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Autore: Ivy001    28/03/2022    1 recensioni
RIECCOMI CON UNA NUOVA FANFICTION, STAVOLTA DAI TRATTI DI UN VERO E PROPRIO GIALLO, CON LA SPARIZIONE DI UNA DONNA E LE INDAGINI CONDOTTE DA ISPETTORI CHE ERAVAMO ABITUATI A CONOSCERE CON I PANNI DI RAPINATORI. SPERO VI PIACCIA. ATTENDO DI SAPERE COSA NE PENSATE PERCHE’ QUESTO MONDO CHE RACCONTO NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA TRAMA DE “LA CASA DI CARTA”
BESITOS A TODOS
Genere: Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bogotà, Il professore, Nairobi, Palermo, Raquel Murillo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Santiago, supportato dalla ribelle delle Farfalle, si appresta ad affrontare la gitana.

Prima di farlo, su suggerimento della giovane, trova una scusa buona per attaccare bottone.

“Andrai alla grande, fidati” – afferma, convinta, Silene, entusiasta del consiglio datogli.

L’uomo bussa alla porta, raccogliendo il coraggio, dopo un bel respiro profondo, e aspetta.

Nairobi, convinta si trattasse della migliore amica, avendo udito un vociare femminile, apre senza la minima esitazione.

“In bocca al lupo” – sussurra Tokyo all’ispettore, negli attimi precedenti, dandosela poi a gambe.

Agata si trova, allora, faccia a faccia non con la sua socia, bensì con il padrone di casa.

Alquanto sorpresa, mantiene le debite distanze, non intenzionata a cedere, come prima, alla debolezza emotiva.

“Cosa succede? Se si tratta di quanto accaduto poco fa, ti prego, Santiago, dimentichiamolo. Possiamo resettare e far finta di nulla? Io ti chiedo scusa se ho avanzato proposte eccessive, tu però…” – la gitana comincia una specie di monologo fatto di puro ed evidente nervosismo; questo accade perché lei sospetta il motivo per cui Lopez si trova adesso lì.

“Aspetta, frena…frena” – la zittisce lui, indicandole cosa ha con sé – “Io sono qui per consegnarti questi, non per altro!” – spiega, cedendole due buste di cartone di grandi dimensioni.

“Cosa significa?” – chiede la mora, constatando che all’interno di quei sacchetti ci sono alcuni abiti.

“Beh, ho pensato che vi sarebbe stato utile cambiare vestiti. Questa roba apparteneva a mia madre, ad alcune sue domestiche, e varie cugine che erano solite trascorrere le estati qui”

“Oh, non so cosa dire…sei molto gentile” – risponde lei, imbarazzata di averlo, in qualche modo, attaccato, pensando chissà cosa. In realtà, Lopez voleva solo offrire ulteriore ospitalità, perfino cedendogli dei panni di seconda mano.

“Tokyo ha già ricevuto la sua parte, spero vi calzino bene. Per la fisicità della tua amica, penso basti la roba della giovane cameriera, magra e bassina”

“Tranquillo, anzi. È già tanto quello che fai per noi; io me li farò andare bene” – sostiene Nairobi, tirando fuori una maglia e un pantalone di tuta nero. Da quanto tempo sognava di poter coprire il suo corpo, mascherando dei difetti che non ha mai apprezzato di se stessa.

E invece ha dovuto muoversi dentro top attillati, minigonne, calze a rete o peggio.

Finalmente è libera di mettere su qualcosa di comodo e non appariscente.

“Appena possibile ve ne comprerò di nuovi” – aggiunge Santiago.

E tale premura fa commuovere la gitana che, non distogliendo gli occhi dal capo che ha in mano, lo ringrazia timidamente. Più passa il tempo, più quell’ispettore la stupisce in positivo.

Mentre tira fuori, uno alla volta, gli indumenti, sistemandoli nell’armadio e nei cassetti, si accorge di un abitino a fiori decisamente minuscolo per la sua fisicità.

Il quarantaduenne, riconoscendone l’appartenenza, confessa - “Ops, scusami, nelle buste deve esserci finito, per caso, un vestito di una delle mie figlie”

“Figlie?” – chiede, Nairobi, stupita della confessione.

“Si, mia mamma era solita comprarne svariati, sperando sempre di vedere una delle sue nipoti femmine indossarlo. Peccato, questo è rimasto qui. Credo fosse destinato a Hanna” – spiega, riuscendo, in tale modo, a tirare fuori l’argomento prole.

Argomento che attira l’attenzione della gitana.

“Non avrei mai scommesso su una tua paternità” – precisa la zingara, piacevolmente colpita.

“Beh, e invece sì. Ti stupirò dicendoti che ne ho addirittura sette?!”

“Cosa?” – esclama, scioccata – “Non può essere”

“Lo è! Guarda” – come fatto in precedenza con Tokyo, tira fuori dal portafoglio ben sette fotografie ritraenti i suoi eredi, presentandoli uno ad uno: tutti di diversa nazionalità, tutti avuti da donne differenti.

Seduto sul letto, l’ispettore si racconta, portando, spontaneamente, Nairobi a fare lo stesso.

“Sarebbe bello averli qui con me, però…” – respira profondamente, buttando fuori l’aria, liberandosi di un peso che custodisce da tempo, e poi precisa – “ … sono un padre sciagurato, un padre di merda che ha preferito crescessero con le madri, tirandosi indietro”

“Non si nasce genitori, si sbaglia, si cade, ci si rialza, l’importante è provarci”

“Tu scommetto che sei stata una mamma perfetta per il tuo bambino”

Ma quel richiamo ad Axel rabbuia Nairobi, che sprofonda nei ricordi di un doloroso passato.

“Per mio figlio ho fatto di tutto, qualsiasi cosa, non mi sono mai arresa. Ho provato a dargli il meglio. Ma la vita mi ha sputato in faccia. Ad oggi, proprio come te, sono una persona con il cuore a metà e la mente fiaccata dal pensiero del mio cucciolo”

Santiago la osserva, sentendosi in colpa nel tenerle nascosto un dettaglio essenziale circa Axel.

Combattuto se raccontarle o meno il fatto accaduto a Lisbona, Lopez evita l’argomento a causa della successiva domanda di Agata che lo porta a centrarsi su se stesso.
“Da quanto non vedi i tuoi figli? Saranno grandi adesso”

“Dalla morte di mia madre” – spiega, incupendosi.

Anche la gitana, amareggiata, si zittisce, dispiaciuta di aver evidentemente aperto una ferita ancora sanguinante.

“Perdonami, non volevo…”
Lui riprende - “…non li vedo da quando ho deciso di isolarmi dal resto del mondo, concentrandomi solo ed esclusivamente sul lavoro… da quando la mattina del mio compleanno, ho trovato un biglietto sul tavolo che diceva “La signora Leticia è in ospedale. Ha avuto un malore”. La mia domestica era molto amica di mia madre e la seguiva come fosse sua figlia. Così mi recai in ospedale. Il medico fu chiaro sin da subito: da un tumore al cervello difficilmente ci si salva. Passai nottate in bianco, a sentirla gridare di dolore, a vederla consumarsi, indebolirsi e spegnersi sempre di più. Per una leonessa come lei, è inaccettabile placare la grinta e la fame di vita”

“Doveva essere una gran donna, la tua mamma”

“Lo era assolutamente!” – commosso al ricordo della persona più importante della sua vita, Lopez nasconde il viso tra le mani, non intenzionato a rivelare quella debolezza.

Ma di fronte a tale dolore, Agata non riesce a mantenersi fredda.

Istintivamente, la zingara si avvicina all’uomo e lo tira a sé.

Il quarantaduenne si accovaccia al petto di lei, sentendo quel calore materno che gli è tanto mancato negli anni.

La gitana lo stringe, gli accarezza i capelli, e sembra coccolarlo, come era solita fare con Axel.

Nessuno dei due ha la forza di parlare o anche solo di guardarsi negli occhi.

Ciascuno preso dai rispettivi ricordi e dolori, cede al pianto.

E dopo aver trascorso svariati minuti stretti l’una all’altro, senza rendersi conto dello scorrere delle lancette sull’orologio, è la donna a rivelare un dettaglio del suo passato.

“Io ho sempre odiato la solitudine. Ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza convinta di essere sola, poco amata, di essere perfino un intralcio per i miei genitori. Così mi sono rimboccata le maniche, a tredici anni ho iniziato a lavoricchiare. Ero poco più che una bambina. Aiutavo una vecchia sarta a sistemare abiti di seconda mano. Nel mio barrio si faceva la fame. Una sera, stavo rientrando, e mi accorsi di un vociare e di musica. Proveniva da un accampamento poco distante casa mia. Fu allora che mi innamorai del flamenco. Da quel momento in poi, mi recavo lì, a fine turno per guardare il ballo di quella signora, per me magica. La ricordo ancora oggi, bellissima e dolcissima. Una sera mi beccò, sai?”

“E cosa successe?” – chiede, curioso di conoscere la vita di Agata, appassionato al suo modo di raccontare. Non la sta guardando in volto, ma stretto al suo petto, avverte l’accelerazione del battito cardiaco, segno di una forte emozione attivatasi al ricordo di qualcosa che la rendeva libera. E non esisteva altro di meglio per Nairobi se non la libertà.

“Beh, mi prese sotto la sua ala protettrice. mi chiese di partecipare, di provare a danzare con lei e le sue alunne. Era una danzatrice in piena regola. Per noi del barrio, averla era un lusso. Nessun altro quartiere gitano, vantava la presenza di una professionista. Si chiamava Alba, ed è stata seriamente, per me, l’alba di un nuovo giorno. Ho scoperto tanto di me. Mi regalò un suo abito…”
“Quello che hai indossato quando ti ho vista ballare?”

“Già” – risponde, giocherellando con i capelli dell’ispettore – “Però i miei scoprirono il fatto e mi impedirono di frequentarala”

“E perché mai?”

“Era impensabile per una ragazzina come me tornare a casa a tarda ora, e danzare in quella maniera, istigando uomini di ogni età… mi ripetevano questo, però io sapevo benissimo le vere ragioni. Loro non avrebbero mai permesso che io mi guadagnassi un posto nel mondo, in quanto donna. Per loro dovevo sposarmi, fare figli, restare a casa, crescerli…”

“Nairo, ora intuisco come mai avverti, con forza, questo desiderio di libertà”

“Io odio essere chiusa in gabbia. Odio che mi venga imposto di fare qualcosa. Sì, sarò una farfalla, ma una farfalla che cerca di volare lontano, e non una farfalla che viene catturata per essere messa in bella mostra affinché qualcuno possa tirarle via le ali per sempre!” – la confessione, nuda e cruda, di Agata dà a Santiago la chiara conferma della forza insita nella gitana e di quanto, proprio tale forza, gli abbia fatto perdere la testa per lei.

“Sei un vulcano, lo sai? Non ho mai conosciuto nessuna speciale come te!” – le dice, riuscendo a lusingarla senza apparire un playboy.

“Le regole di casa mi hanno limitata nella vita. Addio flamenco, addio lavoro, addio tutto. Avevo pronto per me un promesso sposo a cui, a detta dei miei, avrei dovuto sottostare a vita”

“Cazzo, è inaccettabile che esistano ancora condizioni simili”

“Purtroppo, sì. Ed essere genitori, non è mai facile, specialmente in contesti come quello dove sono vissuta”

Segue silenzio. Un silenzio interrotto dal prendere parola di Lopez.

“Io invece ho avuto un padre del tutto invisibile, sono cresciuto con mia madre e la sua domestica del cuore. E sai perché mi considero un padre di merda? Perché ho seguito le orme del mio”

“Puoi riscattarti, cercando di riallacciare i rapporti con i tuoi figli. Non tutto è perduto. Non so, magari pian pianino, prova a rientrare nelle loro vite”

“È dura, quando hai delle ex pronte a sbatterti la porta in faccia”

La questione Axel, di cui Nairobi ancora non fa cenno, viene toccata, delicatamente, dall’ispettore, desideroso di saperne di più. E così’ torna sulla faccenda della zingara.

“Com’è finita poi con i tuoi genitori? Perché, scommetto che, avendo avuto un bambino, ti sarai sposata come loro prevedevano, no?”

La gitana scuote il capo. Slega le braccia dal collo dell’ispettore, che aveva stretto a sé fino a pochi istanti prima, e solleva lo sguardo.

Finalmente trova la forza di guardarlo negli occhi e mettersi a nudo – “Sono rimasta incinta a ventitré anni, di un uomo che mi promise le stelle, ma si rivelò tutt’altro”

Il volto stranito e confuso del quarantaduenne porta Agata ad andare nel dettaglio – “Ero vogliosa di trasgressioni. Basta regole, basta no, basta imposizioni familiari. Così una notte, con delle amiche, siamo andate in discoteca, qui a Madrid. Io, sì, ero promessa in sposa a un tizio, che conoscevo appena. Però me ne fregai. Mentii ai miei dicendogli che avevo un appuntamento proprio con questo presunto fidanzato. Invece lì conobbi un giovane di bell’aspetto. Lui mi offrì da bere, mi lusingò e riempì di attenzioni tutta la serata. Fui io a baciarlo, in pista. E di certo non mi limitai al bacio a stampo” – mentre racconta, le sue guance si colorano di rosso acceso, come se, al solo ricordo, avvertisse quello stesso calore fisico.

“Ehm… ok, quindi lo avete fatto e sei rimasta incinta, penso di aver intuito” – taglia corto l’uomo, alquanto infastidito dall’idea che qualcuno potesse toccare Nairobi e potesse baciarla come stava sognando lui di poter fare.

“No, non quella sera. Trovai varie scuse per uscire di casa. Ci vedemmo per un mese intero. Quando rimasi incinta, quello stronzo aveva già lasciato la Spagna con la sua mogliettina”
“Cosa? Cazzo, era sposato?”

“Si, di lui non ho saputo nulla, tantomeno voglio saperne. Axel, mio figlio, fu ciò che mi rimase. Probabilmente la sola cosa bella fatta in vita mia. I miei si infuriarono. Mi chiusero in casa settimane, contrattarono con la famiglia del mio promesso sposo. Insomma, alla fine mi obbligarono ad abortire”

“Aspetta, aspetta, aspetta… ma voi zingari non siete contrari a...?”

“Appunto! Io mi rifiutai. Presi uno zaino, poca roba, e andai via. Lì cominciò il mio calvario”

“Fu allora che hai trovato il Mariposas?” – esclama scioccato il quarantaduenne. Facendo due conti, Nairobi vivrebbe quell’inferno da ben dieci anni?!

“Quel locale fu la mia salvezza, per i primi anni. Mi venne promesso che, se avessi rispettato le regole di convivenza civile, sarei potuta rimanere per un po', ben tutelata. E ti giuro che fu così. Partorii tra quelle mura, poi le cose cambiarono. Ho tenuto Axel con me per tre anni, poi mi fu tolto”

“E come mai? Che vuol dire che le cose cambiarono? Ci fu un cambio gestione? Qualcuno ti ha minacciata togliendoti il piccolo?”

Davanti a così troppe domande, Agata non si sente più a suo agio e una conversazione nata con naturalezza assume i toni di un interrogatorio.

È lei, così, a chiudere, alzandosi dal letto – “Direi anche basta, adesso! Pensavo ci stessimo raccontando”

“Lo stiamo facendo”

“No, che stupida che sono! Hai trovato un modo per farmi parlare? Cosa volevi? Notizie su quanto mi è accaduto?”

“Ti prego, non prendertela, non volevo ferirti”

Cerca in ogni modo di ristabilire la sintonia di poco prima.

E mentre Agata, muovendosi confusa e agitata, nella stanza, non è intenzionata a cedere, l’ispettore aggiunge – “Vorrei che tu sapessi una cosa importante”

Ma la gitana non replica, sembra piuttosto ignorarlo.

“Ascoltami… io per te sono disposto a tutto…ho perfino deciso di usare un nome di città…”

Tali parole fanno ridere la donna – “Hai voglia di prendermi in giro, adesso?”

“No, non lo farei! Ti amo troppo per giocare con i tuoi sentimenti”

Un Ti amo, pronunciato senza consapevolezza, spiazza, definitivamente Nairobi.

“Cosa mi hai appena detto?”-  gli chiede di ripetere.

Basta freni…Santiago con una forte morsa allo stomaco si espone in tutto e per tutto – “Mi sono innamorato di te! Ti amo e voglio averti nella mia vita, non mi importa se ci saranno difficoltà, problemi insormontabili, me ne fotto. Io ti voglio, sogno di averti di fianco a me ogni mattina, quando apro gli occhi; sogno di baciarti ogni sera prima di andare a dormire; sogno di fare l’amore con te, in ogni dove; di accarezzarti; di sussurrarti quanto mi fai stare bene… Nairobi, sei la donna che aspettavo da tutta una vita. Ti prego, non alzare muri, di nuovo!” – una confessione in piena regola, carica di sentimento, di pathos, e di lacrime.

Molte lacrime.

Lacrime che uno schivo come Lopez ha sempre evitato di mettere in mostra.

La sua sincerità traspare dagli occhi, dal movimento del suo corpo, dalle espressioni del suo viso.

Ciò è la prova che Agata cercava. Trattenuto il pianto troppo a lungo, la donna crolla.

Si avvicina, lentamente, all’ispettore.

La sua espressione tesa si rilassa, e un sorriso radioso le si disegna sul volto.

Accarezza il viso del compagno, asciugandolo teneramente, adagiando poi la sua fronte su quella di lui, il quale, a sua volta, non riesce a toglierle gli occhi di dosso.

“Mi credi se ti dico che stavolta hai toccato il tasto giusto?” – sussurra lei, abbassando ogni difesa.

Appoggiandosi ad una parete, lo tira a sé e i due, finalmente, si scambiano il bacio tanto atteso, un cercarsi e incontrarsi, una fiamma che divampa.

Avevano già sperimentato l’unione carnale. Ma di amore c’era ben poco… adesso invece quello che provano è dettato dal cuore.

E quando entrambi sono pronti al passo successivo, che viene vissuto in piena spontaneità, è proprio Agata a dare conferma dei suoi di sentimenti.

“Accidenti, ispettore, ci sei riuscito, sai?”

“A fare cosa?” – chiede lui.

“A farmi innamorare di te!” – ridacchia, imbarazzata.

Spiazzato da tali parole, Lopez sente di toccare il cielo con un dito.

Vivere quel momento così intimo gli restituisce la fiducia nella vita.

Esiste davvero, come diceva anche sua madre, una persona per l’happy ending – “A proposito..” – precisa, quando ormai esausti, si tengono stretti, a letto, coperti dal solo lenzuolo bianco – “Ti avevo detto che ora ho un nome di città anche io”

“E quale sarebbe?” – domanda, incuriosita, guardandolo con una luce diversa nello sguardo, come una ragazzina alla prima cotta.

“Bogotà!” – rivela lui, accarezzandole, delicatamente, la schiena nuda. Che rabbia vedere quei lividi e non poter sapere cosa le è accaduto.

Però attenderà, non ha altra scelta. Adesso che Agata ha aperto il suo cuore, troverà anche la forza per far venire a galla tanti segreti.

Entusiasta della scelta, la gitana conclude – “Bella scelta, allora da adesso in poi, sappi che non sarai più Santiago l’ispettore. Sarai solo e semplicemente il mio Bogotà”

I momenti successivi sono dedicati alla scoperta del loro amore, al viversi, all’accettare di esserci l’uno per l’altra.

E questo, per Nairobi, è un nuovo inizio. I lividi sul suo corpo, le ferite del suo cuore, possono diventare ricordi da cancellare. E lei lo sa bene…oggi solo il suo uomo e l’amore nei suoi confronti l’aiuteranno su questa strada.  

   
 
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