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Autore: TheSlavicShadow    07/05/2022    0 recensioni
"Un uomo famoso una volta disse: "Noi creiamo i nostri demoni". Chi l'ha detto? Che cosa voglia dire? Non importa, io lo dico perché l'ha detto lui, perciò lui era famoso, e avendolo menzionato due uomini molto conosciuti, io non... ricominciamo..."
{Earth3490}
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Dicembre 2009

 

“Aspetta, riavvolgi il nastro e ripetilo più lentamente, ti prego.” James Rhodes l’aveva guardata come se le fossero spuntate altre due teste e almeno altri 10 occhi. Avevano appuntamento per pranzo in un locale mediamente affollato. Un posto per lo più per le famiglie. Era rumoroso. La gente parlava. I bambini schiamazzavano senza ritegno. “Ho sentito male, vero?”

Aveva bevuto un sorso dalla sua bottiglia di birra e si era guardata attorno. Lo sapeva che era una cattiva idea dirglielo. Ma era Rhodes. E con quell’uomo non aveva quasi segreti.

“E’ passato, abbiamo cenato ed è rimasto a dormire.” Aveva evitato di guardarlo. Sapeva che la stava giudicando, o si preparava all’ennesima ramanzina. Quel tira e molla aveva stancato anche lui. Soprattutto lui. “Stamattina è uscito prima che mi svegliassi, stranamente ho dormito diverse ore anch’io, e ha lasciato caffè e colazione pronti. Lo odio.”

Rhodes aveva sospirato passandosi una mano sul viso. Era rimasto in silenzio per qualche istante, per cercare probabilmente di raccogliere le idee ed evitare di riempirla di insulti.

“Non so più cosa fare con voi due, davvero. Dovreste farvi vedere da uno bravo e anche da un consulente di coppia perché non è normale sta cosa. Sono più di dieci anni che ormai fate così e io non vi sopporto più. Anche perché poi sono io quello che deve sopportare te, i tuoi piagnistei, le tue sbronze, e tutto quello che ne consegue.”

“Non è successo nulla, Rhodey. Abbiamo solo cenato e parlato un po’. E’ tornato single.” Aveva aggiunto con nonchalance evitando di guardarlo.

“Ecco appunto. Cosa ho appena detto? Che dovrò sopportarti quando fra sei mesi scoppierete di nuovo. Ma oh no no. Stavolta me ne lavo le mani. Ormai sei adulta, lo siete entrambi. Arrangiati.”

Lo aveva osservato e aveva sorriso. Era proprio da Rhodes reagire così quando gli parlava di Steve. Anche se poi era sempre stato il primo a fare il tifo per loro e schierarsi da una parte o dall’altra, in base a chi combinava il danno. 

“E’ preoccupato per la mia incolumità, lo sai? Per questo è venuto a vedere come stavo. Solo che I Dieci Anelli non mi fanno più paura. Non sono più impreparata e con chi dovrebbe proteggermi a pugnalarmi alle spalle. Ora ho tutte le armi per combatterli e difendermi.”

“Sempre a fare il guerriero solitario. Ti viene male come ruolo, dovresti saperlo.”

“Perché nessuno di voi mi da la possibilità di esserlo davvero.” Aveva bevuto un altro sorso di birra e poi aveva appoggiato i gomiti sul tavolo sporgendosi verso Rhodes. “Non avete informazioni rilevanti nemmeno voi? Perché lo S.H.I.E.L.D. non sa dove sbattere la testa.”

“Uguale a noi. Non riusciamo a capire cosa vogliono davvero. Ci sono stati un paio di attentati rivendicati dal Mandarino, ma non abbiamo capito cosa volessero colpire e quale sia davvero il loro scopo. Vuole distruggere gli Stati Uniti, ma non sta colpendo nulla di davvero rilevante militarmente o politicamente.” Anche Rhodes aveva bevuto un po’ di birra. Sembrava preoccupato pure lui per quella situazione che sembrava quasi di stallo. Non sapeva nessuno come muoversi o cosa cercare. Potevano tutti soltanto aspettare. “Non sembri nemmeno essere tu l’obiettivo. Non stavolta.”

Ormai l’unica arma che aveva era lei stessa. Con l’armatura era sopravvissuta agli alieni. Avrebbe ormai potuto sopravvivere a qualsiasi cosa. I terroristi li aveva battuti con una armatura costruita da pezzi di scarto in una caverna buia e fredda. Non potevano nemmeno pensare di poter competere con le sue nuove armature.

“Proverò ad indagare per conto mio.”

“No, tu ti riposi perché hai la faccia di una che non dorme da giorni.”

“Stanotte ho dormito ben 3 ore! Ho recuperato le 80 ore che non ho dormito nei giorni precedenti.”

“Sei delirante da privazione di sonno, te ne rendi conto?”

“Tesla dormiva 2 ore a notte se andava bene e guarda quali cose geniali ha inventato. Non ci fosse stato lui, non ci sarei io. Ti ricordo anche il mio dottorato in ingegneria elettrica, un puro omaggio a lui e soltanto lui.”

“Sei delirante, come al solito. E sai che io sono dalla parte di Edison.”

“Non capisci davvero nulla. Quello rubava i brevetti e basta. Tesla era il genio! Ah, se solo fosse vissuto in questa epoca così tecnologicamente avanzata, chissà quali cose avrebbe inventato!”

Rhodes aveva scosso la testa. Quella era una discussione in cui non avrebbero mai trovato un accordo. Era dai tempi dell’università che ne discutevano e non erano mai riusciti a trovare un terreno neutrale o un accordo su quella disputa. Lei avrebbe sempre tenuto per il piccolo genio serbo, mentre Rhodes per il grande capitalista americano. 

“Strano che tu non abbia ancora comprato una Tesla allora. Solo per omaggiarlo.”

“E tradire così le mie bambine Audi? Non c’è paragone con le macchine tedesche. Ricordati il motto dell’Audi: “All’avanguardia della tecnica”. Sono dei gioiellini orgasmici.” 

Rhodes l’aveva guardata in assoluto silenzio. Era abituato a quei deliri. Ci era davvero troppo abituato. 

“Se non ti conoscessi e non sapessi che sei un meccanico, direi che sei pazza. Ma poi mi ricordo la quantità di automobili che possiedi e tutto è chiaro.”

“Dimentichi la cosa più importante. Sono Iron Woman.” La donna aveva sorriso e si era messa più comoda sulla sedia. Era da un po’ che non usciva di casa, doveva ammetterlo. Quasi le era mancato stare seduta a pranzo in un posto così affollato. Negli ultimi mesi era sempre uscita in posti poco affollati con Rhodes. Molto più spesso si erano visti direttamente a casa sua.

Teneva un profilo molto molto basso dalla battaglia di New York, come l’avevano chiamata i media. La gente quasi si poteva dimenticare della sua esistenza visti gli ultimi mesi da eremita. Non era andata a nessuna serata di gala. In ufficio si era presentata sporadicamente lasciando in mano a Pepper tutte le riunioni con i clienti. Lei aveva solo lavorato alle sue armature e ai progetti delle Stark Industries. 

Si era tenuta lontana dal mondo, lontana da tutto quello che avrebbe potuto distruggere quella parvenza di calma di cui aveva bisogno. Mentalmente non era sicura che avrebbe retto altri scandali romantici, o anche semplicemente l’opinione pubblica. In gran segreto si era organizzata per ricostruire New York, per istituire un fondo per tutti quelli erano rimasti in qualche modo danneggiati da quello che era successo. Non poteva fare molto, ma era un modo per alleggerirsi la coscienza. Quella era l’unica cosa che poteva fare. Mentre tutti parlavano di lei e Steve Rogers, soffermandosi più su quel bacio che su tutto il resto, lei si era mosso nell’ombra e aveva fatto grandi cose per la città, o almeno così credeva e sperava.

Anche se in realtà non era neppure una sua responsabilità. Non aveva usato lei il Tesseract per fare gli esperimenti. Per quello che ne sapeva doveva essere ben custodito in un caveau, non usato per creare armi. Non usato per aprire portali. Non usato per richiamare gli alieni.

“Ehi, Terra chiama Tasha.” Rhodes le aveva sventolato una mano davanti agli occhi. “Dove eri finita?”

“Oh, non vorresti saperlo. Un luogo vietato ai minori.” Aveva sorriso e mangiato una patatina dal proprio piatto. Non aveva senso far preoccupare Rhodes inutilmente. 

“Se si tratta di Steve Rogers, no, non lo voglio sapere. Ma perché ti sono ancora amico?”

“Perché sono adorabile e carina.” Aveva ammiccato e l’uomo di fronte a lei aveva sbuffato. “E magari riesco a sedurlo di nuovo. Si sa mai che concludo questa astinenza che dura da sei mesi.”

“Ti prego, non farlo. Davvero. Dovresti ormai aver imparato che non finisce mai bene tra di voi. Cosa avevi?, 18 anni la prima volta che non avete funzionato? Ne hai quasi 30 e siamo allo stesso punto. Siete anime gemelle, ma non di quelle che possono stare assieme.”

“Guardi troppi film romantici. Non esistono le anime gemelle, è solo chimica. Più schifosamente, attrazione al sudore delle persone.” Non ci credeva in realtà nemmeno lei a quelle parole. Riusciva a spiegare sé stessa e Steve Rogers solo come anime gemelle. Sfortunate. Distrutte. Incompatibili. Ma anime gemelle. Sennò non riusciva davvero a spiegare in modo razionale questo continuo gravitarsi attorno e non riuscire ad andarsene nonostante di occasioni ne avessero avute fin troppe. “Non lo avrei mai cercato, Rhodey. Non l’ho fatto per tutto questo tempo, non avrei avuto motivo per farlo dopo New York. Si è presentato lui con una scusa stupida e banale. E mi manda in crisi le sinapsi come se fossi ancora la ragazzina di 16 anni che smaniava per conoscerlo.”

Rhodes aveva scosso la testa. Aveva bevuto un lungo sorso di birra. Ed era rimasto in silenzio per qualche minuto. Il tempo necessario perché anche lei analizzasse bene le ultime parole che aveva detto, e rendersi conto che smaniava ancora per passare del tempo con Steve Rogers. Cercava sempre di non pensarci, di relegarlo in qualche angolo del proprio cervello e lasciarlo lì a marcire. Ma in realtà questo desiderio era sempre presente. Sempre vivo. E non si era mai affievolito nonostante tutte le cose che erano successe.

“Vai coi piedi di piombo però. Non buttarti in situazioni che poi ti lasceranno a pezzi. Sai che sarò qui in ogni caso, come sempre, ma non so quanto bene potrebbe fare a te.”

“Penso che anche lui non abbia alcuna intenzione in quel senso, sai? Ieri voleva andarsene subito, appena mi ha vista.” Aveva sorriso al ricordo di uno Steve Rogers imbarazzato e confuso al suo ingresso in casa. “Sembrava un Pokémon che si colpisce da solo.”

“I tuoi paragoni sono sempre al top devo dire.”

Natasha aveva bevuto altra birra quando aveva visto avvicinarsi dei bambini. Avevano dei disegni in mano ed era sicura che volessero un autografo. Non era raro ormai che le si avvicinassero con disegni di Iron Woman fatti da loro. Se ne stupiva ogni volta, anche se ormai era qualche anno che ricopriva quel ruolo. Solo che vedere, sapere di essere un esempio da seguire le sembrava così strano. 

Cinque anni prima era tutto fuorché un esempio da seguire, e poi si era ritrovata ammirata da bambini di tutte le età. Un po’ riusciva a rivedersi in loro. Era stata allo stesso modo ammaliata da Capitan America e la sua leggenda per tutta l’infanzia. Anche se non avrebbe mai pensato di diventare mai un supereroe a sua volta.

Un supereroe con una scintillante armatura rosso fuoco. Era stata lei stessa il suo cavaliere, anche se con una armatura poco scintillante, a salvarsi dai guai. 

“Signorina Stark, potrebbe farci un autografo?” Una bella ragazzina bionda, con fratellino accanto, le sorrideva. Un sorriso enorme. Le occupava tutto il viso. Avrebbe avuto la stessa espressione anche lei se avesse conosciuto Steve Rogers a quell’età o prima? Sarebbe stata in estasi ogni volta che lo avesse incontrato? Le avrebbe messo una mano sulla testa e fatto una carezza veloce prima di chiudersi con Howard a parlare di solo dio sa cosa? 

Essere stata adolescente quando lo aveva conosciuto aveva reso quella ammirazione qualcosa che probabilmente non doveva esserci. Steve una volta glielo aveva detto. Avevano dei vissuti completamente diversi, venivano da due epoche troppo diverse. Era questo che non li faceva funzionare? O erano semplicemente troppo stronzi e non riuscivano a togliere la testa dal culo per essere abbastanza adulti?

Doveva smetterla. Quei pensieri in pubblico non dovevano essere ammessi. Non quando le persone aspettavano una sua risposta.

“Ma certo. Fatemi vedere sto disegno.” Lo aveva preso in mano e come poteva immaginare era raffigurata New York. Tutti parlavano solo di quello ormai. Del portale sopra la Stark Tower. Degli alieni per strada. Degli Avengers. Era un incubo costante. Non era solo un incubo la notte, era diventato un incubo anche quando era ben sveglia.

Dal ritorno dell’Afghanistan aveva problemi a dormire. Era normale. Sindrome da stress post traumatico. Lentamente aveva imparato a gestirlo e riusciva anche a dormire senza troppi problemi. 

New York aveva gettato tutto nel baratro più profondo e non era più sicura che lo avrebbe mai superato veramente. Con molta probabilità no. Quello che era successo. Quello che aveva visto. Era tutto troppo per lei. 

“Pensa che torneranno gli alieni? Voi Avengers li combatterete ancora?”

Aveva deglutito, cercando di firmare velocemente quel disegno così se ne sarebbero andati. Non voleva pensarci. Non poteva pensarci. Non in pubblico. Le veniva sempre la nausea quando ci pensava che poteva tutto essere solo provvisorio. Che sarebbero tornati. Che li avrebbero trovati impreparati. 

Non poteva pensarci. Ogni volta che lo faceva sentiva il cuore pulsare nelle tempie e non riusciva più a respirare bene. Ogni volta le sembrava che le si annebbiasse la vista e che i rumori attorno a lei si facessero più attutiti. 

Era un attacco di panico in piena regola e stava avvenendo in un luogo pubblico, pieno di persone. Persone che l’avrebbero osservata. Filmata. Probabilmente derisa.

Era Natasha Stark. Era Iron Woman. E stava avendo un attacco di panico in un ristorante per famiglie per una semplice banalissima domanda del cazzo. 

“Devo andare.” Si era alzata da tavola senza guardare nessuno. Non Rhodes. Non i due bambini che ancora aspettavano una sua firma. Potevano dire che con loro Iron Woman era stata una stronza, ma in quel momento non le stava importando. Aveva bisogno di aria.

E aveva bisogno della sua armatura. Aveva bisogno di sentirsi al sicuro. Aveva bisogno di correre a casa e chiudersi nella sua officina e non uscirne più per giorni.

“Tasha!” Rhodes era dietro di lei, l’aveva seguita subito e non si sarebbe aspettata diversamente da quell’uomo. Non c’era a New York. Si era fortunatamente perso quella follia. Ma aveva visto cosa aveva fatto a lei e questo gli bastava per farlo preoccupare. “Ti riaccompagno a casa.”

“Non serve. Non ti preoccupare. Chiamo un taxi.” Non stava ragionando, era fin troppo evidente. Il suo cervello era andato in tilt e davanti agli occhi aveva solo il buio gelido di sei mesi addietro. 

“Taxi un corno.” L’aveva fermata per un polso non appena erano usciti all’aperto, e lei si era come bloccata. Sentiva la stretta ferma e calda di Rhodes sulla propria pelle e le sembrava quasi che tutto potesse andare bene. Ma era davvero così? Quanti alieni c’erano ancora? Quanti avrebbero attaccato la Terra nei prossimi mesi o anni?

“Rhodey… Devo tornare a casa.”

“Ti accompagno io. Come ti ho recuperata stamattina, ti ci riporto adesso. Ok?”

Aveva annuito. O almeno credeva di averlo fatto. Sentiva solo le tempie pulsare senza sosta e voleva nascondersi da qualche parte finché tutto sarebbe passato. 

Era la donna più patetica d’America. Con un attacco di panico per una domanda davvero banale. Ma era proprio per quelle domande che non aveva mai fatto dichiarazioni stampa o interviste negli ultimi mesi. Aveva delegato ogni rapporto col pubblico ad altre persone e aveva davvero fatto la vita da eremita nel suo rifugio a Malibu. New York era un nuovo argomento tabù e non voleva parlarne con nessuno. Nemmeno con chi lo aveva vissuto con lei quell’inferno.

 

✭✮✭

 

“Happy, ho bisogno di parlare con Pepper.” Aveva ripetuto per una seconda volta, mentre il suo ex autista e guardia del corpo continuava a parlare di come la gente non portasse il badge identificativo all’interno della sede delle Stark Industries. Sembrava non la stesse nemmeno ascoltando. “Happy, ho saputo che per la storia del badge le lamentele del personale sono salite al 300% da quando sei tu a capo della sicurezza. Non ti troverai mai una donna se continui così.”

“Capo, per me è un complimento se ci sono le lamentele. Vuol dire che sto facendo bene il mio lavoro.” Lo aveva visto sorridere dall’altra parte dello schermo e voleva colpirlo con qualcosa da tanto era compiaciuto.

“Non è un complimento. Se dovessero farti fuori non me ne stupirei. Quella gente non scherza. Sono scienziati e ricercatori, saprebbero come far sparire il tuo cadavere. Mi puoi passare Pepper? E’ da mezz’ora che chiamo sia in ufficio che il suo cellulare ma non mi sta rispondendo.”

“E’ impegnata in un colloquio, credo.”

“Con chi? Stiamo assumendo di nuovo?” Di solito sapeva se arrivava qualche curriculum interessante. Spesso selezionava lei stessa chi sarebbe stato assunto e chi no. E stavolta non sapeva nulla.

“Killian Aldrich.” Happy lo aveva detto quasi sottovoce, guardandosi in giro guardingo.

“Dovrebbe dirmi qualcosa?”

“Lo abbiamo conosciuto in Svizzera. L’ha fermata in ascensore, prima che lei salisse per festeggiare in camera.”

“No, non mi ricorda nulla.” Si era messa davanti al pc per digitare velocemente il nome appena sentito. Risuonava con prepotenza nel suo cervello, tipo un campanello d’allarme, ma faceva fatica ad associarlo davvero a qualcosa.

“Per forza. All’epoca non era decisamente il suo tipo, ora sicuramente lo starebbe ad ascoltare.”

Aveva guardato le foto che erano comparse sullo schermo del suo pc e all’improvviso non era affatto vero che non se lo ricordasse. Certo, quella sera lo aveva ignorato totalmente. Aveva altri piani per la serata, e non quello di ascoltare uno storpio che voleva parlare di lavoro. Gli aveva anche detto di aspettarla. Che lo avrebbe raggiunto. Ma poi non si era mai presentata a quell’appuntamento. Aveva passato la notte in modo molto piacevole e poi aveva lasciato l’albergo alle prime luci dell’alba.

Quella era stata anche la notte in cui aveva conosciuto anche Yo Hinsen. 

“Cosa vuole da Pepper?” 

“Non lo so, le sta facendo vedere qualcosa. Sembra il suo cervello.”

Aveva alzato lo sguardo dallo schermo del pc e si era voltata verso il cellulare. 

“Cosa significa il suo cervello? Si è aperto il cranio?”

“Non sono io lo scienziato, capo! Sembra una di quelle diavolerie olografiche che usa anche lei quando lavora.”

Aveva sospirato ed era tornata a leggere gli articoli che continuavano a comparirle davanti. Se lo ricordava bene Killian Aldrich. Ricordava che le aveva chiesto di lavorare assieme. Voleva usare le Stark Industries come trampolino di lancio per la sua A.I.M., solo che all’epoca lei non era minimamente interessata a queste cose. Lavorava solo ed unicamente per portare all’apice di ogni successo inimmaginabile la sua azienda.

Ci aveva pensato Obadiah Stane a finanziarli, aveva scoperto in seguito. Non era riuscita a scoprire come esattamente, questo Obadiah era stato bravissimo a nasconderlo, ma li aveva aiutati. 

Aveva guardato attentamente una foto recente. Doveva aver subito qualche operazione o avevano replicato il siero del supersoldato con successo, perché non riusciva a spiegarsi un cambiamento simile. Sembrava una persona completamente diversa da quella che aveva conosciuto così tanti anni fa. 

“Happy, ascoltami bene. Informami quando se ne va. Di a Pepper di chiamarmi quando ha finito questa cosa qualsiasi essa sia, ed è davvero importante che mi telefoni, ok?”

“Ok, capo.”

“E smettila di chiamarmi capo, ormai sei alle dirette dipendenze di Pepper.”

“Sì, perché era ridicolo essere la guardia del corpo di Iron Woman. Venivo bullizzato dalla gente per questo.”

“Ancora con questa storia…” Si era massaggiata le tempie e voleva sbattere la testa sul tavolo. Happy non era più stato contento di lavorare per lei da dopo la Stark Expo, quando aveva combattuto contro tutti i droni di Hammer. Da quel momento aveva iniziato a lavorare con Pepper, a farle da autista e guardia del corpo, visto che lei ormai era capace di difendersi da sola da tutto quello che la circondava. “Happy, devo andare che ho ospiti a cena. Ricordati di dire a Pepper di chiamarmi.”

“Chi ha a cena? E’ un incontro di lavoro? E’ stato approvato da qualcuno?”

“Happy, sono abbastanza grande da avere gente a casa senza l’approvazione di qualcuno. E poi è Steve.”

“Il capitano Rogers? Capo, che storia è questa? Lo sa che la signorina Potts non sarà contenta di questo? Ma l’ha informata di questo appuntamento?”

“Ciao, Happy. Ci sentiamo domani.” Aveva agganciato e aveva fatto un lungo, lunghissimo sospiro. Aveva già troppe cose nella testa senza dover anche pensare a Killian Aldrich e cosa volesse di nuovo dalle Stark Industries. Sapeva che la A.I.M. aveva ottenuto fondi militari e si erano ingranditi così. Cosa potesse volere ancora da lei non riusciva a capirlo. Non produceva più armi. Si erano davvero spostati su tutt’altro. Non aveva nemmeno più alcun fondo militare per le sue ricerche. 

Le mancava solo che alla sua porta suonasse Maya Hansen e sarebbe stata al top. La donna con cui aveva passato un magnifico weekend in Svizzera aveva cercato di contattarla più di una volta quando non l’aveva trovata nella camera da letto che avevano condiviso. Ma non si era mai fatta trovare. Per lei era superfluo continuare a mantenere un qualsiasi rapporto dopo essersi divertita. La scienziata era una mente brillante, questo lo ricordava bene. Aveva delle idee grandiose ma non aveva effettivamente mai letto che il suo esperimento avesse avuto successo. 

I rami recisi delle sue piante ricrescevano come per magia, ma non aveva mai letto altro. Ricordava perfettamente come per farle vedere come funzionava la sua formula aveva reciso un ramo di una pianta. Davanti ai suoi occhi quel ramo era ricresciuto subito, rigoglioso come se non fosse mai stato tagliato. Ed era una cosa sorprendente. Ancora adesso, dopo tutto quello che aveva visto e vissuto era una cosa magnifica. Solo aveva un piccolo difetto. Esplodeva. 

Era così instabile se non usato correttamente, che esplodeva dall’interno. E da quello che le risultava Maya Hansen non aveva mai perfezionato la sua creazione. Se lo avesse fatto ne avrebbero parlato tutti. L’avrebbero già usata, probabilmente più per il male che per il bene. Ma non c’erano notizie al riguardo da nessuna parte. Maya Hansen stessa sembrava essere scomparsa dalla scena scientifica mondiale. 

E se non avesse avuto un appuntamento per lei importante a cena, avrebbe passato la notte a fare ricerche.

 
   
 
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