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Autore: Kaiyoko Hyorin    05/04/2022    2 recensioni
Ciao a tutti! Questa doveva essere una raccolta di One-shot ma, dopo aver realizzato la verità, è diventata una raccolta di capitoli in stile Slice-of-Life che tratta un piccolo sequel del finale alternativo della mia fanfic "Lo Hobbit, un amore inaspettato". Se sapete di cosa sto parlando allora meglio così, altrimenti consiglio di leggervi almeno l'ultimo capitolo della suddetta (Finale Alternativo) perché altrimenti potreste non capire cosa state leggendo. Detto ciò, auguro buona lettura a tutti, nostalgici e non, della coppia Thorin/Kat.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lo Hobbit'
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QUELLA CASA NEL BOSCO


 


Ethan tornò dabbasso, scendendo le scale che conducevano alle camere del piano superiore con il necessario per passare la notte sul divano sottobraccio. Nel caminetto già ardeva, vivace e confortante, il fuoco che aveva acceso poco dopo aver rimesso piede in casa propria, diffondendo nel salotto dalle pareti in pietra e legno una calda luce aranciata.

In quel momento, oltre la porta chiusa del bagno, il rumore dell’acqua corrente si spense. Cercando di non pensarci, si costrinse a mettersi seduto sul divano, dando le spalle all’anta lignea dietro la quale Kathrine stava asciugandosi dopo una doccia ristoratrice.

– Grazie ancora per l’ospitalità – gli giunse la voce di lei, leggermente ovattata, richiamando subitaneamente la sua attenzione – non dovevi.

No, probabilmente non avrebbe dovuto neanche pensarci, figurarsi proporglielo. Peccato che, appena l’aveva vista in difficoltà sul marciapiede, davanti ad un Puledro Impennato illuminato dalle luci del camion dei pompieri ed a un vecchio Bil costernato e quasi stralunato, non aveva potuto in alcun modo fare finta di niente.

Quella sera, quando erano usciti per il loro primo appuntamento, un tubo era scoppiato al Puledro, allagando gli alloggi e costringendo ogni ospite e persino i proprietari a lasciare lo stabile in attesa dei lavori di ripristino.

– Non preoccuparti – le rispose pragmatico, prima di concludere con una battuta ironica – ..ho solo pensato non fosse la stagione giusta per il campeggio.

La breve risata di Kat gli si insinuò sottopelle, facendogli nascere una strana e per nulla spiacevole sensazione nel centro del petto.

– Sì, soprattutto quando ti ritrovi con quasi tutto il tuo equipaggiamento zuppo d’acqua – convenne ilare lei.

Fu nella breve pausa di silenzio che seguì che Ethan pensò di aggiungere: – Se ti serve il phone, lo trovi nel primo cassetto sotto il lavandino.

Un’altra breve pausa.

– Trovato, grazie mille!

– Di niente.

Il familiare e costante ronzio della ventola dell’asciugacapelli si interpose in quel loro breve scambio, riportando il silenzio, ed Ethan deviò lo sguardo verso il caminetto, svuotando i polmoni con un sospiro per tentare di rilassarsi un poco. Non le aveva offerto di stare da lui perché avesse cattive intenzioni nei suoi riguardi, niente del genere, eppure gli risultava incredibilmente arduo mantenere il sangue freddo ora che la prospettiva di averla sotto il suo stesso tetto si era concretizzata.

Scacciando da sé la consapevolezza di lei a pochi passi di distanza con poco più di un asciugamano addosso, finì per posare lo sguardo sul tavolino accanto a sé, notando il vecchio libro dalla copertina morbida abbandonatovi sopra: “Lo Hobbit” di J.R.R. Tolkien. Era di Kat, una delle poche cose che, stando alla quantità di vestiti che erano già esposti sulle varie sedie poste appresso al camino ad asciugare, era scampata all’acqua.

Più per inerzia che per vero interesse, Ethan lo prese e quando se lo rigirò fra le mani, osservandone il bordo consunto e i vari pezzi di scotch applicativi a rinforzo, avvertì come un’inattesa e struggente sensazione sfiorargli il petto. Conosceva la storia ovviamente, ma la prima volta che l’aveva letta essa gli aveva creato una tale serie di emozioni contrastanti quali rimpianto e frustrazione, ma anche una strana malinconia, che non aveva più voluto averci a che fare.

Be’, questo almeno finché lei non era comparsa d’improvviso nella sua vita.

Da quel giorno molte cose erano cambiate ed altre stavano ancora cambiando, dentro e fuori di lui. Lo provava il fatto che, tenendo in mano quel vecchio libro, provava sì nostalgia e tristezza, ma anche un’inspiegabile euforia. 

La Compagnia di Thorin Scudodiquercia… 

Ripensando a quella volta che aveva involontariamente coniato per Kat il suo soprannome al Puledro Impennato, si chiese se, nel caso in cui lui avesse vissuto realmente i panni di Thorin e se la giovane chiusa nel suo bagno avesse davvero fatto parte di quell’avventura, le cose non si sarebbero svolte diversamente per gli Eredi di Durin.

Il rumore della porta del bagno che si apriva lo riportò bruscamente alla realtà, costringendolo a riporre il libro dove l’aveva trovato ed a combattere contro la sensazione di imbarazzo tipica di chi era appena stato colto in flagrante.

– Ho finito – gli annuncio la giovane, uscendo dalla piccola stanza in cui era rimasta chiusa per poco più di un quarto d’ora.

Ethan si volse meccanicamente per gettarle un’occhiata da sopra la spalla, ma appena ne inquadrò la figuretta che scalza stava calcando l’assito del pavimento si irrigidì in ogni muscolo e spalancò le palpebre. Kat, fermatasi accanto alla parete per spegnere la luce, indossava la camicia che lui stesso le aveva prestato e nient’altro, cosicché le gambe di lei spiccavano al di sotto del lembo di quell’indumento palesemente più grande di almeno due taglie.

Quando i loro occhi si incrociarono, Ethan si ritrovò ad artigliare il cuscino del divano con forza mentre l’immagine di lei si stampava a fuoco nella sua mente. I suoi capelli, più voluminosi e indomabili che mai a causa dell’effetto del getto d’aria calda con cui li aveva asciugati, le incorniciavano il viso leggermente arrossato e la trama a scacchi della stoffa che ne avvolgeva il busto ed i fianchi ne seguiva piuttosto bene le curve, soprattutto a causa del fatto che ella stringeva sottobraccio i vestiti che aveva avuto addosso prima di entrare in bagno. 

In quella situazione il sorriso imbarazzato che lei gli rivolse gli fece perdere più di un battito.

– Il bagno è tutto tuo – gli disse Kat, scostandosi con un gesto distratto una ciocca dietro un orecchio – ..scusa se ci ho messo tanto, credo di essermi un po’ distratta.

I suoi neuroni parvero finalmente decidersi a riprendere il normale funzionamento sinaptico, cosa che gli permise di riscuotersi e di distogliere bruscamente lo sguardo dalla ragazza.

– Non fa niente – le rispose spiccio, dopo essersi schiarito la gola.

Giusto, era venuto il suo turno di lavarsi.

La prospettiva di chiudersi in bagno per un po’ non gli parve così male: aveva bisogno di tempo per schiarirsi le idee, ed una doccia era proprio ciò che faceva al caso suo.

Quindi si rimise in piedi senza sforzo, per poi raccogliere il cambio d’abiti che aveva recuperato poco prima dalla propria camera, ma nel tornare a drizzar la schiena, i suoi occhi tornarono istintivamente a cercare la sua ospite. La trovò intenta ad aggirare il divano, diretta verso il caminetto, apparentemente inconsapevole del subbuglio interiore che minacciava di scatenargli, ed Ethan si maledì mentalmente per la propria sconsideratezza: avrebbe continuato a rivedersela davanti agli occhi con addosso soltanto quella sua vecchia camicia a quadri verdi e neri per il resto della nottata, ne era mortalmente sicuro. 

Perché poi lei gli facesse quell’effetto non riusciva a spiegarselo: non è che non avesse mai visto una ragazza “poco vestita”. Di una cosa però era certo, ed era che lei, per lui, era speciale, più di qualunque altra ragazza avesse mai incontrato in quella vita. Forse era a causa dei sentimenti che provava per lei se si sentiva attratto da ogni suo gesto, ogni sguardo, ogni parola che gli rivolgeva. Di una cosa però era certo: era lei l’unica ad avere il potere di destabilizzarlo e condurlo sull’orlo della perdizione. Ci aveva provato, a mantenere il controllo di sé con lei, ma l’effetto che ne aveva ottenuto era stato il fomentare le proprie fantasie. Fantasie che, ora, avevano appena acquisito nuovo e scottante materiale su cui lavorare, proprio grazie alla sua fantastica idea di prestarle una misera camicia.

Sì, doveva decisamente farsi una doccia.

Una doccia fredda. 

No, meglio gelata.

Si mosse automaticamente, aggirando il divano dal lato opposto ed avviandosi con passo deciso verso il bagno.

– Farò in fretta – le disse senza più guardarla, del tutto focalizzato a raggiungere la propria meta, tanto da rivolgerle automaticamente la prima formula di cortesia che gli venne in mente – tu fa’ come se fossi a casa tua.

Ancor prima di udirne la risposta si era già richiuso la porta alle proprie spalle.

 

 

Kat si accomodò sul divano per il verso della lunghezza, sollevando le gambe sui cuscini e coprendosi con la coperta in spessa lana ivi lasciatale dal padrone di casa. L’atmosfera del salotto era tipica di una casa di montagna, con il caminetto acceso che diffondeva calore, un sommesso crepitio nell’aria e, oltre i vetri della finestra, il fitto bosco montano avvolto nell’ombra e nella neve.

Sospirò, confortata da quell’atmosfera quasi romantica, andando quindi ad aprire il proprio vecchio libro già poggiato sulle ginocchia.

Aveva bisogno di calmare i nervi che, perfino dopo una più che rilassante doccia calda, erano stati costantemente a fior di pelle sin da quando aveva acconsentito a restare qualche giorno da Ethan. In fin dei conti il suo stato d’intima agitazione era comprensibile: aveva appena accettato di passare la notte sotto lo stesso tetto dell’uomo con cui era appena uscita e per cui provava dei sentimenti.

Per questo motivo fece del suo meglio per sgombrare la mente ed immergersi in un racconto che già conosceva e cui si sentiva legata in un modo che andava al di là della sua comprensione.

In realtà erano molte le cose che la riguardavano a sfuggire alla sua comprensione dal giorno in cui si era svegliata in un letto d’ospedale, ma ormai era da tempo che si era arresa all’idea. E poi, rifletté sovrappensiero, gli attacchi di panico e le crisi di pianto da quando era arrivata in paese erano svanite, quindi magari la sua psiche stava iniziando a riprendersi dal trauma dell’incidente.

Una parte di lei si chiese se non fosse proprio Ethan la causa di un tale miglioramento così netto.

La sua mente, in barba alla pagina che stava fissando da una manciata di minuti, le proiettò nuovamente il ricordo del bacio che c’era stato fra loro appena due ore prima, ed un brivido caldo e freddo insieme le risalì lungo la spina dorsale, facendole incassare il capo fra le spalle e sorridere fra sé e sé.

Era stato… indescrivibile.

Lui era indescrivibile, le suggerì la sua vocina interiore, sempre pronta a provocarla.

Lo sguardo le scivolò sul polsino della camicia a scacchi che le aveva prestato, giacché tutti i suoi vestiti si erano infradiciati a causa di ciò che era accaduto al Puledro Impennato ed ora giacevano appresso al camino, ad asciugare su alcune sedie ivi accostate per l’occorrenza. Non si era salvato niente, ma almeno entro l’indomani sarebbe stato tutto asciutto.

Così imparava a lasciare quasi tutte le proprie cose ammassate nello zaino, sul pavimento.

Non tutto il male però veniva per nuocere se ora poteva crogiolarsi in quel capo d’abbigliamento e nella sensazione di fibrillazione che le incuteva la consapevolezza di indossare qualcosa che apparteneva a lui. Se avvicinava il naso alla flanella del colletto ed inspirava, poteva cogliere una debole traccia del suo odore.

Arrossì violentemente, cercando di darsi un contegno mentre tornava a leggere le avventure di Bilbo e della Compagnia di Thorin Scudodiquercia, ma quell’attività non ebbe in lei l’effetto sperato, giacché ogni volta che sulla carta leggeva il nome di Thorin il suo cuore fremeva e le ricordava che un altro Thorin era a pochi metri da lei, oltre una semplice porta chiusa, a farsi una doccia.

No, ora si stava asciugando i capelli, si rese conto nel riconoscere il familiare rumore del phone oltre l’anta.

L’orologio a pendolo appeso alla parete già segnava l’una e mezza di notte, rendendola consapevole del costante quanto inevitabile scorrere del tempo, e una parte di lei ringraziò il fatto di non dover andare al lavoro il dì seguente: Bil avrebbe riaperto la sala ristoro della locanda quello successivo a causa dei danni provocati dall’acqua.

Se non ricordava male anche Ethan aveva affermato di avere il giorno libero, l’indomani.

Il pensiero che, forse, lo avrebbero passato interamente insieme le fece accelerare il battito del cuore nel petto e scosse il capo per cercare di scacciare tutti i pensieri e le aspettative che stavano già affacciandosi alla sua coscienza.

Non doveva aspettarsi nulla, ricordò a sé stessa una volta di più, zittendo il conflitto interiore che era stato sul punto di scatenarsi in lei: non aveva accettato la sua ospitalità perché si aspettava qualcosa, sapeva che la sua offerta non era nata da doppi fini, quindi pensarci non sarebbe valso a niente. Anche se… 

– Smettila Kat – si ammonì a mezza voce, imbarazzata da sé stessa.

Come se ciò che provava per lui fosse assimilabile soltanto ad una banale attrazione fisica. No, i suoi sentimenti erano decisamente più profondi e complessi e non avrebbe rischiato di rovinare tutto solo a causa dell’improvvisa decisione dei suoi ormoni di tornare in attività dopo neanche lei sapeva quanto!

Se l’era appena ripetuto mentalmente quando la porta del bagno si aprì e l’oggetto dei suoi pensieri uscì in soggiorno. Kathrine sollevò lo sguardo in sua direzione più per un mero riflesso condizionato che per una reale intenzione, ma quando i suoi occhi si posarono su di lui il fiato le si impigliò in gola e spalancò le palpebre, completamente presa in contropiede.

Ethan, con una mano a reggere un asciugamano sopra una spalla, lo stesso con cui doveva essersi tamponato i capelli corvini, indossava un paio di sformati e vecchi pantaloni della tuta grigio chiaro, abbastanza bassi sui fianchi da lasciar intravedere l’elastico dei boxer. E nient’altro.

Per la prima volta da quando lo conosceva Kat posò lo sguardo sul suo corpo seminudo e l’unico pensiero razionale che riuscì ad avere fu che la peluria che gli ornava il petto non era abbastanza da mascherarne i pettorali ben definiti. Aveva un fisico allenato, più di quel che si era intimamente immaginata, con muscoli di braccia e spalle evidenti, tipici di chi è abituato a sollevare pesi considerevoli quasi tutti i giorni. 

Ethan, totalmente inconsapevole dello sguardo incantato di lei, attraversò parte del salotto e scomparve in cucina, cosa che permise alla ragazza finita in trance di rientrare in possesso delle proprie facoltà mentali e di tuffare di nuovo il naso ne Lo Hobbit.

Oddio, oddio, oddio

Quello del boscaiolo doveva proprio essere un mestiere duro.

– Se hai sete c’è dell’acqua vicino al lavandino – le annunciò all’improvviso il padrone di casa dall’altra stanza, facendola sussultare meccanicamente ed arrossire fino alla punta delle orecchie.

Kat riuscì in qualche modo ad annuire mentre al contempo cercava di sprofondare, al colmo dell’imbarazzo, fra i cuscini del divano: dell’acqua fresca sarebbe stata l’ideale per la sua bocca improvvisamente riarsa, ma il solo pensiero di alzarsi era fuori questione, figurarsi andare in cucina passandogli letteralmente accanto.

Inspirò ed espirò più volte a fondo, cercando di calmare il sordo martellare del cuore nelle proprie orecchie, ma nel farlo si estraniò abbastanza da ciò che la circondava da non accorgersi che l’uomo dei boschi era tornato in salotto.

– Che stai facendo?

Kat rischiò seriamente l’infarto stavolta, giacché se lo ritrovò ad un metro di distanza, in piedi dietro al divano, intento a fissarla. Quasi le scappò un urletto ed Ethan la ricambiò con uno sguardo perplesso ed inquisitorio, perforandola con quei suoi occhi chiarissimi e penetranti.

– C-che..? N-niente – balbettò, avvampando ancor di più in volto e distogliendo lo sguardo, prima di tentare di rimediare alla figura che stava sicuramente facendo – ..stavo leggendo.

– Oh sì, vedo – ribatté quello con naturalezza – ..e vedo anche che ti sei messa comoda.

La sottile ironia del suo tono di voce spinse la ragazza a tornare a sollevare lo sguardo sul suo interlocutore, già chinatosi per appoggiarsi con ambo gli avambracci alla sommità dello schienale del suo autoproclamato “letto provvisorio”.

– Sì, infatti.. – gli confermò, corrucciandosi, confusa – ..perché?

Lui sfoggiò un lieve mezzo sorriso dei suoi, uno di quelli che riuscivano sempre ad accelerarle il battito cardiaco nel petto, ed un nuovo brivido la percorse. Distolse un’altra volta lo sguardo da lui, puntandolo sulle pagine del libro ancora aperto sulle proprie ginocchia.

– Perché, in realtà, quello sarebbe il mio posto…

Kat a quelle parole prima inarcò un sopracciglio e poi, dopo esser tornata a fissarlo dritto in volto, non riuscì a nascondere l’ironia ed il divertimento che le traboccarono dalle labbra.

– Ahah… sì, certo.. non sapevo potessi essere un tipo così spiritoso! – lo prese in giro, prima di riaffermare la propria posizione – Certo, è casa tua, ma... be’, è colpa tua che non hai specificato nulla quando mi hai detto di fare come se fossi a casa mia.

– Ah, è così… – le rispose Ethan a quel punto, scuotendo il capo con fare sconsolato prima di raddrizzare la schiena e guardarla dall’alto della sua statura.

I suoi occhi color ghiaccio sembravano brillare, tinti dei riflessi del fuoco, e Kat osservandoli si abbandonò con la schiena contro il cuscino. Allentò persino la stretta con cui reggeva il proprio libro sulle gambe, rapita da quel paio d’iridi splendenti.

Ci si sarebbe smarrita più che volentieri, in quella coppia di distese ghiacciate.

– In ogni caso, sappi che per stanotte questo divano è mio – continuò imperterrito il moro, prima di alludere al piano superiore con un cenno del capo – ..tu dormirai nella mia camera.

A quelle parole Kat, riavendosi bruscamente dalla propria silenziosa contemplazione, si aggrappò a Lo Hobbit neanche si fosse trattato della sua unica àncora di salvezza.

– Cos..? – le sfuggì a mezza voce, quasi strozzandosi da sé mentre il respiro tornava a incastrarlesi in gola.

Come sarebbe a dire che avrebbe dormito nella sua camera?

E dove, di preciso, nella sua camera? Non intendeva nel suo letto, vero??

Thorin sembrò a disagio sotto il suo sguardo inquisitorio, perché sollevò una mano a grattarsi la nuca e deviò lo sguardo verso le scale.

– Purtroppo la stanza degli ospiti non è in condizioni di riceverne.. – ammise, pragmatico – Domani ne approfitterò per sistemarla, ma per stanotte dovrai accontentarti della mia.

Kat deglutì, osservandone distrattamente le spalle muscolose sollevarsi in un chiaro gesto di rammarico, cercando di riprendersi dall’improvvisa agitazione che la prospettiva di passare la notte fra le lenzuola di lui le causava.

– N-no, no, no.. – iniziò, sollevando la schiena e rimettendosi in una perfetta posizione seduta, così da affrontare quel discorso surreale in tutta serietà – Non posso farlo. Non posso dormire nel tuo letto – stabilì, prima di aggiungere, cercando una giustificazione accettabile che non tradisse i suoi reali sentimenti – non mentre tu te ne stai qui su questo divano: non è giusto. No, dormirò io qui per stanotte.

Di nuovo Ethan inarcò un sopracciglio nello scrutarla e lei, per contro, mantenne stoica la propria posizione sfoggiando un’espressione decisa e leggermente corrucciata.

Non avrebbe chiuso occhio se l’avesse sfrattato dal suo stesso letto, e non certo per i sensi di colpa!

– La mia non era una proposta: è già deciso.

– Scordatelo.

– Bene, se la metti così… – se ne uscì a quel punto lui, accigliato, prima di muoversi.

Aggirò il divano e si lasciò ricadere seduto su di esso, dal lato opposto a quello scelto da lei, costringendola con un’esclamazione contrariata a raccogliere le ginocchia al petto per evitare che lui la schiacciasse.

Incredula, Kat lo fissò con tanto d’occhi mettersi comodo, come se lei non esistesse nemmeno, con le braccia allargate sulla sommità dello schienale e le gambe ben distese.

– Ma scusa…!

Lui la ignorò, emulando un sospiro eloquente che gli gonfiò il petto. La calda luce del fuoco proiettò piccole ombre danzanti sui suoi pettorali.

– Così va meglio – affermò con artefatta soddisfazione.

Kathrine a quel punto inarcò un sopracciglio, riemergendo dal proprio stupore per sferrargli un’occhiata carica di scetticismo.

– Ah, davvero?

L’altro, per contro, non fece una piega, rivolgendole un mezzo sorrisetto ironico.

– Oh sì – confermò, reclinando il capo all’indietro.

Kat, rivolta inevitabilmente verso di lui, al vederlo abbassare le palpebre si soffermò involontariamente a fissarne il profilo ed il rossore tornò prepotente a tingerle le gote. Come poteva apparirle così bello e virile persino in un momento di disaccordo come quello? E dire che avrebbe ormai dovuto essersi abituata a quel suo carisma di condottiero d’altri tempi.

Forse con l’età stava iniziando a tramutarsi in una di quelle pervertite che molestano i bei ragazzi…

Scacciò quel pensiero inquietante dalla propria mente, ritrovando grazie ad esso il senso della realtà ed il filo del discorso: non poteva dargliela vinta.

Si schiarì quindi la voce per catturarne l’attenzione.

– Stai dicendo – esordì – che, piuttosto che lasciarmi sul divano e dormire nel tuo letto, preferisci che ce ne stiamo tutti e due qui a litigarci il poco spazio disponibile?

Le spalle di lui si sollevarono di nuovo in un chiaro messaggio di noncuranza che la fece accigliare ancora di più.

– Così pare.

Kat sbuffò a cotanta insensata testardaggine.

– Io non posso crederci!

– Credici – ribatté quello, serafico – non intendo cedere.

– Io nemmeno – gli rispose lei risoluta, impuntandosi e traendo dalla propria contrarietà la forza per mantenere la propria posizione. Sollevò persino il libro che ancora reggeva fra le mani in posizione verticale, per limitare la propria visuale sul suo fisico, giacché l’averlo di fronte senza più di una coperta e poche decine di centimetri d’aria a separarli era per lei una fonte troppo efficace di distrazione. Senza contare l’effetto che creava la calda luce proiettata dal focolare sulla sua pelle nuda.

– Sei mia ospite: non posso lasciare che tu dorma su uno scomodo divano – ritornò alla carica Ethan dopo un po’, lanciandole un’occhiata da sotto le palpebre.

– Almeno io ci sto per intero, a differenza di qualcun altro – borbottò in replica Kat, imbronciata come una bambina.

La frecciatina parve colpire nel segno perché lo vide inarcare un sopracciglio, prima di darsi uno sguardo e uscirsene con uno sbuffo divertito.

– Sì, ok.. in effetti questo è vero.

Grazie al cielo stava tornando alla ragione..

– Però la cosa non cambia: io non intendo muovermi da qui.

..o forse no.

– Nemmeno io – negò lei, cocciuta, sistemandosi meglio nella propria posizione rannicchiata a sottolineare quanto appena detto.

– Bene.

– Bene.

Quindi il silenzio tornò ad interporsi fra loro, turbato soltanto dal fioco scoppiettare del fuoco, e durò quasi un minuto durante il quale la povera ragazza non riuscì ad impedirsi di gettare continue occhiate al suo compagno di divano.

Non potevano passare la notte in quel modo o la mattina dopo, oltre ad un paio di pesanti borse sotto gli occhi ed un mal di testa da urlo, ci avrebbe pensato il mal di schiena a farli pentire delle loro rispettive posizioni.

Sospirò, iniziando ad avvertire la stanchezza della giornata appena trascorsa.

– Così è questo che si intende per “stallo alla messicana” – commentò, scoccandogli un nuovo sguardo da sotto le ciglia.

Ethan sollevò il capo, emettendo uno sbuffo divertito dal naso, prima di rivolgerle un nuovo mezzo sorriso.

– Eh già.

Quindi ella lo vide cercare di assumere una posizione un po’ più comoda, scivolando più in basso sulla seduta e intrecciando le mani dietro la nuca. Nonostante il suo tentativo, a Kat apparve chiaro come in realtà i suoi sforzi si fossero rivelati inutili: sembrava sul punto di cadere dal divano da un momento all’altro.

Abbassando lo sguardo sulle pagine del libro, ella impiegò un altro paio di minuti per trovare il coraggio di esporre l’unica idea che, nel mentre, le era venuta in mente come alternativa alla loro scomoda situazione.

– Senti… – esordì per attirarne l’attenzione, sentendo le gote scottarle sempre di più mentre prendeva coraggio; inspirò a fondo, prima di decidersi e tornare a sollevare gli occhi sul suo interlocutore, oltre il bordo superiore de Lo Hobbit – …forse c’è un’alternativa.

Ethan, riabbassando le braccia, ricambiò il suo sguardo, inarcando un sopracciglio.

– E quale?

L’agitazione minacciò di serrarle la gola e Kat, per riflesso, sfuggì il contatto diretto con gli occhi di lui solo per finire per abbassare lo sguardo poco più in basso. Fu la scarica di adrenalina che le provocò la vista dei capelli neri di lui adagiati sui suoi muscoli delle spalle il carburante che le diede il coraggio di continuare.

– Invece di dividerci un angusto divano.. – gli disse, con il cuore che le rimbombava assordante nelle orecchie – ..sarebbe forse più logico dividerci un comodo letto, no?

Nel dirlo sollevò di nuovo gli occhi grigio-verdi sul volto altrui e fu per questo che poté essere spettatrice del cambiamento ne colse l’espressione: lo vide spalancare le palpebre, palesemente preso in contropiede da ciò che gli aveva appena detto, e poi un rossore sempre più accentuato fare la sua comparsa sui suoi zigomi, sopra il bordo della sua barba scura.

La pausa di silenzio che seguì vide il prolungarsi di quella situazione di stasi al punto che Kat, soggetta allo sguardo fisso e penetrante dell’altro, desiderò intimamente di non aver detto niente, giacché ora l’imbarazzo in lei era tale da farle rimpiangere anche solo di aver pensato a un’alternativa del genere.

Chissà quali idee si stava facendo lui sul suo conto a causa di quel che aveva appena proposto?

Stava per aprire di nuovo bocca e ritirare tutto quando, improvvisamente, Ethan abbandonò quella sua prolungata immobilità, voltando il capo nella direzione opposta ed infrangendo il silenzio.

– Va bene.

E a quell’unico, semplice assenso, il cuore di lei mancò un battito.


 

Come la sua coscienza tornò a riemergere dal mondo dei sogni, il suo braccio si mosse istintivamente a cercare una presenza accanto a sé. Il vuoto che trovò lo aiutò a riemergere dal proprio stato di dormiveglia, ma era ancora intontito quando, confuso, aprì gli occhi.

Il sole doveva essere sorto da un pezzo, pensò Ethan, a giudicare dalla luce che dalle imposte semi-chiuse filtrava nella sua stanza. E c’era qualcos’altro, qualcosa di diverso dalle mattine precedenti.

Il lontano suono di una voce femminile che canticchiava in sottofondo fu il primo messaggio chiaro che i suoi sensi gli riportarono alla mente. Il secondo fu la sensazione delle lenzuola a diretto contatto con la pelle del proprio corpo. Tutto il proprio corpo.

Reclinando il capo verso il proprio petto non ebbe bisogno di più di un’occhiata per avere la conferma che era nudo e l’istante seguente il ricordo della notte appena trascorsa lo colpì a tradimento, facendolo ricadere all’indietro a fissare il soffitto di quella che era la sua camera.

Orcamiseria.

Inspirò, incamerando aria nei polmoni e permettendo all’ossigeno di entrargli in circolo.

Loro avevano…?

Incredulo, tornò a voltarsi verso il posto vuoto accanto a sé, e quasi non ebbe il tempo di chiedersi dove fosse lei che di nuovo quel canticchiare indistinto tornò alla sua attenzione.

E quello non era forse odore di pane tostato?

Ormai del tutto desto e padrone di sé, Ethan si alzò lesto e s’infilò il primo paio di pantaloni che gli capitò sotto tiro, prima di avviarsi verso la porta socchiusa. Scese le scale in legno con passo celere, lasciando che la gravità facesse parte del lavoro, e mentre attraversava il salotto gettò un’occhiata nei pressi del camino. Le braci s’erano quasi del tutto spente, infittendo la penombra che sostava in quella parte della casa, e gli abiti di Kathrine erano ancora dove li avevano lasciati la sera precedente.

Il tipico rumore di qualcosa che sfrigola in padella, unito all’odore di cibo, lo richiamò verso la cucina e, quando vi si affacciò, ciò che i suoi occhi videro lo indusse a fermarsi ad osservare la scena: la figuretta di Kat, con addosso la stessa camicia che lui le aveva procurato la sera prima, era di schiena davanti ai fornelli accesi e stava facendo saltare quelle che, da quel poco che egli poté vedere dalla sua angolazione, dovevano essere uova strapazzate. Accanto a lei, sul ripiano piastrellato, due piatti attendevano con già delle fette di prosciutto da un lato, e sulla tavola apparecchiata svettavano una pila di frittelle ed un cestino di fette di pane arrostito.

Piacevolmente sorpreso, Ethan si soffermò un paio di minuti in quella sua silenziosa contemplazione, ritrovandosi a sorridere fra sé e sé mentre ammirava la giovane donna che, ignara della sua presenza, stava preparando una vera e propria “colazione dei campioni”, come l’avrebbero definita i più, canticchiando allegramente un motivetto che non gli era del tutto estraneo. 

Probabilmente gli aveva svuotato il frigo, considerò. Non che dentro ci fosse stato molto, prima del suo passaggio… avrebbe dovuto fare un salto in paese per comprare qualcosa per cena prima di sera.

Non che l’idea lo disturbasse in qualche modo. 

In realtà gli piaceva ciò che stava vedendo… in ogni suo aspetto.

Attese il momento in cui Kat spense il fornello per decidersi a farsi avanti.

– Buongiorno – esordì pacatamente.

Quella sussultò leggermente, presa di sorpresa, prima di voltarsi a gettargli un’occhiata da sopra la spalla. Quando i loro occhi si incrociarono, un sorriso che pareva derivata della luce stessa le delineò le labbra rosee, e lui pensò ancora una volta che era bella, davvero bella, con quei suoi folti capelli dai riflessi color mogano scompigliati dalla notte appena trascorsa e vestita soltanto della sua vecchia camicia a quadri neri e verdi.

– Oh, buongiorno – lo ricambiò lei dopo un istante, costringendolo a tornare a guardarla in volto.

Nemmeno si era accorto di aver abbassato lo sguardo sulle sue curve.

Doveva darsi una regolata, non poteva pensare a certe cose di prima mattina.

– Scusami se mi son messa a trafficare nella tua cucina – stava dicendo intanto Kathrine, tornando a riversare il contenuto della padella che stava maneggiando nei piatti lì accanto – non volevo sembrare sfacciata, ma quando mi sono svegliata avevo fame ed ho pensato sarebbe stato lo stesso per te; così, dato che c’ero mi sono messa a preparare la colazione…

La sua voce allegra colmò ogni angolo della piccola cucina ed Ethan, sorridendo maggiormente fra sé e sé, le si avvicinò da dietro, cedendo all’istinto di cingerla con ambo le braccia e poggiando al contempo il mento sulla sua spalla sinistra.

– Hai fatto bene – l’interruppe, stringendola delicatamente e crogiolandosi nella sensazione del suo corpo contro il proprio – Cos’hai preparato?

Sì, realizzò fra sé e sé mentre inspirava a pieni polmoni il suo odore e le depositava un bacio sotto l’orecchio, sulla pelle del collo, ora andava molto meglio.

La sentì rabbrividire leggermente in reazione alle sue attenzioni, ma l’istante seguente ne percepì i muscoli rilassarsi del tutto e ogni resistenza venir meno. Il suono di una fugace risatina di gola gli solleticò le orecchie.

– Ho trovato le uova in frigo, e così… – iniziò a rispondergli, appoggiando la padella ora vuota di nuovo sul ripiano cottura – …però non sapevo come le volevi: se all’occhio di bue o strapazzate, così ho pensato di farle in entrambi i modi, insieme a un po’ di prosciutto arrosto. Però poi mi è venuto in mente che non sapevo se avresti preferito una colazione dolce, e così…

Il moro non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito, cogliendo la nota impacciata che colorava la voce della ragazza che aveva fra le braccia, fattasi insolitamente loquace, ed una parte di lui la trovò adorabile, tanto che tardò un istante ad andarle in soccorso.

– Vanno benissimo così – la frenò, rinsaldando l’abbraccio – adoro le uova col prosciutto a colazione. E mi piace anche tutto il resto.

E per “tutto il resto”, intendeva davvero tutto il resto.

Il verso di stupore misto a divertimento che le sfuggì, gli rese noto quanto anche lei avesse colto la velata allusione appena fatta, sorridendo fra sé e sé. 

Avrebbe potuto passare il resto della propria vita a svegliarsi così, pensò distrattamente. O meglio ancora: la metà del resto della propria vita, l’altra l’avrebbe volentieri passata svegliandosi con lei accanto, pronta ad accoglierlo fra le sue braccia come era accaduto la notte appena trascorsa.

In realtà il ricordo che serbava su come fosse iniziata era confuso nella sua mente: un attimo prima stava finalmente appisolandosi dal suo lato del letto e l’attimo dopo era sopra di lei, affondando fra quelle sue dolci, morbide labbra. Quel pensiero gli fece serrare la presa sui suoi fianchi ed al contempo gli fece nascere un basso mugolio di gola al quale Kat si fece sfuggire un ansito.

– T-Thorin…?

Quel soprannome, unito al tono con cui ella l’aveva appena proferito, ebbe il potere di fargli tornare il sangue al cervello e rallentarne il defluire verso ben altri posti, cosa che gli permise di realizzare ciò che stava facendo e che lo spinse ad allentare i muscoli delle braccia.

Che stava combinando?

– Scusami, sono un idiota – si schernì, arrossendo vistosamente e lasciandola andare, facendo persino un passo indietro per darle spazio – non so cosa mi sia preso stamattina: di solito non sono così…

Così arrapato, concluse mentalmente, vergognandosi troppo per ammetterlo ad alta voce.

A sua discolpa ci sarebbe da dire che l’abbigliamento di lei non lo aiutava a non pensare a certe cose, giacché per lui non vi era nulla di più sensuale di quella che nella sua personale classificazione della moda odierna era la perfetta mise da sesso: camicia maschile di due taglie più grande, calzettoni e nient’altro. Anche se nessuna gli aveva mai fatto lo stesso effetto che Kat gli faceva dal primo momento in cui l’aveva incontrata e questa era una delle cose che faticava ancora a spiegarsi.

La ragazza intanto, di nuovo libera di muoversi, si voltò a guardarlo e la sua espressione lo colpì come un pugno dritto al petto, giacché era l’esatta copia della sua: il rossore le tingeva le gote e le faceva rilucere gli occhi grigio-verdi dei riflessi della luce del giorno, mentre l’aria tesa ed imbarazzata con cui si morse il labbro inferiore gli fece venir un’incredibile voglia di baciarla.

Doveva darsi una regolata.

– Non sei un idiota..

A quella contraddizione il cervello di Ethan si inceppò momentaneamente, facendolo bloccare in ogni muscolo mentre si chiedeva se aveva sentito bene. 

No, probabilmente il “non” se l’era immaginato.

– ..perché vorrebbe dire che, allora, saremmo in due – concluse quindi Kat, abbassando lo sguardo e ravviandosi in un gesto abituale ed automatico alcune ciocche di capelli dietro l’orecchio sinistro.

E, se possibile, era ancor più rossa in viso mentre andava a tormentarsi con ambo le mani il lembo inferiore della camicia di flanella, gesto che, maledizione a lui, gli permise di distinguerne l’orlo inferiore delle mutandine.

Stavolta Ethan fu certo di aver capito bene, ma lo stupore gli impedì qualsiasi altra reazione non fosse quella di rimanere a fissarla, cosa che spinse la ragazza di fronte a lui ad accigliarsi e schiudere nuovamente le labbra.

– Non mi ha dato fastidio, è.. è solo che mi hai sorpresa, e poi.. insomma.. – e mentre parlava gli scoccava occhiate fugaci da sotto le ciglia, come se non riuscisse a sostenerne il contatto visivo, finché parve spazientirsi e lo fissò d’improvviso dritto in volto, quasi arrabbiata – Come potrei non provare le stesse cose se ti presenti così in cucina di prima mattina? Ma ti guardi mai allo specchio o quello in bagno lo tieni solo per fare arredamento?!

Quello sbotto improvviso, palesemente nato dall’imbarazzo che doveva star provando per aver appena ammesso i suoi sentimenti, lo lasciò spiazzato. Il sollievo che gli nacque in petto l’istante seguente però allargò il sorrisetto che gli si formò in volto non appena realizzò appieno ciò che le parole di lei stavano a significare, e non riuscì a simulare in alcun modo la propria soddisfazione né il senso di vittoria che gli nacque in petto.

Se le cose stavano davvero così, allora forse poteva anche rilassarsi un poco.

– Stai dicendo che non ti dispiace quello che vedi? – le domandò, tornando a far un passo avanti e cercando di agguantarla per i fianchi con ambo le mani.

Quella tentò di indietreggiare ma l’unico risultato fu che si ritrovò schiacciata fra lui ed il mobile alle sue spalle, con ambo le mani a premergli sul petto nudo in un vano tentativo di frenarlo.

– C-come se non lo sapessi – gli ribatté a tono, tornando a deviare lo sguardo a lato per evitare di guardarlo.

Era carina anche con quell’aria imbronciata, pensò il moro mentre aderiva con il bacino al suo basso ventre. La sensazione che gli pervenne da quel contatto indiretto ne richiamò alla memoria un’altra, ben più intensa ed avvolgente, ed una serie di brividi di eccitazione gli si diffusero in tutto il corpo. E sarebbe andato avanti in quella sua personale operazione di persuasione se un improvviso brontolio non avesse infranto il momento, risuonando nel silenzio come un gorgoglio di protesta, proveniente dallo stomaco di lei.

Appena Kat lo realizzò, la vide trattenere bruscamente il respiro e come tornò ad incrociarne lo sguardo, Ethan si ritrovò a frenare una nuova risata divertita, tanto per l’ironia del momento quanto per la buffa espressione che le lesse in volto e che pareva proprio volergli dire: “Non osare aver sentito qualcosa, chiaro?!”.

E, se avrebbe dovuto sentirsi un po’ infastidito da quell’interruzione, in realtà così non era e si sorprese ancora una volta dell’effetto che lei riusciva a fargli, finanche in momenti come quelli. La tensione sessuale ormai allentata e perfettamente sotto controllo, Ethan si chinò a donarle un bacetto complice sulla punta del naso, a dimostrazione della sua buona volontà di darle tregua.

– Be’, dato che ti sei data tanto disturbo è meglio fare colazione – affermò, sorridendole – Ho una fame da lupo.

Avrebbe potuto passare ore a fissare quell’iridi grigio-verdi, pensò distrattamente mentre la osservava rilassarsi e ricambiare il suo sorriso. Un sorriso dolce, colmo di affetto e gratitudine, ma anche divertito, che gli fece nascere una ormai familiare sensazione di calore al centro del petto.

No, non avrebbe mai più potuto rinunciare a quel suo sorriso, si rese conto mentre si chinava di nuovo a baciarla sulle labbra. Così come non avrebbe permesso che quei suoi occhi luminosi guardassero qualcun altro come stava guardando lui in quel momento.

Era incredibile come si sentisse indissolubilmente legato a lei, come se la conoscesse da sempre, ma non avrebbe ignorato il modo in cui lo faceva sentire. Non sapeva dove quella storia l’avrebbe portato, ma di una cosa era intimamente, inconsciamente, irrevocabilmente certo: ora che l’aveva trovata non l’avrebbe più lasciata andare, perché era lei la ragione per cui era nato su quella terra.


   
 
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