevo bisogno di stare da solo. -
- Questo non risponde alla domanda. -
(Invece sì, Leone. perché tu puoi capire cos’ho scoperto e come mi sento, ci sei passato prima di me. Ma se parlo riapro le tue ferite e ti metto in pericolo.)
- Abbacchio.
Dì il mio nome siamo soli dì il mio nome.
- Devi sapere una cosa su Elena. -
Abbacchio quasi si strozza con il fumo.
- Cosa? – mormora quando riprende fiato.
Bucciarati alza le mani, ma per mille motivi diversi il gesto non tranquillizza affatto l’uomo.
- Tranquillo, sta bene. Volevo solo avvisarti che fino a domenica è in città, – prosegue noncurante dell’altrui perplessità – Magari ti fa piacere incontrarla. -
- Non intendo… -
- … Non intendi metterla in pericolo. Lo so. -
- E allora perché me lo dici? -
Bruno non risponde. Apre e chiude più volte la nota che ha tra le dita. La compostezza sfoggiata prima, Abbacchio già lo sapeva, era una farsa.
Leone ripete la domanda.
Bruno gli pianta gli occhi in volto e una frase di lama in petto.
- Stasera vedrò il mio ex. -
Il cervello di Leone Abbacchio dovrebbe essere oggetto di studi approfonditi. Perché è incredibile, prodigioso, assolutamente stupefacente che, dopo simile dichiarazione, esso riesca a pensare, persino a compiere collegamenti.
Pone un’altra domanda, l’unica che risuona legittima in qualche anfratto ancora speranzoso della sua mente.
- Lavorate assieme? -
- No. L’ho cercato io. -
Oggi in Passione non esiste team più inutile della Squadra Esecuzioni.
Un angolo delle labbra di Leone si piega.
- Finita per sempre, giusto? – ancora una volta, nessuna risposta. Per assurdo, è l’assenza di reazione a indispettirlo – Ma che cazzo domando a fare. Tu ti racconti le cose e ci credi. Anzi, peggio – ci ho creduto pure io. -
Il più giovane incrocia le braccia al petto, la fronte corrugata.
- Abbiamo subito messo in chiaro le cose. Te lo sto dicendo per correttezza, ma sai da sempre che mi ritengo libero. Devi farlo anche tu. -
Come se lui non volesse ritenersi libero, come se non avesse maledetto cento volte questo laccio al cuore.
- Ti rendi conto che non è semplice? -
Bruno si rabbuia.
- Perché? Perché non è semplice, perché fai così? Puoi avere chiunque, t-
Se ormai i veli sono caduti, perché mantenere questo – l’ultimo, il più estremo?
- Io non voglio chiunque. -
Una frase che assottiglia l’aria, rende difficile respirare.
Per la prima volta, Bruno scosta lo sguardo. Deglutisce.
- Non ti ho promesso niente. -
Almeno ora che è finita, lui sa.
Un’improvvisa, inopportuna ventata di orgoglio si accende nel petto di Abbacchio.
- Non ti ho chiesto niente. -
Bruno avvicina. Troppo vicino, ché Leone quasi teme – spera – che lo baci lì, all’aperto, dove non c’è anima viva, ma magari ci fosse una folla a testimoniare che loro sono, per sempre, per poco, ma ancora.
Bucciarati gli afferra una mano. Gli schiude a forza il pugno, vi lascia scivolare la nota.
- Il nuovo numero di Elena. Fa’ che vuoi. -

 
You and my guitar
I think you may be my only friend.
 
Il foglietto è finito nella spazzatura.
Moody Jazz potrebbe recuperare il numero in un istante. E forse Abbacchio dovrebbe permetterselo. Sarebbe il modo perfetto di mandare affanculo Bucciarati, come a quanto pare questi tanto desidera.
È una tentazione leggera – solletica la mente, ma non si sofferma. Il pensiero, semplicemente, non è. Vuole troppo bene a Elena per contattarla, ma se pure la sua codardia lo facessero cedere, incontrarla o usarla per vendicarsi sarebbero fuori discussione.
Stasera Bucciarati…
Abbacchio non ci vuole neanche pensare.
Ha sempre saputo come sarebbe finita. Ma anche per un una medaglia olimpica di pessimismo un conto è pensare che una cosa succeda, un conto vederla succedere.
Bruno non lo ha mai illuso, vero. È stato lui a costruirsi castelli in aria, a vedere cose che non evidentemente erano.
La sua è stata una reazione infantile. Avrebbe dovuto augurare buona serata e tornare a casa, rinchiudersi e non uscire per i successivi dieci giorni. Cosa che comunque è nei suoi programmi: come farà a lavorare con Bucciarati – il suo capo, porca puttana, il suo capo – dopo avergli fatto una piazzata da adolescente geloso?
Il suo capo. Il suo salvatore. Il suo migliore amico. Ci sono tanti modi diversi per descrivere Bruno Bucciarati, tutti corretti e tutti sbagliati. Ce n’è un altro, poi, che li include tutti, ma che a quanto pare vale solo per Leone, come del resto Bucciarati sottolineava con le parole.
E contraddiceva coi gesti.
Leone Abbacchio non è sorpreso da se stesso. Sa benissimo che, se non sta già bevendosi anche l’anima, è solo perché non ha ancora realizzato appieno. Quando – tra un’ora, un giorno o una settimana – si volterà e vedrà sul comodino un fermaglio dorato, capirà che l’ennesima stella della vita si è eclissata.
Amicizia, carriera, amore. Se istituissero un Nobel per i fallimenti, Abbacchio lo vincerebbe ogni anno.
Steso sul letto, carezza inconsciamente le due cicatrici sul polso. Si sofferma sulla più recente. Bruno ha fatto in modo di lasciare più di un memento di sé. Grazie, come se ce ne fosse bisogno.
Perso nelle sue elucubrazioni, Abbacchio non si rende conto subito che stanno bussando. Contempla l’idea di fingersi fuori casa: per esperienza intuisce l’identità del visitatore e stasera non è proprio dell’umore.
Ma, eccetto i colpi alla porta, c’è troppo silenzio. Narancia, Fugo e Mista si sarebbero fatti riconoscere già salendo le scale…
Lo coglie l’atroce sospetto che Bucciarati gli abbia mandato Elena.
Continuano a bussare. Se Elena sapesse che è lì, gli starebbe già urlando di uscire. E se non lo sapesse, non insisterebbe tanto. Bruno non va tanto per il sottile quando deve convincere qualcuno a fare qualcosa, ma non arriverebbe a minacciare lei, non fosse altro per correttezza nei confronti del sottoposto.
Restare lì non svelerà il mistero. Male che vada, sbatterà la porta in faccia al disturbatore. Tanto, peggio di così…
Non sono i suoi compagni di squadra – buon per loro.
Non è Elena – ma Leone non si sente sollevato.
Perché sulla porta di casa, c’è Bruno Bucciarati.
Sta tremando – e Leone vorrebbe fregarsene, sbattergli davvero la porta in faccia e lasciarlo lì, come Bruno (non) ha lasciato lui, a sbrogliarsi da solo dai problemi che ha voluto crearsi.
Vorrebbe voltare le spalle e non sbirciare, perché che Bruno lo segua o meno non è più affar suo, potrebbe ricadere nelle tenebre o rivedere le stelle, a lui non importerebbe.
Vorrebbe tante cose Leone, tante, ma di persone ne vuole una e una sola, la stessa che ha di fronte e ha gli occhi rossi ma non piange, Bruno non piange mai anche se dentro sta morendo, Leone dovrebbe saperlo, e Bruno lo guarda e parla, e Leone pensa che tutti gli anni che gli restano, siano uno o cento, li vuole trascorrere così, con questo sguardo azzurro addosso e questa voce nelle orecchie, e Leone può rivivere questo momento all’infinito, ma non sarà mai bello come ora, come Bruno che lo guarda negli occhi e trema, sì, ma è il suo corpo a tremare, non la sua voce.
- Non posso. Leone – non posso. -

 
Se il destino è scritto e nulla si può fare per sfuggirgli,
allora ogni cosa lo ha
– li ha –
condotti qui.
 

Leone Abbacchio è sveglio da poco. Dinanzi ai fornelli, fissa la caffettiera come se lo sguardo potesse accelerare l’uscita del caffè.
Prima che possa impedirselo, gli torna in mente la notte appena trascorsa.
Ha avuto cento volte la pelle di Bruno sotto le dita. Ma stavolta non ci sono state ombre.
Solo luce su luce.
Sospira. Rivivere certi momenti gli fa solo desiderare replicarli. E non c’è nulla di male, ok, ma prima bisogna parlare. Questa relazione non ha contorni chiari, ma se vogliono possono tracciarli insieme.
E se non vogliono…
Abbacchio si passa le mani sulle braccia per riscaldarsi. Quest’inverno sta facendo un freddo porco. E Bucciarati dorme mezzo nudo, ha scoperto stanotte.
Leone si concede un mezzo sorriso.
Anche Bruno vuole disegnare quei contorni. Lo ha dimostrato presentandosi da lui e non da altri.
Come evocato dal pensiero, Bruno compare.
- Ehi, – Abbacchio lo saluta – Il caffè è quasi pronto. -
Bruno annuisce dalla soglia della cucina. All’improvviso, si avvicina a grandi falcate e abbraccia Leone alle spalle. Lascia scivolare le braccia sotto la vecchia maglietta e lo stringe a sé – forte, più forte, come a sentire il battito del suo cuore.
Non ha più senso nascondere che ogni tocco, anche il più casuale, fa correre il sangue nelle vene.
Bruno riposa la testa contro la sua schiena e respira forte.
 
Nel silenzio, pronuncia due parole.
 
E l’inverno è solo un concetto.
 
I gave it all to see you shine again,
I hope it was worth it in the end.
 


Qui la colonna sonora (Elliot’s Song – Euphoria 02x08, di Dominic Fike, Zendaya e Labrinth)
 
 
 
 N.d.A.: …La mia intenzione era pubblicare il 25, ma dai, siamo lì.
Perdonate il ritardo nella conclusione della raccolta: tra gli impegni quotidiani e il clima generale, il tempo e l’ispirazione non sono dalla mia. Questo non è il mio miglior capitolo e le mie storie non brillano per originalità, ma spero comunque che vi facciano evadere per qualche minuto – e spero anche di non essere andata super OOC come temo. Mi raccomando, commentate senza pietà!
Ringrazio chi ha letto, recensito e/o aggiunto a una lista la raccolta. Il vostro sostegno non smetterà mai di stupirmi ed emozionarmi. Siete degli splendori, lo ripeterò oggi e sempre.
Una menzione speciale ad Atharaxis: alla fine ho fatto di testa mia, ma tu sai. Grazie di vero cuore e sempre abbasso/viva/abbasso l’ex dai capelli di grano.
Sono anche su Twitter, Tumblr e Ao3, dove pubblico le traduzioni; qui, invece, la playlist BruAbba, in continuo aggiornamento.
Grazie per aver letto fin qui e a presto, spero! ♥♥♥
Euridice100
 
 
 
P.S.: NON SI RIPUBBLICANO LE STORIE ALTRUI SENZA PERMESSO E SENZA I DOVUTI CREDIT.
   
 
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