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Autore: FreddyOllow    29/03/2022    0 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Kevin si diresse lungo il corridoio e si fermò poco prima di raggiungere la porta bucherellata. Dietro si udiva uno zampettare frenetico. "I Lickers devono essere ancora all'interno..." Poi i pensieri andarono a Pete e Kate. Forse le creature non avevano preso i loro corpi. Magari erano ancora là. Aggrottò la fronte e tornò indietro, affranto. Chiuse la doppia porta del corridoio e ci trascinò contro tre panche. Poi prese l'ascia antincendio da una parete e la bloccò tra le maniglie della doppia porta.
Non sapeva se la porta avrebbe retto all'impeto dei Lickers, ma non era quello a preoccuparlo tanto. Doveva sbarrare tutte le finestre del primo piano, ma sarebbe stato impossibile farlo senza fare rumore.
Si allontanò. "Forse è meglio sigillare l'accesso all'intera ala ovest." Svoltò l'angolo e proseguì lungo il corridoio per un momento. Quando arrivò negli uffici, chiuse la doppia porta e si avviò nell'ufficio del tenente. Megan, Elliot e Nick erano seduti sul divano. La donna aveva gli occhi rossi iniettati di sangue e guardava un punto nel vuoto.
Elliot si alzò. "Kev! Dove sei stato?"
"Dobbiamo andarcene da qui. Torniamo nella hall."
"Che succede? Nick mi ha detto che..."
"Ci sono i Lickers. Non so se arriveranno anche qui, ma non voglio scoprirlo. Nell'atrio saremo al sicuro."
Nick lo guardò. "Quelle cose possono entrare dalla balconata interna. L'unico posto sicuro è dove non ci sono porte e finestre."
Kevin incrociò le braccia. "Quindi da nessuna parte?"
La recluta annuì.
"Per adesso non hanno mai cercato di entrare nell'atrio e poi nell'ala ovest sono entrati solo per..." Lanciò uno sguardo a Megan e si zittì.
"Per?" chiese Elliot, perplesso.
"Non importa. I Lickers sono qui vicini, quindi andiamo nell'atrio."



 

Chung prese il medkit dalla reception e corse da Marvin. "Tieni, c'è tutto."
Il tenente aprì la scatola, prese lo spray disinfettante e ne spruzzò un poco sulla ferita.
Liah gridò dal dolore.
Tania l'abbracciò in lacrime. "Mamma..."
La madre le sorrise. "Non guardare. Allontanati. Vai con Rita."
La bambina prese la mano di Rita e si allontanarono verso la statua. La donna la fece sedere. "Tua madre è una donna forte, una guerriera. Non preoccuparti."
Tania abbassò lo sguardo, rattristita. "Perché il signore con i capelli rossi la voleva uccidere?"
Lei non sapeva cosa risponderle. Non poteva dire a una bambina la verità. Forse non l'avrebbe capita o l'avrebbe elaborata a suo modo. "Vuoi vedere una cosa?"
La bambina la fissò con fare curioso. Annuì.
Rita le prese per una mano e la condusse alla reception. Aprì un cassetto e prese qualcosa. Si voltò, le mani dietro la schiena. "Indovina cos'è?"
Liah cacciò un urlo di dolore. Tania si girò nella sua direzione, terrorizzata.
"Ehi, Tania" disse Rita con un sorriso. "Non avere paura. Marvin la sta medicando. È pratico di queste cose."
Lei non capiva. Come poteva aiutarla se stava facendo gridare sua madre?
Rita se ne accorse. "Cos'ho in mano?"
La bambina si accigliò, pensierosa. "Mmmh... non lo so."
Le sorrise. "Fai un tentativo."
Ci rifletté per un momento. "Cioccolato! No, no, caramelle? Oppure... biscotti!"
Rita scosse la testa con un sorriso.
"È qualcosa che si mangia?"
Scosse la testa.
"È un giocattolo?"
"Una specie."
"È bello?"
"Non lo so. Questo dipende da te."
"È una barbie?"
Rita scosse la testa.
"È una macchina?"
Scosse la testa.
"È un animale?"
Annuì.
Liah lanciò un altro urlo. Tania si voltò.
"Tania, guardarmi. Devi ancora indovinare, ma sei molto vicina."
La bambina spostò lo sguardo sul pavimento, poi alzò la testa. "È un portachiavi? Un ciondolo?"
Rita sorrise. "Esatto! Bravissima!" Glielo porse. "Ora è tuo."
Tania sgranò gli occhi per la felicità. "È un cane! È bellissimo! Io sul mio zaino della scuola ho un castoro, un procione, un coniglio e..." Si accigliò, pensierosa. Non ricordava il nome dell'animale. Poi alzò gli occhi. "E una tattaluga."
"Una tartaruga?" chiese Rita.
"Sì, quella con il guscio." Si raggirò il ciondolo tra le mani. "Perché era in questo cassetto? Non ti piaceva?"
Rita non sapeva cosa risponderle. "L'avevo dimenticato qui."
Tania baciò la testa della tartaruga. "Poverino, tutto solo nel cassetto. Ora non sarai più solo. Quando ritorneremo a casa, ti farò conoscere i miei tre amichetti! Sono divertenti. Ti piacerà stare con loro!"



 

Johnson bussò alla porta. Attese per un momento. Bussò di nuovo. "Sono io, Johnson!"
La porta si aprì. Irons era dall'altra parte con fare guardingo. "Ti credevo morto."
Johnson entrò e si chiuse la porta alle spalle. "Beh, ci è mancato poco."
Irons si fermò dietro la sua scrivania, si versò due dita di Whisky e lo mandò giù tutto d'un colpo. "Perché sei qui? Non hai detto che volevi lasciare la città?"
"Non mi offri da bere?"
"Vai a scroccare da bere da qualche altra parte!"
"Davvero gentile."
Irons afferrò la bottiglia e pigiò un bottone alla sua destra. Il muro si aprì, rivelando un ascensore. Ci entrò e guardò Johnson. "Vieni con me? O ti levi dalle palle?"
Johnson lo raggiunse. L'altro premette il bottone del seminterrato. L'ascensore fremette e cominciò a scendere.
"Dove sei stato per tutto queste tempo?" chiese Irons.
"In giro."
"È sangue quello che hai sua giacca?"
Johnson si guardò le macchie rosse sul tessuto. "Probabile."
"Non fare il criptico con me. Ho sentito gli spari. Sei stato tu?"
Lui lo fissò per un attimo. "Probabile."
L'ascensore si fermò. Le porte si aprirono e s'incamminarono nel corto corridoio. Un leggero odore di legna bruciata e muffa ammorbava l'aria.
"Lo so che sei un pazzo psicopatico" disse Irons. "Ti ho visto quando hai ucciso Gregory. Ti ha supplicato in lacrime, ma tu non hai battuto ciglio. Bang! Un colpo al cuore. Volevi che ritornasse in vita, non è vero?"
Johnson lo guardò con un sorrisetto. "Ho imparato dal migliore. E poi anche tu hai ucciso Ed. Ti ho visto!"
"Hai una bella immaginazione, capitano." Irons inserì e girò la chiave nella toppa.
Entrarono in una piccola stanza. Un vivace fuoco scoppiettava nel camino e illuminava un poco la camera, proiettando ombre sulle pareti umide e sugli scaffali colmi di cianfrusaglie.
Irons posò la bottiglia su un tavolo e si guardò intorno. "Dove ti sei nascosta?"
Johnson si accigliò, confuso. "Ora ti metti a parlare da solo? Quante bottiglie ti sei scolato?"
"Chiudi quella cazzo di bocca!" Si voltò e puntò gli occhi in ogni angolo della stanza. "Esci fuori, o giuro che ti rovino quel bel faccino!"
Johnson non capiva se c'era davvero qualcuno nella stanza o se stesse parlando da solo. Forse stava dando di matto?
Irons s'incamminò nella stanza e frugò dietro gli scaffali. Poi si fermò davanti a un tavolo messo in verticale contro un angolo del muro. Lo sradicò a terra. "Ti ho trovata!"
Katherine Warren cacciò un urlo, terrorizzata. Scattò in avanti, ma Irons le afferrò per i lunghi capelli biondi e la tirò a sé. "Dove pensi di andare?" Abbozzò un sorriso inquietante, che fece rabbrividire persino Johnson. "Non hai ancora capito che da qui non puoi più fuggire?"
Johnson li guardò avvicinarsi a un lungo tavolo. Era davvero la figlia del sindaco Warren. Come aveva fatto a rapirla?
"Ti prego, non farmi del male!" disse Katherine con gli occhi arrossati per il pianto.
Irons le accarezzò la guancia. "Che pelle liscia. Nemmeno un'imperfezione." Lei lo fissava, tremante. Lui le fece scivolare un dito lungo il braccio. "Perfetta! Sarebbe davvero uno spreco se tu diventassi uno zombie. La tua pelle andrebbe in putrefazione. Ma non preoccuparti, ho grandi progetti per te."
Katherine trattenne le lacrime.
Johnson la guardava, apatico. Non capiva cosa avesse di bello quella ragazza. Non aveva più di vent'anni, viso ovale, pelle chiara, quasi vellutata. Gli occhi marroni da cerbiatto e lunghi capelli biondi ondulati che le cadevano ammassati sulle spalle. Indossava una lunga veste bianca sporca in più punti, che metteva in luce le forme armoniose del suo corpo.
"Alla fine hai indossato l'abito che ti ho portato" sorrise Irons, compiaciuto. "Guardati!" Allargò le braccia in un gesto plateale. "Sei bellissima! Una Dea! Sarai perfetta per la mia collezione!"
Katherine scoppiò a piangere.



 

Quando Kevin, Megan, Elliot e Nick entrarono nella hall, restarono sorpresi nel vedere la porta bucherellata e il sangue sul pavimento. Avevano sentito gli spari e si erano precipitati per vedere cosa era successo. Adesso se ne stavano immobili a fissare Marvin, Chung, Rita e i nuovi nove superstiti ai piedi della statua.
"Nick!" disse Rita con un grande sorriso dipinto sulla faccia. Gli corse incontrò e lo abbracciò. "Stai... stai bene! Non sai quanto ero preoccupata."
"Anche per me è bello rivederti!" sorrise lui.
Marvin salutò gli altri e presentò loro i sopravvissuti. Poi raccontò la sua rocambolesca avventura sul tetto e nell'ala est.
"Solo tu potevi sopravvivere a tutto questo" disse Kevin nei cui gli occhi si leggeva il rispetto che nutriva per quell'uomo.
Nick scrutò una donna con fare pensieroso, finché gli venne in mente dove l'aveva incontrata. Non poteva crederci. "Zoey?"
Lei lo fissò, sorpresa. "Nick!"
Si abbracciarono.
"Sono felice di rivederti! Dov'è tuo fratello?"
"È una lunga storia."
"Oh, mi spiace..."
"No, non è morto. Abbiamo... diciamo che abbiamo litigato."
"Quindi sei da sola? Come... come sei arrivata qui?"
Zoey distolse lo sguardo. "Ora non mi va di parlarne."
Marvin guardò oltre le spalle di Kevin, Megan e Elliot. "Dove sono Kate e Pete?"
Kevin serrò gli occhi, irato. "Sono morti. Li ha uccisi Johnson."
Marvin sentì una fitta allo stomaco. Morti? Non poteva crederci. Era impossibile.
"Li vendicherò!" continuò Kevin. "Quello stronzo mi ha anche quasi ucciso!"
Marvin abbassò lo sguardo, addolorato. Poi lanciò un'occhiata verso Megan dagli occhi arrossati. Non riusciva a crederci. Conosceva Pete da anni. Lo aveva formato appena uscito dall'accademia militare. Erano andati subito d'accordo. Era stato uno dei primi agenti a sospettare della complicità di Irons con l'Umbrella. Come poteva essere morto?
Kevin si accorse che il tenente era scosso, quindi si girò verso Chung e ci scambiò due parole.
Elliot si avvicinò a Rita. "Dove sono gli altri superstiti? E Liah e Tania?"
La donna indicò la reception con lo sguardo, poi gli disse cosa era successo.
"E Liah come sta? Sta bene?"
"Sì, si riprenderà. Per fortuna la lama non è penetrata troppo in profondità. Se non fosse stato per Marvin, sarebbe morta dissanguata."
Elliot aggrottò le sopracciglia, pensieroso. "Noi non li abbiamo visti mentre venivamo qui, sennò..."
"Hanno preso un'altra strada. Sono scesi nelle fogne. Marvin non ha voluto che li inseguissimo."
"Perché? Non possiamo lasciarli liberi."
Il tenente li raggiunse e li guardò. "Nessuno uscirà vivo da là sotto."



 

"Dai, muoviti, coglione!" Urlò Shawn. "Che aspetti? Apri quella cazzo di porta."
Il ragazzo lo guardava, spaventato. Non aveva più di vent'anni e le mani gli tremavano.
Shawn gli puntò il coltello a serramanico verso la faccia. "Sei sordo? Apri quella cazzo di porta e vai a dare un'occhiata!"
"Pe-perché devo f-farlo io..?"
"Perché se non ti dai una mossa, ti pianto il coltello in pancia e ti lascio morire qui!"
Il ragazzo si voltò e girò la maniglia. Il tanfo di fogne invase subito la stanza. I sopravvissuti si tapparono il naso. Alcuni vomitarono, altri vennero percorsi da conati di vomito.
Shawn spinse con un calcio il ragazzo nel canale fognario. "Vai a controllare!"
Quello si limitò a guardarlo, terrorizzato. Non voleva andarci. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non andarci.
Shawn scattò in avanti per aggredirlo e il ragazzo si allontanò, spaventato. L'altro restò sulla soglia e lo osservò. "Muoviti!"
Il ragazzo s'incamminò su una delle due pedane che correvano lungo le pareti. Le luci illuminavano un'ambiente dominato dalla penombra. Più si allontanava dalla porta, più l'acre odore di fogna si faceva più intenso. Si portò bocca e naso nell'incavo del braccio e proseguì lentamente per un po'. Della melma verdognola colava dai canali di scolo che si aprivano lungo le pareti. Si fermò e si vomitò sulle scarpe. Poi venne colto da una serie di conati, che gli fecero diventare gli occhi gonfi come due palle da golf. Non ce la faceva più. La gola gli bruciava e lo stomaco gli faceva male.
Tornò indietro, ma si fermò subito dopo. Non poteva tornarci. Shawn lo avrebbe ammazzato. Si voltò e ritornò sui suoi passi. Superò il vomito e continuò a camminare, finché si fermò a dieci metri da una parete scura. Non riusciva a vedere niente. Un gocciolio costante riverberava lontano oltre le tetre tenebre. Non poteva avventurarsi nel buio. Non sapeva cosa lo aspettava lì dentro. Restò immobile per un lungo momento, poi tornò indietro con passo sostenuto.
Quando si fermò davanti alla porta, bussò.
Shawn l'aprì e lo guardò. "Sei vivo! Quindi non c'è nessuno?"
"N-non lo so..."
L'altro serrò gli occhi, minaccioso. "Che cazzo vuoi dire che non lo so?"
"Posso spiegarti! Sono arrivato fino a una zona non illuminata. Oltre c'è solo buio. Non vedevo o sentivo niente."
Shawn lo afferrò per il colletto della maglia. "E perché non sei andato a controllare? Ti ho detto di controllare questo fottuto canale!" Gli sferrò un pugno in faccia, che lo fece cadere oltre la porta, sulla pedana. "Ora vai a controllare! E se ritorni senza averlo fatto, ti taglio quella cazzo di gola!"
Il ragazzo scattò in piedi, impaurito. Tutti i sopravvissuti non aveva mosso un dito, né lo avrebbero fatto.
Shawn sbatté la porta in faccia al ragazzo, che s'incamminò tremante lungo il canale.



 

Marvin mandò i sopravvissuti alla reception e raggruppò tutti gli agenti ai piedi della statua. "Abbiamo aspettato tanto, ma ho la sensazione che il tempo sta per scadere." Si voltò verso Rita. "Sei pronta?"
Lei annuì.
"Come farà con gli zombie quando tornerà con gli aiuti?" chiese Kevin.
"Ve ne siete già dimenticati?" domandò Rita. "Li allontaneremo con un diversivo. Ci andrò io. Il negozio di musica non è molto lontano."
"Te l'ho detto, è fuori discussione" rispose il tenente.
"Allora sarà impossibile tornare qui con gli aiuti" aggiunse Elliot. "Dobbiamo mandare per forza qualcuno. Non abbiamo altra scelta."
"Posso andarci io" disse Nick.
"Ti sei appena ripreso" rispose Marvin, serio. "Non..."
"Forse non mi riprenderò più."
Tutti lo guardarono, turbati.
"Che vuoi dire?" domandò Marvin.
"Non lo so, ma non mi sento più lo stesso. Ho questo mal di testa che va e viene e uno strano sapore metallico in bocca. Forse... forse sono ancora infetto."
Nessuno rispose. Non sapevano cosa dire.
Marvin si accigliò, perplesso. Lo conosceva molto bene. Poteva essere una bugia, così che accettasse di inviarlo verso una missione suicida. Sapeva quanto fosse altruista, ma non era una giustificazione valida per mettere a rischio la propria vita. E poi si era ripreso da poco. Non poteva mandarlo fuori. Poteva sentirsi male o essere inseguito dai cani zombie o Lickers e fatto a pezzi. Allora chi mandare? Kevin? Chung? Elliot? Sé stesso?
Nick sollevò un poco la garza e mostrò loro il morso al braccio. "Guardate! Vedete i bordi della ferita? Sono neri. Ho la sensazione che qualunque cosa Pete mi abbia dato, ha solo rallentato il virus."
"Ti sei ripreso poco fa" disse Kevin. "E poi Pete stava bene prima che... Beh, non ha mostrato segni di debolezza o altro."
"Io sono stato morso da un Licker. Credo sia diverso da..."
"È sempre saliva quello che ti è entrata in circolo. Non puoi essere sicuro che il tuo malessere sia colpa del virus."
"Meglio non rischiare, no? Quindi è meglio se ci vado io. Se ho ragione, diventerò uno di loro." Puntò il dito verso gli zombie accalcati contro le due grandi finestre dell'ingresso.
Marvin sapeva che aveva ragione. Forse era meglio mandare lui, che qualcuno ancora sano.
"Anch'io sono infetto" disse Elliot. "Quindi potrei andarci io. Non ho problemi ad andarci. E poi sono io ad aver pensato a questo piano. Inoltre, conosco delle scorciatoie per arrivare prima."
"Il tuo caso è diverso dal mio" rispose Nick, deciso. "Io sono stato morso. Tu sei... beh, ti hanno vomitato in bocca e hai sputato tutto fuori. Non sei stato morso."
"Ma ho sempre mal di pancia quando corro. Vorrà dire qualcosa, no?"
"E vuoi andartene in giro sapendo questo?"
Elliot non rispose.
"Questa non è una gara su chi è più infetto" disse Marvin in tono autorevole. "Ma vi sentite quando parlate? Se la situazione non fosse così seria, scoppierei a ridere." Sbuffò per il nervoso. "Questa è una missione pericolosa. Chi ci andrà, forse non tornerà più indietro. Non va presa alla leggera."
"Io ho già deciso due minuti fa" rispose Nick. "Lo sai che ho ragione riguardo al morso. Non rischiare, manda me."
Il tenente spostò lo sguardo prima sugli altri, poi su di lui. Nessuno aveva niente in contrario.
Rita era pensierosa. "Nessuno ha tenuto conto di una cosa. Solo io sono minuta abbastanza da poter strisciare nel condotto."



 

Irons frugò tra le cianfrusaglie negli scaffali, poi controllò i cassetti dei due comodini. Digrignò i denti, irato. "Dove cazzo li ho messi..?"
Katherine Warren lo guardava, terrorizzata. Era rannicchiata in un angolo, le braccia cinte attorno alle ginocchia.
Johnson si avvicinò al camino e allungò le mani verso il fuoco per riscaldarle.
Irons si guardò intorno. "Dove cazzo li ho messi?!" Poi scaraventò un tavolino sul pavimento. "Cazzo!"
"Rilassati" disse Johnson, piano. "Sei più agitato del solito."
"Non rompermi i coglioni!"
Johnson scosse la testa con un sottile sorriso.
"Forse li ho lasciati di sopra..." aggiunse Irons tra sé. "Sì, dev'essere così..." Raggiunse a gran passi l'ascensore e ci entrò.
Johnson si voltò, confuso. "Dove stai andando?"
"Sono cazzi miei!"
Le porte dell'ascensore si chiusero.
Johnson lanciò un'occhiata a Katherine, che fissava il pavimento con la testa incassata nelle spalle e metà faccia affondata fra le ginocchia.
"Sei la figlia del sindaco, giusto?" chiese Johnson.
Lei non rispose.
Lui prese una sedia e le si sedette di fronte, lo schienale rivolto verso di sé. "Sai, conosco tuo padre. È un figlio di puttana peggio di Irons. Non mi sorprende che ti abbia mollata qui."
Katherine girò la testa per non guardarlo.
"Magari è fuggito. Ma che dico, certo che è fuggito. Sarà stato il primo a lasciare questa città del cazzo."
La donna cominciò a piangere, le spalle che sussultavano ad ogni nuovo singhiozzo.
"Sono sicuro che non ti ha nemmeno cercata. Forse non ci ha neanche provato" abbozzò un sorrisetto. "Il fottuto padre dell'anno, no?"
"Lasciami stare..." disse Katherine con un filo di voce.
Johnson mostrò un sorriso compiaciuto. "Non ti ho detto nulla che non sai già. Non sei così stupida come cerchi di far sembrare, lo sai? Ti ho notata in tutti quei ricevimenti con tuo padre. Non facevi che ridere e parlare con tutti gli invitati. Cercavi di compiacerli e ci riuscivi anche bene. Lo hai ereditato da tuo padre."
Lei smise di piangere e lo fissò con gli occhi arrossati.
Johnson sollevò un angolo della bocca. "La maggior parte degli uomini guardano solamente il tuo aspetto fisico, non vedono cosa c'è dentro quella testolina. Io la vedo, è cristallina. Sei intelligente e furba, ma non quanto Irons. Ci avrà visto qualcosa di speciale in te." Sbuffò un sorriso. "Ma che dico, avrà visto solo due paio di tette e un culo di marmo, nient'altro."
Katherine serrò gli occhi, irritata.
"Lo so che non sei una gatta morta come tante altre, ma credo che Irons si sia fatto un'idea sbagliata di te. E se ti ha segregata quaggiù, beh..."
"Beh?"
Johnson si alzò dalla sedia e la rimise al suo posto. Si voltò. "Sai benissimo cosa voglio dire. Dopotutto, sei una donna intelligente."



 

Il ragazzo se ne stava fermo a fissare la parete scura da cui giungeva uno sgocciolio lontano. Non riusciva a muoversi. Non poteva entrare lì dentro, ma neanche tornare indietro. E se fosse tornato con una bugia? Shawn se ne sarebbe accorto? Forse era meglio non rischiare.
Mosse timidamente un piede, poi l'altro. Si avvicinò alla parete scura e tentennò un momento. Qualcosa gli diceva di non farlo, che forse si sarebbe perso o peggio. Si guardò alle spalle, spaventato. Shawn lo preoccupava di più. La sua minaccia era reale. Non era paragonabile ai pericoli ignoti che si celavano oltre quelle tenebre. Forse non c'era nessuno. Non aveva altra scelta.
Posò una mano sul muro e s'incamminò nell'oscurità.
Il cuore cominciò a martellargli nel petto e la bocca si seccò. Proseguì per un lungo momento, senza sapere dove si stava infilando. La parete era diventata più umida e qualcosa di viscido e appiccicoso colava giù. Le dita gli si appiccicarono, ma non se le pulì. Doveva continuare a camminare. Se si fosse fermato, avrebbe dato di matto.
Poi la mano andò a vuoto e quasi cadde in avanti. Il cuore gli implose nel petto e una fitta fastidiosa lo colpì alla bocca dello stomaco. Indietreggiò di due passi e toccò nuovamente il muro con la mano.
Era arrivato a un angolo.
Svoltò a sinistra e continuò a camminare per un lungo momento. Il muro si faceva più asciutto, quando sbatté contro qualcosa. Sobbalzò. Le gambe tremarono e la mano che aveva sul muro si portò istintivamente a protezione del volto. Restò immobile, gli occhi che guizzavano cechi nelle tenebre. Quando riprese coraggio, allungò una mano in avanti e toccò qualcosa, un muro. Sospirò per il sollievo.
Lo sgocciolio cessò.
Il ragazzo si accigliò, turbato. Quel suono lo aveva accompagnato fino a qui, come una lancetta che scandiva il tempo. Perché non si sentiva più? Era stato il suo sospiro a interromperlo? Come poteva il suo sospiro fermarlo? Forse quello sgocciolio era solo frutto della sua immaginazione. Non era reale. Scacciò via i pensieri e si concentrò. Non doveva farsi assalire dalla paranoia. Doveva restare lucido.
Quando si mosse lungo la parete, qualcosa gli sfiorò la mano. La ritrasse spaventato e si lasciò scappare un piccolo grido, che echeggiò lungo il canale. Si paralizzò, gli occhi che roteavano frenetici in ogni direzione. Non sentiva alcun rumore. Qualcosa gli aveva sfiorato la mano. Lo aveva sentito sulla pelle. Era reale. Non poteva esserselo immaginato.
Restò fermo per un lungo momento, poi proseguì. La parete tornò ad essere umida e viscida. E più andava avanti, più il cemento armato sembrò lasciare il posto a qualcosa di gelatinoso. Il tanfo di fogna si fece meno intenso, finché l'acre odore di putrefazione gli penetrò nei polmoni e lo piegò in avanti per la nausea.
Quando indietreggiò da quella puzza, urtò le spalle contro qualcosa e si voltò. Una folata di aria putrida gli sferzò il viso. Qualunque cosa fosse, era molto vicino alla sua faccia. Poteva percepirlo.
Arretrò terrorizzato e scivolò su qualcosa di viscido, che lo fece cadere a terra. Quando si rialzò, qualcosa gli bloccò la testa con le zampe e gli infilò una lunga lingua a forma di pungiglione dentro la bocca. Lui si dimenò con tutta la forza che aveva in corpo, ma non riusciva a muovere un muscolo. Poi quel pungiglione gli scivolò lungo la gola e gli rigurgitò dentro.



 

Marvin posò cinque lastre ingioiellate su un piccolo pilastro davanti alla statua. Quella fremette e si alzò di qualche metro, rivelando ai suoi piedi un condotto di areazione.
Tutti gli agenti guardarono Rita e la salutarono con strette di mano e parole di incoraggiamento. Quando arrivò il turno di Nick, lui si limitò a stringerle la mano. Non era affatto contento di non poter fare da diversivo. Qualcosa gli diceva che non sarebbe arrivato a domani, che il virus erano ancora dentro di lui e che era solo una questione di tempo. Voleva essere utile, ma non sarebbe mai riuscito a entrare in quello stretto condotto.
Rita gli fece un sorriso di intensa. "Tienili d'occhio per me, ok? Specialmente Kevin."
Lui annuì e si guardarono per un attimo. Poi lei lo abbracciò. "Grazie per essere venuto a cercarmi e per avermi salvata" Gli sorrise.
"E tu per avermi salvato da quel Licker" rispose Nick.
Si guardarono negli occhi per un altro po'. Poi Rita si voltò ed entrò nella piccola vasca che cingeva la statua.
"Aspetta!" disse Marvin. "Tieni, è una ricetrasmittente. Non avrà un gran raggio d'azione, ma usalo quando sarai nei paraggi, ok?"
La donna annuì. "Lo farò!" Salutò gli agenti con un'ultima occhiata e strisciò nel condotto di aereazione.
Kevin si diresse spedito verso l'ingresso dell'ala ovest, seguito da Nick. I loro volti non avevano nulla di amichevole.
"Dove state andando?" chiese Marvin.
Quelli non risposero e sparirono dietro la doppia porta bucherellata.
Il tenente si avvicinò a Chung. "Come stanno Ben e Jim?"
"Non lo so. Nessuno è sceso là sotto da quando Johnson ti ha rapito."
"Dovevate farlo. Non possiamo mica lasciarli da soli."
Chung si accigliò, confuso. "Non vorrai liberare Jim, tenente?"
"Forse Shawn l'avrà già liberato."
"Non credo. Non correva buon sangue tra di loro già da prima che lo sbattessi dentro."
"Lo so. Comunque non possiamo lasciarli nelle celle. Quando Rita ritornerà con gli aiuti, nessuno rimarrà indietro."
Chung non rispose subito. Era titubante. "Pensi che tornerà?"
Marvin lo guardò con aria di rimprovero. "Dubiti delle sue capacità?"
"No, niente affatto. È solo che, come dire, può accadere di tutto là fuori."
"Ce la farà!"

   
 
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