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Autore: Jeremymarsh    31/03/2022    4 recensioni
Una volta si erano ripromessi di affrontare ogni cosa insieme, ma poi lui le aveva lasciato la mano, abbandonandola di nuovo.
Ora lei lo ha ritrovato e riportato nel Dritto, incurante delle conseguenze, ma si renderà conto che la parte più difficile deve ancora arrivare.
Ofelia e Thorn scopriranno che prima di amarsi, prima di cominciare quella vita tanto agognata, dovranno trovare il coraggio per affrontare ciò che sono diventati. Eppure nemmeno quello avrà importanza, se prima non impareranno a condividere i rimorsi e le proprie paure.
Scopriranno che l’unico modo per curare le ferite e colmare i vuoti sarà affidarsi all’altro e cominciare un nuovo viaggio insieme.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Attraversaspecchi


 

Dal primo momento in cui l’aveva visto, quel giorno piovoso in cui era venuto a prenderla su Anima, Ofelia aveva cominciato un viaggio che l’aveva portata a conoscere tutte le mille sfaccettature del suo fidanzato e poi sposo, nonostante l’iniziale e illusoria animosità che sembrava impedire qualsiasi tipo di contatto o rapporto cordiale tra i due. Prima di quanto avrebbe mai sperato, aveva fatto crollare i muri attorno alla sua glaciale apparenza e imparato che le apparenze era sono quelle: apparenze. Thorn era un uomo a due facce, ma questa caratteristica non nascondeva alcuna accezione negativa.

Per tutti era sempre stato solo il freddo e misantropo intendente che preferiva nascondersi nel suo piccolo ufficio invece di mischiarsi alla folla; i numeri e la logica erano tutto ciò bastava a dare ordine alla sua vita e non gli interessava altro. Tuttavia, sotto quella superficie rude e gelida, nascondeva un senso del dovere e un istinto protettivo che nessun altro avrebbe potuto eguagliare. Inoltre, aveva dimostrato di desiderare una cosa più di tutte: la felicità e la sicurezza della moglie.

Detto questo, dunque, era facile comprendere come, una volta che i due si erano ritrovati, gli fosse ancora più difficile negarle qualcosa, qualunque essa fosse, anche se si scontrava con i principi che aveva seguito lungo il corso della sua solitaria esistenza. Allora, il secondo giorno dopo l’essersi amati per la prima volta dopo tanto tempo, quando Ofelia insistette affinché lui non tornasse in ufficio com’era previsto dai suoi turni prestabiliti, Thorn fece fatica a dirle di no.

“Ho promesso di essere un impiegato diligente, Ofelia, e io tengo sempre fede alla parola data,” le rispose, inflessibile, quando lei gli ripeté per la seconda volta i piani che aveva fatto per la giornata — piani che prevedevano anche lui, a casa e non in un ufficio.

“Non mi ci vorrebbe nulla a chiamare Octavio e informarlo di un disguido,” tentò ancora lei mentre gli versava un po’ di latte nel tè bollente.

Thorn arcuò un sopracciglio e strinse le labbra in una linea dritta, dimenticando anche di ringraziarla tanto era sconcertato da quella proposta. “Non c’è stato alcun disguido,” la contraddisse con voce apparentemente dura. Ofelia però aveva notato che stava cominciando a vacillare.

“Lo so,” concordò Ofelia, sedendogli accanto e carezzandogli le dita che stringevano la tazza. “Ma sono sicura che per lui non ci sarebbero problemi considerando il lavoro svolto da te in queste ultime settimane.” Poi, prima che lui potesse ancora ribattere, continuò: “Non ho detto che devi abbandonare i tuoi doveri — non mi permetterei mai; so quanto significa per te portare a termine un compito che ti sei prefissato. Tuttavia… che male ci sarebbe nello scambiare un turno e farmi compagnia quest’oggi? D’altronde, Octavio ti ha lasciato carta bianca per quel che riguarda i giorni in cui devi presentarti in ufficio,” gli ricordò.

“Hmph,” borbottò l’uomo, improvvisamente incapace di fornire una risposta migliore, distratto dalle dita di lei che stavano percorrendo lembi di pelle lasciati scoperti dalle maniche arrotolate della camicia.

Ofelia notò con piacere il suo pomo d’Adamo fare su e giù un paio di volte mentre l’ascoltava e sperò che si arrendesse quanto prima. Non era facile per lei interpretare quel ruolo di ‘tentatrice’ perché mai aveva creduto di essere attraente agli occhi di qualcuno al punto da poter avere quel tipo di effetto; meglio ancora, mai avrebbe immaginato che avrebbe mai voluto esercitare un simile potere su un uomo. Ma, come già capitato, questa era solo un’altra delle prime volte da sperimentare con Thorn. Eppure, se non fosse riuscita a strappargli un sì a breve, era sicura che il rossore sulle guance e sugli occhiali — che stava trattenendo a fatica — l’avrebbe presto tradita. “Lavoreresti da casa e domani saresti nuovamente in ufficio, diligente come sempre. Intanto, io potrei godere di una lenta e piacevole colazione con mio marito questa mattina.” Si sporse per sfiorargli le labbra ancora strette in una linea dritta che si ammorbidì non appena si toccarono. “Ti ho convinto?”

Thorn si schiarì la voce e poi si aggiustò leggermente sulla sedia. “Forse… forse non è una cattiva idea. Potrei completare ogni mio compito anche da casa e assicurarmi ugualmente che tutto sia in ordine. Non mi sentirei a mio agio nel lasciarti qui da sola ed è mio dovere come tuo marito offrirti la mia protezione e il mio aiuto, soprattutto quando senti di averne bisogno,” aggiunse più per proprio beneficio che per quello di Ofelia.

“Perfetto! Chiamo subito Octavio; avevo già intenzione di farlo per-”

“No, lo chiamerò io,” la interruppe bruscamente lui, serrando la mascella. Ofelia sollevò un sopracciglio in risposta a quel cambio di atteggiamento. “Non c’è alcun bisogno che tu ti prenda il disturbo. Inoltre, non sei capace di mentire,” dichiarò secco dopo essersi schiarito una seconda volte la voce.

Ofelia lo guardò a bocca aperta. “Non è vero! Voglio ricordarti che ho mentito per anni ai miei genitori e per mesi a tua zia e alla mia?”

“Ricordo con estrema minuzia di dettagli le difficoltà presentate dalle varie telefonate effettuate in mia presenza,” confermò Thorn bevendo finalmente il suo tè.

Fu Ofelia a sbuffare questa volta, dopo aver rimosso la mano da quella di Thorn, per grande disappunto di quest’ultimo. “Va bene, chiamalo pure tu. Ma non c’era bisogno di addurre come scusa la mia incapacità di mentire. So benissimo il motivo per cui non vuoi che sia io a chiamare Octavio,” disse infine, concludendo la discussione.

 

***

 

Trascorsero giorni di pura beatitudine, sebbene Ofelia non avesse tentato di trattenere a casa un giorno di più Thorn, ben conscia che anche solo chiederglielo di nuovo non sarebbe stato corretto nei suoi confronti. Rientrarono senza problemi nella loro routine e la sera, stanchi ma appagati, andavano a dormire dopo essersi persi ancora in un altro abbraccio, a volte più passionale e impetuoso, altre più lento e dolce. C’era, però, una piccola vocina che continuava ad assillare la giovane ogni volta che rimaneva da sola, come a volerle dire che qualcosa era stato messo da parte e meritava la sua attenzione. Non riusciva a capire cosa e spesso, con il trascorrere dei giorni, si scervellò tentando di ricordare, tanto che anche Thorn una sera a cena le chiese il motivo di certe smorfie.

Infine, un fulmine a ciel sereno la colse una mattina in cui era rimasta più a lungo sotto la doccia. Thorn l’aveva già salutata e lei, sentendosi le ossa più indolenzite, aveva deciso di lasciare che l’acqua calda risolvesse in parte il problema. A routine completata, colse di sfuggita il suo riflesso nel lungo specchio che tenevano in camera da letto — lo stesso che, solo una settimana prima, le aveva rimandato la nuova immagine di sé — e comprese ciò che aveva dimenticato.

La sua relazione con Thorn era definitivamente completa e guarita da quando avevano ritrovato il coraggio di donarsi l’uno all’altra, tuttavia in lei mancava un ultimo tassello ed era questa consapevolezza che aveva continuato a turbarla. Infatti, quando il marito l’aveva salutata quel pomeriggio, l’aveva interrotta proprio mentre stava per affrontare la sua ultima e più grande paura.

Il padrino le aveva sempre detto che essere un’Attraversaspecchi richiedeva tanto coraggio, la capacità di riuscire a guardare il proprio riflesso e riconoscersi, essere consapevoli di chi si era e accettarsi. Ma queste erano tutte qualità che le erano mancate un anno prima e, di conseguenza, non era stata più in grado di specchiarsi, soprattutto perché non sapeva più chi era. Per mesi era scappata da ogni superficie riflettente e aveva ignorato quel peso al petto che la opprimeva ogni volta che ne incontrava una. Tuttavia, ora sapeva che se non avesse affrontato quest’ultima sfida, non avrebbe potuto definirsi soddisfatta o anche solo completa; ci sarebbe stata sempre una mancanza o, come quegli ultimi giorni avevano dimostrato, una vocina che le avrebbe ricordato un’assenza importante.

Non aveva più paura di ciò che avrebbe visto e sapeva chi era quel giorno. Le mancava solo riappropriarsi di quel pezzo di anima che le era sfuggito.

Si fermò a un passo dallo specchio e la sua immagine sembrò annuire con il capo, come a dirle di non avere paura, infonderle altro coraggio. Con cautela allungò le dita artificiali e le appoggiò una a una sul vetro, non credendo nemmeno per un attimo che avrebbe fallito. Quando un secondo dopo nulla accadde, non riuscì a trattenere un singhiozzo. Strinse gli occhi, sconfitta, non riuscendo a capire il motivo dietro il suo fallimento; non aveva già, d’altronde, attraversato altri specchi da quando aveva perso le dita? Cosa le impediva ancora di tuffarsi nel proprio riflesso?

Stringendo gli occhi, rifiutò di piangere, nonostante le lacrime che si stavano già accumulando agli angoli degli occhi, e appoggiò tutto il contorno della mano alla superficie – palmo caldo, dita fredde – aspettandosi di scontrarsi ancora con la durezza di essa. Tuttavia, fu ancora una volta sorpresa quando percepì una sensazione familiare che le era mancata, una con la quale aveva convissuto tutta la vita. Sgranò allora gli occhi e osservò il vetro ora liquido inghiottirle prima la mano e poi il braccio. Non riuscendo a contenere la sorpresa mista a gioia, allungò la gamba e poi fece lo stesso con la parte sinistra che era rimasta immobile. Infine, anche il naso si tuffò e con esso portò tutto il resto del corpo.

In un altro luogo, ove risiedeva uno specchio complementare a quello nella camera da letto di Thorn e Ofelia, un uomo era intento a leggere con attenzione dei fascicoli. Era del tutto immerso nella lettura, sopracciglia aggrottate e labbra increspate, come se qualunque cosa ci fosse scritto non fosse di suo gradimento. Non si accorse, dunque, di ciò che stava avvenendo fino a che la luce proveniente dalla finestra non si scontrò con il metallo di quelle dita artificiali, facendolo luccicare.

Thorn alzò di scatto la testa e, perdendo per un attimo qualsiasi compostezza, osservò a bocca aperta gli arti della moglie farsi avanti, seguiti poi dal naso, gli occhiali e i capelli ancora umidicci. Ma ciò che lo colpì maggiormente fu il sorriso di lei e gli occhi che scintillavano di lacrime non versate e gioia pura.

Un secondo dopo era scattato in piedi; la raggiunse appena in tempo per evitare che inciampasse nella sciarpa saldamente aggrappata alla caviglia che, agitandosi, aveva rischiato di mandarla a terra. Thorn mantenne le dita strette attorno alle sue spalle, esercitando con i polpastrelli più pressione del necessario e l’aiutò a raddrizzarsi. Poi, senza dire una parola e non riuscendo a cancellare lo stupore dal proprio viso, la interrogò con gli occhi.

In risposta, ricevette solo un altro sorriso — uno dei più belli che Ofelia gli avesse mai regalato, se non il più bello. “Scusami, sai, com’è,” mormorò lei, indicando la sciarpa. “Era appoggiata alla sedia accanto allo specchio e deve essersi attaccata a me quando si è resa conto di ciò che stava accadendo.”

Thorn scosse la testa. “Ofelia…” sussurrò, non riuscendo a completare la frase.

Lei annuì, mentre finalmente le lacrime le rigavano il volto. “Sì, sì, Thorn. È perché sono un’Attraversaspecchi.”

Infine, contagiato dalla gioia che Ofelia trasudava, l’uomo curvò le labbra in su. “No, siamo Attraversaspecchi.”

 

***

 

Non passò molto tempo prima che un’altra importante decisione fu presa. Ofelia affermò una mattina a colazione che New Babel non aveva più nulla da insegnare loro e Thorn si dichiarò concorde, dimostrando anche di non temere niente di ciò che avrebbe potuto attenderlo al Polo. , Intanto, sarebbero sempre stati grati a quest’arca — e alla nuova società che vi risiedeva — per l’opportunità e lo spazio che aveva donato loro. Vi erano giunti per la prima volta da soli e persi, in momenti diversi, quando ancora l’aggettivo New non era stato aggiunto e il nemico da affrontare si nascondeva dietro tante insidie. Ora l’avrebbero lasciata con nuove cicatrici come prova di ciò che avevano superato; erano più spesse e grandi, e talvolta prudevano o davano fastidio come quelle volte in cui ti rivelano che fuori sta per piovere. Era però una sensazione che spariva facilmente in sottofondo perché era sovrastata da altre più felici, e in nessuno modo la memoria si sarebbe trasformata in dolore.

Una mattina, mentre procedevano con la tabella di marcia, Thorn rimase qualche minuto di più ad osservare il profilo di Ofelia o la sua espressione concentrata. Era raro per lui distrarsi, ma c’era una domanda che aveva rischiato di togliergli il sonno per alcune notti ormai e doveva porgliela. “Ti mancherà New Babel?”

Ofelia si immobilizzò, presa in contropiede, e poi voltò la testa di scatto mostrando la bocca semi aperta; la chiuse prima di tranquillizzare la fedele amica sulle sue spalle e bloccare un cassetto della cucina che si ostinava a volersi aprire e a colpirla sul fianco. “No,” rispose infine, sincera. “Per quanto sia felice dello spazio che ci è stato dato, porta molti ricordi tristi. I più felici sono contenuti tra queste quattro mura, quindi si potrebbe dire che mi mancherà questo nostro angolo privato.”

Thorn annuì in silenzio, ma Ofelia poté leggere chiaramente nelle sue rughe d’espressione che non era contento della risposta. Infatti, poco dopo proseguì: “Sei sicura di voler vivere al Polo?” Non poteva capire come potesse essere tanto ansiosa di tornare in quel luogo gelido che era ugualmente detentore di brutti ricordi. In più, non poteva dimenticare le difficoltà che aveva avuto nell’ambientarsi.

Il cipiglio profondo tra le due sopracciglia fu quanto bastò a Ofelia per comprendere la natura di quella domanda e si affrettò a cancellare subito qualsiasi dubbio o insicurezza in lui. Si avvicinò e gli prese le mani mentre alzava il volto per incontrare il suo sguardo perplesso. “Come posso spiegarti che, per certi versi, il Polo è stata casa mia tanto quanto lo è stata Anima? Non sono mai riuscita a sentirmi a casa qui, a parte questi mesi che abbiamo trascorso felici in questo appartamento, ma… il Polo è così diverso. New Babel prima di te è stato un… rifugio?” la frase le uscì più come una domanda che un’affermazione. “Era il posto dove potevo scappare per non impazzire, nascondermi e non dover spiegare ogni volta perché viaggiavo tra gli specchi visto tutti gli altri non approvavano la mia scelta. Ma il Polo è ancora oggi il luogo dove mi sono innamorata di te — conserverò sempre questo ricordo — e ci sono ancora tante cose che dobbiamo fare. Restare mi sembrerebbe come non andare più avanti, immobile; il nostro compito qui è concluso.”

“Non capisco,” ripeté Thorn aggrottando la fronte. “Che ne è del clima inospitale e dei clan a me ancora ostili? Della tua famiglia e del mio stato di bastardo? Logicamente i motivi per scoraggiarti nel prendere una decisione di questo tipo superano i lati positivi.”

Ofelia gli strinse le mani prima di rispondergli. “Il clima non è niente altro che un ostacolo facilmente superabile e ora che il mondo attorno a noi è cambiato, mi aspetto di trovare una società differente anche al Polo; senza contare che le nostre zie ce l’hanno già accennato. I miei parenti posso sempre andare a trovarli, mentre, per l’ultimo punto… Faruk ti ha affrancato di quello stato quando ancora gli spiriti di famiglia detenevano un ruolo importante.”

“Non voglio che in futuro te ne penta e me ne faccia una colpa,” chiarì lui, secco.

Lei scosse la stessa. “Non potrei mai.” Si aggrappò alle sue braccia e poi si alzò in punta di piedi, Thorn comprese ciò che voleva fare e chinò la grossa spina dorsale per venirle incontro. Ofelia gli baciò la cicatrice sulla guancia e poi gli angoli della bocca. “Quando mai abbiamo scelto la strada più facile io e te? Ma sapere che faremo ogni cosa insieme mi basta. Non ricordi cosa ci siamo promessi? Se necessario, te lo rammenterò ancora,” sussurrò e non gli sfuggì nemmeno l’ironia di quella frase.

Il marito si schiarì la gola. “Non ce n’è bisogno,” affermò mentre tentava di nascondere in quanti modi il suo corpo era ancora affetto da quel contatto. Ofelia lo trovava tenerissimo, ma Thorn insisteva nel dire che al di fuori della loro camera da letto era rigoroso essere sempre il ritratto della compostezza e non indulgere in determinate sensazioni se non per qualche secondo. Sembrava che, man mano che la partenza per il Polo si avvicinava, più ripeteva il concetto.

Ofelia annuì. “Bene. C’è altro che vorresti chiedermi?” A un cenno negativo della testa, lei riprese. “Ottimo, perché credo dovremmo muoverci a sbrigare le ultime pratiche.”

Thorn aggrottò di nuovo la fronte. “Abbiamo esattamente sette giorni, quindici ore e ventitré minuti prima della nostra partenza. Secondo i miei calcoli, lavorando cinque ore e diciassette minuti al giorno non avremo problemi a concludere il tutto senza alcun affanno.”

“Lo so, credo di ricordare i tuoi piani. Ma, intanto, mi è venuta in mente un’altra questione importante che dobbiamo risolvere prima di lasciare New Babel e ci impegnerà i prossimi sette giorni,” affermò lei.

Il marito non sembrò molto contento di questo repentino cambiò di piani e non esitò a mostrare il suo disappunto. “Perché non me l’hai riferito prima?” volle sapere. “In questo modo ci restano solo quindici ore e ventuno minuti per ultimare tutti i processi restanti,” pronunciò atono facendo scattare l’orologio.

Non aveva tutti i torti, pensò Ofelia, ma il fatto era che quell’idea le era venuta solo quel giorno, osservando l’uomo in giro per l’appartamento e il modo in cui quest’ultimo rispondeva a lui. Il suo animismo aveva contagiato il loro porto sicuro così come quello di lei ed era impossibile non notarlo insieme al fastidio di Thorn ogni volta che i bottoni di una camicia facevano di testa loro o i lacci delle scarpe creavano nodi impossibili da districare. Tuttavia, era sicura che i suoi piani per la restante settimana avrebbero alleggerito la tensione della partenza e la tristezza degli addii.

Con te che dirigi tutto sono sicura che non avremo problemi,” annunciò prima di tornare a chiudere una valigia che si era riaperta di sua spontanea volontà.



 


 

N/A: Buon giovedì a tutti! Anche questa volta abbiamo un capitolo importante. Inizialmente volevo inserire questo risvolto nello stesso capitolo in cui Ofelia e Thorn si ritrovavano ma poi ho pensato che avendo entrambi tanta importanza era meglio dividerli. Quindi eccoci qua. Ve lo aspettavate? Ora, però, finalmente anche Ofelia ha davvero piena consapevolezza di sé. E le frasi finali di lei e Thorn sono un chiarissimo riferimento al finale della saga. 

Alcune idee su cosa quest'ultima cosa a cui Ofelia si riferisce potrebbe essere? Lo scopriremo solo al Polo e quindi non nel prossimo capitolo, che verrà pubblicato tra due settimane. 

A presto e spero di sentirvi! 💖

 

   
 
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