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Autore: _Bri_    13/04/2022    5 recensioni
[STORIA INTERATTIVA - Iscrizioni chiuse]
2197
Dalla caduta di lord Voldemort sono passati molti anni e la pace tanto agognata, purtroppo, ha avuto vita breve. Una guerra terribile ha coinvolto maghi e babbani, portando le parti coinvolte a decimarsi vicendevolmente. Ma nel momento di massimo buio, dalle macerie fumanti, si è sollevata una voce di donna, che ha promesso la pace per chiunque l’avesse seguita. Ma a quale prezzo?
Dopo 60 anni di regime in cui la magia è stata soppressa, non tutti hanno messo a tacere il loro pensiero e piccoli ma battaglieri gruppi di dissidenti, sono pronti a dare battaglia contro il regime di Nadia e della sua Corte.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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CAPITOLO XI
“La bambolina”
Parte 2

 
Da quando Nadia aveva fatto iniziare gli esperimenti su di lei, Alida aveva cominciato a tentare di scappare. Se c’era una cosa, infatti, che non mancava alla bambina, erano grinta e spirito battagliero, in questo la Governatrice aveva perfettamente ragione.
Purtroppo Alida scoprì in fretta che fuggire dalla Corte, per lei, era assolutamente impossibile, perché ogni qual volta ci provava, qualche Sentinella riusciva ad acciuffarla e riportarla nella sua stanza.
La cosa peggiore era che ogni volta che falliva nel suo intento, riceveva in cambio una punizione; non una punizione fisica, Nadia non aveva mai permesso che le venisse torto anche solo un capello. La donna puntava a scalfire la sua mente, inciderla e farla sanguinare, per avere poi la possibilità di poterla curare; in poche parole la violenza psicologica e la manipolazione, erano due fra le armi preferite da Nadia Millan.
Così Alida veniva rinchiusa in stanze senza finestre, in cui il confine fra il giorno e la notte si assottigliava, o meglio perdeva totalmente la sua consistenza; Alida era costretta ad implorare per avere cibo e per poter avere un luogo dove poter espletare i propri bisogni, senza essere costretta a farlo negli angoli della stanza.
In quei momenti, l’odio cresceva nel suo petto e questo cedeva poi il posto alla desolazione, al senso di sconfitta, alla pena. Al dolore.
Nadia faceva poi in modo di portarle conforto e ristoro. Manipolava la ragazzina, dicendole che lei era troppo preziosa per poter lasciarla andare, considerandola come la freccia più letale del suo arco.
 
“Le tue visioni potrebbero essere in grado di tutelare la mia vita e con essa, salvaguarderesti l’intero mondo. Capisci perché non posso lasciarti andare, non è vero? Tu sei troppo importante, Alida.”
 
Le parole lusinghiere di Nadia erano in grado di far passare la rabbia in Alida, anche se, durante i primi anni alla Corte, aveva continuato a tentare di scappare, seppur invano. Il desiderio di ottenere la libertà continuava a scalpitare con irruenza nel suo petto.
Di suo, Nadia faceva il possibile per far dimenticare alla ragazzina di essere una persona: l’isolamento forzato, gli esperimenti con Etienne, l’impedirle di avere a che fare con ragazzini della sua stessa età. L’unica persona con cui le permetteva di avere un contatto era Jude, perché suo nipote era grande, maturo ed era già plasmato per servire la Corte; Alida, come da previsione, lo aveva preso come punto di riferimento e Nadia sapeva di poter contare su di lui.
Di contro però non le era possibile passare il proprio tempo con nessun altro.
 
Nadia, però, non aveva considerato Micah in quell’equazione.
 
Micah era stimolato da una vivida curiosità, era testardo, ma specialmente era annoiato. Per questo si era incaponito, quando aveva sentito parlare di Alida, mentre origliava una conversazione privata fra i suoi nonni. Nel momento esatto in cui il ragazzino era venuto a sapere dell’esistenza di una bambina, segregata in una stanza della residenza di sua nonna e con un potere molto speciale, aveva fatto della sua conoscenza una missione personale.
Inizialmente Alida reagì con estrema diffidenza nei suoi confronti – tentò persino di morderlo, durante il loro primo incontro-, eppure Micah non si era lasciato abbattere e aveva continuato ad intrufolarsi nella stanza di Alida.
Alida lo detestava. Non capiva perché il nipotino della Governatrice doveva provare interesse proprio per lei, riempendola ogni volta di sfilze di insopportabili domande!
 
“Quando sei nata?”
“Da quale Comune vieni?”
“Perché i tuoi genitori ti hanno mandata qui?”
“Sei mai stata nelle Colonie? Ne parlano tutti come luoghi terribili!”
“Hai mai mangiato il gelato? Vieni con me a prendere un gelato? Non se ne accorgerà nessuno!”
“Jude ti sta simpatico?  Lui è il migliore che ci sia in tutta la Corte! È troppo forte, voglio essere come lui!”
 
“Ed io? Io ti sono simpatico?”
 
 
Alida aveva tentato ogni tecnica per tenere distante Micah, dal gioco del silenzio –ovvero chiudersi in un assoluto mutismo ogni volta che lui si intrufolava nella sua stanza- alle minacce, ma a nulla le sue rimostranze erano servite. Sembrava proprio che Micah non avesse nessun interesse nel lasciarla stare e col passare dei mesi, Alida cominciava a trovare sempre più sopportabile la sua presenza, fino ad arrivare a sperare di vederlo sbucare con qualche nuovo gioco fra le mani.
Così i mesi diventarono anni, durante i quali le volte in cui Alida tentava di scappare diminuivano proporzionalmente alle piccole libertà che le venivano concesse. Aveva cominciato a poter girare per la Corte, inizialmente strettamente sorvegliata, e pian piano lasciata libera di girare da sola, ma con la promessa di dichiarare dove era intenzionata ad andare e a che ora precisamente avrebbe fatto ritorno, benché non le fosse comunque concesso di passare liberamente del tempo con i suoi coetanei.
Per un po’, Alida si sentì di nuovo la bambina grintosa di un tempo, quella che amava esplorare e che sognava ad occhi aperti, ma ogni volta che si ritrovava a spiare da lontano i gruppi di bambini che si divertivano, un’ondata di dolore la invadeva, ricordandole che non sarebbe mai più stata quella di un tempo; non era più Lyuba Kozlov, bensì l’arma di Nadia Millan.
 
Micah, però, rimase una costante nella sua vita; il ragazzo rappresentava, da quasi quattro anni, l’unico raggio di sole in grado di illuminare il suo tetro cammino. Non faceva che ricordarle che lei fosse speciale non per il suo potere, ma perché nonostante tutto quello che aveva passato, era ancora forte e resistente come un’antica quercia.
 
Alida ormai aveva quattordici anni, quando realizzò che forse provava per Micah quello che ogni ragazza della sua età avrebbe provato al posto suo. Micah, l’allampanato sedicenne con quel brutto diastema, imperfetto, debole e senza poteri speciali, chiacchierone e intransigente, furbo e diretto da far male; l’opposto del suo amato cugino Jude, per Alida ormai diventato una vera e propria figura familiare.
Quando quel giorno di piena estate riuscì a portarla in un angolo nascosto del lago senza che nessuno li vedesse, segnò indelebilmente ciò che Alida provava per Micah Millan.
 
“Andiamo, non puoi avere paura, è solo acqua!”
 
“Io non ho paura dell’acqua, ho paura che ci vedano!” Con una canottiera scura a coprire il torso magro, Alida teneva le braccia strette sotto al seno e osservava con cipiglio il ragazzo, che dalla sponda del lago le faceva segno di raggiungerlo.
 
“Guarda che non ci viene mai nessuno qui. Questo posto lo conosciamo solo io e Jude, ti puoi fidare!”
 
Il pensiero che qualcuno potesse scoprirli e la punizione che ne avrebbe fatto seguito la fece rabbrividire, ma Micah era stato convincente.
 
“Vedrai che nessuno ci scoprirà e se pure dovesse essere, ricordati che sono il nipote di Nadia, io.”
 
Alida era arrivata a riporre piena fiducia in Micah, che durante tutti quegli anni non le aveva mai detto una sola bugia e che le aveva sempre dato prova di potersi affidare a lui. Così, sebbene con passo incerto, s’avvicinò alla mano tesa di Micah e la afferrò, per poi scoppiare a ridere di cuore con lui.
 
“Un passo avanti l’altro. Brava bimba!” (1)
 
Le risate argentine saltarono sulle sponde del lago, mentre i due giovani correvano nell’acqua, fino ad arrivare a tuffarsi in quello specchio di verde cristallo. Alida sentiva il cuore rimbombare nella testa ed era spaventata, eccome se lo era; Ma Micah continuava a tenerla per mano anche sott’acqua, permettendole di lasciare andare le preoccupazioni lontano da sé, con la certezza che sarebbe stato lui ad occuparsi di tutto.
Aprì con coraggio gli occhi e vide i raggi del sole tagliare l’acqua e illuminare la chioma fluttuante di Micah, davanti a lei, con il respiro trattenuto in un sorriso.
Era bello. Era tutto incredibilmente magnifico.
 
Quando riemersero, s’affrettarono ad uscire dall’acqua e si gettarono su un telo portato fin lì dal ragazzo. I respiri riempivano lo sterno e le risate tiravano i volti dei due giovani, con le mani ancora strette, come se lasciarsi fosse impossibile.
Alida nemmeno si accorse subito che Micah aveva smesso di ridere e si era girato su un fianco, fin quasi a sovrastarla; se ne accorse perché la sua nuca coprì il sole che la costringeva a tenere chiusi gli occhi e dai suoi capelli mossi, gocce d’acqua le bagnavano il viso.
Si guardarono per un po’, Micah con l’espressione dubbia e al contempo curiosa, Alida con l’aria di chi non è in grado di capire l’intento altrui. Di certo non si aspettava di vederlo avvicinarsi così tanto al suo viso, per poi tentennare, e ancora cambiare idea e spingersi fino alla sua bocca.
Quel tocco accennato di labbra le infuocò il volto, mentre nel petto maremoti scrollavano i sensi di ragazza e vulcani risalivano la gola e schizzavano alla testa.
Quando Micah si ritrasse per osservarla, Alida sentì di pietrificarsi, ma lui non dovette intenderlo perché tornò a farsi vicino e approfittò di nuovo delle sue labbra, palesando la volontà di farle schiudere a dovere.
Quel bacio era umido e caldo, o ad essere umida e calda era la pelle di Alida, forse; era così confusa, perplessa e destabilizzata che non fu in grado di capirlo. Una cosa però era certa: le piaceva da impazzire, essere baciata da Micah Millan.
 
“Cosa... Micah. “
 
“Mh?”
 
Si era scostato ed era tornato ad osservarla con meno curiosità e più decisione, così Alida trovò la forza di assemblare qualche parola e dare vita a una domanda di, più o meno, senso compiuto.
 
“Perché lo hai fatto?”
 
Ma la risposta che Micah le dette, fu come una doccia fredda, che la riportò alla realtà con irruenza.
 
“Io… non lo so. Volevo provare; vorrei riprovare, in realtà… “
 
Il secondo tentativo di Micah non solo andò a vuoto, ma gli fece anche guadagnare una spinta così violenta da farlo ribaltare al suolo.
Alida si sentiva ferita. Chiusa nei suoi difficili quattordici anni, incapace di far fronte con l’adulta razionalità a ciò che sentiva di provare, non fu in grado di spiegare a Micah che quella non sarebbe dovuta essere la risposta da darle; avrebbe, invece, dovuto dirle che le piaceva, per questo le aveva dato il bacio più bello che, ne era sicura sebbene non fosse che il primo, avrebbe mai ricevuto in tutta la sua vita!
Invece tutto ciò si tradusse con una spinta e una lunga sequenza di offese.
 
Micah e Alida non parlarono mai più di quel bacio, che trovò la sua culla nei loro non detti.
Troppo giovani, difficili e disperati, per fare altrimenti.
 
 
Quartier Generale
Dojo piccolo
 
Herb aveva sempre la capacità di strappare a Malik un sacco di tempo. Per altro le loro non erano quasi mai conversazioni particolarmente piacevoli, al contrario Herb non faceva altro che minacciare Malik di tirargli addosso il suo corno (quando questo non accadeva davvero), e di rimproverarlo, perché doveva passare più tempo ad occuparsi dei lavori per il Quartier generale, invece di andarsene in giro a bighellonare rischiando la pelle. Certo, come se le missioni come quella che avevano appena affrontato, fossero un modo pratico per sottrarsi ai propri doveri.
Magari, ad avere a disposizione schiere di assistenti, invece purtroppo Malik doveva occuparsi quasi di tutto da solo. C’era Mångata ad apprendere il mestiere e dargli una mano, ma la giovane era corsa dietro a Stafford e i suoi colpi di testa così che, alla fine, Malik era di nuovo rimasto sguarnito di assistenti.
Ancora una volta, l’ennesima per la precisione, Malik aveva tentato di spiegare ad Herb che erano davvero in pochi al Quartier generale in quel momento e che se persino Micah usciva per affrontare le missioni, chi era lui per tirarsi indietro?
Herb a quel punto aveva inveito contro Micah –questa volta sembrò ricordarsi del ragazzo- dicendo che il mago dal sangue blu se la tirava un bel po’ e che non era di certo più importante di Malik stesso per i Ladri di Bacchette, tutt’altro.
Ancora una volta Malik si era limitato ad annuire e ad evitare lanci di oggetti contundenti; l’uomo, per altro, non vedeva l’ora di potersela svignare, perché solo un pazzo avrebbe preferito la compagnia di Herb a quella di Andra.
Già, Andra… chissà se lo stava ancora aspettando o se si era stufata; conoscendola, Malik pensò che la donna non sarebbe rimasta con le mani in mano a lungo.
Un po’ sconsolato e rassegnato all’idea di aver perso la sua migliore occasione, Malik tornò nel dojo per raccogliere le proprie cose. Come volevasi dimostrare, Andra non era lì, così Malik si avvicinò alla parete attrezzata su cui aveva appeso la propria felpa, quando alle sue spalle sentì la voce di lei.
 
- Alla buon’ora, straniero. -
 
Girandosi, Malik si scontrò con Andra, la quale era appena entrata dalla porta, trascinandosi dietro un delizioso odore di pulito; con i capelli ancora umidi e dei diversi vestiti addosso, Andra allungò il passo nella direzione di Malik, di nuovo preda di un persistente sorriso deliziato.
 
- Purtroppo è sempre così quando vengo richiamato da Herb; credimi… avrei preferito rimanere qui con te. -
 
- Dai, è una persona piacevole Herb… - Andra congiunse le mani dietro la schiena, avvicinandosi ancor più a Malik: - Quando non urla, quando non dimentica chi sei, ma specialmente quando non ti scambia per una Sentinella da combattere. -
 
Malik accennò una risata, poi le disse: - Sono contento tu sia tornata, ero già pronto a chiudermi nelle cucine e ripulire gli avanzi della giornata, mentre mi piangevo addosso. –
 
- Che immagine terribilmente triste. – Andra scosse il capo, infine allungò una mano per afferrare quella di lui, per poi attirarlo a sé: - Non avrei mai potuto permettere che accadesse. E poi abbiamo una cosa in sospeso, noi due. -
 
Era assurdo come la presenza di Andra lo facesse sentire di nuovo un ragazzino inesperto; non che Malik avesse avuto un’adolescenza normale, sia chiaro, ma quella non era di sicuro la prima volta che si approcciava –o si lasciava approcciare, come in questo caso- da qualcuno che gli piacesse davvero. Eppure nel sentirla così vicina, percepire il tocco gentile, benché risoluto della sua mano, perdersi in quegli occhi di quel tono di verde così unico, tutto ciò aveva fatto sì di accelerare il battito del suo cuore.
Rimase paralizzato per un po’, Malik, fino a quando non gridò a se stesso di aver superato ostacoli ben più grossi nella vita: con un colpo secco attirò Andra a sé e in un attimo si ritrovò ad assaggiare la sua bocca con un lungo, quanto mai perfetto bacio.
Anche ad Andra parve che il cuore volesse schizzare fuori dal petto, quando le labbra di Malik arrivarono ad abbracciare le sue; ancor più quando il bacio si aprì, facendosi più intenso e al contempo più adulto. Andra avvolse il collo di Malik con le braccia, fermamente convinta a voler rimanere quanto più tempo possibile in quello stato di grazia, che la sola presenza di lui le stava concedendo.
Andra Strong poteva dichiarare di non essere stata mai e poi mai così tanto felice in tutta la sua vita. Che fosse per merito di un uomo, però, non l’avrebbe detto mai.
 
La Corte
 
Quel Ryurik era davvero un soggetto strano.
E poi tutti mi dicono che quella strana sono io! Pensò Izzie, mentre rigirava fra le dita l’assurdo biglietto che la sentinella le aveva fatto recapitare; tornata a casa per consumare il pranzo, sua madre le aveva detto che un tipo dallo strano accento si era presentato poco prima e che doveva parlare con Izzie, per svolgere con lei una molto segreta missione, o almeno così aveva capito la donna. Chissà come mai, Izzie non ebbe alcun dubbio sull’identità del misterioso figuro che si era presentato alla porta di casa sua, individuando subito in Ryurik il mandante del messaggio; in quel biglietto, il mago le chiedeva di farsi trovare in un punto non troppo lontano dalla piazza centrale della Corte al crepuscolo e Izzie, non affatto abituata a non rispettare un ordine, così aveva fatto.
Non si spiegava cosa volesse proprio da lei, Ryurik Volkov, ma presto lo avrebbe scoperto, perciò smise di porsi domande a riguardo e attese, seduta sulla staccionata che si trovava sulla via che, almeno credeva di aver capito, il mittente aveva disegnato sul biglietto.
Se lo chiese, Izzie, come mai non le avesse dato appuntamento in un punto un po’ più specifico, senza bisogno di disegnare strane e fraintendibili mappe, eccome se se lo chiese, ma tant’era…
Un bambino alto un metro e una manciata di dita le passò davanti, mentre teneva stretta fra le mani una fetta di torta, che sbocconcellava con estrema lentezza. I due si scambiarono un lungo sguardo, fin quando non fu il bambino a rompere il silenzio, sputacchiando pezzi di pasta frolla di qua e di là:
 
- Che stai facendo?-
 
- Sto aspettando una persona.-
 
-Beh, questo non è mica un posto dove aspettare le persone.- Replicò il bambino, prima di dare una sorsata alla spremuta d’arancia che teneva nell’altra mano.
 
- Se è per questo, non mi sembra nemmeno l’ora di fare merenda, eppure è quello che stai facendo tu. – Rispose Izzie, sorridendo con soddisfazione. Fu a quel punto che il bambino, nel pieno della masticazione, le disse che non erano affari suoi e che sua nonna lo faceva mangiare quando voleva, così Izzie rispose, stizzita, che allora non erano affari suoi di cosa facesse lei in quel punto della Corte. Il bisticcio andò avanti fin quando, esasperata, Izzie non finì col far scoppiare la torta in faccia a quel bambino, il quale inizialmente non capì cosa fosse successo, poi si toccò la faccia e cominciò a piangere con disperazione.  Corse via senza dare la possibilità ad Izzie, mortalmente mortificata, di scusarsi e spiegarsi.
 
- Quindi il tuo di fare scoppiare delle cose è vizio. -
 
Scesa dalla staccionata, Izzie era intenzionata a rincorrere il povero, sventurato (e impiccione) bambino, ma la voce di Ryurik la fece voltare. Il ragazzo era affiancato dalla sua amica Saskia, che stava tentando di trattenere una risata, così la salutò a mezza bocca e Izzie fece lo stesso, ancora dispiaciuta e indisposta dalla discussione che si erano ritrovate ad avere. Si rivolse poi a Ryurik nel tentativo di dissipare il lieve strato di tensione che si era venuto a creare.
 
- Allora cosa serve che faccia? -
 
- Ho pensato che tu volevi venire con me a fare questa cosa. Tu sai che Ajax è sparito?-
 
Dall’espressione del suo viso, Ryurik capì che non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di una risposta da parte di Izzie, così riprese a parlare: - Dobbiamo andare a casa sua, capiamo dove è andato a finire. Però prima facciamo altri giri.– Concluse, prima di incamminarsi. Saskia fece per seguirlo, ma si bloccò e si decise a guardarsi indietro; conosceva ciò che Izzie nutriva per quella sentinella e immaginava quanto la notizia potesse averla scioccata.
 
- Andiamo, sono sicura che sta bene. – Le disse regalandole poi un rassicurante sorriso; a quel punto Izzie annuì e in un batter di ciglia, la tensione che si era creata fra le due amiche, fu spazzata via. D’altronde quelle erano sciocchezze, in confronto alla scomparsa di un loro collega, verso il quale Izzie sembrava riporre un occhio di riguardo.
 
 
Quartier Generale
Armeria
 
- Secondo te c’è modo di modificarlo? Quando arriveremo alle porte della Corte ci perquisiranno e ci requisiranno tutte le nostre armi; dobbiamo riuscire a portare dentro qualcosa. -
 
Nel sentire ciò che aveva da dire Sonne, Chion annuì. Il primo gli passò l’oggetto in questione, un fumogeno che faceva parte di una serie di armi che era stato lui stesso a costruire insieme a Leaf. Lo osservò con attenzione, poi lo passò di nuovo a Sonne: - Possiamo fare in modo di farlo passare per un giocattolo, mentre questo e un altro paio così,- aggiunse mostrandogli una bomba carta, - possiamo trovare il modo di mimetizzarli nelle riserve per i cavalli. –
 
Sonne annuì, poi aggiunse: - E che mi dici di fucili e pistole? Per non parlare di lei.- Sconsolato, il ragazzo indicò la propria Kusarigama: - Non vorrei davvero lasciarla qui, o peggio ancora nelle mani delle Sentinelle. –
 
Chion si fece meditabondo, poi sistemò con timidezza le cuffie anti rumore sulla testa prima di rispondere: - Non credo sia possibile confondere una cosa del genere. Comunque… hai pensato alla trasfigurazione? –
 
L’espressione rassegnata di Sonne, nell’ascoltare le parole di Chion si tinse di speranza: - Hai ragione! Potrei vedere se Claudia in quel suo  taccuino ha per caso qualche incantesimo che fa al caso mio! Grazie mille amico, mi sentirò sicuramente più sicuro con la mia kusarigama con me! –
 
-Beh, fossi in te io penserei più a quelli- Con un gesto quanto più eloquente, Chion si indicò gli incisivi, sottolineando un’invisibile spazio fra essi: - Potrai anche essere cambiato, ma il tuo diastema è abbastanza… inconfondibile, ecco. –
 
- Mpf, hai ragione.- Sovrappensiero Sonne passò la lingua sopra i propri incisivi, chissà se sarebbe stato in grado di aggiustare quel problemino giusto il tempo di superare i controlli d’ingresso alla Corte, o se avrebbe finito per combinare un disastro irreversibile. Sempre alquanto pensieroso, il ragazzo incrociò le braccia e tornò ad osservare Chion :-Beh, anche tu dovresti fare in modo di camuffarti, sicuro qualcuno potrebbe riconoscerti, come la tua amica… -
 
-Saskia. Si. – Chion concluse la frase al posto dell’altro e tutto d’un tratto si rabbuiò; lo sguardo puntò alle mani, che aveva cominciato ad attorcigliare con nervosismo: - Io non so cosa… cosa potrebbe accadere se dovessimo incontrarci di nuovo. Credo che mi odi, come darle torto, del resto. –
 
- Buona parte di noi ha dei sospesi alla Corte, Chion. – Sonne si alzò e camminò nella sua direzione, finendo per stringergli la spalla: - Per quel che può valere il mio pensiero, non dovresti fartene un cruccio; hai solo fatto ciò che hai ritenuto più giusto. Tu lo sai, di essere dalla parte giusta; se lei ti vuole davvero bene e se mai dovreste avere un confronto in futuro, sono sicuro che quantomeno ti ascolterà. Diversamente, beh… si fottesse con tutta la Corte e i suoi zimbelli. Ora andiamo dalle ragazze, devo capire da Ollie se riusciamo a tirare fuori qualche incantesimo valido. -
 
Sonne uscì per primo dall’armeria e Chion poco dopo lo seguì, mentre la sua testa rimbombava di pensieri. Magari era come diceva Micah, magari Saskia non lo odiava. Ma se fosse stato così? Lui cosa avrebbe fatto, come avrebbe reagito? Era stato vigliacco, era scappato via come un topo senza dire nulla all’unica persona che poteva definire famiglia e sicuramente l’aveva fatta soffrire molto più di quanto aveva sofferto lui. Probabilmente trovandosi al posto di Saskia, Auden non si sarebbe ripreso. L’unica sua consolazione era la certezza che Saskia fosse davvero molto diversa da lui: Saskia era più forte e meno codarda, probabilmente non aveva passato molto tempo a piangersi addosso.
Proprio mentre stava per mettere piede nella stanza in cui tecnicamente stavano lavorando Yuki e Oleander, Sonne uscì con passo felpato, facendo segno al ragazzo di fare piano.
 
-Non mi ero reso conto fosse già così tardi, dovremmo portarle nel dormitorio. –
 
Chion entrò con discrezione e notò sia Oleander che Yuki, la prima con la guancia spiaccicata sul tavolo da lavoro, la seconda con il viso abbandonato su un braccio piegato, mentre la mano del braccio disteso tratteneva ancora un ago da cucito.
Il mago rimase ad osservarla a lungo; ne studiò il profilo accennando un sorriso con spontaneità, per poi ritrovarsi a chiedersi, senza volerlo, se a Saskia sarebbe piaciuta Yuki. Non ricordava se le due si fossero mai incontrate alla Corte, anche se, tutto sommato, la cosa era più che probabile.
Auden mosse così qualche passo e si fermò accanto ad Eleanor, deciso a prenderla in braccio per portarla al suo dormitorio. La afferrò quindi con tutta la delicatezza di cui era capace e se la strinse a sé, evitando alcun tipo di movimenti bruschi.
Eleanor strinse in automatico le braccia intorno al collo di Auden e quello che disse, non risultò che un delicato sussurro.
 
- Grazie… -
 
- E di cosa? – Chiese retorico Auden, sussurrando a sua volta mentre trasportava la ragazza.
 
- Lo hai pensato… - mugugnò lei, fra il sonno e la veglia -… che sono bella. Grazie, Auden… -
 
Non rispose nulla, Auden. Deglutì, avvampò e pensò che fosse vero, che lo aveva pensato sul serio che Eleanor fosse forse la cosa più bella ospitata dal Quartier Generale. Chissà come mai, alla fine concluse che Saskia non avrebbe potuto detestare qualcuno che lo faceva stare così bene, che lo aiutava giornalmente ad uscire dal suo granitico guscio. Qualcuno che gli faceva riporre un minimo di fiducia in quel mondo devastato, desolato, inospitale, apparentemente senza futuro.
No, non l’avrebbe mai odiata; al contrario l’avrebbe ringraziata per essersi presa cura di quel suo fratello non di sangue, che aveva così tanto bisogno di non navigare nella sua solitudine.
Il pensiero, lo fece sorridere ancor più.
 
*
 
Se da un lato, dunque, la vita di Alida procedeva sul binario costruito appositamente per lei, dall’altro la giovane ragazza trovava il suo sfogo nella compagnia di Jude, anche se era la presenza di Micah, ad essere fondamentale per lei.
Micah le dava la possibilità di sentirsi viva, la stimolava a fare sempre meglio e, sebbene non approvasse il metodo di sua nonna, era felice che lei fosse lì, nella Corte. Sia chiaro, Alida non era mai scesa nei dettagli di quello che Nadia e Etienne, i suoi nonni, le avevano fatto, per ben due motivi: il primo e quello più importante, ovvero oramai Nadia era riuscita a plasmarla così bene, da farle credere che quella fosse la cosa migliore da fare, arrivando a normalizzare una violenza ingiustificabile. In secondo luogo, non voleva che Micah stesse male per lei. Micah non aveva i genitori, che proprio lui a soli sette anni aveva ritrovato morti, assieme ai suoi zii; aveva Jude, ma più passava il tempo più il cugino dimostrava di avere meno tempo a disposizione per lui, impegnato a diventare il numero uno fra le sentinelle e Micah per primo era sempre molto solo. Tutti dimostravano una preferenza per Jude e il più piccolo non eccelleva nel fisico e questo invalidava un suo possibile percorso per diventare a sua volta una Sentinella.
 
Comunque il fatto era che la codardia, in Alida, aveva ormai preso il posto del coraggio e della grinta; aveva tentato la fuga un’infinita serie di volte, finendo però per desistere, grazie alla manipolazione di Nadia che continuava a ripeterle che lei era importantissima, fondamentale per la giusta causa e che solo rimanendo al suo fianco avrebbe reso giustizia al suo ruolo.
 
Cosa voleva di più? Viveva nel lusso, aveva Jude, un fratello maggiore che dimostrava di volerle davvero bene e poi… beh, poi c’era Micah, l’unica persona al mondo che la capiva davvero, che dimostrava di credere in lei e che le instillava fiducia. Probabilmente sarebbe andato bene così, tutto quello le sarebbe dovuto bastare.
Quindi Alida decise di abbandonare definitivamente l’idea di scappare.
Finalmente, dopo quasi otto anni passati alla Corte, era riuscita a trovare un vero e proprio passaggio che l’avrebbe condotta fuori di lì, costituito da una botola sita nelle cucine del grande refettorio che ospitava le feste della comune, in cui i cuochi usavano tenere cibo e vino in fresco; l’aveva esplorata più volte, fino a scoprire che quella era collegata a un vecchio passaggio metropolitano e che, sufficientemente liberata, conduceva in una zona paludosa. Era stata più volte tentata di spingersi fino in fondo e trovare la libertà nelle acque di sabbia mobile di quella palude maleodorante, ma per vigliaccheria e timore, non l’aveva mai fatto.
Giunta ai suoi diciotto anni, Alida realizzò che fosse stato meglio così.
 
Ma presto, più presto di quanto avrebbe mai voluto, una turbolenza violenta avrebbe offuscato i suoi cieli e si sarebbe scatenata una calamità tale che non sarebbe stata in grado di contrastare. Non credeva di vivere un sogno, Alida, ma non si aspettava che si sarebbe catapultata nel peggiore dei suoi incubi. Quello, purtroppo, si manifestò attraverso la figura di Micah, ormai ventenne.
Da qualche giorno Alida credeva di vederlo molto strano e la stessa cosa valeva per Jude. Aveva ovviamente incontrato i due separatamente e ugualmente aveva notato ci fosse qualcosa di insolito nei loro comportamenti. Jude, ad esempio, le era sembrato particolarmente nervoso e dopo un paio di giorni quel nervosismo si era trasformato in quella collera che faceva così tanta paura a tutti.
Micah invece era agitato e i suoi occhi chiari e bellissimi, si erano velati di cupa preoccupazione. Alida lo aveva convinto ad assecondarla in una delle loro uscite, lontani da occhi e orecchie indiscrete, ma per quanto si fosse impegnata e avesse tentato di essere convincente, Micah non aveva voluto rivelarle assolutamente che cosa lo preoccupasse tanto. Alida pensò solo che, di qualsiasi cosa si dovesse trattare, erano coinvolti ambedue i cugini Millan.
Cercò quindi di captare qualcosa dalla stessa Nadia, senza ovviamente azzardare una sola domanda, ma la donna sembrava spensierata come sempre, forse giusto un tantino più guardinga del solito.
‘Devo essermi suggestionata, sicuramente non è niente di importante.’ Questo andava ripetendosi Alida cercando di tranquillizzare la sua mente spaventata.
Purtroppo grazie al suo sesto senso, o più semplicemente alla sensibilità che aveva sviluppato nei confronti dei cugini Millan, Alida non si era affatto sbagliata.
Dopo tre giorni dal loro ultimo incontro, Micah era di nuovo andato a trovare Alida e le aveva chiesto di seguirlo con febbrile agitazione. Mentre lo seguiva in una ‘passeggiata notturna’, con il cuore in gola, Alida si domandò se quello strano atteggiamento potesse essere riconducibile alla fuga di Stafford Rowley-Nysberg, uno dei fedelissimi di Nadia, nonché tutore e addestratore di Jude. Da quando l’uomo se ne era andato, si era generato un grande scompiglio fra le Sentinelle.
 
“Allora hai intenzione di fermarti e dirmi cos’è successo? O vogliamo continuare a camminare fin quando non sorgerà di nuovo il sole?”
 
Alida tentò di smorzare l’atmosfera fattasi pesante e Micah, effettivamente, si arrestò di botto, guardandosi in giro e rendendosi forse finalmente conto di aver camminato troppo.
 
“Un ultimo sforzo, raggiungiamo il granaio, parliamo lì… sono sicuro non ci sarà nessuno e potrò… andiamo, dai.”
 
Una mite lampada ad olio proiettava le loro ombre sulle pareti del granaio, dando l’impressione che non fossero davvero soli. Alida attese con pazienza che Micah, seduto davanti a lei, si decidesse a dire una sola parola, eppure dopo alcuni minuti in cui il ragazzo si ostinava a fissare il vuoto alla sua destra, la strega allungò una mano per carezzargli il viso.
 
“Andiamo, dove è finito Sonne?”
 
Nel sentire quel nomignolo che anni prima Alida gli aveva assegnato, Micah accennò un sorriso. Se ne uscì di punto in bianco, durante il periodo in cui Nadia la stava spingendo ad imparare quante più lingue possibili, perché secondo la Governatrice Alida doveva essere i suoi occhi sul futuro e le sue orecchie sul presente; gli disse che lui era così, come un sole buio, che portava energia e scaldava, ma che nascondeva un nucleo scuro.
Ogni tanto tornava a chiamarlo Sonne, quando Micah si mostrava pieno di energie, Schwarze Sonne, quando invece si incupiva, oppure quando litigavano perché Micah mostrava, nei suoi confronti, l’empatia di un sasso.
 
“Alida… ti devo parlare.”
 
Così la ragazza ritrasse la mano ed annuì, prima di bisbigliare una risposta “Lo avevo capito effettivamente.”
 
Non era pronta a sentire, però, le parole che di lì a poco avrebbe pronunciato il ragazzo.
 
“Io devo scappare, devo andare via dalla Corte. “
 
“Che vuol dire che devi scappare?” Alida tentò di mostrarsi calma “Hai litigato con Jude per caso? L’ho visto parecchio strano in questi giorni.”
 
Micah si morse il labbro, dando segno di voler trattenere molto più di quanto avrebbe detto.
 
“Lil… è complicato, troppo. Non ti posso spiegare, non lo posso fare. “
 
“Ma come non puoi spiegarmi? Mi dici… mi dici che devi scappare ma non vuoi dirmi per quale motivo?”
 
Alida si sentiva arrabbiata e ferita; era convinta da tempo che lei e Micah fossero in intima confidenza e che non c’era nulla che l’altro non sapesse, come non esisteva al mondo che non si appoggiassero a vicenda. Ma allora come mai Micah si rifiutava di dirle che cosa si nascondeva sotto quei solchi scuri che gli cerchiavano gli occhi, sotto alle labbra tormentate dagli incisivi, sotto le cuticole del pollice che staccava con palese nervosismo?
 
“Io non te lo posso dire. Dammi retta, meno sai di questa dannata storia, meglio è per te. Ma tu devi fidarti di me, se ti dico che devo andare via, che qui non sono più il benvenuto. Fa tutto schifo, cazzo.”
 
Micah affondò le mani nei capelli scuri con gesto disperato e Alida rimase paralizzata ad osservarlo, incapace di capire quale sarebbe stata la cosa migliore da dire o da fare. Tentò altre volte di strappargli informazioni, ma lui non cedette mai; era chiaro, comunque, che la questione fosse davvero molto grossa, perché non era mai successo che Micah si comportasse in quella maniera. Lui era forte, temerario e non aveva mai paura di niente; anzi, si poteva dire che uno dei suoi più grandi difetti fosse proprio la spavalderia con cui affrontava le cose del mondo.
Rimasero a lungo in silenzio, fin quando Micah non uscì dal suo groviglio e tornò a puntare gli occhi in quelli di Alida.
 
“Vieni via con me.”
 
 
La Corte
 
Si stava facendo buio, così Artemisia finì di dare da mangiare ai cavalli del maneggio, per poi uscire fuori dalla stalla seguita da Atlas. Salutò Gus, l’uomo che si occupava in maniera periodica di provvedere alla manutenzione delle stalle e inondata dal cupo rosso del sole serale, si avviò verso la sua bicicletta, sebbene non fece in tempo a montarvici in sella, in quanto Atlas cominciò ad abbaiare in una direzione ben specifica. D’istinto, Artemisia portò le mani alla ricerca della sua mitragliatrice, per poi ricordarsi che non l’aveva portata con sé; comunque appena si rese conto che Atlas stesse abbaiando verso una presenza conosciuta, la ragazza ebbe modo di rilassarsi e di accennare un cordiale sorriso.
 
- Ciao, ti serve qualcosa? Se cerchi Lir o Jude non sono qui. -
 
Alida scosse il capo e sorrise di rimando: - Veramente stavo tornando a casa, poi ti ho vista ed ho pensato di… salutarti, ecco!-
 
Ad Artemisia parve molto strano il comportamento di quella ragazza, che quasi mai abbandonava il fianco di Nadia senza essere affiancata dai due uomini appena citati; cordiale ed educata di natura, comunque, non fece notare la cosa ad Alida, che nel frattempo osservava Atlas continuare ad abbaiarle contro.
 
- Amore, fai il bravo, Alida è un’amica. Vieni qui, forza.-
 
Data la dovuta dose di coccole ad Atlas, Artemisia tornò a rivolgersi ad Alida, ancora impalata davanti a lei: - Se non hai nulla da fare puoi venire a casa mia, sono abbastanza certa di avere ancora un po’ di torta; preparo un tè, ti va?-
 
Seppure con lieve imbarazzo, Alida accettò l’invito; non solo non era mai stata sola con Artemisia: in generale erano così rare le occasioni in cui non era in compagnia di qualche fedelissimo di Nadia –se non di Nadia stessa-, che quell’invito l’aveva lasciata destabilizzata. Consapevole però della volontà della Governatrice, aveva pensato fosse la cosa giusta da fare, così le due si incamminarono verso il bosco.
Giunte davanti al delizioso vialetto che anticipava l’ingresso della casina di Artemisia, Alida si irrigidì quando notò un gatto fermo davanti alla porta, intento a leccarsi una zampina; fu impossibile non notare l’irrigidimento della ragazza, che si sciolse solo dopo che Atlas ebbe cacciato il micio a suon di abbai.
 
- Emh… tutto bene? Hai paura dei gatti? –
 
- Paura? Io? Eeeeh… non proprio. Quindi che facciamo, entriamo?- (3)
 
Decisamente bizzarra, pensò Artemisia che intanto si sforzava di non fare espressioni che dessero adito a fraintendimenti o che, peggio ancora, la facessero passare per maleducata. Fece quindi accomodare immediatamente l’altra e, come prima cosa, mise su un bollitore per il tè.
Intanto Alida si limitava a guardarsi intorno; quella casa profumava di fiori e di pulito, valutò con una punta di invidia. Casa sua non era mai stata così ed il fatto di essere in due, per altro senza animali che spargevano peli in giro, non migliorava per nulla la sua posizione, al contrario. I suoi pensieri a proposito della delicatezza antica di quell’abitazione trovarono una conclusione quando Artemisia giunse a portarle torta e tè.
È anche una perfetta padrona di casa, si disse mentre assaggiava il buonissimo ciambellone guarnito con della marmellata.
 
- Ti preparo una porzione da portare a Lir, sono sicura ne sarà felice. E poi se venisse a sapere che sei stata qui e non gli ho fatto mandare nemmeno un dolce, sono sicura che si presenterebbe alla mia porta con torcia e forcone.-
 
- Per carità, non ho alcuna intenzione di sentirlo brontolare. – Borbottò Alida, sempre più invidiosa delle strabilianti capacità di Artemisia. Eh si, quella torta era davvero buonissima.
La padrona di casa preparò nell’immediato un cestino da recapitare all’amico, prima di sedersi con misurata discrezione davanti l’altra ed iniziare a sorseggiare la propria tazza di tè.
Un silenzio a dir poco imbarazzante calò presto fra le due, che ben poco avevano di cui discutere; Alida mise in moto gli ingranaggi per tentare di trovare il giusto aggancio e fortunatamente non ci volle molto prima che la provvidenza – in quel caso di nome Jude- la salvò: con il sole ormai nascosto, il buio aveva preso possesso del bosco, per questo fu semplice notare il bagliore dei fari dell’auto di Jude al di fuori della finestra della cucina.
 
- Toh, guarda, deve essere tornato il tuo vicino. – Disse quindi Alida, per poi guardare Artemisia caricandosi di tutta l’innocenza che non possedeva affatto: - Voi vi vedete spesso? Ultimamente mi pare che passiate parecchio tempo insieme.- In conclusione, Artemisia affondò buona parte del viso nella tazza e per poco non si guadagnò una bella ustione provocata dall’infuso bollente e i suoi vapori .
Nel sentire Alida rivolgerle quella domanda, il sorriso di Artemisia scomparve dal volto e contemporaneamente un lieve rossore scaldò le gote pallide. La ragazza non era affatto abituata a parlare dei suoi affari personali, specialmente con persone con cui non era in confidenza. Che fosse Lir a farle una domanda del genere sarebbe andato bene, ma Alida era un mistero per Artemisia e con lei non aveva avuto sempre e soltanto che un rapporto formale e di fredda cortesia.
 
- Non… veramente non mi sento di rispondere a questa domanda, scusami. – Si limitò a rispondere, traghettando lo sguardo lontano da Alida. Quest’ultima si era sentita immediatamente una stupida; nonostante avesse passato le due ore precedenti a prepararsi a quel momento, ripassando mentalmente quello che avrebbe potuto chiedere all’altra per non sembrare una pettegola, aveva comunque finito per risultare indiscreta. Così deglutì sonoramente e accennò un sorriso, accompagnato da un’espressione accigliata: - Mi dispiace, non credevo di metterti in imbarazzo, Sai, conosco Jude da… sempre, per me è come avere un fratello. Mi sono solo fatta trascinare dalla curiosità, visto che è tanto tempo che non lo vedo così… sereno, ecco. Con te, intendo, mi sembra… sereno, si. -
 
- Sul serio? – Evidentemente quelle parole colpirono Artemisia, che cominciò a sbattere più volte gli espressi occhi chiari, decisamente incuriosita. Resasi conto di essersi esposta, la più giovane tentò di recuperare: - Cioè, voglio dire, sono contenta di sapere che le persone si trovino bene in mia compagnia e… e Jude è una persona e quindi… insomma se lui è sereno io sono…-
 
Colpita e affondata. Era evidente che la reazione della ragazza celasse qualcosa di più di ciò che volesse lasciare intendere.
 
- Non preoccuparti, ho capito. Fa strano comunque, Jude è così musone, ti assicuro che scorgere in lui sprazzi di spensieratezza è un evento più unico che raro; devi avere un dono… -
 
Ancora una volta Micah fece capolino nei pensieri di Alida, con una mazza ferrata in mano pronto a demolire il suo cuore. Fu impossibile non pensarlo, non paragonarlo a Jude. Quest’ultimo torvo, cupo… triste. Mentre Micah era una forza della natura, manifesto di energia, senza veli oscuri a tormentargli l’anima. Luminoso come il sole, il suo sole.
Stupida che non sei altro. Non è il tuo sole. Non è mai stato tuo.
Artemisia poggiò con delicatezza la tazza sul piano del vecchio tavolo di legno che accoglieva i suoi pasti, così inclinò leggermente il capo di lato e osservò Alida, dallo sguardo perso e triste.
 
- Tutto bene? – Le chiese con garbo.
 
- Io… si, stai tranquilla. Pensavo solo che Jude è molto diverso da suo cugino. Ne hai mai sentito parlare? Jude magari… ti ha mai accennato a lui?-
 
- Parli di… Micah Millan, mi pare si chiamasse… -
 
Un moto di rabbia attraversò Alida, che si affrettò a correggere Artemisia: - Chiama.  Si chiama. Lui è ancora vivo. –
 
- Oh, scusami, io non volevo… -
 
Resasi conto di avere avuto una reazione eccessiva, Alida si affrettò ad agitare le mani e a scusarsi per il suo tono. Artemisia sorrise, così continuò: - Comunque qualcosa mi ha accennato, è vero. Ma non molto, ho idea che sia un argomento davvero molto delicato per lui. –
 
- Lo è. – Alida annuì: - Neanche noi ne parliamo mai. Nadia… lei vorrebbe che Micah tornasse, è molto legata ai suoi nipoti. -
 
- Me ne sono resa conto, sembra davvero molto protettiva nei confronti di Jude, quindi non mi sorprende quello che dici. -
 
- A tal proposito… - Alida sorseggiò di nuovo il tè, lasciando uno spazio d’esitazione prima di proseguire: - Fossi in te starei attenta, non sottovaluterei questo attaccamento… iperprotettivo di Nadia. -
 
Perché lo stava facendo? Perché Alida sentiva di dover mettere in guarda Artemisia?
 
- Io credo di non capire, non sto facendo niente di male, cerco di ottemperare ai miei doveri di Sentinella. Non voglio di certo mettere i bastoni fra le ruote a nessuno, specialmente a Jude! -
 
Vagamente agitata, Artemisia adottò un tono acuto della voce che rese chiaro ad Alida quanto fosse allarmata.
 
- Non fraintendermi, il problema non è questo, Nadia non ha da ridire del tuo lavoro di Sentinella… bensì della tua vicinanza a Jude, non so se mi capisci. -
 
- Non so cosa ci sia da capire. – Rispose irrigidita Artemisia.
 
Alida poggiò la tazza ormai vuota sul tavolo, poi tornò a puntare gli occhi in quelli dell’altra: - Non sottovalutare Nadia e la sua scala di valori, tutto qui. Io te l’ho detto. –
 
- Beh, questa suona quasi come una minaccia. -
 
- Ti assicuro che non è così. Semplicemente, ecco… ho provato sulla mia pelle che cosa vuol dire mettersi contro il volere di Nadia e non lo auguro a nessuno... – Alida scivolò giù dalla sedia e dette una sistemata al suo vestiario all black, prima di concludere la frase: -…tantomeno a qualcuno a cui tiene Jude. -
 
Artemisia non seppe replicare; in quel momento aveva raggiunto un tale livello di imbarazzo, che l’unica cosa che fu in grado di fare fu seguire Alida in silenzio, mentre si avvicinava alla porta d’ingresso.
 
- Grazie per il tè, ora è meglio che vada. Vado da Jude, scroccherò un passaggio da lui. -
 
 
 
Circa quaranta minuti più tardi Artemisia attendeva sul vialetto di casa che Atlas tornasse dalla sua passeggiata notturna; i fari dell’auto di Jude illuminarono di nuovo la strada. Quando le passò davanti, l’auto rallentò e i due si guardarono, poi Jude accennò un sorriso e fece un cenno del capo, prima di proseguire  verso casa sua. Artemisia agitò le dita della mano per salutarlo e lo seguì con lo sguardo, fin quando non vide Atlas tornare verso di lei.
 
- Andiamo cucciolo, la mamma ha bisogno di essere coccolata. -
 
*
 
Aveva rimuginato a lungo, prima di confessare a Micah di avere una soluzione per lui, di conoscere una via di fuga affidabile, sebbene credeva fosse davvero difficile uscire illeso dalla palude in cui il condotto segreto andava a finire.
Alida tentò di farlo ragionare, ma Micah di ragioni non ne voleva sentire, per questo motivo alla fine cedette e si dette con lui appuntamento per tre giorni dopo. Micah l’aveva lasciata così, dicendole di andare via con lui.
 
“Di cosa hai paura? Questo posto non è più sicuro di quello che c’è la fuori. Lo so per certo. Lil, scappiamo insieme… ho la mia bacchetta e posso trovarne un’altra per te. “
 
Alida sapeva che Nadia facesse istruire di nascosto i suoi nipoti all’uso della magia; qualche volta era persino capitato che Micah le mostrasse qualche semplice incantesimo e lei aveva persino provato a prendere la sua bacchetta, ottenendo però scarsi e pessimi risultati. Non era quindi una sicurezza, che Micah sarebbe riuscito a procurarle una bacchetta, visto e considerato che non sapeva svolgere incantesimi.
Ma poi perché sarebbe dovuta andare via? Seguire Micah avrebbe voluto dire tradire Nadia e il proprio ruolo nel mondo.
E poi Alida lo sapeva, che era impossibile fuggire; lei ci aveva provato decine di volte e non c’era stata una sola volta in cui era riuscita nel suo intento. Se li avessero trovati, era sicura che Micah se la sarebbe cavata senza conseguenze, ma lei poteva dire lo stesso?
 
Quando si incontrarono, di tempo per parlare non ne avevano molto. Micah era nascosto nell’oscurità della notte, dietro una delle mura che costituivano il refettorio e aveva con sé giusto uno zaino; però era pronto per partire, era tutto vero.
Fu quando lo guardò negli occhi, che Alida non riuscì a trattenere le lacrime.
 
“Ti… ti prego, non andare. Qualsiasi cosa sia successa, la possiamo affrontare insieme! Io ti posso aiutare… noi possiamo cambiare le cose dall’interno.”
 
Lo sguardo di Micah la bruciò come fuoco ardente; si, perché il mago aveva capito che Alida non sarebbe andata con lui, troppo codarda per affrontare le possibili conseguenze di quella fuga.
 
“Tu qui non sei che un animale in gabbia e mia nonna… Nadia, lei ti sta sfruttando, non te ne rendi conto?”
 
“Lo fa per il bene di tutti noi… lo so che è difficile da capire ma… “
 
“Stronzate!” Micah si ritrovò ad alzare la voce; la sua espressione la spaventò. “Ti stai raccontando un sacco di stronzate solo perché hai paura, ma devi fidarti di me; se rimani al mio fianco, ti giuro Lil…” Mosse un paio di passi verso di lei e con le lunghe mani afferrò il viso di Alida, bagnato di lacrime “Ti giuro che ti proteggerei. Mi ammazzerei, piuttosto che permettere ti catturino ancora. Sarai libera, la mia coraggiosa Alida.”
 
Una parte di Alida –la più grande- tentennò, perché avrebbe preferito una vita nella paura di essere scoperti, ma al fianco del ragazzo che rappresentava tutto il suo mondo, piuttosto che vivere negli agi della Corte, ma senza di lui. Eppure, per quanto lo volesse, più forte era il peso della mano di Nadia, che aveva lavorato per anni riuscendo infine ad assoggettarla totalmente a lei.
Nadia l’aveva convinta di non meritarsi niente, se non il ruolo che le spettava al suo fianco. Alida era una bambolina di grande valore, ma provare sentimenti non le spettava di diritto. Seguendo Micah lo avrebbe messo in pericolo, perché Nadia li avrebbe scoperti e non avrebbe accettato quella fuga senza prendersela con lei e Micah si sarebbe messo in mezzo pur di difenderla.
No, non poteva permetterlo.
Così, seppur con estrema fatica, Alida allontanò le mani di Micah dal suo viso e gli indicò l’entrata del refettorio, prendendo poi a spiegargli cosa avrebbe dovuto fare per raggiungere la palude in sicurezza. Lo accompagnò fino all’ingresso della botola, ma si fermò lì, con i pugni talmente stretti da far male.
Micah le dava le spalle, ma indugiò davanti alla botola aperta, fin quando non si voltò per osservarla un’ultima volta.
 
“Resti? O vieni via con me?”
 
Alida avrebbe voluto che le parole di Micah bastassero per scacciare la sua codardia. Le sarebbe piaciuto lasciarsi la Corte alle spalle e accettare quella mano tesa; si sarebbe abbandonata alle promesse di Micah, lo avrebbe fatto.
Ma non ci riuscì. Il terrore di essere tradita come l’aveva tradita la sua famiglia e ancor più il timore di metterlo in pericolo con la sua presenza, la fecero desistere.
 
“Micah. Resta, ti prego. “
 
Il ragazzo sentì come se qualcuno gli avesse lanciato contro un secchio di acqua gelida. Accennò un sorriso amaro, poi tornò a farsi serio e rivolte ad Alida le sue ultime, dure parole, prima di lasciarla lì e infilarsi in quella botola che lo avrebbe separato per sempre da lei.
 
“Come immaginavo. La vigliaccheria ti ha dato talmente tanto alla testa, da non capire che ti stai rovinando con le tue stesse mani. Rimani pure qui, è il posto che ti spetta di diritto, quello al fianco di quella bastarda. Addio, Lil.”
 
Non fu in grado di accompagnarlo, se non con lo sguardo. Ogni parola morì nella bocca di Alida, i cui occhi si inondarono di lacrime, che tornarono a rigarle il viso mentre Micah si faceva sempre più lontano.
 
*
 
 

 
I primi tempi senza Micah furono dolorosi in maniera insopportabile. Non solo lui, il ragazzo di cui era irrimediabilmente innamorata –finalmente se ne era resa conto- non era più lì con lei, inoltre Micah aveva anche dimostrato che scappare era possibile. Nessuno infatti, sebbene Nadia e Etienne mobilitarono mezzo mondo per ritrovarlo, era riuscito nell’arduo compito, ragion per cui si sospettava che Micah fosse riuscito davvero a mettersi in fuga.
Quindi?
Ecco la dimostrazione che Alida non era che una codarda, che aveva rinunciato alla felicità al fianco del ragazzo tanto amato, per pura paura. Non si era fidata delle sue parole, quando Micah le aveva chiesto di credere in lui e le conseguenze di quella mesta decisione si rispecchiavano in lei, diventata ormai l’ombra di se stessa.
Alida era catatonica, profondamente infelice, irrimediabilmente compromessa nel profondo.
E Jude si mostrò infelice tanto quanto lei, seppur in lui spiccava il sentimento della rabbia cieca; il ragazzo, ormai una validissima Sentinella, aveva scatenato il putiferio a Corte e aveva chiesto ai suoi nonni di poter uscire lui stesso in missione per cercare il cugino che, era chiaro vista l’assenza di biglietti di riscatto, si era allontanato di sua spontanea volontà.
Missione dopo missione e con lo scorrere del tempo, ben presto la famiglia Millan e tutti coloro che avevano fatto parte della vita di Micah, dovettero accettare che non c’era più molta speranza di riportare il più piccolo dei cugini a Corte.
Tutto quel trambusto non pesò particolarmente su Alida, sprofondata in uno stato depressivo senza eguali di cui fortunatamente Nadia nemmeno si accorse, tanto era presa a fare i conti con il proprio dolore. Ma a Jude non sfuggì affatto la cosa.
Fu grazie alla sua presenza, che Alida riuscì a tirarsi su. Jude la scosse con poco garbo; sebbene Alida e Micah avessero sempre tentato di nascondere la loro profonda conoscenza, Jude era pur sempre la persona a cui il minore era più legato al mondo e aveva inteso che Micah conoscesse intimamente Alida ormai da anni.
Un giorno il ragazzo si fece concedere il permesso di portare Alida con sé in una ricognizione nella Corte e con l’occasione, non mancò di risvegliarla dal suo torpore.
 
“Ma non ti guardi? Sei diventata una nullità. Lo so che la tua vita è sempre stata complicata e che hai sofferto molto, ma ora devi smetterla di autocommiserarti. Non puoi più permettere che la tua felicità dipenda interamente da qualcun altro, che sia mia nonna, o che sia… una persona speciale. Devi reagire, altrimenti meglio che ti lasci morire, piuttosto che vivere in queste condizioni. “
 
“Alida, devi scegliere che cosa fare. O qui, con noi e con onore, o fuori di qui. “
 
Quelle parole, Alida se ne rese conto con il tempo, furono fondamentali per innescare il suo cambiamento radicale.
Passarono i mesi, così un giorno Alida decise di chiedere udienza a Nadia, bisognosa di comunicarle qualcosa di molto importante.
 
“Non ti ho mai chiesto nulla, per questo sono certa che non potrai rifiutare queste due richieste. Se lo farai, ti prometto che non avanzerò nessun altra richiesta in futuro. “
 
Nadia le chiese di andare avanti, stranamente incuriosita dal fuoco che percepiva ardere negli occhi chiari della giovane strega.
 
“Primo: ti chiedo che nessun altro bambino con capacità particolari, subisca lo stesso trattamento che ho subito io. Nessuno dovrà più essere maltrattato né sfruttato. “
 
“Cos’altro?”
 
“Chiedo vendetta.”
 
Alida espresse il desiderio di vendicarsi della sua comune di provenienza e, in particolar modo, della sua famiglia. Il risveglio da quel torpore aveva acceso in lei una fiamma abbacinante, intrisa di spietate rivendicazioni verso coloro che le avevano rovinato la vita.
Nadia acconsentì, a patto che fosse Jude e altre fra le sue Sentinelle più fidate ad accompagnarla e che non avrebbe ucciso nessuno.
 
Fu così che, tre giorni dopo, Alida partì al fianco di Jude verso la sua vecchia Comune. Era un torrido giorno d’estate e si soffriva persino nei territori russi, ma Alida non sentiva il caldo, né la siccità sebbene la bocca si seccava con frequenza. 
Il suo corpo era invece percorso da un’atipica eccitazione che mai aveva provato in vita sua; ormai aveva deciso con rassegnazione che quella sarebbe stata la sua vita ed era giunta ad accettare di essere una codarda, ma non aveva dimenticato che, se era diventata così, la colpa non era sua. Altri, invece, avevano fatto in modo che Lyuba non esistesse più ed era questo il pensiero che tenne a mente, mentre attuava il suo piano. Sapeva infatti che gli abitanti della sua vecchia comune, quel sette agosto, si sarebbero riuniti nella piazza adiacente ai campi di grano, per festeggiare la fine dell’estate e prepararsi al rigido inverno.
Mentre tutti festeggiavano,  Alida con Jude al suo fianco e le altre Sentinelle, dette fuoco ai granai della Comune, bruciando non solo l’intero raccolto che sarebbe servito per la loro sopravvivenza, ma anche il mangime per il bestiame, senza il quale sarebbe presto morto di fame. Per giunta l’incendio divampò fino a raggiungere buona parte delle abitazioni di quel villaggio.
Alida aveva rispettato il volere di Nadia non uccidendo direttamente nessuno, ma quella era stata una vera e propria condanna a morte.
Jude la affiancò, chiedendole se fosse soddisfatta di ciò che aveva fatto.
 
“Manca ancora una cosa. Aspettami qui.” Rispose la giovane, prima di allontanarsi con passo misurato. Così, Alida scivolò fra gli abitanti della Comune che allarmati dall’incendio correvano da un lato e dall’altro per porre rimedio a quella disgrazia; fra la folla, intercettò la sua famiglia che osservava orripilata la loro casa avvolta dalle fiamme. Inizialmente non riconobbero la figura che si faceva vicina, ma quando la riconobbero, il terrore aumentò a dismisura.
Alida sorrideva, mentre s’avvicinava e s’arresto solo quando fu sufficientemente vicina; c’erano i suoi genitori, sua sorella e suo fratello, stretto a quella che doveva essere diventata sua moglie e con in braccio un bambino molto piccolo.
Alida riconobbe la moglie di Elizar, realizzando che fosse proprio una delle bambine che più l’aveva presa di mira, quando si trovava ancora nella comune; il suo sorriso si allargò senza che fosse in grado di frenarsi.
Fu con quel sorriso diabolico stampato sul viso, che agguantò il bavero della camicia di Elizar, per poi parlare ad alta voce in modo che quante più persone possibili potessero sentire ciò che aveva da dire.
 
“La sfortuna si è abbattuta su di voi e vi ha portato via tutto, come voi avete fatto con me. Non vedo l’ora di vedervi strisciare come i vermi che siete.”(2)
 
Infine, come se provasse ribrezzo a toccare il fratello, Alida abbandonò la presa e dette le spalle alla sua famiglia, lasciando il gruppo nello sconcerto e nell’impotenza, perché sapevano bene che, ad accompagnare quella che un tempo era la loro Lyuba, vi era il nipote della governatrice.
Con quel rogo una parte di lei era morta, ma come una fiera fenice Alida era rinata, accettando la decisione che aveva preso, che le confermava il suo ruolo accanto a colei che l’aveva ridotta a essere poco più di una pedina su una scacchiera.
Ma anche se non avrebbe smesso di soffrire di quella condizione, come della mancanza di Micah, almeno Alida aveva avuto la sua vendetta.
Il boccone sarebbe stato meno amaro da mandare giù, ne era certa.
 
 
 
La Corte
 
Prima di recarsi a casa di Ajax, Ryurik aveva voluto fare una serie di deviazioni e le due compagne lo avevano seguito senza fare obiezioni. Essendo una persona molto discreta, il ragazzo non aveva voluto catapultarsi nell’immediato a casa di Ajax, preferendo prima fare un giro della Corte, attraversare i luoghi solitamente frequentati da Ajax ed assicurarsi che quello non fosse finito in qualche fossato, magari durante qualche giro di perlustrazione.
Ryurik conosceva a malapena Ajax eppure era certo, come certe erano Saskia e Izzie che avevano a che fare con lui da molto più tempo, che un tipo come Ajax non si sarebbe allontanato volontariamente dalla Corte, tanto più se aveva ricevuto ordini ben precisi da parte di Nadia e consorte.
No, non era assolutamente da Ajax.
Izzie si sentiva particolarmente agitata e ogni qualvolta si fermavano da qualche parte per chiedere informazioni, lei rischiava di far scoppiare tutto. Perché non aveva indosso quei maledetti – o benedetti in questo caso- collari progettati da Etienne? In revisione, mpf! Che diavolo c’è da revisionare?!  Chiese amareggiata a se stessa.
Saskia aveva percepito il suo nervosismo ben prima di sentire Ryurik lamentarsi dello stato d’animo di Izzie, che stava assorbendo come fosse una spugna.
 
- Ti prego, tieni di freno la tua amica. – Disse rivolto a Saskia, mentre stringeva l’incipit del naso e strizzava gli occhi con enfasi: - Mi sta esplodendo la mia testa con tutto questo suo essere nervoso. -
 
- Secondo te posso farci qualcosa?- La risposta di Izzie fu un misto di stizza e desolazione, allorché Saskia allungò una mano a stringere la spalla dell’amica, mentre i tre si avviavano verso casa di Ajax; ahimè il loro giro ricognitivo non aveva portato alcun frutto e si erano trovati costretti ad esplorare l’ultima spiaggia.
 
- Dai Izzie, se non pensi positivo rischi di far scoppiare la Corte intera. Poi chi glielo dice a Nadia che sei stata tu? -
 
Saskia conosceva bene la sua amica e sapeva che parole utilizzare per tranquillizzarla. In effetti nel sentirla scherzare, Izzie non poté fare a meno di accennare una risata, a qual punto Ryurik roteò gli occhi al cielo e mormorò un ringraziamento in russo a Saskia che, purtroppo, non riuscì a comprendere.
 
- Insomma, a quanto pare anche i genitori di Ajax non si vedono da un paio di giorni. – Izzie tallonò Ryurik, in testa ai tre, mentre si avvicinava al portone d’ingresso della casa dei Willow. La piazza centrale era ormai vuota e a colorarla non vi erano che le luci baluginanti che spuntavano dalle finestre delle abitazioni.
 
- E di sicuro non sono andati a fare una gita di piacere nelle Terre di Nessuno. – Saskia incrociò le braccia e si fece meditabonda: -Forse si sono ammalati! Ricordate quell’epidemia terribile dello scorso anno? Metà delle Sentinelle è stata messa fuori gioco. -
 
- E secondo te non avrebbero avvisato Etienne? Impossibile. – Izzie scosse il capo con vigore: - La famiglia di Ajax è una delle più grandi sostenitrici di Nadia. Sono Sentinelle da generazioni, radicati nella Corte. Se pure si fossero ammalati, avrebbero trovato il modo di fare avere loro notizie quantomeno a Jude. -
 
- Non ci resta che scoprire, non serve parlare qui fuori dalla porta. -
 
Ryurik bussò con veemenza un paio di volte e Saskia li annunciò ad alta voce. Nessuna risposta.
 
- Che fai? Non è educato!- Izzie allungò le mani per trattenere Ryurik, il quale non ricevendo alcuna risposta, aveva deciso di aprire la porta e entrare. Saskia commentò che quella fosse l’unica cosa da fare e Izzie, dopo aver sospirato, annuì e si accodò ai due.
 
- Salve, c’è nessuna? -
 
- Si dice nessuno, non nessuna. – Saskia si apprestò a correggere Ryurik, che fece un vago gesto con la mano prima di tornare a palesarsi con la propria voce. Effettivamente l’appartamento sembrava deserto; tutte le luci erano spente, tranne quella che illuminava il modesto salotto e uno strano odore impregnava gli ambienti. I tre rabbrividirono nello stesso momento, quando si resero conto che l’olezzo proveniva dalla tavola da pranzo, sulla quale giacevano i resti di cibo non del tutto consumato, come se i commensali si fossero interrotti nel bel mezzo del pranzo e avessero abbandonato la tavola.
 
- Questa cosa non mi piace per niente, proprio per niente. – Commentò Saskia e Izzie annuì, approfittandone poi per stringersi un po’ all’amica, lievemente impaurita.
 
- Mi pare davvero strano, come si può abbandonare un pasto così, di punto in bianco? – Saskia afferrò una forchetta e con essa picchiettò il polpettone che si trovava in un piatto. Era duro come il marmo, dunque erano almeno un paio di giorni che dovevano trovarsi lì.
 
- Vogliamo dividerci?-
 
- Non se ne parla! – Rispose Izzie, poi tentò di giustificare la sua risposta a dir poco veemente, accampando la scusa che Nadia non avrebbe voluto che in una situazione così ambigua loro, specialmente Ryurik, potessero mettersi in pericolo.
Così i tre perlustrarono la casa, fino a spingersi alle camere da letto. Trovarono la prima vuota, anche se abbastanza disordinata.
Fu la seconda stanza, che fece trattenere il fiato ai tre; lo scenario che si trovarono davanti era di caos totale: l’armadio era spalancato e buona parte dei vestiti riversi a terra e la stessa sorte era toccata all’umile cassettiera di legno chiaro.
Ma la cosa più inquietante era senz’altro il messaggio scritto sullo specchio sopra di essa; dovevano aver usato qualcosa di compatto e scuro, magari del rossetto.
 
Morte ai seguaci di Nadia
 
Ryurik, Saskia e Izzie si scambiarono lunghi sguardi, senza riuscire a dire una sola parola.
Una cosa era certa, senza bisogno di confrontarsi: quel messaggio non lasciava ben sperare per la sorte di Ajax e della sua famiglia.
 

(1) Altro inevitabile riferimento al Castello errante di Howl.
(2) Questa frase, pronunciata da Alida, l'ho presa para para dalla sua scheda, quindi è farina del sacco di Chemy.
(3) Ci sarà tempo prossimamente per approfondire lo strano rapporto che Alida ha con i gatti, non temete.
 
Ben trovati! Ecco qui la seconda parte del capitolo dedicato ad Alida. Che dire? Sono davvero contenta di essere stata accolta con grande entusiasmo da parte di coloro che sono rimaste; sappiate che ho letto le vostre recensioni e che vi risponderò a dovere, ma intanto voglio ringraziarvi per l’attenzione e l’affetto palesato per questa storia. Grazie <3
Ma mettendo da parte i sentimentalismi: la storia di Alida e Micah è ormai delineata e forse si incomincia anche a capire qualcosa rispetto al passato della famiglia Millan; mi piacerebbe ricevere (in privato!) le vostre teorie a riguardo.
Preparatevi, perché il prossimo capitolo sarà dedicato alla storia di Jude e Micah e finalmente avrò modo di raccontarvi cosa è successo e come mai è avvenuta una rottura di tale portata fra questi due cugini che si volevano immensamente bene. Non vedo l’ora!
Non ho domande per voi, al contrario se voi avete richieste da farmi, io sono ben disposta a prenderle in considerazione.
A presto e grazie di essere qui <3
 
Bri
   
 
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