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Autore: Feisty Pants    05/04/2022    1 recensioni
In una scuola americana, lontana dalla Spagna e dalla storia dei Dalì, i figli degli ex rapinatori vivono la propria adolescenza con spensieratezza, gioia ed energia, senza sapere di avere, come genitori, i ladri più geniali della storia. La vita trascorre normalmente per i Dalì, ormai intenti a lavorare e a seguire una routine che li entusiasma, ma la tranquillità non durerà per sempre: presto la verità verrà a galla, portando con sé rischi e pericoli.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bogotà, Il professore, Nairobi, Rio, Tokyo
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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CAPITOLO 23

“Perché cazzo è andata con loro?!” afferma Raquel all’interno della postazione di controllo, grattandosi la fronte nervosamente e rimuovendosi dei brufoli per lo stress.

“Che cosa facciamo ora?!” chiede Helsinki in panico per la migliore amica, scuotendo la testa di fronte alla sua testardaggine.

“Dobbiamo solo sperare che non si faccia scoprire e non si metta in testa di farcela da sola” risponde il professore appoggiandosi a una parete, pulendosi poi gli occhi per la stanchezza.
Tokyo se ne stava in un angolo e non riusciva a replicare. Sapeva che la migliore amica aveva agito d’istinto compromettendo il lavoro di tutti ma, da un certo punto di vista, la ringraziava per quel gesto di coraggio.

“Da quando Nairobi se ne esce con queste alzate di testa?! In genere era Tokyo quella che ne combinava di tutti i colori, non lei!” si sfoga Palermo non riuscendo a trattenere la rabbia.

Quella frase di cattivo gusto mobilita senza ombra di dubbio Silene che, inalberata, prova a raggiungere Martin con il tentativo di riempirlo di botte. Intercettata da Bogotà, la donna viene fermata e trattenuta fisicamente, ma la sua voce trema e difende la migliore amica con tutta la propria energia.

“Nairobi non fa alzate di testa! Nairobi è la più intelligente qui dentro! Se non fosse per lei la metà di noi sarebbe già morta!” urla Silene, digrignando i denti e provando a liberarsi dalla presa di Santiago.

“Non mi sembra proprio sai? Lei ci ha scaricati! Ha solo voglia di prendersi i suoi gemelli e darsela a gambe! In quel cazzo di museo, ci sono anche i nostri figli! Non solo i suoi! Te lo sei dimenticata questo?!” si sfoga Palermo, mostrando una preoccupazione lecita in quanto padre.

Tokyo, con le lacrime agli occhi, incassa il colpo ma, dentro di sé, sa di potersi fidare ciecamente della sua Hermana che mai avrebbe pensato esclusivamente al proprio orticello.

“Nairobi non vuole darsela a gambe. Nairobi è una madre! La madre più forte che io conosca! E…” cerca di parlare Silene, scossa improvvisamente da uno sfogo di pianto che la costringe a cedere tra le braccia di Bogotà, che la stringe forte a sé.

“E come ogni madre lei sta lottando per tutti i nostri figli. Per noi questa è la prima maledetta volta che ci troviamo i figli sequestrati… per Nairobi no! Il suo primo bambino le è stato strappato così e ve lo posso giurare sulla mia vita: Nairobi non permetterebbe MAI ad altri genitori di patire la stessa sofferenza che ha vissuto lei” conclude Silene, riuscendo a zittire l’intera banda che punta gli occhi sul professore, in attesa della prossima richiesta.

Silene si asciuga le lacrime velocemente, ringraziando Bogotà dell’abbraccio e trovando anche le braccia di Rio a sostenerla. Il marito le bacia delicatamente la guancia, invitandola a stare tranquilla, per poi rimettersi in postazione e conoscere la ripresa delle telecamere della polizia.

Tutti si affaccendano freneticamente, dimenticando la discussione appena trascorsa, ma Silene e Bogotà restano bloccati sul posto, segnati più degli altri dalla vicenda.

“Mi sento inutile Tokyo… è strano che io chieda aiuto, ma so che sei l’unica capace di prendere Nairobi” si confida Santiago abbassando il capo, mostrando un uomo dolce e sensibile dietro la corazza della sua muscolatura.

“Inutile? E perché mai?” domanda Tokyo confusa, non capendo tale affermazione.

“Ricordi quando sono nati i nostri figli? Io non sapevo come prenderla… e ora mi pare di essere tornati nella stessa situazione” spiega Bogotà, lasciando spazio a un flashback del proprio passato.

Sedici anni prima…

Il professore aveva chiesto due anni di tempo. Due anni nei quali i Dalì avrebbero dovuto seguire le sue direttive, dimenticato il nome di città e promesso di vivere con cautela per non rischiare la propria incolumità. Due anni che sanciscono la fine di un incubo e l’inizio della libertà, di quella libertà che desideravano ancora di più di tutti i soldi rubati all’interno della Zecca.

Tokyo e Rio avevano appena avuto la piccola Nieves, Raquel e Sergio festeggiavano il sesto mese di Andres e Nairobi girovagava con un enorme pancione, ormai oltre il termine della data presunta del parto.

Tokyo e Rio si svegliano in piena notte, disturbati da una piccolissima Nieves che urla e piange segnalando la propria fame.

“D’accordo, d’accordo ti do la tetta…” biascica Silene alzandosi in piedi assonnata e raggiungendo la culla posta a qualche passo dal letto. La donna sbadiglia e solleva la piccina di soli due mesi che stringe i pugni e si tinge di rosso porpora per il pianto.

“Ti aiuto” comunica uno stanco Rio, svegliato dal richiamo della bambina e desideroso di aiutare la moglie. L’uomo libera il letto matrimoniale, posiziona qualche cuscino e aiuta Silene a sedersi così da appoggiare la schiena comodamente.

“Dormi, domani so che hai quel colloquio importante!” lo ammonisce Silene, stringendo i denti a causa della piccola che succhia con irruenza dal suo seno.

“Sai che non mi piace che sia solo tu a vivere le notti insonni” risponde Rio tranquillamente, mostrando il suo largo e caratteristico sorriso, per poi accarezzare il viso di Silene che si appoggia serenamente alla sua mano.

“Già sono una testa di cazzo di mio, spero che lei possa cominciare a dormire un po’ di più altrimenti mi sa che esco pazza” comunica Silene, dimostrando la propria fatica da neomamma.

Il momento prosegue tranquillamente e, proprio quando la piccola Nieves si addormenta, il telefono di Silene comincia a squillare. La donna passa la bambina a Rio per poi scattare in piedi e rispondere alla chiamata nella speranza di non svegliare la figlia.

“Santiago! Che succede? Ci siamo?” chiede subito Silene una volta accortasi del nome sullo schermo.

“Silene ti prego vieni qui. So che ti sto chiedendo tanto ma Agata straparla! Il travaglio sta risultando più complesso del previsto, ma lei continua a piangere e non riesco a calmarla! Mi ha detto che vuole te…” afferma un disperato Bogotà, alle prese con l’ottavo parto della sua vita.

“Ha chiesto di me? Ehm… ok, arrivo subito!” risponde confusa Silene, preoccupata per quel comportamento insolito della gitana.

“Agata sta per partorire ma c’è qualcosa che non va… è troppo agitata e Santiago chiede di me, come…” inizia a spiegarsi Silene, vestendosi velocemente e provando a organizzarsi per lasciare la bambina da sola al marito.

“Non preoccuparti, c’è il latte che hai tirato ieri e nel caso le do quello. Tu vai, fammi sapere!” la interrompe subito Rio, cullando dolcemente la piccina che dormiva beatamente tra le sue braccia.

“Ti amo” gli sussurra Silene, sporgendosi verso di lui per donargli un bacio a stampo, per poi correre fuori dall’abitazione.

Silene raggiunge l’ospedale il più velocemente possibile, riuscendo ad entrare in sala parto dove Nairobi si trova sdraiata e accerchiata da diversi infermieri.

“Che cosa succede?” chiede Tokyo vedendo tutto quel trambusto.

“Le contrazioni sono particolarmente forti e ravvicinate. È stato un travaglio dolorosissimo ma ora ci siamo! Il problema è che non riesce a spingere e rischiano di doverla sottoporre a un nuovo cesareo” spiega Santiago, supportato da un’ostetrica che gli aveva appena espresso il quadro clinico.

“Lei ha già avuto un cesareo, può fare il parto naturale?” domanda Silene confusa, non conoscendo quegli aspetti medici.

“Assolutamente sì, i bambini sono anche già incanalati perfettamente ma lei continua a piangere e nessuno riesce a consolarla. Ancora qualche minuto e la sediamo, proseguendo con il cesareo” risponde l’ostetrica, controllando l’orologio e il monitor collegato a Nairobi.

“Io so perché fa così” si limita a dire Tokyo, facendosi largo tra la folla e sedendosi accanto alla migliore amica.

“Hermana…” sussurra Nairobi tra le lacrime. Il respiro affannato, il petto che si gonfia in continuazione, il sudore che le gocciola lungo la fronte, le occhiaie livide e gonfie e le vene in risalto sono il simbolo di una sofferenza e stanchezza fisica.

“Hey, la smetti di piangere?” le sorride subito Silene, parlandole a bassa voce e stringendole forte la mano.

“Mi vuoi dire che cazzo stai facendo?” continua Tokyo determinata, già conoscendo dentro sé la risposta.

“Non posso farlo! Non è giusto…” inizia a spiegarsi Nairobi, sentendo di nuovo le lacrime irrompere.

“Non posso avere dei figli! Che razza di madre sono?! Non posso dimenticare Axel così e avere due gemelli ai quali offrirò la vita che a lui non ho dato!” si sfoga la gitana, singhiozzando amaramente.

“Non permetterti di pensare una cosa simile! Sei scema? Dove cazzo è finita la Jarana che conosco io?! Questi bambini non sostituiranno mai Axel! Mai! Tu di figli nei hai tre e ne avrai sempre tre! Nessuno prende il posto di nessuno!” la rimprovera Silene, cercando di scuotere l’amica che non poteva lasciarsi andare.

“E se… se mi portano via anche loro due? Almeno dentro la pancia li posso proteggere, fuori no! Io non lo sopporterei mai!” aggiunge la gitana ancora più scossa, fiacca, sderenata e preda agli ormoni incontrollabili.

“La cosa più bella che possiamo fare per i nostri figli è dar loro la vita. Io posso giurarti che nessuno ti porterà via i bambini. Quell’incubo è finito Jarana! Ora hai me, Santiago e un’intera famiglia. Fidati di me… nessuno te li porterà via!” la tranquillizza Silene, accarezzandole la guancia con delicatezza, invitando anche Bogotà a stringere l’altra mano della gitana.

“Ora vedi di spingere fuori i bambini, perché la Agata che conosco io non è mai stata così molle! Muoviti e spingi!” urla poi Tokyo motivata, con il desiderio di riscaldare l’animo della gitana.

È così che, grazie all’aiuto delle sue due persone più care, Nairobi riesce a mettere al mondo le sue due creature, senza però sapere che in futuro gliele avrebbero veramente portate via.

Fine del flashback…

“Bogotà…” sussurra Tokyo dopo il ricordo del parto di Nairobi, consapevole dell’impotenza di Santiago di fronte a quella situazione.

“Sai com’è iniziata l’amicizia tra me e Agata?... Tirandoci calci e dandoci delle “lecca figa” spiega Tokyo, ricordando la famosa lezione di anatomia nella quale apprese della cicatrice da cesareo di Nairobi.

“Nairobi è sempre stata molto chiusa sulla questione Axel. Ha vissuto con il desiderio di essere madre, di Axel e di altri bambini, ma quando li ha effettivamente avuti si è sentita in colpa per quello che aveva perso. Su Axel non le si può dire nulla perché è talmente distrutta che qualsiasi consiglio è vano. Non la biasimo ora… nell’aver scelto di buttarsi nel fuoco per salvare i vostri due figli. Di una cosa, però, sono certa…” continua Silene, per poi fermarsi e appoggiare una mano sulla spalla di Bogotà.

“Nairobi era disposta a fare un figlio a caso, con del seme qualunque pur di non finire fregata in relazioni d’amore che le ricordassero il rapporto disastroso avuto con il padre di Axel. In amore lei non si è mai sbilanciata, troppo ferita e delusa dalla propria storia. Su questo io e lei ci siamo sempre capite molto: io per la morte di René e lei per il due di picche del suo ex. Se lei ha scelto te, Bogotà, è perché ti ama veramente e ti ha desiderato come padre dei suoi figli… tu per lei sei l’unico e lo sarai sempre” afferma Tokyo sorridendo all’uomo, felice di avergli potuto donare una rassicurazione in un momento simile.

Incoraggiati dal discorso intrattenuto, i due tornano al lavoro più motivati che mai e desiderosi di portare tutti fuori dal dannato museo.

All’interno del museo i poliziotti fermano le guide, i tecnici e qualsiasi dipendente per controllare il giusto utilizzo del luogo.

“Potreste mostrarci i documenti e le informazioni su questo museo?” domanda Angel mostrando il distintivo, squadrando il luogo da cima a fondo.

I poliziotti, intanto, guardano attentamente le pareti ma dei Dalì neanche l’ombra. Il museo appare a norma e sui muri compaiono tabelloni, carte, dipinti, quadri e oggetti di ogni tipo riconducibili ad artisti famosi del 1800.

Anche i documenti sono a norma e l’aspetto mette a soqquadro tutta la situazione. I poliziotti, infatti, non si sarebbero mai aspettati di trovare tutto in regola, senza avere così un pretesto per fermare e bloccare qualcuno.

“Cazzo, hanno cambiato tutti i quadri!” denota il professore, guardando attraverso le videocamere trasportate dai poliziotti.

“Che cosa significa?” chiede Palermo confuso.

“Significa che sono molto furbi e hanno creato un museo ad hoc solo per i ragazzi… così loro sono in regola e non possiamo dirgli nulla” conclude poi Sergio, togliendosi gli occhiali e spremendo le meningi per pensare a come muoversi.

“Nairobi dov’è?!” domanda subito Bogotà, strizzando gli occhi castani per riconoscere la donna tra i poliziotti, ma di Nairobi neanche l’ombra.

La gitana, infatti, si era creata istantaneamente un proprio piano a sé. Imboscata in un bagno del primo piano, aspettò l’arrivo di un tecnico della sicurezza del museo, per poi tramortirlo, nasconderlo e prendere le sue vesti. Dei gesti fin troppo semplici per una ex esperta del crimine, esperta su qualsiasi mossa fisica per far svenire le persone. Nairobi sapeva di rischiare con tale atteggiamento, ma aveva bisogno di entrare in tutte le stanze del museo e trovare i ragazzi il prima possibile.

È così che, mentre Nairobi girovaga attentamente nella struttura, Ramon si risveglia dall’ennesima sofferenza e apre faticosamente gli occhi, percependo le palpebre pesanti come macigni. Il ragazzo si sforza di mettere a fuoco la stanza, riconoscendo la medesima postazione nella quale si era trovato al precedente risveglio.

I computer erano accesi, la camera era priva di illuminazione e lui era adagiato a terra, arricciato su sé stesso. I capelli di Ramon sono completamente fradici di sudore, tanto da incollarsi alla sua testa e gocciolargli sulle spalle. La pancia è scossa da dolorosi crampi che gli fanno venire il riflesso del vomito e gli arti tremano di freddo e di spasmi incontrollabili. Ramon comprende immediatamente di essere stato avvelenato o sedato e non capisce il motivo di quel particolare trattamento nei suoi confronti. Ramon cerca di rimettersi in piedi, nonostante le manette, quando il signore dalla maschera scura entra di corsa nella stanza sbattendo la porta.

“Abbiamo poco tempo, so che i tuoi genitori cercheranno un modo per fregarci, ma questa volta li incastro io! Leggimi questa banconota… guarda il numero di serie, può andare bene?! Ne stiamo creando a migliaia ma devo sapere se sono giuste!” afferma l’uomo incappucciato, mostrando una banconota a Ramon.

“Non, non lo so…” biascica Ramon, faticando a tenere aperti gli occhi, vedendo una decina di numeri in più rispetto a quelli segnati sul pezzo di carta.

“Esatto! Così drogato non sei capace di fare nulla! E io inibirò le stesse identiche caratteristiche che ti rendono uguale a tua madre! Sei un genio della truffa anche tu vero?! Ti farò venire così tanta nausea per le banconote che non ne vorrai mai più vedere!” lo schernisce l’uomo malvagio, tirandogli i capelli per poi uscire dal luogo con un ghigno divertito sul volto.

Ramon non reagisce e non comprende quanto accaduto. Il dolore percepito è talmente elevato da farlo tornare a contorcersi e sperare di addormentarsi, in modo da percepire meno quella pungente sofferenza. I suoi occhi stanno per cedere quando, improvvisamente, un’altra figura entra nella stanza.

Ramon teme di incontrare Leroy o il capo di quella pazzia, ma lo sconosciuto compie un gesto insolito: una volta identificato Ramon, gli corre incontro abbracciandolo forte.

Nessun veleno avrebbe potuto offuscare quella sensazione di calore, protezione e amore che solo quelle braccia possono dare. Niente può far dimenticare a una persona il contatto con le braccia della propria madre.

“Mamma…” sussurra Ramon abbozzando un sorriso, non riconoscendo il volto della madre ma percependone la presenza.

“Amore mio cosa ti hanno fatto?! Ora sono qui… sono qui” afferma sconvolta Nairobi, stringendo al petto il ragazzo e coprendolo con la giacca del tecnico della sicurezza. La donna lo accarezza e bacia costantemente, provando a dargli più sostegno possibile e la sua testa comincia a ragionare diverse vie per poterlo portare fuori da quell’orribile posto.

Tutto pare andare per il verso giusto quando una voce pugnala i presenti e i piani di Nairobi vanno in frantumi.

“Che cosa ci fai tu qui?” chiede Leroy, pensando di avere di fronte il tecnico della sicurezza, intento ad abbracciare l’ostaggio per chissà quale motivo.

Nairobi alza lo sguardo e non riesce a credere ai propri occhi. Un giovane di circa venticinque anni, alto, magro e di bell’aspetto era posizionato davanti a lei. Inutile non riconoscerlo, anche se a distanza di innumerevoli anni. Alcune persone, anche se incontrate poche volte, rimangono indelebili e immodificabili nel nostro cuore. Occhi neri penetranti, pelle leggermente scura, capelli mori e labbra carnose. A Nairobi basta uno sguardo per riconoscere quella persona che non aveva mai dimenticato: quella mancanza a cui non riusciva a dare riempimento.

Il cuore della gitana affonda in un tuffo e pare quasi fermarsi, per poi ripartire a una velocità immisurabile. La voce le si rompe in gola, ma i suoi occhi non riescono a staccarsi da ciò che crede essere una visione, un angelo o un fantasma.

Riprese le forze, con un filo di voce, Nairobi riesce a sussurrare incredula solo una parola… o per meglio dire un nome tatuato nella sua anima per l’eternità:

“Axel?!”
  
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