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Autore: FreddyOllow    22/03/2022    0 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Marvin si voltò, raggiunse la porta e l'aprì un poco. Sbirciò fuori. I tre zombie barcollavano dall'altra parte del corridoio. Procedevano quasi allineati, come se ci fosse una sorta di primitiva coordinazione tra loro.
Poi uscì in corridoio ed entrò in un piccolo sgabuzzino. Si guardò intorno. Non c'era nessuno. Frugò tra gli scaffali e afferrò un martello. Se lo girò in mano. "Sì... questo andrà bene."
Raggiunse la porta e spiò dalla fessura. Quando i tre zombie lo superarono, uscì in corridoio e sferrò una martellata in testa al primo zombie di sinistra, che crollò a terra. Gli altri due si voltarono. Marvin sferrò una martellata nel cranio dello zombie centrale, ma l'altro gli afferrò il polso. Il tenente gli mollò un calcio frontale e lo mandò contro un muro. Poi gli spaccò la testa con due secche martellate.
Si girò e riprese fiato. Si aspettava di vedere una dozzina di non-morti svoltare l'angolo, ma non arrivò nessuno. "Strano... non hanno sentito niente?" Una parte di lui gli diceva di indagare, di capire perché non arrivasse nessuno. E un'altra gli suggeriva di non perdere tempo.
Raggiunse la porta chiusa a chiave e martellò ripetutamente la serratura, finché si ruppe. La porta si aprì un poco. Una dozzina di zombie svoltarono l'angolo, altri ne uscivano a frotte dall'ufficio del maggiore Ethan Norwich. "Allora ci sentono!"
S'infilò nella stanza e trascinò una scrivania e due panche contro la porta. La fissò per un momento. Gli zombie ci sbatterono contro e la tartassarono di pugni. I gemiti aumentarono di intensità. Non sapeva per quanto tempo la barricata avrebbe retto ancora, ma sperava il più lungo possibile. Un pensiero si insinuò nella mente. "Perché hanno sentito il martello e non la testa di Ethan che cadeva a terra? Forse è solo una coincidenza? E i tre zombie che facevano avanti e indietro?"
I non-morti colpirono l'anta con più foga.
Marvin uscì dalla saletta di attesa e s'incamminò lungo il corridoio, quando udì una porta laterale chiudersi. Il tenente si accigliò, confuso. Si fermò. Era stato il vento? Oppure la sua immaginazione? Quella porta si era chiusa, lo aveva visto. Non poteva esserselo immaginato.
Sollevò il martello all'altezza del petto, si avvicinò cauto e girò la maniglia.
Un uomo scattò in avanti con un coltello puntato alla sua testa, ma subito si arrestò.
"Ehi, ehi, calma" disse Marvin. "Non sono uno zombie."
L'uomo lo guardò, incredulo. "Sei... sei vivo?"
"Stai bene?"
"S-sì, sto bene." L'uomo era sulla sessantina, magro, con sporadici capelli bianchi in testa. Indossava una camicia bianca e giacca e pantaloni marroni.
Marvin lanciò uno sguardo nella stanza. "Sei da solo?"
L'uomo non rispose subito. "Ci... ci sono altre persone. Siamo in nove."
Il tenente si accigliò, perplesso. Non vedeva nessuno.
L'uomo si voltò alla sua sinistra e fece un gesto con la mano. Sei donne e tre uomini uscirono da dietro un muro divisorio. Guardarono Marvin e la pistola che aveva in mano un poco impauriti. Lui se ne accorse, ma non ne capiva il motivo.
Una donna bisbigliò qualcosa all'orecchio dell'uomo con i capelli bianchi, che scosse la testa.
"Qualcosa non va?" chiese il tenente.
L'uomo abbozzò un sorriso, nervoso. "Siamo solo preoccupati, tutto qui."
"Per cosa? Per gli zombie?"
"Sì, anche per loro."
Marvin lo fissò per un attimo. "Cosa vuol dire anche per loro? Avete paura di me?"
L'uomo coi capelli bianchi e gli altri sopravvissuti si scambiarono delle occhiate.
"Potete dirmelo."
L'uomo gli si avvicinò. "Un... un poliziotto voleva ucciderci. Ha detto di seguirlo, che saremmo stati al sicuro, poi ha cominciato a sparare. È stata una carneficina. Diceva che non saremmo morti, che saremmo ritornati in vita..."
Marvin aggrottò la fronte, turbato. Pensò subito a Johnson. Doveva essere stato lui. "Com'era fatto?"
L'uomo era troppo intimorito per rispondergli.
"Sono qui per aiutare, fidati di me."
L'uomo coi capelli bianchi tentennò ancora per un istante. "Era robusto, sulla sessantina. Aveva dei baffi e una camminata goffa. Diceva che nessuno sarebbe uscito vivo da qui... Ha preso..." Si voltò preoccupato verso gli altri, poi tornò a guardare il tenente. "Ha rapito la figlia del sindaco Warren. Ha detto che voleva giocarci un po', prima di, di, di... non ricordo come ha detto...."
"Di impagliarla" concluse una giovane donna alle sue spalle.
"Sì, di impagliarla" annuì l'uomo.
"Irons..." disse Marvin tra i denti.



 

Tony entrò nel canile e si diresse verso le gabbie. Cinque pastori tedeschi drizzarono le orecchie e lo guardarono, inclinando un poco la testa.
Lui sorrise e pigiò un bottone da un pannello elettrico. Le gabbia si aprirono.
I cani si precipitarono verso di lui, che si sedette sui talloni e accarezzò loro i musi.
"Ehi, buoni, buoni" sorrise. "Anch'io sono felice di vedervi." Lisciò il loro pelo. "Sono passati solo dieci minuti. Non sono mica andato in vacanza."
I cani gli girarono attorno, gli saltarono sopra e gli leccarono faccia e mani, le code che sbattevano in aria.
Tony sentì il cuore riempirsi di felicità. Erano questi i momenti che gli piacevano del suo lavoro. Queste carezze e attenzioni disinteressate che solo i suoi cani potevano dargli. Non le avrebbe mai scambiate per niente al mondo. Era felice in mezzo a loro. Quando le cose andavano male, ci pensavano i suoi cani a risollevargli l'umore. Bastava guardarli. I loro occhi avevano il potere di scacciare il malessere. Un potere sovrannaturale, mistico.
Mentre li accarezzava, fissò Gwenda, il pastore tedesco più anziano del canile. Aveva i bordi degli occhi arrossati e la lingua che le penzolava dalla bocca. Le grattò sotto il muso per farla avvicinare e le osservò gli occhi. Sospirò. Era infetta. Lo sapeva, l'aveva sempre saputo, ma aveva cercato di respingere quel pensiero insidioso. Fino all'ultimo aveva pensato che il virus infettasse solo le persone. Aveva persino tenuto i cani lontano dagli altri, accampando scuse una dietro l'altra, ma non era servito a niente.
I suoi cani erano infetti.
Non sapeva se era stato lui a infettarli, oppure qualcos'altro. Magari era stata l'aria? Il cibo? L'acqua? Aveva letto su un articolo che l'acquedotto era stato contaminato, ma non ricordava chi lo avesse scritto. Non ricordava nemmeno se lo avesse letto davvero, o se era frutto della sua immaginazione. Erano da un paio di settimane che aveva questa strana sensazione di sapere le cose senza averne idea. In giro si diceva che Irons controllasse la stampa, perciò era molto facile che sparissero articoli nel nulla. Forse la spiegazione era proprio quella. Ciò che pensava di aver letto, era in realtà vero.
Gwenda si fermò e digrignò i denti. Gli altri quattro cani uggiolarono e le si allontanarono con le orecchie basse.
Tony la fissò per un momento. La stava perdendo, lo sapeva. Lo vedeva in quegli occhi dai bordi arrossati che cominciavano a sbiadirsi. Non era più lei, non era più Gwenda. Scorgeva quella vivida luce piena di allegria andare e venire nell'oscurità. Non poteva fare nulla per salvarla. Non c'era nessun rimedio. L'unico modo per impedire che soffrisse era sopprimerla. Il solo pensiero gli faceva venire la nausea.
Si alzò e accompagnò gli altri cani nelle loro gabbie. Gwenda restò seduta a fissare il vuoto, la lingua secca che penzolava dalla bocca. Sembrava immersa nei suoi pensieri, ma lui sapeva che era il virus. La stava divorando lentamente e ora aveva raggiunto il cervello. 
Si sedette sui talloni e le accarezzò la testa, le lacrime che gli rigavano il viso. Stava scomparendo. Forse era già scomparsa, ma Tony voleva credere che ci fosse ancora, che dietro a quegli occhi da timidona qual era, da qualche parte, ci fosse ancora lei. Quella cucciola abbandonata in un cassonetto della spazzatura. Quella cucciola che aveva stretto e tenuta tra le braccia come fosse sua figlia. Quella cucciola che aveva cresciuto, che lo aveva reso migliore. Scoppiò a piangere e le posò la testa sulla spalla. Sentiva il suo cuore battere lentamente, il respiro farsi affannoso. Le accarezzò il pelo e le baciò la testa. Il virus aveva vinto.
Gwenda ringhiò.



 

Chung era diretto all'armeria. Aveva deciso che avrebbe preso e portato il borsone dagli altri. Rita non sembrava preoccuparsi della situazione precaria con i sopravvissuti. Non sapeva se aveva tutto sotto controllo, oppure ignorava di proposito ciò che accadeva. Toccava a lui fare qualcosa. Non se lo sarebbe mai aspettato. Fino a pochi giorni fa non gliene sarebbe fregato niente di nessuno, invece adesso si sentiva gravare di un peso insopportabile. Doveva fare qualcosa, o sarebbero tutti morti.
Svoltò l'angolo e continuò diritto. Non passò dagli uffici, ma s'incamminò per il corridoio che lo costeggiava. Avrebbe fatto prima. Ormai era una questione di tempo. Se lo sentiva dentro. Un pensiero fisso, che gli martellava in testa.
Quando raggiunse il borsone, aprì la zip, controllò i proiettili, la richiuse e se lo mise a tracollo. Poi rifece la stessa strada e ritornò nella hall.
I sopravvissuti lo guardarono, perplessi. L'uomo coi capelli rossi disse qualcosa agli altri, che annuirono e si girarono.
Chung si fermò ai piedi della statua, posò il borsone e lo aprì.
Rita e gli altri agenti gli si avvicinarono.
"Finalmente hai fatto qualcosa di utile" disse la donna.
Lui le lanciò uno sguardo, torvo. Poi si rivolse agli altri. "Non fatevi vedere che inserite i proiettili nel caricatore."
"Sei troppo paranoico" rispose Rita. "Dovresti rilassarti un po'."
Chung la ignorò e mise le pallottole nel suo caricatore.
Il borsone venne svuotato in tutta fretta e gli agenti tornarono ai loro posti.



 

Elliot fece sedere Megan tra Nick e Kevin, che comprese subito che aveva ricevuto la brutta notizia. Non sapeva da quanto tempo stessero insieme, ma doveva essere da un bel po' di tempo.
Pete non gli aveva mai parlato della sua fidanzata, come non parlava nemmeno della sua vita privata. Era un tipo vivace e allegro, ma non diceva mai una mezza parola su di lui o su chi frequentava. Non sapeva perché adesso pensasse proprio questo, ma si rese conto di non averlo mai conosciuto davvero.
"Stai qui" disse Elliot. "Vuoi un caffè o..."
"Cioccolata calda..." bisbigliò Megan, come se le fosse difficile alzare la voce.
Elliot annuì, lanciò uno sguardo a Kevin e andò via.
Nick si mosse. Prima un dito, poi una mano e infine un braccio.
Kevin lo osservava, confuso. Non sapeva se lo muoveva lui o era solo uno spasmo involontario. Megan non ci fece caso.
La recluta aprì lentamente gli occhi. La stanza gli vorticava attorno, sgranata. Poi la vista gli ritornò normale e la stanza smise di girare. Si mise seduto sul divano.
Megan e Kevin lo guardarono.
"Dormito bene, principessa?" sorrise Kevin, divertito.
Nick gli lanciò uno sguardo, frastornato.
Megan continuava a guardarlo, apatica. Non riusciva ad essere felice per lui. Non le importava più di niente. Il suo Pete era morto. Lo avevano ammazzato. Come poteva ritornare a essere felice? Non lo sarebbe stata mai più. Mai.
Nick posò i piedi sul pavimento e quasi cadde in avanti.
"Attento a dove metti i piedi, principessa" disse Kevin. "E poi dove stai andando?"
"Devo muovermi" rispose lui.
"Resta nei paraggi, però."
S'incamminò nella stanza con fatica. "Dove sono gli altri?"
"Gli altri chi?"
"Gli altri. Marvin, Rita, Pete e... Kate. Lei dov'è? Ho avuto l'impressione che fosse vicina a me. La sentiva accanto..."
Kevin abbassò lo sguardo, affranto. Megan scoppiò a piangere.
Nick si fermò a guardarli. Non capiva. "Cosa succede?"
Elliot si fermò sulla soglia, incredulo. "Oh, ti sei ripreso! È fantastico!" sorrise. "E sei già in piedi!"
La recluta lo fissò, confuso. "Dove sono gli altri?"
L'altro lo guardò dritto negli occhi. Era combattuto. Non sapeva come dirglielo. Spostò lo sguardo su Megan e Kevin, poi su Nick. "Faresti meglio a sederti."



 

"Mamma, mamma!" Tania le tirava la maglietta, in lacrime. "Mamma!"
Liah si voltò. "Che c'è?"
"Il signore con i capelli rossi mi sta fissando. Ho paura..."
La madre si girò verso di lui e gli lanciò un'occhiataccia carica di rabbia.
Lui sollevò un angolo della bocca e li fissò per un momento. Quel sorrisetto non prometteva nulla di buono.
Liah ne aveva abbastanza. Doveva fare qualcosa. Lo raggiunse con la faccia paonazza e gli mollò un ceffone in faccia. L'impatto dello schiaffo echeggiò nell'atrio. Tutti gli agenti si voltarono, i sopravvissuti erano sbalorditi.
L'uomo con i capelli rossi non si mosse. Restò a fissarla con gli occhi sbarrati dalla rabbia, la forma arrossata delle cinque dita sulla guancia sinistra.
"Non guardare più mia figlia!" gridò Liah a due centimetri dalla sua faccia. "Non farlo mai più!"
Chung, Rita e due agenti accorsero da loro, preoccupati. Temevano che la situazione potesse sfuggire di mano.
"Che sta succedendo qui?" domandò Rita, turbata.
L'uomo con i capelli rossi non distoglieva lo sguardo da Liah, che si voltò e ritornò al suo posto.
Chung e Rita guardarono in malo modo l'uomo, che abbozzò loro un sinistro sorriso.
Poi Rita raggiunse Liah. "Tutto bene? Cosa è successo?"
"Non mi va di parlarne."
"Ti sta dando fastidio?"
Lei si limitò a guardarla.
"Puoi parlarmene."
Sapeva che Rita non avrebbe risolto la situazione, ma non ne aveva bisogno. L'avrebbe fatto da sola, come aveva fatto in tutti questi anni. Lei contro il mondo. E se quell'uomo avesse posato di nuovo lo sguardo su sua figlia, gli avrebbe piantato in pancia il coltellino multiuso che aveva in borsa.
Rita la guardò per un istante, poi si allontanò, seguita da Chung e gli altri due agenti. Solo ora aveva capito la gravità delle parole di Chung, di quanto pericolosa fosse la situazione. Erano sospesi sul filo di un rasoio.
"Era di questo che ti parlavo" disse Chung. "Stiamo perdendo il controllo. Presto quello stronzo farà qualcosa di brutto."
Rita si sedette ai piedi della statua. Non rispose.
Lui le si sedette accanto. "Sai che ho ragione."
"Dobbiamo mantenere la situazione in stallo" rispose lei. "Solo così possiamo controllare indirettamente i sopravvissuti, o scoppierà un massacro."
"Per quanto l'idea mi piaccia, sai meglio di me che è solo una questione di tempo prima che scoppi un casino."
"Abbiamo le armi. Non faranno niente, almeno la maggior parte di loro."
"Non ne sarei tanto sicuro" disse Chung, pensieroso. "Non sappiamo nemmeno se sono armati. Jim, il tizio che Marvin ha sbattuto dentro, aveva una Desert Eagle quando lo abbiamo accolto qui. E l'altro tizio, Shawn O'Neil, quello con i capelli rossi, una calibro 38 in una tasca interna del giubbotto. Tutti e due sono entrati e usciti di prigione svariate volte. Non sono dei santi. E stai pur certa che prima o poi quello stronzo cercherà di prendere il sopravvento."
Rita lo guardò. "Non saremo noi i primi a fare qualcosa di avventato, questo è sicuro."
Chung gettò le mani in aria e si allontanò.



 

"Johnson..." sussurrò Nick, seduto nell'ufficio del tenente. "Non mi sarei mai..." Si ammutolì. "Non posso crederci... Non... Quindi, anche Marvin è..."
"Non lo sappiamo" rispose Elliot. "Forse è riuscito a fuggire."
La recluta aveva il viso ridente di Kate davanti agli occhi. Non aveva mai pensato di poter trovare l'amore in una situazione simile. Non poteva esserci spazio per una cosa bella all'inferno. Era circondato da mostri, zombie e altre creature infernali, come poteva l'amore farsi spazio in una tale oscurità?
Megan non aveva più lacrime da versare, gli occhi rossi iniettati di sangue.
"Non riesco a crederci" disse Nick, affranto. Poi cominciò a fare avanti e indietro. "Non può essere vero... Mi sembra un incubo... Non..."
"Mi dispiace..." rispose Elliot. "Come va il braccio?"
Nick si fermò, lo guardò e lo mosse. "Va meglio, credo. Non sento dolore."
Megan si alzò e lasciò la stanza, il bicchiere fumante di cioccolata calda sul tavolo.
"Ehi, dove stai andando?" chiese Kevin.
"Non ti muovere, tu" disse Elliot. "Vado a vedere dove va."
Kevin grugnì, infastidito. Poi guardò Nick. "Mi dispiace per Kate. Era una brava poliziotta."
Nick non rispose.
"Troverò quel figlio di puttana e lo ammazzerò con le mie mani! È una promessa! L'ultima volta ha avuto fortuna e..." Spalancò gli occhi. "Cazzo, i Lickers!"
Nick si voltò, allertato.
Kevin si alzò dalla sedia e corse fuori.
La recluta gli andò indietro con fatica. "Dove sono?" Quando uscì dall'ufficio, quello era sparito. Si guardò intorno. "Dov'è andato?" S'incamminò negli uffici e uscì in corridoio.
Elliot e Megan erano un poco più in là. Li raggiunse. "Avete visto Kevin?"
Lui si voltò. "No, gli ho detto di non muoversi."
"Ha detto qualcosa sui Lickers, prima di precipitarsi fuori."
Elliot sbarrò gli occhi. Si era dimenticato di loro. Kevin gli aveva detto di chiudere l'accesso all'ala ovest. "Rimanete qui. Credo di aver capito dove sia andato." Corse via.
Nick guardò Megan. "Sai cosa sta succedendo?"
Megan sollevò le spalle.
"Da quando ho perso i sensi le cose sono andate in malora. E poi c'è questo strano suono. È impercettibile, ma lo sento da quando mi sono svegliato. Sembrano dei..."
"Gemiti?" concluse Megan. "Lo sono. Sono in cortile. La centrale è circondata."
Nick aggrottò la fronte con fare turbato. Era l'ultima cosa che voleva sentirsi dire. Erano in trappola. "Quindi il piano di Marvin non è più attuabile?"
"Che vuoi dire?"
"Che Rita non può più passare per il condotto di areazione e chiedere aiuto."
"Non lo so."
Nick corrugò la fronte, pensieroso. Forse il condotto sbucava da qualche altra parte. Se e così, perché Rita era ancora nella hall? Perché non ne aveva approfittato per mettere in atto il piano di Marvin? Oppure era partita da poco e loro non ne sapeva nulla?
Megan abbassò gli occhi rossi. Il volto di Pete le era ritornato di nuovo in mente. Si voltò. "Scusa, voglio stare da sola."
Nick la fissò per un attimo, poi tornò negli uffici ovest.



 

Tania tirò un lembo della maglietta della madre. "Mamma, andiamocene. Non mi piace stare qui. Per favore, andiamocene. Farò la brava..."
Liah le accarezzò la testa. "Va bene, staremo con i poliziotti. Prendo la borsa."
Tania sorrise, gli occhi arrossati dal pianto.
Madre e figlia si avviarono verso la statua. Quando Liah stava per scendere la piccola rampa, l'uomo coi capelli rossi la afferrò per la coda e la tirò a sé.
Tania cacciò un urlo, spaventata. "Mamma!"
Tutti gli agenti si voltarono nella sua direzione.
"Dove cazzo credi andare?" domandò Shawn O'Neill, l'uomo con i capelli rossi.
Liah si dimenò. "Lasciami andare!"
Rita, Chung e gli altri agenti si precipitarono verso di loro, le armi puntate.
"Lasciala andare, O'Neill!" urlò Chung. "Non peggiorare la situazione."
Shawn posò un coltello a serramanico contro il collo di Liah. "Questo ti è sfuggito durante la perquisizione, stronzo!" Si voltò verso i sopravvissuti e fece loro un cenno con la testa. Quelli si diressero verso la porta dell'ala ovest.
Rita si accigliò, confusa. "Che volete fare? Liberare Jim?"
"Che si fotta quello stronzo!" gridò Shawn. Poi indietreggiò verso gli altri superstiti, il coltello a serramanico pressato contro la gola di Liah.
"Mamma!" urlò Tania in lacrime. "Mamma!"
"Fate stare zitta quella mocciosa o giuro che sgozzo a sua madre!"
Rita si chinò e l'abbraccio. "Andrà tutto bene."
Chung fece tre passi in avanti.
Shawn premette la lama un poco in profondità sulla gola di Liah, una goccia di sangue le scivolò lungo il collo. "Non fare un altro passo, testa di cazzo! O giuro che la sgozzo davvero questa stronza!"
I sopravvissuti entrarono nell'ala ovest. Shawn raggiunse la porta.
"Dove credi di andare?" chiese Chung. "La centrale è circondata dai non-morti. Morirete tutti!"
L'uomo coi capelli rossi abbozzò un sinistro sorriso. "Chi ha parlato di uscire? Prenderemo un'altra strada."
Chung comprese subito cosa voleva dire. "Le fogne?"
"Sei proprio un genio." Lo canzonò Shawn con un finto sorriso. "Chissà come hai fatto a scoprirlo? Certo che sono le fogne. È l'unica via di fuga."
"Elliot è stato quasi ucciso da quella cosa lì sotto. Non vi conviene andarci."
"Io non sono così stupido! Ammazzerò quella cosa e andremo via da questa città del cazzo!"
"Non ne uscirete vivi!"
"Voi non ne uscirete vivi, fottuti figli di puttana!"
Udirono una porta cigolare sulla balconata interna dell'hall.
Chung ci lanciò uno sguardo. "Marvin!"
Il tenente aveva lo sguardo accigliato, le mani poggiate sul corrimano. Alle sue spalle, nove sopravvissuti uscirono dalla porta e si scambiarono degli sguardi, turbati.
"È arrivato anche l'altro coglione!" disse Shawn con un sorriso amaro. Liah provò a liberarsi, ma lui le tirò un pugno nella costola sinistra. "Stai ferma, cazzo!"
I poliziotti scattarono un poco avanti, preoccupati. Gli occhi della donna si umidirono.
Marvin s'incamminò lungo la balconata interna e scese la scala a pioli dirimpetto alla reception, seguito dai nuovi sopravvissuti. Shawn lo osservava, nervoso. Era infastidito da quella sua tranquillità. Il suo volto inespressivo pareva una maschera di pietra. Indietreggiò e sbatté le spalle contro lo stipite della porta.
Marvin gli si piazzò davanti, a quindici passi di distanza. "Che stai facendo?" chiese piano, senza alcuna emozione.
Shawn si accigliò, confuso. Non riusciva a rispondergli. La sola presenza gli infondeva paura e disagio. I suoi occhi marroni gli penetravano fin dentro le ossa. Si sentiva un incapace, uno stupido.
"Allora?" domandò Marvin. "Che stai facendo?"
L'uomo coi capelli rossi lanciò un'occhiata alle sue spalle, poi guardò il tenente. Tentennava. Voleva dirgli qualcosa, ma non sapeva cosa. Le parole gli si perdevano nella mente.
Tutti lo stavano fissando. Tania piangeva tra le braccia di Rita. Chung si era mosso di qualche passo in avanti, a destra.
Shawn si avvicinò all'orecchio di Liah e le parole gli ritornarono in mente. "Se non mi avessi tirato quello schiaffo, ti avrei lasciata andare, dico sul serio." Le annusò i capelli. "Purtroppo seguo il principio occhio per occhio, capisci?"
"Io..."
Lui le piantò il coltello nella costola destra, la spinse in avanti e si fiondò oltre la porta, chiudendosela alle spalle.
Gli agenti aprirono il fuoco, le pallottole bucherellarono il legno dell'anta. Alcuni si avvicinarono vicino alla soglia.
"Fermi!" urlò Marvin. "Lasciatelo andare."
I poliziotti abbassarono le armi, confusi. Gli zombie fuori dall'ingresso picchiarono con violenza le mani putride contro il portone e le due grandi vetrate antiproiettile. Gli spari li avevano eccitati.
Il tenente si voltò verso Chung. "So cosa hai in mente. Rimani al tuo posto!"
Lui era stato l'unico a non sparare. Aveva voluto scattare verso Shawn, acciuffarlo e sparargli dritto in faccia, ma si era dovuto fermare per le pallottole.
Tania si staccò dalla braccia di Rita e corse verso la madre, distesa sul pavimento in una smorfia di dolore. Gli altri la raggiunsero subito dopo.
Marvin si piegò su di lei e le alzò un poco la maglietta inzuppata di sangue, altro sangue fiottava abbondante dalla ferita aperta nella carne.
"Portatemi un kit di pronto soccorso!" urlò Marvin. "Presto!"

   
 
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