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Autore: Carme93    22/04/2022    0 recensioni
"La maturità inizia a manifestarsi quando sentiamo che è più grande la nostra preoccupazione per gli altri che non per noi stessi". (Albert Einstein) Samir ha solo sedici anni, ma sente di dover aiutare una ragazza più piccola senza considerare i guai in cui potrebbe finire.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di un anno scolastico'
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Primo capitolo
 
Samir accolse in silenzio l’ennesimo rimprovero della madre e mantenne gli occhi fissi sul fuoco finto che decorava la stufa elettrica, che i signori Pasini avevano loro regalato qualche Natale prima. Nell’idea di chi l’aveva progettato avrebbe dovuto assomigliare a un caminetto, ma senza la seccatura della cenere e della legna; eppure a Samir non ricordava nemmeno lontanamente i camini delle illustrazioni natalizie che lui, Cassy e Cassiopea, la sorella minore di Cassy, guardavano sempre da bambini. Riscaldava la casa certo, ma non mandava lo stesso calore di un caminetto. Era diverso. Era come se l’elettricità lo raffreddasse. Sapeva che scientificamente quel pensiero non aveva senso, ma nel suo cuore sì.
Sua madre lo stava rimproverando per l’ennesimo brutto voto che aveva preso in latino. Ma che poteva farci lui, se già aveva difficoltà con l’italiano? Eppure sua madre, che non metteva in fila che poche frasi in quella lingua ˗ infatti inveiva contro di lui in arabo, il che era conveniente quando lo rimproverava in pubblico ˗ non lo capiva. Per lei dipendeva solo dalla sua mancanza d’impegno.
Samir non disse nulla, finché sua madre non uscì di casa trascinandosi spazzoloni, detergenti e la figlia più piccola, poi diede un calcio alla sedia nell’ingresso. Anni prima provava rabbia vedendo la madre andare a fare le pulizie negli appartamenti dei professionisti che abitavano in quel palazzo, perché avrebbe voluto essere lui a lavorare e mantenere la famiglia. Era lui l’uomo in fondo! Eppure tutti dal mediatore culturale, che si occupava del centro di accoglienza doveva aveva trascorso un po’ di tempo dopo il suo arrivo in Italia, alla psicologa del centro fino al dottor Pasini gli avevano detto che a undici anni non si è uomini e non si lavora, ma si studia. E così aveva fatto accettando che anche le donne potessero lavorare e compiere lavori umili. Eppure non comprendeva sua madre: il dottor Pasini le aveva chiesto di fargli da segretaria nel suo studio privato. Sarebbe stato un lavoro di tutto rispetto ˗ la segretaria di un medico! Samir lo capiva anche a tredici anni! ˗ avrebbe lavorato circa tre volte a settimana ˗ il dottor Pasini lavorava anche all’ospedale della città ˗ e avrebbe guadagnato di più. Sua madre si era rifiutata! Rifiutata! Non aveva mai litigato tanto con lei! E a distanza di tempo ancora non capiva il perché. I genitori di Cassy gli avevano detto di non insistere e rispettare il dolore di sua madre, per quanto lui non riuscisse a comprendere il modo in cui lo esternava: aveva dovuto lasciare il paese in cui era nata e cresciuta, non sapeva che fine avesse fatto suo marito e non dimenticava quel bambino che durante il viaggio aveva perso. Samir non poteva aiutarla in questo, ma soffriva percependo soprattutto la sua rabbia: ce l’aveva con quel marito che, secondo lei, aveva tradito i precetti del Corano e si era fatto trascinare in cose più grandi di loro, costringendo la sua famiglia a scappare. Samir ogni tanto fantasticava e sperava che un giorno il padre li avrebbe raggiunti, ma più cresceva più questa speranza si affievoliva: dopotutto le prigioni libiche non erano un bel posto. Sebbene cercasse di convincersi che suo padre avrebbe potuto resistere, erano comunque trascorsi più di cinque anni da allora.
Arrabbiato, prese il giubbotto, la sciarpa, guanti e cappello e le chiavi di casa: non sarebbe rimasto a casa a studiare come voleva lei. Aveva ben altri progetti, ma di questo lei non si era mai interessata una sola volta negli ultimi anni. Il signor Pasini gli aveva consigliato più volte di aver pazienza, ma a volte non era semplice. Sapeva che neppure lui avrebbe approvato il suo comportamento, ma non gli interessava. A volte avrebbe voluto solo essere ascoltato.
Scese le scale di corsa nel caso in cui la madre avesse deciso di tornare indietro per recuperare qualcosa o per riaccompagnare a casa Jasmine che, annoiandosi, la infastidiva.
Sperò che al colloquio, da lì a qualche settimana, almeno il professor Aristano l’avrebbe convinta che lui ci provava o quantomeno che per una volta ascoltasse la professoressa di matematica. Ma c’erano più possibilità che suo padre riuscisse a sopravvivere al carcere, che suo madre ascoltasse il parere di qualcun altro.
«Alla buon’ora! Sto gelando!» lo accolse Cassy appoggiata al muro dell’edificio.
Sobbalzò, perché non l’aveva vista alla luce dei lampioni.
«Ho dovuto dire a mia madre del compito di latino» borbottò non avendo alcuna voglia di sentire le sue lamentele e iniziando a camminare.
«Che palle!» replicò lei. «Federico ha una brutta influenza su di te. Avresti potuto anche non dirglielo».
«Cassy» sbottò irritato. «Gliel’avrebbe detto Aristano al colloquio! E mi avrebbe urlato contro davanti a tutti!».
La ragazza roteò gli occhi. «E perché sei qui?».
«Cosa?».
«Beh, conoscendo tua madre, mi sembra strano che non ti abbia chiuso in casa dopo un tre».
«Me ne sono andato» bofonchiò.
Cassy si fermò di scatto e lo fissò. «Davvero?».
«Non stiamo andando mica a rapinare un supermercato!».
L’amica continuò a fissarlo per qualche secondo poi scoppiò a ridere. «Non vedo l’ora di dirlo a Federico».
«Cassy! Non è un gioco».
Federico li attendeva vicino al Museo e fu subito sommerso dalle chiacchiere di Cassy. Stranamente, però, non fece commenti. Per la seconda volta in pochi giorni quei due sembravano d’accordo sul violare le regole.
I tre camminarono per un po’ nel freddo pomeriggio di dicembre per raggiungere la casa della signora che era stata loro affidata da don Lorenzo.
La donna li accolse tutta sorridente. Era una donnina piccola e il suo volto era pieno di rughe, ma il suo sorriso era molto dolce.
«Accomodatevi, accomodatevi. Oh, sono così felice che don Lorenzo vi abbia mandato da me» disse loro, palesemente desiderosa di chiacchierare.
Il tavolo rettangolare che riempiva quasi tutta la piccola cucina aveva un lungo centrino rosso.
«Ho comprato la cioccolata calda, sapete? Era un po’ di tempo che non ne bevevo… sapete, alla mia età è meglio evitare troppi zuccheri… i miei nipoti non vengono a trovarmi spesso…» disse con una nota triste nella voce.
Samir provò un certo disagio, proprio come aveva immaginato, ma per fortuna Cassy non si lasciava turbare facilmente.
«Le diamo una mano, ok?» disse la ragazza affiancando la signora, che già armeggiava con un pentolino e un cartone di latte.
«Se la vedesse sua madre» sussurrò Federico a Samir. «A casa pretende che la cioccolata gliela portino fino al divano».
Samir trattenne un risolino e si diede da fare per aiutare gli amici e la tensione iniziale sparì: la signora non voleva altro che quello, sembrava così felice! Eppure loro non fecero altro che preparare la cioccolata con lei, aiutarla a decorare l’albero e allestire un piccolo presepe.
 
*
 
Quel pomeriggio Samir era andato da solo dalla signora. Dopo l’Immacolata avevano deciso di andare a trovarla almeno una volta ogni tanto, perché, fin dalla prima sera, era risultata molto simpatica ai tre ragazzi. Quel giorno però Cassy era impegnata straordinariamente a studiare per un’interrogazione del giorno dopo e Federico aveva il corso d’inglese. Sarebbero potuti andare un altro giorno, ma Samir aveva insistito: gli aveva fatto molta impressione vederla così sola, nonostante avesse dei figli ˗ erano lontani e chiamavano ogni tanto la sera e lei attendeva con ansia quelle telefonate.
Quel pomeriggio faceva più freddo del solito quindi si sistemò meglio la sciarpa, rallentando la camminata. Da una parte avrebbe voluto tornare al più presto a casa per scaldarsi, dall’altra sicuramente sarebbe stato accolto dalla sorellina che imitava la madre nei suoi modi imperiosi o la madre stessa che ancora ce l’aveva con lui ˗ sbolliva abbastanza lentamente. Di conseguenza, sarebbe stato meglio rimanere ancora un po’ in giro.
Tra l’altro, quella sera si era spinto in una zona che conosceva poco: era vicino al centro storico, ma non aveva mai avuto motivo di andarci.
Un rumore improvviso attirò la sua attenzione e per un attimo i suoi occhi incrociarono quelli di una ragazza, che si trovava in una specie di sottoscala e di cui si vedeva soltanto il volto. I suoi lineamenti erano ancora infantili e il suo sguardo profondo e triste. Molto triste. Fu solo un attimo, però, poi lei sparì. Probabilmente spaventata dalla sua vista.
Samir s’immobilizzò e fissò quel punto finché non passarono un paio di macchine e il rombo del motore lo riscosse. In quella via dovevano vivere moltissime famiglie, perché mai quella ragazza l’aveva colpito tanto? Scosse la testa sorpreso da se stesso e si avviò verso casa.
 
La mattina dopo il ragazzo si concentrò faticosamente sulle chiacchiere degli amici fuori dalla scuola: chissà perché non riusciva proprio a dimenticare quel volto.
«Mancano sì e no due settimane a Natale, dovrebbero lasciarci in pace» borbottò seccata Vittoria Fullino.
«Prova a dirlo alla Diaconi quando ti chiamerà in matematica» replicò Cassy, impegnata nella lettura di un saggio sulla nascita dei sindacati.
«Potrebbe chiamare te» ribatté Vittoria.
«Ma a me non interessa».
«Vittoria, se discuti con Cassy, non finirai di copiare gli esercizi prima che suoni la campanella» commentò Federico.
«Ma sei sicuro che sia giusto? A me sembra arabo!».
«Non lo so» rispose Federico. «Samir, potresti mostrarci i tuoi? L’ultimo a me non è proprio uscito».
Samir, però, non stava proprio ascoltando: aveva appena notato lo stesso viso della sera prima, solo che questa volta non era circondato dal buio di quello che doveva essere uno scantinato, ma da un burka scuro. Ancora una volta i loro occhi si incrociarono; persino la ragazza sembrò sorpresa e si fermò ad osservarlo.
«Terra chiama Samir!» strillò Cassy urtandolo con la sacca di educazione fisica.
Il ragazzo la ignorò e chiese: «Chi è quella?». Sperò che gli amici l’avessero vista prima che scomparisse nella folla di studenti. «Quella con il burka».
«Non è che io conosca molte persone» rispose Federico stringendosi nelle spalle e probabilmente molto più preoccupato per la goniometria.
«No, mai vista» disse, invece, Vittoria seguendo il suo sguardo. «Perché?».
Samir si strinse nelle spalle, si sentiva stupido a raccontare della sera precedente.
«È di prima» rispose a sorpresa Cassy. Tutti la fissarono. «Sta in classe con mia sorella. Lo so per questo. È una strana: non parla mai, si assenta molto, non ha libri… Immaginate quanto la ami la Merisi…».
«Non nominarla di prima mattina» sbottò Vittoria, guardandosi intorno come se la temuta professoressa di disegno e storia dell’arte potesse apparire all’improvviso.
«Come si chiama?».
«E che ne so? Chiedilo a Cassiopea» replicò Cassy, tornando alla sua lettura.
Samir non replicò, ma quel volto continuò a tormentarlo per tutta la mattina, tanto che fece a malapena caso alle consuete provocazioni di Isaac e del suo gruppo.
«Samir, vorrei parlarti un attimo».
Il ragazzo guardò perplesso la professoressa Diaconi, ma la seguì nel corridoio.
«Credevo volessi fare l’ingegnere dopo la scuola».
Era una donna che andava dritta al punto, ma Samir non comprese ugualmente.
«Sì, mi piacerebbe».
«Lo sai che chimica è importante? Non bastano matematica e fisica».
Chimica. La conversazione non solo stava prendendo una piega inaspettata, ma probabilmente non sarebbe stata nemmeno piacevole.
Samir scrollò le spalle: non si era mai posto il problema.
«Non lo sai? Allora, te lo dico io» disse la Diaconi fermandosi vicino all’aula della prima B. «Non è possibile che tu abbia nove in matematica e due in chimica. Significa che non apri nemmeno il libro».
«No, ma…» tentò Samir.
«Niente, ma. Sei abbastanza intelligente da aprire il libro e studiare, indipendentemente dal rapporto che hai con la professoressa. Bisogna studiare per se stessi e non per gli altri».
Il ragazzo annuì sommessamente: la Diaconi sapeva perfettamente quanto la collega fosse odiata dalla maggior parte degli studenti e quanto poco insegnasse agli allievi; eppure gli stava chiaramente dicendo che quella non era una giustificazione.
«Sono qui, smettetela di fare chiasso e prendete posto» disse la professoressa rivolta ai ragazzini di prima. «Chiaro, Samir? Mi aspetto che da qui alla fine del quadrimestre la situazione cambi».
«Va bene» assentì Samir per nulla convinto: quella di chimica non lo poteva vedere. Gli metteva due sulla fiducia, ecco perché non aveva sprecato più di tanto il suo tempo con quella materia. Naturalmente, adesso ci avrebbe provato: stimava molto la Diaconi e ci teneva al suo giudizio. I suoi occhi caddero sulla ragazza seduta all’ultimo banco. «Come si chiama?» chiese alla professoressa.
La Diaconi, colta alla sprovvista dalla sua domanda, seguì il suo sguardo e sul suo viso si dipinse una smorfia. «Ami» rispose. «Perché?».
Per l’ennesima volta, a quella domanda, Samir si strinse nelle spalle. Non lo sapeva. Si era fissato con lei. «Ha lo sguardo triste» le parole gli scapparono dalla bocca prima che potesse controllarle. Era quello?
L’insegnante si accigliò. «Sì, effettivamente sì».
«Lei sa perché?».
«No, magari avrò la possibilità di conoscere i genitori al colloquio. Ora torna in classe».
Samir annuì.
All’uscita fermò Cassiopea e alcuni suoi compagni.
«Ciao» disse con un sorriso.
«Mia sorella?».
Il ragazzo roteò gli occhi: Cassy e Cassiopea erano assurde. Litigavano sempre tra loro o erano in competizione per qualcosa. A volte persino i loro genitori erano esasperati.
«Volevo chiedervi che cosa sapete di Ami, la vostra compagna» disse ignorando la domanda della ragazzina.
«Niente» rispose Cassiopea con fermezza.
«E, dai, tua sorella è con gli altri. Ci aspetta al solito posto. Ora rispondimi» borbottò.
«Non me ne frega nulla di Cassy» replicò la ragazzina. «Non sappiamo nulla di Ami. Non parla mai. Viene a scuola solo perché è obbligata, vero ragazzi?».
«Già, chissà poi perché ha scelto lo scientifico. Se fosse andata al professionale nessuno le avrebbe rotto le scatole…» commentò una delle ragazzine che accompagnava Cassiopea.
Quest’ultima non sembrò felice della considerazione, ma non ribatté. «Non sappiamo nulla, Samir… Ma quelli sono i tuoi compagni?».
Il ragazzo si voltò in tempo per vedere Isaac bagnare con una bottiglietta d’acqua un ragazzino all’incirca di quattordici anni.
«Purtroppo sì».
«Contisi è uno scemo, se le va a cercare».
Cassiopea, tendenzialmente più riflessiva della sorella maggiore ma tutto sommato non così diversa da come si ostinava a dimostrare, lanciò un’occhiataccia alla compagna e si avviò a passi svelti verso Isaac Alani e Paolo Gotto, che si intrattenevano nella loro attività preferita: dare fastidio agli altri.
Samir le andò dietro: Isaac e Paolo erano suoi compagni e si sentiva in parte responsabile del loro comportamento; ma soprattutto Cassiopea era una specie di sorellina.
«La vogliamo smettere» sibilò Cassiopea rivolta ai due ragazzi, molto più alti e grandi di lei. Assomigliava terribilmente a Cassy in quei momenti.
«Oooh, abbiamo una piccola principessa che vuole difenderti… mi dispiace, principessa, ma a lui non potrai mai piacere» trillò Isaac divertito.
Samir osservò il ragazzino che veniva trattenuto da Paolo: era paonazzo in volto e sembrava pronto a scoppiare in lacrime. La sua colpa? Indossava una maglia fucsia. Davvero, Cassy e Federico avevano ragione a dire che i loro compagni avevano un solo neurone, quanto bastava per compiere le operazioni elementari.
«Smettetela, è più piccolo di voi» sbuffò.
«Stanne fuori tu» sbottò Isaac fissandolo con cattiveria.
Samir strinse i denti e fece un passo avanti: non era abituato ad abbassare la testa davanti ai prepotenti. «Mollalo».
Isaac lo spintonò e Samir lo strattonò per un braccio. Paolo e gli altri rimasero immobili, in attesa di capire che cosa fare.
«Che state facendo?» intervenne una voce severa fuori dal loro campo visivo. Si fermarono all’istante riconoscendola. Samir si sentì gelare, mentre con gli occhi individuava il preside, che si stava avvicinando a grandi passi. In sua compagnia c’era don Lorenzo.
«Non stavamo facendo nulla» si affrettò a mentire Isaac, lanciando un’occhiata di avvertimento agli astanti.
«A me non pare proprio, Alani!» sbottò l’uomo, che probabilmente aveva visto più di quanto i ragazzi avrebbero voluto. «Sapete benissimo che non tollero questi comportamenti!».
Samir si fissò le scarpe da tennis: era perduto! Se fosse stato sospeso, sua madre l’avrebbe ucciso.
«Ma in realtà si può sempre fraintendere, no?» intervenne inaspettatamente don Lorenzo. «Abbiamo visto da lontano, ma magari i ragazzi stavano solo scherzando».
Samir sollevò gli occhi in tempo per vedere l’espressione incredula del preside, ma anche quella furiosa dei ragazzini di prima.
«Don Lorenzo» disse il preside in tono di avvertimento, «conosciamo entrambi questi ragazzi e io non credo di aver frainteso».
«È Natale, mi conceda di occuparmene io».
Sembrò interminabile il tempo che il preside si prese per riflettere sulla proposta, alla fine sospirò: «E sia. Quanto a voi state attenti. Alani, non tirare troppo la corda».
Don Lorenzo attese che il preside si congedasse prima di rivolgersi ai ragazzi. «Allora?».
I ragazzini di prima fecero a gara per raccontargli quello che era accaduto, il prete li ascoltò pazientemente come era sua abitudine, alla fine li mandò a casa. «Devo andare anch’io» borbottò Isaac.
«Non così in fretta» disse don Lorenzo. «Io vi ho salvato, voi mi dovete un favore».
Samir avrebbe fatto qualunque cosa purché sua madre non venisse a sapere nulla.
«E la carità cristiana?».
«Se vuoi, posso sempre chiamare il preside e lo chiedi a lui».
Isaac sbuffò scuotendo la testa.
«Bene. Ascoltatemi. Sono sicuro che sarete bravissimi».
 
   
 
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