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Autore: FreDrachen    03/05/2022    1 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Capitolo 23


Di ritorno dalle vacanze di Natale, non il primo giorno effettivo dato che c'era stato il problema di una tubatura rotta che era stata aggiustata in modo tempestivo ma che ci aveva fatto guadagnare un giorno in piú di vacanza, intravidi Akira appoggiato al muretto appena fuori da scuola, gli auricolari alle orecchie e la testa che ciondolava leggermente a ritmo di musica. Non appena alzò lo sguardo dallo schermo, su cui era intento a scorrere la playlist per scegliere la nuova canzone, e mi vide andargli incontro, arrancando con la sedia a rotelle e cercando di scansare gli altri ragazzi, alzò la mano in cenno di saluto e con un sorriso come se non fosse successo nulla durante quei giorni.

Il giorno dopo il nostro pomeriggio studio, l'ultimo prima dell'inizio delle vacanze di Natale, mi ero insospettito subito della mancanza di Akira. Avevo tirato fuori il cellulare per mandargli un messaggio, giusto per sapere se era tutto a posto. Mi sembrava paradossale che uno come lui saltasse scuola. Era successo per l'anniversario della morte della madre e per il suo gesto inconsulto, ma appunto un'occasione.

A fine mattina non avevo trovato alcuna risposta. Gliene avevo scritto un altro ma anche stavolta era caduto a vuoto.
Che centrasse il discorso che avevamo fatto ll giorno prima? Aveso scosso la testa. No, uno come Akira non poteva fare simili pensieri, al contrario del sottoscritto che stava per incamminarsi lungo una lastricata di pensieri pericolosi.

Akira mi aveva infine scritto il giorno di  Natale, per farmi gli auguri e spiegarmi che era stato poco bene e che non aveva avuto la forza di controllare il telefono fino a quel momento.

Sollevato del fatto che avessi finalmente appurato che fosse vivo, che che avrei avuto un attimo di respiro dai miei parenti a tratti asfissianti, gli risposi ma anche lì mi ero ritrovato con la risposta caduta nel nulla più assoluto.

Fu il primo giorno di gennaio che finalmente potei fare una discussione decente, anche se via messaggio, con lui.

Ero seduto sul divano, a fianco a mia madre mentre mio padre occupava il lato opposto. Come da suo volere ogni primo dell'anno tutti e tre dovevamo seguire il famosissimo concerto di capodanno di Vienna che mandavano in diretta in tv. Una volta poteva anche essere piacevole ma a lungo andare cominciava a essere traumatizzante.
Nella noia piú totale davo occhiate allo schermo del telefono e fu cosí, distrattamente e con le note di Strauß (padre, figlio zio prinipote non ne avevo la più pallida idea) che avevo visto il messaggio di Akira.

Akira:
Ciao! Buon anno ;)

Alzai gli occhi al cielo prima di digitare la risposta.

Te:
Mah! Buono mica tanto

Akira:
Che c'è? Scontroso il primo dell'anno
scontroso tutto l'anno?
Non so se riuscirei a sopportarti :p

Te:
Vorrei vedere te a guardare
ogni sacrosanto primo gennaio
il concerto di capodanno D:

Akira:
Dai, non può essere così male

Te:
Seh! Comunque te che stai facendo? Non ti sei più fatto sentire!

Akira:
Sono stato...male

Te:
Di nuovo? O.o
Ma cos'hai? Il mal di fine mese?

Aspettai un po' la sua risposta tanto da farmi temere di aver offeso in qualche modo la sua salute. Insomma, non era colpa sua dei suoi malanni.

Akira:
Forse ^^"

E dopo poco aggiunse:

Akira:
Mi spiace averti fatto preoccupare

Te:
Ma di che? Ci tengo che i
miei amici stiano bene.
Ma non mi hai risposto,
cosa stai facendo?

Akira:
Sto guardando un anime

Te:
Anime? E chi è morto? O.o

Sbaglio o le anime erano un sostantivo femminile? La grammatica per me non era mai stata un'opinione.

Akira:
Korosensei £.£ non mi riprenderò mai!

Eh? Solo io non ci stavo capendo nulla?

Te:
Korosensei?

Akira:
Si, un personaggio
che adoravo della serie
Assassination classroom

Te:
Ti offendi se ti dico
che non ho capito un accidenti?

Akira:
Dovrò farti passare
al lato oscuro dei manga
e anime il prima possibile

Te:
Mi devo preoccupare? O.o

Akira:
Forse...😎

Te:
Non mi stai affatto rincuorando

Akira:
Forse non era mia intenzione...😂

Sentirlo così rilassato mi diede ancora più slancio ad alimentare quella conversazione.

Te:
Mi preparerò a diventare un nerd a patto che non si sappia in giro

Akira:
Tranquillo. Farò in modo che agli occhi del mondo rimanga lo stesso figo di sempre

Non appena lessi quel messaggio il mio cuore perse un battito. L'aveva scritto davvero?

Te:
Aki cosa...
Aki?
Aki?
Aki?

E di nuovo silezio di tomba dall'altra parte.

E ora eccoci uno di fronte all'altro come se quell'uscita via messaggio da parte sua non fosse mai successa.

Cosa intendeva? Era nel senso che come gli altri mi stimava come persona per via della mia fantastica personalità? Oppure era attratto da me fisicamente?

"Solo perché ti sei messo in testa strane idee non significa che le abbiano anche gli altri" mi smontò la mia coscienza rompipalle.

Senza dubbio doveva trattarsi della prima opzione, era colpa mia se m'illudevo che potesse esserci altro visto com'era andata l'ultima volta che ci eravamo visti di persona.

Ma di ritornare su quel discorso nulla da fare. Akira mi pareva tranquillo e rilassato e di certo non volevo rovinare il momento.

«Cosa ascolti di bello?» gli domandai non appena gli fui vicino, non troppo ma quanto bastava per sentire il suo profumo delicato. Dannato recettori olfattivi che andavano in visibilio!

«Konnichiwa* Luca-chan. Nulla di che, solo qualche opening che mi piace da impazzire. Vuoi sentire anche te?»

Non me lo feci ripetere due volte e infilai l'auricolare che mi porgeva nell'orecchio e subito una voce maschile acuta mi perforò il timpano.

«Carina cone canzone anche se non sto capendo nulla. Come si intitola?»

Anche se di un ottava anche più sopra le altre canzoni aveva un motivetto davvero orecchiabile.

«Unravel di Tokyo ghoul. È una serie che parla di creature che mangiano uomini e di un ragazzo, Ken Kaneki, che dopo un trapianto acqusisce caratteristiche da ghoul. É una delle mie serie preferite».

Davvero...Inquietante.

Dovetti averlo detto ad alta voce perchè sentì Akira ridacchiare. «In effetti fa parte della categoria seinen horror».

«Un sei...che?»

«È una delle classificazioni delle storie manga e anime in Giappone». E cominciò a prodigarsi di una spiegazione dettagliata di termini complicatissimi, mentre ci muovemmo verso l'entrata, dato che la campanella era appena suonata.

Alla fine nella mia mente rimbombarono parole come shojo, shonen, josei e altre che non mi aiutavano a stare concentrato sui miei pensieri.

Fu in preda a questa confusione mentale che cominciò la mia bellissima (anche no) giornata scolastica dove avevo di nuovo educazione fisica in comune con la classe di Akira. O meglio, lui avrebbe sudato mentre io sarei rimasto in disparte a osservare. Ormai stavo cominciando ad abituarmi a fare da tapezzeria.

"Se ti decidessi a usare le protesi non sarebbe così" mi apostrofò una vocina interiore che scaccai subito in malomodo.

Dentro di me si era creato un blocco, di cui non riuscivo a liberarmi. Forse il penserio di riuscire a tornare a camminare e a trovarmi privato di questo mio sogno oppure l'amara consapevolezza che i miei muscoli si erano così atrofizzati a tal punto da non riuscire a reggermi più in piedi. Facevo fisioterapia vero, ma, a parer mio, non era la stessa cosa.

Il prof fece fare i consueti giri di corsa ed esercizi di riscaldamanto. Ancora non aveva rivelato cosa aveva in serbo per quelle povere creature che a lungo andare sarebbero annegate nel loro sudore.

E finalmente arrivò il momento.

«Bene ragazzi, dividetevi in due squadre e decidete le vostre posizioni. Oggi si gioca a calcio».

D'istinto sentì prudere i monconi. Cazzo se avevo voglia di giocare.

Il prof notò la luce nei miei occhi perchè mi propose di fare uno dei due guardia linea della squadra della classe di Akira e individuare possibili fuorigioco.

Era sempre meglio che sedimentare in un angolo a non fare nulla.

Mi mossi per prendere posizione e constatai che Akira era stato messo in difesa esterna, poco distante da me.

Lui si voltò per in attimo verso di me e mi fece un sorriso di incoraggiamento accompagnato da un'alzata di pollici. In realtà dovevo essere io a sostenerlo.

Inutile dire che fu una partita imbarazzante. Ippolito non era bravo quanto il sottoscritto, ma a confronto degli altri sembrava un campione mondiale.

E in quanto ad Akira...capí subito che il calcio non era il suo sport. Commetteva errori talmente grossolani da farmi venire da piangere per l'esasperazione.

Ci metteva impegno poco ma sicuro ma, constatai, a volte rischiava anche di inciamparsi nei suoi stessi piedi.

Per uno che aveva trasformato il calcio nella sua religione e vocazione era la cosa peggiore a cui i poveri occhi potessero essere  sottoposti. Non mi accorsi neppure che avevo cominciato a dare istruzioni su come agire, ma mi sa tanto che usavo una terminologia talmente tecnica e come risultato mi trovavo di riflesso un'espressione di puro spaesamento da parte sua.

Fu un completo disastro. Trainati da Ippolito, che si pavoneggiava manco fosse Cristiano Ronaldo, la vittoria era stata schiacciante e Akira e i suoi compagni erano stati completamente debellati.

Akira, sdraiato a terra e con un braccio sopra gli occhi, stava cercando di riprendere fiato quando mi avvicinai.

«Te la prendi se ti dico che siete stati la cosa peggiore mai vista in tutto l'universo?» gli domandai e lui ridacchiò.

«Siamo stati così tremendi?»

Male era un eufemismo, ma non volevo infierire più del dovuto, dato l'impegno che gli avevo visto mettere in gioco.

«Peggio. I miei poveri occhi e cuore hanno sanguintato da quanto li avete feriti».

Akira distolse il braccio.

«Per cui contro la terza informatica saremo spacciati, giusto?»

Ogni anno le varie classi si fronteggiavano in sfide interne principalmente a pallavolo e a calcio, e alla fine si decretava la classe più forte.

Grazie a me la mia classe aveva vinto ogni anno il torneo di calcio, quest'anno invece non sarei potuto essere io il cavallo trainante.

La settimana successiva la classe di Akira era stata chiamata a fronteggiare la terza informatica che noi avevamo eliminato l'anno prima al primo scontro diretto.

«Ti darò qualche lezione. Non so se riuscirei a sopportare un'altro scempio simile».

Akira si ritrovò concorde e ci accordammo di recarci il giovedì, per via dei nostri vari impegni pomeridiani, il babysitteraggio di Akira con la sorellina e la fisioterapia per me, dopo la scuola, in un campetto isolato dove avrei avuto modo di trasformarmi in un allenatore senza pietà. Lui e la sua classe non potevano assolutamente perdere contro quei terzini, ne andava della loro dignità.

Passai il resto della mattinata cosí come i giorni successivi desideroso che quel momento giungesse al più presto


Passai il resto della mattinata cosí come i giorni successivi desideroso che quel momento giungesse al più presto.

Finalmente avevo trovato qualcosa per cui valeva la pena far qualcosa e per questo mi lasciai scivolare sulla pelle in modalità zen le lezioni e i vari professori, che continuavano con la loro personale crociata contro il sottoscritto. Dovevo essere davvrro importante se ero oggetto quasi perenne dei loro pensieri.

Durante le varie lezioni di inglese la prof cercò di farmi parlare con il risultato del mio sguardo perso nel vuoto, mentre il cervello rielaborava una tecnica da utilizzare per quel giorno. Mi avesse chiesto quello anziché come si potevano analizzare campioni di sangue umano le avrei pure risposto.

A igiene neanche a parlarne. La lezione era su diversi batteri Gram + e la loro attività pericolosa sull'uomo. I batteri non giovavano a calcio, per cui in quel momento erano inutili.

E fu così per tutte le altre materie che si susseguirono.

Infine giunse il momento tanto atteso. Al suono della campanella mi fiondai fuori dalla classe rischiando di asfaltare con la sedia a rotelle qualche mio compagno.
Non sarebbe stata questa gran perdita, si mettevano tra me e la tanto agognata l'uscita.

Trovai Akira in compagnia del trio di nerd ad aspettarmi a fianco alla sua auto. Non appena mi vide si aprì in un ampio sorriso.

«Luca-chan» mi salutò con tutta la sua gentilezza, smorzata dalla breve risatina di Capelli Tinti.

Lo ignorai bellamente per concentrarmi su Akira.

«Vengono anche loro?» domandai quasi deluso. Credevo che fossimo solo noi due, non che avessimo il seguito di disagiati.

I tre elettronici mi rivelarono della loro scarsità a calcio (allora era un problema dei nerd a questo punto) e che anche a loro serviva qualche dritta per la partita contro la quinta geometri.

Seh vabbè già che c'ero perché non allenavo l'intera classe? A pensarci potevo farmi pagare un bel po' di palanche...

«Luca, che c'è?»

"Niente, mi aveva solo posseduto il mio lato genovese" pensai senza però esprimerlo a voce alta. Ero già strano di mio, rivelare i miei pensieri mi avrebbe fatto varcare limiti che era meglio lasciar stare.

Salimmo tutti in auto, ebbi il privilegio di sedermi nel posto accanto ad Akira (ben vi sta!), e subito i tre nerd intavolarono una discussione su un'opera che pareva si intitolasse Kiseiju o una parola simile.

«È una delle serie più belle mai disegnate» cercò di convincerci Roberto, gli occhi che brillavano.

«Io la trovo invece inqietante e spaventosa» ribattè Anonimo un po' intimorito.

«Solo perché non ti piacciono le serie di questo tipo».

Notai con la coda dell'occhio che Akira stava seguendo quello scambio di battute scuotendo un poco la testa e ridacchiando.

«Non tutti siamo amanti dello splatter e delle inquietudini come te. Fosse per te faresti il killer professionista».

«Scusate ma di cosa parla questa serie?» m'intromisi. Mi stavo un po' annoiando a sentir parlare di cose che non conoscevo.

«Parla di una specie aliena che si sostituisce al tuo cervello ed essendo creature antropologhe si nutrono di esseri umani. Il loro scopo é comunque conquistare la terra».

Ah...

Perché l'avevo chiesto?

«Interessante» riuscì a commentare a stento.

«Non ti dà fastidio come a Giac?» mi domandò Roberto.

Un po' si.

«Non più di tanto» risposi invece, notando riflesso nello specchietto uno sguardo d'intesa. «E si tratta di un...seinen

Tutti, ad eccezione di Akira, mi fissarono sgomenti come se avessi detto chissà cosa. Per una volta che avevo unato un termine nella loro lingua da nerd.

«E come ca...» cominciò a dire Capelli Tinti, il primo ad essersi ripreso, ma venne bloccato da Akira.

«Ho insegnato a Luca-chan i generi principali delle opere giapponesi» s'intromise Akira orgoglioso, il che mi fece non poco felice.

Vidi riflesso nello specchietto Capelli Tinti alzare gli occhi al cielo.

«Adesso non si deve montare la testa. Non è che adesso é diventato un professionista nel sapere quattro generi».

Se gli avessi chiesto le formazioni di ogni anno della mia squadra del cuore ero certo che sarebbe rimasto a fissarmi con una faccia da pesce lesso e completamente ignaro. Si, avevo imparato ogni nome di ogni singolo calciatore che aveva vestito la maglia della squadra più mitica dell'universo e i risultati di ogni partita giocata, andata e ritorno, da quando era stata fondata. Quando volevo avevo una mente solidamente infinita, ma questo onore
era solo per ciò che riguardava il calcio.

Mi trattenni dal rinfacciarglielo, solo perché sapevo che ad Akira faceva più piacere che andassimo d'accordo e mi limitai a fissare la strada di fronte a me, tamburellando sul bracciolo della portiera.

«Per me è un bel traguardo. Nessuno nasce imparato e Luca-chan ha appena intrapreso il lungo cammino verso il lato oscuro dei manga» intervenne in mia difesa Akira girandosi verso di me, regalandomi uno dei suoi sorrisi più belli.

«Da quando è arrivato lui non fai altro che difenderlo ».

«Lo stai attaccando ingiustamente».

«Ho solo detto la mia. Ora non è più permesso?»

«Non devi andargli addosso per ogni cosa. Ho notato questa incompatibilità di carattere tra voi due ma almeno Luca cerca di trattenersi». Mi voltai verso di lui e lo trovai visibilmente contrariato.

«Ti stai facendo abbindolare».

Akira strinse le mani sul volante. Percepivo la sua rabbia e quasi invidiai la sua capacità di autocontrollo.

«Non ha senso. Luca é ormai parte del nostro gruppo Simo».

A quelle parole ebbi un tuffo al cuore. Non meritavo una presa di posizione simile anche perché il mio tempo di conoscenza di Akira non era paragonabile al loro che durava già da anni. Ma sentirlo così vicino mi fece arrossire a tal punto da dovermi voltare dall'altra parte cone un ladro sperando che nessuno vedesse il mio volto riflesso.

«Pensala come ti pare» borbottò infine Capelli Tinti incrociando le braccia al petto.

Nell'auto calò un gelo, paragonabile a quello di una calotta polare, interrotto, per fortuna, da Roberto che riprese a parlare di quella serie.

Li ascoltai in parte, ormai non tanto desideroso. A differenza di Akira non mi avrebbero mai accettato come membro del loro cerchio ristretto.

Capelli Tinti era l'unico che si era esposto ma ero quasi certo che anche gli altri due fossero abbanstanza insofferenti alla mia presenza.

Se non fosse stato per Akira sarei stato del tutto da solo.

Dopo meno di una ventina di minuti arrivammo a destinazione, non con poche difficoltà, visto che il campetto in questione si trovava in fondo a una scalinata ripida


Dopo meno di una ventina di minuti arrivammo a destinazione, non con poche difficoltà, visto che il campetto in questione si trovava in fondo a una scalinata ripida.

Akira mi prese di peso e mi portò non senza difficoltà fino in fondo, con qualche lamentela iniziale da parte mia dato che alle spalle aveva quello che ormai riconoscevo come lo zaino delle mie protesi. Avevo proposto io quel luogo ma mi ero del tutto dimenticato di quel piccolo dettaglio, insignificante per chi poteva camminare ma non per la mia attuale situazione.

Roberto invece si era proposto a portare la sedia a rotelle che con le mie istruzioni riuscì ad aprire e su cui Akira mi depose delicatamente, i capelli corvini che mi solleticarono il volto. Quel giorno parevano tante morbide piume, e il loro lieve sfioramento mi causò un tuffo al cuore.

Tornai a respirare normalmente solo quando lui e gli altri si allontanarono per andare a posare le giacche in un angolo del campetto, null'altro che un riquadrato dalle dimensioni imbarazzanti ma che almeno era provvisto di due porte.

Akira mi si avvicinò reggendo in mano la borsa che conteneva le protesi. Doveva averle infilate nel bagagliaio della sua auto quella mattina prima di venire a scuola.

Non potevo rifiutarmi di indossarle dato che faceva parte del nostro tacito accordo.

Mi feci aiutare a metterle e ancora provai un senso di estraneità che però diversamente dalla prima volta mi rincuorava e al tempo stesso mi terrorizzava.

Seguì Akira per raggiungere gli altri che, constatai con soddisfazione, avevano indossato tutti indumenti comodi come avevo indicato e con professionalità, senza perdermi in inutili preamboli, cominciai a darmi alle spiegazioni, partendo proprio dalle basi.

Dovevo avere le sembianze di un esaltato, ma non potevo farci nulla. Il calcio per me era tutto, e poter condividere finlamente un qualcosa in cui ero bravo mi entusiasmava non poco.

Su mia richiesta Roberto andò a recuparare dalla sacca che si era portato un pallone da calcio conprato per l'occorrenza.

«È quello che sembrava vagamente più simile a un pallone da calcio» si scusò. In effetti era di quelli in plastica che pensano di poter simulare uno di quelli effettivi, ma per i nostri scopi ce lo saremmo fatto andare bene, con mia enorme angoscia. E poi importava il gesto.

Gli rivolsi un cenno della testa e un sorriso di rassicurazione prima di farglielo poggiare a terra e fornire a uno per volta l'esercizio da compiere, dai semplici passaggi al controllo. Non gli risparmiai nulla, quando sbagliavano si beccavano la mia lavata di capo. Ero intransigente, ma non era per questo che mi avevano chiesto aiuto?

Far imparare quello che per me erano stati anni di esperienza in una manciata di ore era un'impresa impossibile, mi premeva che capissero ed entrassero meglio in questo sport per poter fare almeno una figura dignitosa.

Non mi aspettavo grandi miglioramenti ma con sorpesa mi ritrovai a osservare più coordinazione da parte di Roberto e Anonimo, mentre con Akira la situazione sembrava più disastrosa di quello che pensassi. Ma mentre loro tre sembravano metterci inpegno non lo si poteva dire di Capelli Tinti.

Aveva del talento (non gliel'avrei detto neanche sotto tortura) ma sembrava svogliato e a tratti seccato. Chi gli aveva detto di venire se poi manifestava tutto questo scarso entusiasmo?

Fu quando arrivarono circa le cinque, l'allenamento stava perdutando da circa due ore, che Capelli Tinti con uno sbuffo si allontanò dalla sua postazione di allenamento per avviarsi verso i suoi averi.

«Dove stai andando Simo?» domandò Roberto perplesso.

«Sentire, al contrario di quanto sembra a voi, ho degli allenamenti con la mia squadra. Abbiamo in programma delle gare che sono indispensabili se vogliamo partecipare alle olimpiadi. Per cui sayonara, ci vediamo domani» esclamò Capelli Tinti dopo essersi preparato  e allontanadosi agitando una mano oltre le spalle. Non me l'aveva detto direttamente, manco fosse un segreto di stato, ma faceva parte di una squadra di pallavolo molto valida e, da che avevo capito, era talmente bravo da essere stato convocato nella nazionale più volte.

Comunque erano cazzi suoi, si perdeva un allenamento con un vero fuoriclasse (il sottoscritto ovviamente).

Feci per tornare alla mia spiegazione quando i cellulari di Roberto e Anonimo suonarono in simultanea, con una sorta di coretto.

I due un tono di scuse affermarono, dopo una breve chiamata, che dovevano tornare a casa. E alla fine mi ritrovai da solo con Akira che mi sorrise.

«Sembra che sia rimasto la tua unica cavia» scherzò.

Di tutta risposta alzai gli occhi al cielo.

«Affari loro. Ti trasformerò in un campione e voglio proprio vedere che facce faranno quando di renderanno conto di aver sciupato quest'occasione ».

«Pensi che sia stato voluto?»

Feci spallucce. «Sono malpensante di natura» mi limitai a rispondere prima di calarmi nuovamente nella mia versione allenatore.

Continuai a fornire ad Akira esercizi da replicare, e commenti costruttivi a ogni suo sbaglio per migliorare il suo approccio a questo sport. Ma più procedavamo più mi rendevo conto che l'incompatibilità non era recuperabile. Ma non avrei demorso!

«Ti sbilanci troppo verso destra mentre provi a tirare. Così facendo rischi di perdere l'equilibrio più facilmente» esclamai all'ennesimo orrore. Come poteva fare errori così grossolani?

«Cosí?» domandò lui incerto, facendo esattamente il contrario di quello che avevo spiegato.

Ma aveva ascoltato una parola di quello che avevo detto?

Oh al diavolo!

Gliel'avrei fatto vedere praticamente.

Mi alzai dalla sedia e mi avvicinai a lui, gusto tre passi dato che gli ero sempre stato accanto. Le gambe erano pesanti e affaticate come se ai piedi avessi legati dei blocchi di piombo, ma per me era oltraggioso vedere uno che calciava in quel modo così impacciato quello che era uno dei tiri più semplici da mettere in pratica.

Lui sfoderò un sorriso a trentadue denti. Che accidenti aveva da ridere? Era una catastrofe!

Mi feci passare il pallone e lo posizionai a terra.

«È così che devi rimanere e a calciare. Non di punta che ti massacri le dita, ma di lato. E cerca di bilanciare il peso del tuo corpo su entrambe le gambe per avere l'ultimo momento una condizione ins...tabile...»

Com'è che vedevo Akira alla stessa altezza?

E perchè lui, malgrado lo stessi rimproverando, in senso buono, mi stava osservando come se avesse assistito alla resurrezione di Lazzaro?

«Luca sei in piedi» mi disse tra le lacrime che, capì subito, erano di emozione.

M'irrigidi e lentamente abbassai lo sguardo.

Si ero in piedi, le gambe mi facevano in male allucinante dalla troppa inattività ma ero in piedi! Le protesi di Akira davano al mio corpo un tocco quasi da automa, estraneo. Eppure al tempo stesso sentivo come se fossero da sempre state parte di me.

Mi cedettero le gambe e Akira fu fulmineo a bloccare la mia collisione con il terreno, il suo braccio che mi premeva l'addome. Mi aiutò a risedermi sulla sedia a rotelle, il mio sguardo perso in un punto indefinito di fronte.

Vedevo sfocato e da questo intuì che stavo piangendo, ormai un qualcosa che facevo di frequente e che mai avevo fatto prima dell'incidente.

«Ero in piedi» mormorai credendo a stento a quello che avevo fatto.

«Si» confermò lui al che alzai lo sguardo.

«L'ho fatto sul serio?» domandai più per convincermi che per una risposta vera e propria.

«Perché così sopreso? Io non ho mai dubitato che potesse accadere prima o poi. La tua passione ha vinto sulla tua paura Luca. Sai questo cosa significa? Se ti allenerai potrai tornare a camminare sul serio!»

Akira pareva esaltato e provai una certa emozione a vederlo così. Ci teneva davvero così tanto?

Poggiai le mani sul corrimano e mi diedi lo slancio, stavolta volontariamente.

Diversamente da prima, che era staro un gesto del tutto involontario e istintivo, ebbi più difficoltà a reggermi in equilibrio ma riuscì nel mio intento. Arrancai verso di lui con passi incerti, tremanti come quelli di un bambino che impara a camminare, facendomi sembrare di essere tornato indietro nel tempo. Invece era una rinascita, il nuovo me stava cercando di uscire dal bozzolo di immobilità per poter tornare al mondo. Akira mi venne in aiuto avvicinadosi quando vide che le gambe erano arrivate al limite e che non mi avrebbero più retto. Avvolsi le mi braccia attorno al suo collo per abbracciarlo, per potergli trasmettere tutta la mia gratitudine, gesto che lui ricambiò con mani tremanti.

Osservarlo negli occhi era davvero stata tutt'altra cosa che farlo dalla mia solita posizione e il merito era tutto suo.

Quanto amavo quel ragazzo.

Aspetta...cos'avevo appena pensato?

Arrossì violentemente e mi staccai rischiando di cadere, ma al pelo lui mi afferrò per il braccio, osservandomi preoccupato.

«Non essere precipitoso Luca-chan. Facciamo un passo alla volta e cerchiamo di evitare contatti indesiderati con il terreno, che dici?» domandò smorzando il momento. «E poi...come mai sei tutto rosso in viso? Ti fa male da qualche parte?»

Negai con la testa, snocciando la scusa più plausibile che mi era affacciata nella mente, ossia l'essermi affaricafo troppo.

Al cuore, avrei voluto invece rispondergli.

Perché in quel momento, a poca distanza dal suo volto pallido, avevo provato il desiderio quasi irrefrenabile di baciarlo.

 

*trad dal giapponese: ciao

 

Angolino dell'autrice (viva se qualcuno se lo fosse chiesto):

Buonsalve :3 buon primo maggio a tutti :3

Eccomi (finalmente) con un nuovo capitolo :D

Scusatemi i tempi lunghi con i quali aggiorno ma il lavoro mi prosciuga 😭 cerco davvero di fare del mio meglio, e spero che il capitolo abbia soddisfatto la vostra attesa 🙏🏼
Abbiamo un Luca pronto a tornare alla carica ma molto confuso sui suoi sentimenti...un momento importante sta per arrivare (mancano proprio pochi capitoli)😍
Ringrazio chi segue questa storia (mi rendete estremamente felice 😭❤️)

Adiòs!
FreDrachen

 

   
 
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