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Autore: Undomiel Hufflepuff    21/04/2022    1 recensioni
"Non si sentiva in colpa, non più, almeno per il momento sapeva che tutto quello che stava provando era giusto e legittimo. Non si sarebbe pentito di questo, mai nella vita.
Era libero, era libero e felice e non avrebbe chiesto scusa."
Le sensazioni di Sirius dopo la sua fuga da Azkaban
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Fino al Mattino

 
Nulla impedirà al sole di sorgere ancora,
nemmeno la notte più buia.
Perché oltre alla nera cortina della notte
c'è un alba che ci aspetta.
(Khalil Gibran)
 
Aveva nuotato fino alla spiaggia per ritrovarsi sperduto su un dolce lembo di terra che non aveva mai creduto sarebbe riuscito a raggiungere, un pezzo di terra che credeva non avrebbe mai più toccato. Era terra vera quella sotto di lui, una bagnasciuga battuta dal mare nero nella notte che lo sospingevano con non troppa violenza sulla spiaggia grigia a stento illuminata dalla falce calante della luna e le luci del villaggio nel insenatura vicina.
Non più un gelido pavimento sotto le sue mani, ma morbida sabbia scura a tratti bagnata, a tratti polverosa.
Non più un freddo pungente ad intorpidire le sue ossa e la sua mente ma un leggero calore a sciogliere il freddo del suo corpo.
Non più il fetido odore della morte o dell'umidità a raschiargli il naso ma quello forte ed intenso dell'olio delle navi, della sabbia bruciata e stantia e della salsedine dell'oceano che adesso impregnavano i suoi vestiti e la sua carne, o ancora, l'odore acre dei pini e dell'erba seccata.
Non più le grida dei condannati al dolore e alla follia ma il placido sciabordio delle onde sul suo corpo e sulla spiaggia, poteva udire il frinire dei grilli o il tubare degli uccelli notturni nella pineta davanti a lui.
Era libero. Non era Azkaban quella ma il mondo vero. Non era una oscura prigione di mattoni umidi e sporchi fatti di grida e risate ma una piccola spiaggia buia e solitaria.
Era libero e lo sarebbe stato per sempre. Meglio la morte ad Azkaban! Sirius rimase disteso nella sabbia bagnata a braccia e gambe aperte a fissare il cielo. Ora era sicuro che esistesse qualcos'altro sopra di lui oltre a quelle nubi nere che si abbattevano sulla sua prigione, aveva dimenticato come poteva essere il cielo del mondo, nero certo, ma mai quanto lo sarebbe stato ad Azkaban. Era bello, placidamente bello. Era luminoso, c'era anche quello nel mondo, c'era la luce fuori da lì, lontano dai Dissennatori. Aveva dimenticato le stelle, ora imperlavano il cielo brillanti, la Via Lattea era pallida sopra di lui, si rifletteva nei suoi occhi rendendolo quasi cieco. Forse non esisteva spettacolo migliore al mondo di quella notte stellata che stava osservando lui adesso. Quella luna calante che da dodici anni a quella parte non aveva più rivisto e che aveva imparato a odiare si mostrava a lui e pareva quasi un sorriso in quel cielo così scuro. Anche Sirius sorrise, mostrò i denti scoprendoli piano come un ubriaco o uno sciocco che non capisce nulla di quello che gli sta succedendo. Era ebbro in quel momento, ebbro di gioia, non credeva che sarebbe mai più stato capace di sorridere, eppure in quel momento gli veniva così naturale che prese a pensare come avesse fatto in tutti quegli anni a non farlo mai, era così semplice e facile. Si voltò lentamente e a fatica, era zuppo d'acqua e si sentiva pesante, si ritrovò coperto di sabbia e pietruzze infilate tra i capelli, nelle scarpe o nelle tasche. Si guardò le mani ossute stupefatto e poi le affondò nella sabbia asciutta, era calda.
Oh il calore. Allora esisteva davvero, come aveva potuto dimenticarlo?! Era così bello anche lui. Gli parve quasi di accartocciarsi su sé stesso, trasse via le mani e le portò al grembo premendole su questo, poggiò la fronte sulla sabbia commosso, piano piano cominciò a ridere, la sua risata quasi isterica usciva gorgogliante dalla sua bocca screpolata e livida dal freddo che sapeva ora di sale, amaro ma buonissimo sale, e dalla sua gola rauca. La risata si mischiò lentamente al pianto, aveva riso e pianto infinite volte ad Azkaban ma mai così. E anche stavolta prese a domandarsi come avesse fatto a dimenticarsi come si poteva ridere e piangere di gioia.
Gioia, si era questo quello che provava, non più dolore e angoscia ma gioia. Felicità, era così facile, perché non l'aveva più provata? Si diede dello sciocco a non averlo fatto prima, la sensazione di essere libero e felice lo faceva stare talmente bene, era quasi stancante. Ora sentiva che dentro di lui c'era finalmente pace, una profonda pace nel cui naufragare gli era dolce quanto la vita stessa che aveva ripudiato fino a quel momento, non lo avrebbe mai più fatto. Quella pace dei sensi e dell'anima parevano quasi cullarlo, nessuno sarebbe stato capace di offuscarla, nemmeno la morte. Sarebbe anche potuto morire lì su quella spiaggia, sarebbe morto sicuramente felice, se fosse spirato proprio in quel momento non avrebbe avuto rimpianti. E al diavolo Peter e la sua vendetta, aveva passato troppo tempo a rimuginarci sopra.
Gli steli secchi dell'erba pungente traforavano la sabbia, lo pizzicavano e lo solleticavano, in altri momenti gli avrebbe trovati fastidiosi ma ora ci passava la mano sopra per imprimere la sensazione nella carne. Bevve l'acqua del mare e immerse di nuovo le mani nella sabbia mentre grossi lacrimoni gli solcavano il viso e la sua pancia sussultava ad ogni suo singulto di felicità. Voleva segnare a fondo quelle sensazioni nella sua mente così che sarebbero state indelebili, indimenticabili. Era sicuro che non le avrebbe mai più obliate, le avrebbe ricordate in eterno ed in eterno sarebbe stato felice. Di questo era sicuro. C'era così tanta bellezza intorno a lui, giurò che non l'avrebbe mai più data per scontata. Erano i grilli e i gufi a farlo sorridere, lui che per anni aveva tenuto le mani sulle orecchie pur di non sentire le grida di agonia di Azkaban al passaggio dei Dissennatori ora ascoltava e tentava di percepire ogni minimo rumore, dal suo respiro irregolare al fruscio del vento caldo tra gli aghi dei pini. Aveva tenuto sigillati gli occhi nella speranza di non vederli arrivare nella sua cella a strappargli via tutto, ora li teneva spalancati per osservare meglio le dune di sabbia, i suoi granelli, le navi del porto che solcavano in lontananza il mare fino a scomparire nell'orizzonte. Poteva dire con certezza e senza remore che quello era il giorno più bello della sua vita. Non si sentiva in colpa, non più, almeno per il momento sapeva che tutto quello che stava provando era giusto e legittimo. Non si sarebbe pentito di questo, mai nella vita.
Era libero, era libero e felice e non avrebbe chiesto scusa.
Racimolato su quel pezzo di terra, raccolto sulla sabbia e l'acqua Sirius si stese su un fianco rannicchiandosi, piego le ginocchia e premette la mano sul ventre dolorante per i suoi singhiozzi, si nascose il viso tra le dita e pianse.
Avrebbe pianto fino al mattino, fino a che su di lui non sarebbe sorto il sole e l'alba. Fino a che non avrebbe fatto giorno.
   
 
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