Colore: giallo (per turpiloquio).
Note: nessuna.
«Scratch, no! Giù da lì!»
All'improvvisa esclamazione di Bulma, Beerus contempla le pupille verticali della pelosa creatura che gli è
appena balzata sulle ginocchia: occhioni gialli incastonati in un musino tutto nero, un tartufo dello stesso
colore che sovrasta le curve armoniche della bocca e lunghe vibrisse che oscillano di curiosità.
«Ciao, micetto!» Lo saluta, mentre la sua mano già affonda a massaggiare il vello morbido sulla schiena
dell'animale.
Bulma siede sull’orlo del divano dal lato opposto del salotto con la stessa tensione muscolare di un velocista
ai blocchi di partenza e punta il dio con occhi che son grandi come i piattini del servizio da tè sul tavolino
di vetro in mezzo alla sala. Dal numero di bocche aperte e forchette che all'improvviso si sono arrestate a
mezz'aria, non è l'unica coi nervi in allerta calamità.
Beerus, al centro del mirino, non condividendo il senso di minaccia che d'un tratto ha permeato la stanza, gira
uno sguardo disorientato attorno ai commensali ammutoliti: «È solo un gatto!» dice.
Un gatto che, fra l’altro, rileva sotto ai polpastrelli, soffre di scapole sottili come fogli di giornale. Una
leggera, leggerissima pressione delle dita e potrebbe spezzarle come quei biscotti secchi che ha intinto poco fa
nel tè. Una divinità degna di definirsi tale non si farà incutere paura da un animale così delicato, soffice e
assolutamente inoffensivo.
Tenero micio micio micio micio!
***
A suo marito stilla una goccia di sudore dalla fronte.
Bulma guarda il gatto, poi guarda Beerus, poi riguarda Vegeta. C'è una bomba, nella sala, e nessuno che si alzi
per neutralizzarla.
Quella stoffa azzurra sembra così fragile e sottilina, come carta di giornale.
***
Vegeta osserva quell'immonda bestiaccia compiere un mezzo giro su se stessa in precario equilibrio sulle gambe
rachitiche del dio, alla ricerca di cuscinetti di grasso inesistenti su cui acciambellarsi.
Mentre Beerus seguita a massaggiargli il pelo sulla schiena con languide carezze della mano, il mostriciattolo
si scioglie alle premure e attacca una sinfonia di fusa assordante nel silenzio attonito della sala. Compie
altre tre giravolte prima di decidere, in quella sua testolina dissennata, che sì, un letto di tiepide fibre
muscolari può servire da valida alternativa a un cuscino di stoffa. Dunque, armato di tutta l'arroganza felina
di questo mondo, concretizza l'incubo che da un minuto a questa parte ha paralizzato gli arti di tutte le
persone riunite in salotto: alza una zampina, poi l'abbassa per sollevare l'altra, e comincia subito a impastare
di buona lena per ricavarsi una cuccia sfoderando artigli più affilati di un bisturi.
La bomba perde la sicura.
***
«Iiiiih!»
Beerus sussulta mentre lancia uno strillo da soprano. Il suo sistema nervoso fa appena in tempo a inviare al
cervello una nota di acuto dolore, acutissimo dolore proveniente dai quadricipiti femorali, prima che Bulma
scatti dal divano e accorra per strappargli di dosso la creatura che gli ha appena perforato la carne delle
gambe.
***
Scratch si sente tirare. Scratch non vuole. Scratch si impunta. Scratch si aggrappa.
***
«AAAH!» Beerus emette un altro urlo belluino.
Ora, come il caro lettore forse saprà, esistono due tipi di dolore.
Per quanto il dio sia rimasto sorpreso dall'efficienza con cui il gatto gli ha trapassato la pelle ispessita da
migliaia di combattimenti, deve ammettere di aver rimediato ferite ben peggiori di un puntino rosso in campo
viola. Beerus, però, divinità misantropa che per secoli ha condotto un'esistenza schiva e solitaria,
avvicinandosi alle civiltà più evolute solo per ridurle in cumuli di cenere, non vanta la stessa immunità
all'altro tipo di dolore che affligge gli esseri viventi dei dodici universi, quello proprio, ossia, dei
fenomeni mentali, delle emozioni che di fisico non hanno nulla ma che spesso infondono il potere di smuovere
montagne e scavare crateri.
È questo tipo di dolore tutto psicologico che adesso gli lacera il cuore in due, la risposta spirituale allo
squarcio, ben più concreto, che l'animale, ribellatosi a Bulma e ancoratosi con le unghie al suo divin cuscino,
gli ha appena aperto nel tessuto dei suoi pantaloni preferiti.
***
E Bulma rimane lì, immobile, col gatto che penzola per le ascelle e le si allunga tra le mani, a specchiarsi
negli sguardi sgranati di tutti e a chiedersi cosa sarebbe successo se Rafiki avesse gettato Simba dalla rupe.
La ringhiera del terrazzo non è lontana, si dice, e papà può sempre accontentarsi di un peluche.
Poi Beerus si alza dalla poltrona con lentezza solenne. Stringe gli occhi, valuta lo scempio sulla coscia.
«Questo gatto mi ha fatto arrabbiare» sentenzia.
La bomba esplode. Da lì in poi, tocca al duo saiyan contenere i danni strutturali all'edificio.
***
«Mrrraoh!»
Due settimane più tardi, Vegeta, grondante acqua, si sta avvolgendo un asciugamano attorno alla vita davanti
alla toeletta del bagno quando sente il gatto strusciarglisi contro la pelle bagnata della caviglia. Lo scosta sgarbato
col piede, spingendolo verso la porta socchiusa.
«Come sei entrato? Pussa via, parassita!»
Serra la porta a chiave dopo aver silurato la bestiaccia dal territorio privato del bagno, ma nel farlo
l'asciugamano si snoda e scivola per terra. Vegeta si china a raccoglierlo con un grugnito, allunga una mano
verso il mucchio di stoffa. Qui si blocca, attratto da un elemento insolito che risalta contro le mattonelle
bianche del pavimento su cui il gatto è appena transitato.
***
Bulma, alle prese con un bullone capriccioso che non vuole saperne di svitarsi, viene messa in allarme quando
dei tonfi sordi di provenienza non identificata fan piovere polvere di calcinacci dal soffitto del laboratorio e
scuotono le fondamenta della Capsule Corporation già provate dallo scontro di due sabati prima. Molla tutti gli
attrezzi e si precipita al piano di sopra.
Cercando la fonte del rumore, si imbatte in Trunks che corre in preda al panico nel corridoio che collega la
camera gravitazionale al bagno personale di Vegeta. Lo interpella, a voce alta per contrastare i colpi: «Trunks,
che succede?».
Lui agita le braccia, ha lo sguardo spiritato. «Mamma, papà è impazzito, sta uccidendo il gatto!»
«CHE COSA?!»
Il figlio gesticola e mima col piede l'atto di schiacciare qualcosa. «Ho visto Scratch infilarsi nel bagno poco
fa, credo che lo stia pestando sul pavimento, così!»
Bulma lo fissa con tanto d'occhi. No, non ci voglio credere.
«Perché a ogni colpo sbraita, "Muori! Muori!".»
***
«Crepa, disgustosa bestia!»
TUM TUM TUM.
Bulma attende Vegeta appostata fuori dalla porta del bagno incriminato con una padella stretta fra le mani e una
scintilla omicida negli occhi mentre ascolta lo svolgersi del vergognoso delitto oltre il battente chiuso. Quanto ancora vuole infierire sulle spoglie di quel povero animale?
Fottuto bastardo senza cuore! Scratch non aveva colpe, come ha osato vendicarsi su una creatura innocente vittima del
caratteraccio scostante di una divinità spelacchiata?!
(La donna finge di non ricordare che lei, quella sera, è stata la prima a desiderare il gatto morto e
spappolato in giardino a seguito di una caduta non accidentale dalla terrazza del terzo piano. Istinto violento che al momento
preferisce disconoscere.)
Scratch, amato Scratch. Il solco della tua anima rimarrà per sempre nei nostri cuori e il tuo pelo nero e
soffice per sempre sui nostri vestiti.
Scratch era innocente. Scratch…
«Mrrraoh!»
Bulma abbassa lo sguardo sulla palla nera che le è appena sfilata accanto nel corridoio e che ora si sta
grattando con insistenza dietro l'orecchio con la zampina posteriore.
Scratch è vivo.
In quella, mentre la materia grigia di Bulma sta smaltendo il sollievo e metabolizzando la presenza del gatto
fuori dal bagno in cui Vegeta si è trincerato e sta combinando, a questo punto, non si sa bene
cosa, la chiave
gira nella serratura, la porta si apre e il marito, ignaro delle maledizioni e delle accuse di assassinio di cui
è stato appena fatto oggetto, esce in perfetta tenuta adamitica tenendo un palmo sollevato verso l'alto.
Bulma lo squadra con un'occhiata integrale, senza salivare come suo solito perché lo sconcerto le ha
seccato la bocca: pettorali ansanti, capelli scarmigliati, sudore sulle tempie. Sembra appena uscito perdente da
uno scontro con la vasca da bagno, e sulle mattonelle di ceramica alle sue spalle si intravedono diverse crepe
come fili di ragnatela là dove ha percosso il pavimento coi talloni.
«Perché giri nudo?» gli chiede, tra altre mille domande con cui desidera bersagliarlo.
Lui rilancia, nella pausa tra un respiro mozzo e l'altro: «Ho caldo. Tu perché brandisci una padella?».
«Pensavo avessi ammazzato il gatto, deficiente!»
Vegeta la scruta in modo strano, per diversi secondi, con occhi neri e serissimi. «È quello che dovremmo fare» dice, timbro cupo e gutturale da predatore assetato di sangue. Non ha reagito all'epiteto gratuito,
quindi significa che le sue priorità sono davvero altrove.
«Di che parli? Cosa intendi?» chiede lei, sempre più confusa. Non ha ancora mollato la presa sulla padella.
«Abbiamo un problema, Bulma.»
È solo a questo punto che Vegeta le si avvicina. Bulma, padella ancora alta di fianco alla testa, deve compiere
uno sforzo immane per stornare l'attenzione dai muscoli scolpiti dell'addome del saiyan e mettere a fuoco invece
il granello di polvere al centro della mano che le porge palmo in su davanti al viso.
E il granello di polvere, all'improvviso, si anima e le balza sul naso.
***
Nel santuario ai limiti della stratosfera, quel guardone di Karin viene percorso da un brivido e si gratta la
schiena per solidarietà felina.
Dobbiamo viaggiare per un fantastiliardo di chilometri nello spazio siderale del cosmo, però, fino agli antipodi
del settimo universo, per assistere alla scena di un grosso gatto dal pelo viola che si contorce e si morde una
zampa a più riprese sbavando saliva come un animale rabbioso.
«Lord Beerus, d'accordo che sono due settimane che non facciamo visita alla Terra e abbiamo esaurito le scorte
di ramen più di dieci giorni fa, ma insomma, mantenga un minimo di contegno, sopporti i vizi di gola in silenzio
senza cannibalizzarsi!»
Ma quello continua l'opera di autolesionismo, ignorando il biasimo del suo angelo custode: dà l'assalto a un
polpaccio, si graffia una spalla, azzanna il dorso di una mano e, dopo aver esagerato con la pressione del
morso, conforta la pelle leccandosi la ferita. Subito dopo, colto da un pizzicotto sul fianco, si straccia la
tunica dalla disperazione.
«Cos'è 'sta stregoneria?!» grida e si lamenta, rivolto ai pianeti nel cielo.
E la risposta giunge, trascendendo le leggi della fisica che impediscono al suono di propagarsi nel vuoto, con
il timbro acuto di una voce femminile molto, molto familiare.
UNA PUUULCEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!
***
In un laboratorio sotterraneo, un vecchio azzimato con i baffi spioventi e una sigaretta alla bocca si gratta
una tempia e ridacchia imbarazzato.
«Ops, questo mese mi sono dimenticato di mettergli l'antiparassitario...»
~fin~
Angolino d’autrice:
È impossibile uccidere una pulce per schiacciamento.
Abbozzata a fine 2020. Riesco a terminarla solo ora, e non perché prima mi mancasse l'ispirazione. Dedicata al mio
nero pulcioso che ha attraversato il ponte a febbraio 2021.