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Autore: Mercurionos    02/05/2022    0 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Capitolo 28 – Il Silenzio degli Dei, Parte 1 – Anno 2, 1 Fruttidoro
 
“Come ti senti, Gladyolo?”
“Mi sento bene, signore.”
“Sicuro? Ti vedo un po’… pallido.”
“La ringrazio, signor Freezer, ma mi sento bene.”
 
Il sole che mai tardava di sorgere, in estate, si nascondeva timido, ancora sopito dietro all’orizzonte. Un flebile fuoco d’alba illuminava lo studio di Freezer, dissipandosi attraverso la grande cupola di vetro. Due, forse tre nuvole nel cielo.
 
“E come sta il nostro comune amico, il principe Vegeta?”
“Sta bene, da quel che so.”
“Da quel che sai? Te ne sei assicurato, recentemente?”
“Sì, signor Freezer.”
 
“Radish!”
Il ragazzone non rispose, se non con un debole grugnito.
“Radish!” insistette la voce di ragazza. Ma Radish si girò dall’altro lato, coprendosi con i propri capelli. Il letto era troppo comodo, e lui troppo stanco.
“Vegeta non c’è!”
 
Radish schizzò in piedi, andando dritto dritto contro la rete del letto di Pump, una decina di centimetri sopra la sua testa. Fu un gran dolore, ma anche un ottimo metodo per svegliarsi e dimenticare la morbidezza del cuscino. Ciò che fece sbarrare gli occhi del saiyan non fu però il pulsante spasmo nella testa, ma un orribile presagio: “Dove cavolo è finito? Oggi ci sono le missioni!”
“Lo so!”
 
Radish si sfilò le coperte di dosso, saltò giù dal letto e in fretta e furia indossò l’armatura, prese con sé la sacca già pronta per partire verso chissà quale destinazione nello spazio profondo e seguì veloce Pump fuori dal dormitorio. Nel corridoio non c’era quasi nessun altro.
“Dobbiamo chiedere a Gladyolo.” Propose lei.
“Sei impazzita? Se viene a sapere che Vegeta si è messo a saltare le missioni è la volta buona che lo ammazza!”
“Meglio che venga a saperlo da noi, invece di scoprirlo più tardi. Gli diciamo che è rimasto fuori ad allenarsi o qualcosa del genere.”
 
Scattarono per qualche metro e furono di fronte alla stanza della squadra 1 della loro classe, quella dei principi di Pyaneta e di Bueno. Bussarono, e la porta si aprì.
“Pump, Radish! Buongiorno!” Li salutò la piccola Dylia, tutta un sorriso, ma loro non avevano tempo per i convenevoli: “C’è tuo fratello? Dobbiamo parlargli.”
La bambina scosse la testa: “No, è già uscito. Ci vediamo tutti allo spazioporto dopo colazione?”
I due saiyan non risposero, si scambiarono un’occhiata impaurita, e tornarono sui loro passi. La porta della stanza si chiuse in faccia alla non poco confusa Dylia.
 
“Andiamo da Mirk.”
“Ci stavo pensando anch’io.”
Qualche passo ancora e furono davanti a un’altra porta, identica a tutte le altre. Bussarono, e quella scivolò nella parete.
“Oh, buongiorno Radish. – Era Namole, già vestito, ordinato e con lo scouter bianco sull’occhio, un soldato modello – State cercando Mirk?”
“Non dirmi che è uscita.”
Namole rispose loro con uno sguardo perplesso.
La testa di Tagoma sbucò dal ripostiglio sulla destra, anche lui pronto per partire: “A dire la verità sì, circa mezz’ora fa. Ha detto che doveva parlare con Vegeta di qualcosa, prima dell’inizio delle missioni, e se n’è andata.”
Si portarono tutti le mani nei capelli, sbigottiti. Non Tagoma, visto che lui i capelli non li aveva.
 
“Ti ho dato dieci giorni per far comprendere a Vegeta quali siano i privilegi che gli ho concesso, come di sicuro ricordi bene.”
“Certo, signor Freezer.”
“E immagino che Vegeta abbia compreso, voglio ben sperare.”
“Sì, ha compreso.” Un dolore lo pizzicò all’orecchio.
“Conoscendoti – continuò l’imperatore – ci avrai messo ben poco per portare a termine ciò che ti avevo detto di fare.”
“Sì, signore.”
“E quanto hai impiegato? Due giorni? Tre?”
 
“Sei ore, mio signore.”
“Ah! Lo sapevo! Sei ore! Zarbon mi deve un’altra bottiglia di vino.”
“Come, mio signore?” Gladyolo alzò lo sguardo, e incontrò gli occhi distratti dell’imperatore.
“Non è nulla, ignoralo. Puoi andare, Gladyolo.”
“Come desidera, signor Freezer.”
Si alzò, capo chino, gli occhi fissi in terra, e abbandonò silenziosamente l’ufficio del preside.
 
“Oggi non ci sono le pagnotte? Ma ci sono le missioni!”
“Mi dispiace, ragazzo. Ritardi con le consegne. Stavolta avete soltanto le barrette. E sono al cacao, quindi fattene una ragione.”
L’omone che lavorava dietro il bancone della mensa era ben poco interessato alle lamentele di Radish. I due saiyan afferrarono allora la manciata di mattoncini gusto cioccolato (il sapore era più vicino a quello di una trave di legno massello che a quello di un gianduiotto) e schizzarono fuori dal refettorio.
 
“Non c’è tempo di fare le scale, usciamo di qua!” gridò Pump all’altro.
Si fiondarono verso destra, verso il corridoio dei club pomeridiani, lo attraversarono con un salto e furono nell’aula di cucina. Ci fu un gran rumore di rovesciamento di pentole, padelle e pollame, ma finalmente arrivarono alla finestra, la aprirono in fretta e saltarono. Un’esplosione nel fresco vento mattutino, che fece vibrare i pannelli di vetro dietro di loro, e furono già lontani dall’accademia, circondati dal proprio ki.
 
Seguirono con gli occhi la strada che portava dal N.I.S.B.A. alla periferia della Capitale, e che conduceva senza neanche una svolta al centro cittadino, a quella via maestra che tante volte avevano attraversato il sabato. Il lungo viale, che fino all’inverno era rimasto una larga strada sterrata, era stato asfaltato con cura durante la primavera, e decorato con un filare di drittissimi lampioni. Di notte, visto dalla Capitale, il N.I.S.B.A. somigliava a una gigantesca corona tempestata di gemme bianchissime, e ora questa era accompagnata dal lungo tratto illuminato dalle lanterne che punteggiavano la strada al centro della pianura.
 
Lo spazioporto sorgeva a ovest della Capitale, poco distaccato dalla città. Una struttura di acciaio, splendente e monocromatica, divisa su più livelli, come spessi dischi impilati uno sull’altro. Visto dall’alto pareva pure più grande dell’Accademia, ma nessuno si era mai messo a controllare di preciso. Pump e Radish discesero pian piano appropinquandosi all’enorme complesso (per ovvi motivi non era permesso svolazzare al di sopra del porto): una sezione del terzo livello, contornata da rotondeggianti balconi sui quali potevano atterrare le sfere d’assalto, era riservata al personale e agli studenti del N.I.S.B.A., e così all’inizio del mese si riempiva a dismisura di soldati pronti a partire per le missioni che venivano loro assegnate.
 
Quando atterrarono, i due saiyan si trovarono in mezzo ad una capannella di studenti pronti a partire per lo spazio. C’era un gran baccano, un chiacchiericcio assordante, ma Radish, mentre cercava irrequieto la forma dei capelli di Vegeta tra la folla, notò qualcosa di strano. Si fermò, e afferrò Pump per un braccio. Anche lei allora si bloccò e sì, quel tumulto aveva un che di innaturale. Poi compresero il proprio sbigottimento: la folla non si muoveva, e non per necessità, ma per scelta; tutti, attorno a loro, stavano guardando nella stessa direzione; tutti quegli studenti non erano semplicemente intenti a parlare tra di loro, ma erano intenti a parlare tra di loro dello stesso argomento, e stavano cercando di sbirciare oltre le spalle di quelli che stavano loro dinanzi.
 
Qualcuno bisbigliò a voce troppo alta alle spalle di Radish. Lui nel baccano non capì quelle parole, ma ben presto gli occhi di una ventina di soldati scivolarono verso i saiyan. Era difficile, dopotutto, nascondersi con quelle tanto singolari capigliature, con la coda e la palese prestanza fisica. Loro li ignorarono, e cominciarono a seguire gli sguardi della folla, e tra spintoni e spallate si fecero largo nel mare di gente, verso quello spettacolo che sembrava aver stregato i presenti. Poi soltanto li videro.
 
“Hola, Gladyo! Non sei ancora andato alo spasiopuerto?” Bueno era appena uscito dalla torre dei dormitori assieme a Dylia. C’era ancora tempo prima della partenza, e non erano di fretta; si erano pure presi qualche minuto per andare e tornare dalla mensa.
Gladyolo li raggiunse tranquillo: “No, mi sono ricordato di dover controllare una cosa. Voi siete pronti? Avete già fatto colazione?”
Annuirono sorridendo. Dylia gli si avvicinò: “Hai visto Pump e Radish?”
 
Rispose alla sorella con uno sguardo perplesso: “No, come mai?”
“Prima sono passati da noi, ma se ne sono andati.”
“Ah sì? Sono già pronti a partire?” chiese il ragazzo, curioso. Di solito i saiyan si facevano attendere, la mattina delle missioni.
“Veramente volevano parlare con te.”
“E di cosa?”
“Non l’hanno detto.”
Bueno riassunse l’accaduto: “Parevano tenere molta fretta. Quando les dicemmo que non eri allì, sono escappati via a toda birra.”
“Ci sono rimasta un po’ male.” Aggiunse Dylia, imbronciata.
 
Gladyolo interruppe la tranquilla camminata. Il tic-tac dei suoi pensieri divenne quasi udibile. Cominciarono le addizioni.
“Erano solo Pump e Radish?” chiese a Bueno.
Annuì: “Sì. Como mai?”
Uno più uno.
“Non c’era Vegeta, con loro?” portò una mano alla nuca, e cominciò a grattarsi furiosamente. Più uno ancora.
Gli altri due non risposero: si guardarono un attimo, poi scossero entrambi il capo.
 
Gladyolo tremolò per un istante. Mente svuotata, respiro mozzato, occhi irrequieti, la calma completamente svanita dal suo viso. Tutti quei pensieri confusi si sommarono l’un l’altro, fino a una deduzione a cui lui non sarebbe voluto arrivare, una tanto molesta da ottenebrare per un istante il giudizio del principe.
 
Tirò le sue somme.
Smise di raschiarsi il collo, poi all’improvviso piegò le ginocchia, e si lanciò verso l’alto, attraverso le poche nubi di quel giorno. Si sentì l’aria spezzarsi al suo passaggio. Una fiammata di ki dorato avvolse il ragazzo, tutt’a un tratto, ed egli si precipitò verso la Capitale, con un fischio che lo accompagnava mentre sfrecciava attraverso i cieli.
 
Volava che era tutto un tremito. Non riusciva a tener ferme le mani, le dita continuavano a stringersi e contorcersi confuse, distratte da un presentimento che era già divenuto certezza e rabbia. Forse non aveva mai volato attraverso i cieli con tanta furia: gli faceva male il viso, ma tenne gli occhi spalancati, puntati verso un bersaglio che ancora non vedeva. La sagoma di un groviglio spuntò sulla sua tempia, e il pungente fastidio della ferita non troppo vecchia sull’orecchio riprese a farsi sentire.
 
Una sfera d’assalto lo mancò per poco. Giù, a folle velocità, quella atterrò sui cuscinetti dello spazioporto. Tanta fretta e rabbia lo avevano distratto, e fu giunto alla sua destinazione. Vide una gran folla sotto i suoi piedi, radunata al terzo livello.
“Non ci credo.” Sospirò. Finalmente riprese coscienza di sé, e piano discese verso l’enorme struttura, nero in volto e pronto al peggio.
 
Note dell’Autore:
Questo capitolo è molto più lungo del normale, ma se lo merita. Tutto va a catafascio. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi ringrazio per averlo letto. Settimana prossima entriamo nel finale del secondo libro. Non perdetevelo assolutamente!
   
 
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