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Autore: Carmaux_95    11/05/2022    9 recensioni
Takeda non era mai stato un ragazzo particolarmente atletico. Affatto, a dire il vero. Non avrebbe mai potuto praticare il Quidditch in prima persona. Cionondimeno non poteva che osservare con gli occhi sgranati gli atleti che si fronteggiavano in aria. Spesso prendeva appunti per poi informarsi prendendo in prestito qualche vecchio volume dalle biblioteche: il più delle volte, infatti, non riusciva a capire o a riconoscere gli schemi di gioco.
Come quello appena messo in moto dal nuovo cacciatore di Grifondoro, capelli castani con un cortissimo taglio a spazzola, due piercing all’orecchio sinistro e un’altezza riconoscibile anche ripiegato com’era su quel manico di scopa...
[teen!UkaTake HogwartsAU]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ittetsu Takeda, Keishin Ukai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Potresti lasciare la tua firma nella storia del Quidditch, sai?»
«Ma chi, io?» Takeda gli sorrise e lasciò cadere sulla propria cattedra un tomo polveroso. L’ora di chiusura della biblioteca era passata da un pezzo ma Ittetsu, complice la buona compagnia, sembrava non essersene accorto.
Ukai allungò il collo per leggere: «“Inchiesta sulle strategie di difesa del Quidditch”?»
«Kennilworthy, a quanto ho letto, è un grande esperto…»
«E un fanatico.»
«E in questo suo libro non descrive niente che si avvicini, anche solo lontanamente, al tuo stile di gioco: potresti…»
Ukai lo interruppe, sorridendo con condiscendenza: «Te l’ho detto…»
«Saresti il primo: potresti ritagliarti il tuo angolino di fama.»
«Te l’ho già detto: non è uno stile di gioco.»
«Ma…»
«Professore» Ukai gli sfilò il libro da sotto le mani e lo chiuse, riuscendo finalmente a fargli chiudere la bocca. «Non mi interessano queste cose.»
Takeda si morse il labbro inferiore: «Non… non devi chiamarmi così.»
«Così come?», ridacchiò il più giovane.
«Ho solo tre anni più di te. E comunque sono solo un bibliotecario, al momento.»
«Professore nondimeno.»
Takeda abbassò lo sguardo e recuperò il libro, aprendolo su una pagina a caso. «Che cos’è una finta Wronski?», domandò tentando di cambiare discorso.
«Vieni ad assistere ad uno dei nostri allenamenti: potrei fartela vedere.»
«Non penseranno che sono una spia dei Tassorosso?»
Ukai rise e scosse la testa: «Tu lasciali pensare quello che vogliono.»
Il viso ancora codardamente sepolto fra le pagine, Takeda si rese improvvisamente conto di quel silenzio carico di tensione che era sceso fra loro… e di che ore fossero!
«Il coprifuoco è passato da un pezzo! Dovresti tornare in dormitorio: se i prefetti ti trovassero in giro potrebbero sottrarre dei punti alla tua casa», esclamò appoggiandogli le mani sulla schiena e spingendolo verso la porta.
«Potresti scrivermi una giustificazione, Professore

 
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Una finta Wronski… era da tanto che non ne eseguivano una, né in allenamento né tantomeno in partita.
«Keishin.»
Forse poteva provare a proporla al capitano, quello stesso pomeriggio.
«Keishin?»
Sì, forse sarebbe stato meglio: non voleva fare brutte figure. Non si improvvisava una finta del genere dall’oggi al domani, a meno che non si desiderasse un biglietto di sola andata per l’infermeria o peggio. Forse avrebbe dovuto allenarsi prima di invitarlo ad assistere.
«Keishin!» Takinoue, che fino a quel momento aveva bisbigliato per non farsi scoprire e sgridare dal professore di pozioni, accompagnò il richiamo con un più efficace pugno sulla spalla.
«Ahia! Ma che c’è?!»
«Oh, finalmente una reazione! Hai sentito?»
«Che cosa?»
Un cenno del capo e Ukai si accorse, finalmente, della ragazza che in piedi davanti a tutti, stava annusando la pozione al centro della classe. Il vapore si solleva dal calderone in un curioso moto a spirale. «Poi, legno di manico di scopa e… ghiaccio spray?»
Takinoue diede nuovamente di gomito al compagno di banco: «Amico, ha appena descritto te.»
«Ma che pozione sta annusando?»
Takinoue alzò gli occhi al cielo, sbuffando: che divertimento c’era a seguire le lezioni insieme se Ukai passava il tempo immerso nei suoi pensieri senza accorgersi di quello che gli accadeva intorno, senza nemmeno sentire una parola – che fosse sua o del professore?
«Scusa, ero sovrappensiero.»
«Sì? E a che pensavi?» brontolò l’amico, appoggiando il gomito sul banco e la testa sul palmo della mano.
«Al Quidditch.» Più o meno.
«Potresti almeno essere sincero…» borbottò Takinoue.
Keishin si morse l’interno della guancia. «Non vorrai tenermi il broncio! Avanti, questo pomeriggio ho gli allenamenti e stavo valutando se provare o meno una nuova azione. Stavo solo…»
«Ukai!» il professore lo richiamò all’attenzione con tono severo. «Mi avevi quasi convinto che fossi diventato uno studente modello – silenzioso e diligente – ma visto che si è trattata di una breve e mera illusione, perché non prendi il posto della signorina?»
Alzandosi, Keishin si volse verso l’amico lanciandogli un’occhiata, una muta richiesta di aiuto.
«Amortentia», spiegò subito quello: poteva provare un po’ di risentimento nei suoi confronti, ma non al punto da lasciarlo in pasto ai leoni. «Profuma di ciò che ti piace.»
Ecco, questo era uno dei motivi per cui a Keishin non piacevano nemmeno le lezioni di pozioni. Si incamminò verso il centro dell’aula e, cercando di non pensare a tutti quegli occhi curiosi di scoprire qualcosa degno di diventare un pettegolezzo, si chinò sul calderone.
«Liquerizia, polvere e… pergamena» snocciolò, imbarazzato.
Liquerizia d’accordo; pergamena pure... circa.
Ma “polvere”? Da dove era uscita? E poi… che odore aveva la polvere? Eppure, come lo aveva sentito non aveva avuto dubbi. Chi
«E così pensavi al Quidditch, giusto?» lo rimbeccò Takinoue non appena l’amico tornò a sedersi.
Non aggiunse altro, non ce n’era bisogno.


 
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Non è che stesse pensando a Takeda in quel momento… però quel profumo di pergamena che lo aveva investito non appena si era chinato sul calderone non poteva che rimandare a lui. Lo aveva sentito in modo così vivido! Gli era bastato annusare una volta ed era tornato a qualche mese prima, quando quell’areoplanino lo aveva svegliato pizzicandogli il viso; a quando la mattina dopo si era svegliato con quel foglio appiccicato alla sua guancia.
E in quel momento aveva sentito la mente leggera.
Non poteva negare di apprezzare la sua compagnia. Era per quello che ora, le braccia cariche di tomi ingialliti e polverosi, lo stava aiutando a mettere in ordine tutti i manuali consultati quel pomeriggio dagli studenti. Insomma… era una cosa normale, da… amici, giusto?
E in ogni caso, probabilmente quello non era il momento migliore per farsi venire certi dubbi esistenziali. Era decisamente meglio concentrarsi su altri problemi più degni di nota: «Spiegami una cosa, Professore: com’è che i libri sono incantati per alzarsi in volo e raggiungere il loro ripiano ma c’è bisogno di accompagnarli fino alle scaffalature?»
«Stai accusando dei libri di essere pigri?» ridacchiò Takeda mentre lasciava che uno dei suddetti libri levitasse fino alla propria collocazione a scaffale.
Aveva una bella risata. Dolce.
«Voglio dire», si riscosse. «se sono capaci di volare potrebbero planare dalla tua cattedra fino al loro posto.»
«Se così fosse adesso sarei disoccupato.»
Una valida giustificazione per la pigrizia. Se non fossi qui…
«È solo che mi sembra un uso superfluo della magia» disse Ukai, tentando di sviare i propri pensieri. «O, quanto meno, sembra un incantesimo riuscito solo a metà: avrei potuto farlo io.»
«Ti sottovaluti. Ma se qualche volta vuoi una mano a studiare puoi venire qui: a quest’ora non c’è mai nessuno in biblioteca.»
«Potrei considerare l’offerta.»
«Ne sarei felice» rispose Takeda, mettendo a posto altri due libri. Nel farlo gli sfiorò le mani ed esibì un sorriso.
Il cervello di Ukai andò in cortocircuito e le dita si serrarono sulla copertina rigida dell’ultimo manuale rimastogli in mano.
E, improvvisamente, si rese conto del silenzio. Di quel silenzio. Non era semplicemente quello di una aula vuota. Sembrava avvolgerli, come una coperta invernale, spingendoli l’uno verso l’altro.
Ma che cavolo andava a pensare?
«Ukai-kun?» Takeda lo richiamò all’attenzione indicando silenziosamente l’ultimo tomo ancora in suo possesso.
«Stavo pensando di farmi crescere i capelli! E di tingerli, forse!», esclamò. Doveva cambiare l’argomento di conversazione o avrebbe finito per cedere e avvicinarglisi ancora di più. «Starei male biondo?»
Takeda portò inaspettatamente una mano fra i suoi capelli, saggiandone delicatamente la lunghezza e la consistenza.
Ukai si trovò a socchiudere gli occhi godendosi quell’inaspettata quanto intraprendente carezza.
«Niente affatto, anzi credo che…»
Ukai non aveva preventivato di chinarsi e tappargli la bocca con la propria. Non aveva preventivato di sentire di nuovo la testa leggera né tanto meno di scandagliare con un velo di timore il volto di Takeda nella speranza di una conferma e di un incentivo a ripetere il gesto.
Conferma che non si fece attendere: il maggiore gli poggiò una mano sulla schiena, spingendolo contro di sé.
Ukai lasciò andare il libro, che fluttuò silenziosamente al suo posto, e avvolse un braccio attorno alle spalle di Takeda.
Il respiro di Takeda che si mescolava al suo, le rispettive mani che sondavano timorosamente quei territori inesplorati… gli sembrò tutto così naturale.
Perché non se ne erano resi conto prima?
«Quindi…» biascicò Takeda, riordinandosi gli occhiali sul naso. «ti aspetto in biblioteca domani?»
«Per studiare?» lo provocò Ukai.
Il viso di Takeda divenne immediatamente rosso ma lasciò trasparire un velo di eccitata aspettativa.

 
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Era solo una stanza piena di pergamene e polvere. Niente di più. Eppure, nel corso degli anni, era sempre stata perfetta per loro due. Nessuno li aveva mai disturbati. Dopo averlo sospinto contro lo scaffale di topografia magica – dopotutto chi mai sarebbe venuto a consultare qualche volume in merito? – e avergli ricoperto il viso di baci, Ukai si era sepolto nel collo di Takeda, annusando il suo profumo e mordicchiandogli i punti che ormai sapeva essere più sensibili.
Takeda amava quell’entusiasmo adolescenziale e non era affatto capace di nasconderlo: quando il compagno sfregò il naso contro il suo sottogola, spingendolo a reclinare la testa, diede inequivocabilmente voce al proprio apprezzamento.
Si tappò la bocca con una mano, gesto che suscitò l’ilarità di Ukai.
«Tranquillo, Take-chan: a quest’ora non c’è mai nessuno in biblioteca, lo sai.»
Non che fosse un buon motivo per mugolare in modo così indecoroso.
«Keishin.»
Ukai se ne accorse subito: la voce del suo professorino non si era incrinata solo per il piacere. Alzò la testa e gli lasciò il tempo di raccogliere le idee.
«Cosa farai adesso?»
«Dobbiamo parlarne proprio in questo momento?»
Non era la prima volta che affrontavano il discorso. Takeda era rimasto ad Hogwarts e, durante quegli ultimi anni, aveva consolidato la sua posizione all’interno del corpo docenti. Ukai, dal canto suo, ora che stava per diplomarsi non aveva ancora solidi progetti per il suo futuro. Takeda in parte temeva che sarebbe voluto tornare a casa – dopotutto per metà la sua famiglia era babbana – e allo stesso tempo temeva anche il contrario. Egoisticamente avrebbe voluto tenerlo tutto per sé, esattamente lì fra la polvere e i fogli di pergamena che si sollevavano ogni volta che abusavano di quella sala per le proprie scappatoie. D’altro canto, non poteva fingere di non conoscere lo sguardo meravigliosamente luminoso di quando parlava di tornare da suo nonno e giocare.
Avrebbe accettato qualsiasi sua scelta e sapeva che la loro relazione era abbastanza forte da sopportare l’eventuale lontananza ma rimanere in quel limbo di insicurezza e indecisione lo metteva in agitazione.
Keishin sospirò: «Stavo pensando di riprendere i contatti con alcuni miei amici babbani oltre a Takinoue e Shimada: mi piacerebbe fondare una piccola associazione di quartiere per la pallavolo e temo che riscontrerebbe poco successo qui.»
«Mi sembra un bel progetto.»
«Che non frutterà un soldo, a dire il vero. Per cui, nel mentre, contavo di aiutare mia zia al negozio a Diagon Alley.»
Takeda sgranò gli occhi: «Quando pensavi di dirmelo?»
«Sei deluso? Mi sembrava un buon compromesso per noi due…»
«Deluso?» Ittetsu gli portò le mani fra i capelli – ora deliziosamente lunghi e biondi – e glieli strinse trascinandolo sulle proprie labbra.
Keishin non si fece pregare: lo agguantò per la vita e, sollevandolo, gli permise di allacciargli le gambe attorno ai fianchi. E in un attimo si ritrovarono nuovamente premuti contro la libreria.
Da uno degli scaffali un foglio di pergamena spiegazzato scivolò e, planando al ritmo degli ansiti e dei sospiri dei due ragazzi, finì per depositarsi a terra.
 
 
Fine
 
 
 
Angolino autrice:
Buongiorno!
Eccoci qui con l’ultimo capitolo di questa breve storiella!
Ho fatto qualche piccola ricerchina sul Quidditch per quanto riguarda “Inchiesta sulle strategie di difesa del Quidditch” e spero di non aver fatto erroracci (così come anche per l’Amortentia… sì, forse non sarà particolarmente originale, come idea ‘^^ perdonatemi XD).
Non ho molto da dire, in realtà, e soprattutto non voglio annoiarvi.
Concludo semplicemente ringraziando chiunque sia arrivato a leggere fino in fondo e tutti voi che mi avete supportato durante la stesura di questa leggera storiella: come molti ormai sapranno, è raro che i miei testi mi convincano e il vostro appoggio è stato graditissimo! ♥
Detto questo, vi mando un grosso abbraccio!
A presto (qualcosa di nuovo già bolle in pentola…)
Carmaux
  
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