Elsa finì
di raccogliere i morbidi capelli biondi in
un'acconciatura alta, in modo che non la infastidissero durante
il lavoro. Indossò occhiali e visiera
protettivi e si avvicinò al tavolo dove il corpo della
vittima l'attendeva per
la sua autopsia.
«Chiunque tu sia» disse sottovoce, infilandosi i
guanti in lattice «E’ l’ora di
raccontarmi i tuoi segreti»
Avviò il registratore.
Dapprima si dedicò a studiarlo esternamente: come intuito
nel vicolo, oltre
alle abrasioni già rinvenute sulle estremità e
all'inchiostro sui polpastrelli
usato per permettere il riconoscimento attraverso le impronte digitali,
il corpo
non presentava nessun altro tipo di segno. C’era, in effetti,
la
possibilità che il
laboratorio ne avesse già scoperto
l’identità ma, per lei, era sempre meglio
non saperlo prima.
Alzò le palpebre e trovò due vitrei occhi neri,
con la sclera giallastra e
un'espressione sgomenta. Aggrottò le sopracciglia e
annotò la stranezza nel suo
vocale.
Imbeccata da un'intuizione, prese uno speculum bivalve e, spostando
adeguatamente la luce, ne controllò le narici. Era proprio
come aveva
immaginato: richiese un esame tossicologico urgente. Infine, prese uno
dei suoi
fidati e affilati bisturi e procedette ad effettuare l'incisione ad
ipsilon su
quel magro petto. Quando la cassa toracica fu finalmente esposta e il
suo
sguardo mise a fuoco il cuore, rimase interdetta: una cosa
così non l'aveva
vista mai.
Il cadavere era
già stato ricucito, quando Jane irruppe senza
troppi complimenti - con i capelli castani
raccolti disordinatamente e gli occhi azzurri accesi dalla
soddisfazione - nell'ufficio della
dottoressa Bleket, sventolando
teatrale
un plico di documenti «Te l’avevo detto che
l’avevo già visto da qualche
parte…» esordì, quasi sbattendolo sulla
scrivania «Guarda qui!»
Elsa alzò
lo sguardo dal rapporto, che stava finendo di compilare, con un
sospiro: aveva dell’incredibile come, talvolta, Jane sapesse
assomigliare a sua
sorella Anna. Lo spostò sulla foto che le stava porgendo:
ritraeva la vittima
con un completo sfarzoso in quella che sembrava la passerella di una
kermesse
di un certo livello.
«John
Lionheart» continuò, andandole vicino
«Già confermato dalle impronte
digitali ma non è finita qui» mosse appena le
dita, facendo così apparire una
copia di un articolo di giornale «Non si può dire
fosse certo una brava
persona»
Elsa scorse
velocemente le righe stampate: John Lionheart era il rampollo di
una delle famiglie più importanti della città, i
proprietari delle Lionheart
Industries. A quanto pareva, però, era una gran testa calda,
incline agli
scandali, di cui uno dei più eclatanti e terribili era riportato
proprio su quel
giornale.
Quando lesse di come,
tre anni prima, fosse stato coinvolto in un incidente in
cui, palesemente strafatto, aveva travolto e ucciso una giovane donna
con la
sua auto, strinse istintivamente i denti, quasi pentendosi di tutte le
attenzioni che gli aveva rivolto sul suo tavolino.
«Chiama
subito Kristoff e il detective Overland, direi che hanno già
solide
basi da cui partire»
§
Il detective Overland dovette imporsi di tenere chiusa la bocca, quando varcò la soglia dell’ufficio del tecnico informatico che – a detta di Kristoff – era il migliore di tutto il dipartimento.
Le pareti erano interamente tappezzate da disegni, mentre libri di ogni tipo e attrezzature elettroniche erano sparsi dappertutto. In un angolo, gli era persino parso di scorgere una chitarra. Di scrivanie e di tecnici informatici, però, non se ne scorgeva nemmeno l’ombra.
«Ehi, Punzie» chiamò Kristoff al suo fianco «Scendi, abbiamo del lavoro per te»
Solo nel vedersi piombare una persona davanti, Jackson notò la presenza di un particolare decisamente fuori posto in una stazione di polizia, più adatto magari ad una dei pompieri: una ripida pertica portava ad un piano rialzato dove, evidentemente, stava il resto dell’ufficio della ragazza. Perché indubbiamente quella che adesso gli stava di fronte era una ragazza e molto giovane per di più. Indossava, nonostante le temperature esterne, un paio di sneakers alte dalla tela rosa shocking e la suola bianca, jeans aderenti neri e una felpa con cappuccio dello stesso colore delle scarpe. La zip lasciata aperta faceva intravedere una maglietta bianca su cui spiccava il disegno di un divertente camaleonte verde. La cosa più incredibile, però, erano i capelli biondi, tenuti raccolti da svariate penne e mollette e quello era un pennello, per caso? Era praticamente impossibile quantificare quanto fossero lunghi.
«Ciao Kriss» salutò con un sorriso raggiante «Cosa mi hai portato d’interessante?» chiese, poi, con gli occhi verdi accesi da un entusiasmo disarmante. Entusiasmo che scemò nel totale imbarazzo quando si accorse anche della sua presenza e di averlo praticamente ignorato.
«Mi scusi, lei dev’essere il detective Overland, giusto? Esperto informatico Rapunzel Sunlight, al suo servizio»
Jackson dovette trattenere il sorriso ironico che gli era salito spontaneo sulle labbra nell’udire quel nome e nel vedere quell’improbabile saluto ufficiale che gli aveva rivolto «Tranquilla, non servono tutte queste formalità con me. Chiamami pure Jack» poi, inesorabilmente, il suo sguardo si posò di nuovo sui suoi capelli «Rapunzel, sul serio? E lavori in una torre?» chiese, poi, incapace di tenere a freno la lingua.
Lei lo guardò storto «Mi piacciono lunghi, d’accordo? Non ha niente a che fare con il mio nome. E sì, mi piace stare in alto, sto per la maggior parte del tempo seduta per cui preferisco essere attiva quando devo muovermi. Contento, Jack?»
«D’accordo» concesse lui con un altro sorriso, bonario questa volta «Me la sono cercata. Abbiamo un cellulare per te» fece un cenno del capo a Kristoff perché lo consegnasse «E’ scarico e probabilmente sarà protetto da password. Inutile dire che vorremmo davvero sapere che cosa c’è dentro»
«E’ uno degli ultimi modelli» lo riconobbe ad una prima occhiata «Ho l’adattatore adatto. Sarà sicuramente protetto da riconoscimento biometrico ma niente di impossibile da raggirare. Seguitemi» li invitò «Se la pertica vi fa paura, ci sono le scale là in fondo» e, senza aspettare risposta, sparì di sopra con un’agilità sorprendente.
Jackson, incapace di resistere al gusto della sfida, la seguì subito dopo. Kristoff, invece, optò - in un’alzata di spalle - di andare a piedi come i comuni mortali.
Ci vollero cinque minuti esatti per far crollare le barriere dello smartphone.
«Alla faccia della sicurezza» commentò Kristoff con una smorfia.
«Diciamo che sono ragionevolmente sicuri da parte di manomissioni di persone comuni ma non da parte di chi è dotato di gioiellini come questi» disse, indicando il suo armamentario sparso sulla scrivania «Non è vero, Pascal?»
Jackson spostò lo sguardo e scoprì che la ragazza si era appena rivolta ad un piccolo camaleonte verde, intento a prendere placidamente il calore di una lampada UV all’interno della sua teca. «Cos’è, la tua paperella di gomma?»
«Non dire sciocchezze» lo rimproverò l’altra «Lui è un mio amico ma, sì, è anche un ottimo ascoltatore: mi aiuta spesso a trovare la concentrazione giusta. Comunque, ecco qui» continuò, girando appena uno degli schermi nella loro direzione, mostrando un mirroring perfetto del cellulare «Cosa volete controllare per primo?»
«Chiamate, profili social, messaggi…»
«Uhm…» aggrottò le sopracciglia dubbiosa «Molti dei numeri nel registro delle chiamate sembrano non essere salvati in rubrica, mi ci vorrà del tempo per rintracciarne i proprietari. Inoltre, pare che i messaggi siano stati cancellati. Vi avviserò se dovessi trovare qualcosa ma, intanto, ecco il suo profilo»
«Guardate qui…» disse Jackson, indicando l’ultimo post, risalente a pochi giorni prima «Pronti a festeggiare l’anniversario del mio potere? Che significa?» chiese stranito «Possiamo andare indietro?»
«Subito!» rispose Rapunzel solerte.
Scorsero foto di innumerevoli feste, donne, auto e barche lussuose. Ogni anno, intorno a quella data, ritornava il riferimento al suo presunto potere. Arrivati a circa tre anni prima scorsero un video, decisero di farlo partire. Una strada sfrecciava a tutta velocità, John Lionheart non si vedeva, puntava il cellulare esternamente con una mano mentre con l’altra, probabilmente, teneva il volante. Una risata sprezzante si mescolò al rombo del motore – Prince Johnny contro il sistema, uno a zero, palla al centro. Soffiò perfida una voce chiaramente alterata dall’alcol e chissà cos’altro – Non mi avrete mai perché io ho potere! Potere!
Il video si interrompeva su quelle ultime parole.
«Ora ricordo» esalò Kristoff pietrificato «Punzie, cerca John Lionheart fra i fatti di cronaca, per piacere»
Lei obbedì e già il primo risultato diede loro la risposta che stavano cercando: John Lionheart non farà neanche un giorno di galera per l’omicidio stradale con omissione di soccorso di MF. Il giudice ha predisposto, data la sua fedina pulita, il pagamento di una penale e un periodo di lavori socialmente utili, uniti ad una riabilitazione mirata. L’articolo proseguiva con un’accusa sull’inefficienza e la possibile collusione del sistema giudiziario nazionale.
«MF, chi è?» chiese Jackson, disgustato.
Lei cercò nell’archivio della polizia «Marian Fitzwater, l’incidente è avvenuto tre anni fa. Oddio, proprio oggi!»
«Oggi?» ripeté quello incredulo.
In quel momento, il cellulare di Kristoff trillò «Detective Bjorgman» rimase ad ascoltare la telefonata per qualche secondo e, salutando, riattaccò «Jack, dobbiamo andare. Era Jane, Elsa ha finito l’autopsia»
«Esattamente…» confermò Elsa, appoggiata con i fianchi al grande tavolino di vetro della sala in cui si erano riuniti, le braccia conserte.
«Ne è sicura?» chiese Jack dubbioso, c’erano tante, troppe cose che non tornavano in quella morte.
«L’autopsia non mente» sentenziò gelida «Il caro signor Lionheart» aggiunse, senza riuscire a nascondere una certa dose di disprezzo «A quanto pare, era solito fare uso di droghe: cocaina, sicuramente… per altro vi saprò dire una volta arrivato l’esito del tossicologico»
«Quindi parliamo di overdose» concluse Kristoff «Magari qualche festino in zona è scappato di mano e, per non avere grane, lo hanno abbandonato in quel vicolo. A quando risale il decesso?»
«Purtroppo non posso darvi un orario certo: l’alterazione dell’overdose ha accelerato notevolmente il rigor ma i lividi post-mortem sono già permanenti. L'infestazione di parassiti è minima: ragionevolmente, credo sia morto circa una decina di ore prima del ritrovamento»
«Stiamo veramente scartando l’ipotesi di omicidio?» chiese Jack scettico «Sinceramente quello dove l’abbiamo trovato non mi sembra esattamente un quartiere che John Lionheart avrebbe frequentato»
Elsa si morse appena il labbro inferiore: nonostante fossero, ormai, passati svariati anni da quell’incidente, per un terribile attimo il volto di John Lionheart si sovrappose a quello sconosciuto del pirata della strada colpevole di aver ucciso i suoi genitori «No» esalò, infine, non senza un certo dolore «C’è una cosa che non mi è mai capitata di vedere nella mia carriera: il cuore non è semplicemente collassato, è come se fosse esploso» spiegò, quasi incapace di credere alle sue stesse parole «E gli occhi avevano questa espressione atterrita che sembra quasi sia morto di paura»
«Di paura?» ripeté Kristoff incredulo.
Elsa alzò lo sguardo su Jack, già pronta ad essere investita dalla sua diffidenza ma, inaspettatamente, lo trovò con le labbra piegate in un’espressione pensierosa ma per niente dubbiosa.
«Quindi non lo escludiamo» disse, infine, dopo un attimo di silenzio «Immagino abbia già scoperto dell’incidente di tre anni fa»
Lei annuì.
«Sono piuttosto sicuro che il fatto di avere rinvenuto il suo cadavere proprio oggi non sia una pura coincidenza» si alzò «Kristoff, andiamo: è giunto il momento di parlare con la famiglia della vittima» si infilò il cappotto «Dottoressa Bleket, le sarei grato se ci aggiornasse sul risultato del tossicologico non appena sarà disponibile»
§
Per
arrivare alla lussuosa villa della famiglia Lionheart,
l’auto dei detective dovette attraversare un parco
praticamente infinito.
Quello, che aveva tutta l’aria di essere Richard Lionheart,
li attendeva sul
selciato davanti all’ampio portone d’ingresso,
già avvisato dalla sicurezza.
Era un uomo dalla mole imponente, rimarcata dall’elegante
completo
scuro e, ad una prima occhiata, sembrava essere più vecchio
di
John di cinque o sei anni. A differenza di ciò che ci si
poteva
aspettare
dall’amministratore di
un’azienda di tale importanza, portava i capelli mossi lunghi
ben oltre le
spalle che, assieme al loro colore castano-rossiccio, gli conferivano
un’aria
decisamente leonina.
«Che cosa ha combinato questa volta?» chiese,
vedendoli avvicinarsi, ancor
prima che potessero aprire bocca.
Jackson inarcò le sopracciglia sorpreso «Immagino
si riferisca a suo fratello»
«E a chi se no?» sospirò
«Richard Lionheart» si presentò,
tendendo la mano «Con
chi ho il piacere di parlare?»
«Detective Overland e Bjorgman» rispose,
ricambiando la stretta con una mano e
mostrando il distintivo con l’altra «Della squadra
omicidi» puntualizzò «Temo
non sarà una chiacchierata di piacere»
La sicurezza sul volto dell’altro si spense improvvisamente
«Omicidi?» deglutì
«Sarà meglio entrare»
«Morto?»
ripeté corrucciato il padrone di casa, seduto su
una delle sontuose poltrone di pelle dell’ampio salone.
Kristoff si mosse
appena sul divano che condivideva con il suo compagno,
vagamente a disagio davanti a tutto quel lusso «E’
stato trovato questa
mattina»
«Come?»
«Un’overdose,
il suo cuore è stato drasticamente compromesso»
«Questo non
mi stupisce» commentò amaro «Quando
potrò riavere il corpo?»
«Purtroppo
non
sarà una cosa rapida» disse schietto Jackson
«Suo fratello aveva dei
nemici?»
«Perché
questa domanda?» chiese l’altro sulla difensiva.
«A costo di
risultare un po’ insensibile, suo fratello non mi sembrava
una
persona molto amata» lo guardò dritto negli occhi
«Nemmeno da lei, se è per questo»
«Detective,
la sua irriverenza è al limite del tollerabile»
Richard Lionheart
quasi ghignò «Ma ha ragione: mio fratello era un
fenomeno nella sua incapacità.
Siamo stati costretti ad estrometterlo da qualsiasi tipo di gestione
dell’azienda che, come immagino saprà, aveva
portato sull’orlo del collasso. Sapeva
circondarsi solo di serpi
e lupi affamati»
fece una piccola
pausa «Ma era pur
sempre mio fratello, al legame del sangue non ci si può
sottrarre»
«E’
per questo che l’aiutò a cavarsela con
così poco
per l’omicidio stradale di
Marian Fitzwater?»
«Non fui
io» praticamente ruggì l’altro,
alzandosi di colpo «Fu nostra madre»
confessò «Che decise anche gli spettasse un certo
tipo di vitalizio per
mantenere il giusto tenore che si addice ad un Lionheart.
A patto
che stesse ben lontano dagli affari, ovviamente»
sospirò «Sono sicuro che, in
cuor suo, questa cosa non se la sia mai perdonata. Poco dopo
quella brutta faccenda, lei si
ammalò e non si riprese più» il suo
sguardo si velò per un attimo ma si ricompose subito quando
riportò la sua attenzione sui
poliziotti «Io ero
favorevole al carcere, quello era il posto che John si meritava. Marian
era
una
nostra dipendente, una delle migliori, era come se fosse parte della
famiglia per me.
Sono
stato suo testimone al matrimonio di lei e Robert. Era ancora
così giovane,
così promettente» spiegò con dolore
«Da allora ho visto mio fratello il meno
possibile: lo seppellirò nella tomba di famiglia,
così come nostra madre
avrebbe voluto, ma non fingerò di essere dispiaciuto per la
sua morte»
«Apprezzo
la sua sincerità» riprese Jackson con un tono di
voce più calmo «Il
corpo di suo fratello è stato ritrovato questa mattina nel
quartiere di Sherv,
lo stesso giorno dell’anniversario della morte di Marian
Fitzwater, non può
essere una coincidenza»
«Nel
quartiere di Sherv avete detto?»
Annuì.
«Era
lì che Marian viveva con suo marito Robert»
«Un
momento» esordì Kristoff, scorrendo veloce le
pagine del suo taccuino
«Robert Locksley, per caso?»
«Esatto…»
«Jackson»
richiamò il collega, scosso «E’
l’inquilino dell’interno tre, quello
la cui camera da letto dà proprio sul vicolo in cui
è stato rinvenuto il corpo»
Il detective
Overland si presentò alla stazione di polizia
ben prima dell’effettivo inizio del suo turno di lavoro,
svegliato da una
chiamata alquanto inaspettata.
Guardò l’uomo che lo attendeva al di là
del vetro e, sospirando, entrò nella
sala degli interrogatori con una tazza fumante fra le mani.
«Francamente non mi aspettavo questa sua visita.
Caffè?»
Robert Locksley alzò gli occhi arrossati su di lui, i folti
capelli ramati
completamente arruffati «Nemmeno io»
ribatté con un sorriso amaro «Grazie»
disse, poi, accettando l’offerta.
Jack rimase in silenzio e si sedette di fronte a lui,
dall’altra parte del
tavolo, appoggiò un piccolo blocco per gli appunti e una
penna sulla
superficie, rimanendo in
attesa.
L’altro assorbì un po’ di quel liquido
nero e bollente, trovando coraggio nel
suo calore «Quando, ieri mattina, mi sono svegliato al suono
delle vostre
sirene, ero ancora intontito dai sonniferi. Sa detective, da quel
terribile
giorno non sono più riuscito a dormire in quella casa senza
l’aiuto dei
farmaci, soprattutto beh… lo sa già»
Jack annuì.
«Non dormo più neanche nel letto, per cui ci ho
messo un momento a raggiungere
la camera dal divano e a mettere a fuoco la situazione. Quando
l’ho visto,
però, l’ho riconosciuto subito e vuole sapere come
mi sono sentito?» lo guardò
dritto negli occhi «Mi sono sentito sollevato: un regalo del
destino, la mia Marian – colei
che amavo più della mia stessa vita –
finalmente vendicata, lo stesso giorno»
«E’ per questo che ha fatto finta di niente quando
siamo venuti?»
«Sì» esalò, stringendo le
mani attorno alla tazza
«Scioccamente speravo che rimanesse
un segreto solo mio ma c’era da aspettarselo che avreste
scoperto tutto molto
fretta»
«Perché ha cambiato idea?» volle sapere
Jackson sinceramente curioso.
«Da quando lei e il suo collega ve ne siete andati, quel
sollievo si è
trasformato in vergogna: non ho fatto altro che pensare a come Marian
non
avrebbe mai approvato» due lacrime gli sfuggirono dalle
ciglia scure.
«E’ passato un intero giorno, ci ha messo un
po’ a convincersi»
«Si vede che lei è fortunato detective e che una
cosa così non deve averla
provata mai» ribatté improvvisamente alterato
«Sa qual è la cosa più buffa in
tutto questo? A farmi incontrare la mia Marian è stato
proprio John Lionheart,
lo stesso uomo che me l’ha portata via»
Jack alzò le sopracciglia stupito, questo era inaspettato
«In che senso?»
«Io lavoro per un’associazione che difende i
diritti umani: combattiamo per i
più deboli e i più poveri, contro i soprusi dei
ricchi e potenti e lo facciamo
in tutto il mondo» prese fiato «Prima di essere
estromesso dalle Lionheart
Industries, John era il responsabile del loro offshore. Le lascio
immaginare in
quali condizioni facesse lavorare quelle povere persone: il tutto ben
nascosto
ovviamente, persino Richard non ne era a conoscenza, aveva ancora
fiducia nel
fratello a quel tempo. Potevamo solo protestare ma, senza prove
concrete, non
avevamo modo di agire. Marian, però, credette in noi e
s’infiltrò»
La memoria del detective si accese «Sebbene non fossi qui, mi
pare di ricordare
qualcosa in merito»
«Oh sì, fu uno scandalo di livello nazionale:
l’azienda crollò in borsa e
rischiò il fallimento ma Richard – e Marian
– rimisero le cose a posto e,
finalmente, Prince Johnny»
rimarcò con disprezzo «Perse ogni diritto
sugli affari di famiglia»
«Mi sta dicendo che l’incidente di sua moglie non
fu casuale?» chiese,
spostandosi un poco sulla sedia e lanciando un’occhiata
fugace al grande
specchio che gli stava alle spalle, vagamente a disagio.
Robert Locksley guardò la sua tazza, ormai vuota
«John non era nuovo all’uso di
alcol e droghe. Quando la investì nemmeno si
fermò. La polizia che lo intercettò
poche ore più tardi, grazie all’aiuto di alcuni
testimoni, lo trovò che non era
in condizione di ricordarsi nemmeno il suo nome. Forse fu solo un
crudele
scherzo del destino, forse lo fece di proposito… la
verità è che io non lo so e
non lo saprò mai»
Jackson si passò una mano sulla nuca «Non capisco
perché mi stia raccontando
tutto questo, a meno che ora non mi confessi di essere stato lei ad
uccidere
John Lionheart»
Inaspettatamente l’altro rise «Non sarò
di certo una volpe ma non sarei
mai stato così sciocco da lasciarlo sotto alla mia finestra
in quel caso, non
crede?»
«Ineccepibile» concesse quasi divertito da quella
reazione «Ma, per sicurezza,
sa dirmi come ha passato la sera del ventuno?»
«Urca, urca… fa sul serio
detective» quasi lo canzonò mentre, per un
secondo, un lampo dell’uomo che era riaccese il suo sguardo
per, poi, spegnersi
immediatamente «Ero dal mio più caro amico e dalla
sua famiglia, non mi piace
stare da solo quando quel giorno si avvicina»
«Ma è rientrato a casa,
perché?»
«Il mio analista è un ferreo sostenitore del fatto
che il dolore vada
affrontato. Sono rientrato verso l’una. Nel caso se lo stesse
chiedendo, il mio
amico abita esattamente due piani sopra di me»
«Immagino che questi suoi amici saranno ben lieti di
confermare» quando lo vide
annuire, continuò «Come si chiama il suo
analista?»
«Dottor Kozmotis Pitchiner, esperto in terapia di
elaborazione del lutto»
Jack si appuntò il nome «Bene, ora vuole dirmelo
il motivo per cui è qui, sì?»
«Per questo» Robert Locksley tirò fuori
un cartoncino dalla giacca «L’ho
trovato questa mattina nella posta. E’ stato un vero
regalo,
detective. Ebbene io non lo voglio, non sono come John
Lionheart»
Indossava un lungo cappotto celeste, da cui spuntava una morbida sciarpa bianca, jeans chiari e stivali che le arrivavano fino al ginocchio. Portava i capelli biondi completamente sciolti, il che significava che, anche lei, era lì ben al di fuori del suo orario di lavoro.
«Els… Dottoressa Bleket» si corresse subito «Le mancavo per caso?» la punzecchiò comunque, incapace di trattenersi.
Lei lo ignorò e tirò fuori un foglio dalla sua tracolla «Le ho portato il risultato del tossicologico: oltre alla cocaina, John Lionheart aveva nel sangue un’altissima concentrazione di fenilciclidina»
«La polvere d’angelo?»
«Pensiamo gli sia stata somministrata in forma liquida, vista la grande quantità. E’ un potente psicotico dissociativo e neurotossico, in grado di creare allucinazioni perfettamente realistiche. Il tutto è in linea con la mia tesi» spiegò, riportando l’attenzione sull’uomo al di là dello specchio.
Jack annuì «Come mai sei venuta?» la interrogò, poi, facendo cadere quello stupido distacco che lei cercava a tutti i modi di mantenere.
Elsa inarcò le sopracciglia stupita «L’ho appena detto»
«Visto l’amore che hai dimostrato per me fino adesso, perché non me l’hai inviato per mail? O, ancora meglio, fatto arrivare tramite la tua assistente?» non la vide ribattere, perciò continuò «Sai cosa penso? Penso che tuo cognato ti abbia detto che lui era qui» spiegò, indicando il vetro con un cenno del capo «Volevi sapere come ci si sente una volta ottenuta vendetta?» lei trasalì «Lo vedi da te, è un uomo distrutto: aver visto il cadavere dell’assassino di sua moglie non ne ha rimesso assieme i pezzi»
Elsa strinse i denti, quasi si era dimenticata di con quanta naturalezza lui riuscisse a leggerle dentro ma non confessò, né smentì «Che cosa ti ha dato?»
«Qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci» le rispose, porgendole il sacchetto «Se è vero quello che c’è scritto, John Lionheart è stato solo l’inizio»
Lei lo prese, con mani leggermente insicure e lesse ciò che vi era scritto sopra con dei ritagli di giornale:
Ed
ecco il primo vero capitolo di questa storia. Mi rendo conto che fosse pressoché impossibile indovinare la prima vittima ma si trattava, nientepopodimeno che, del terribile Principe Giovanni. Essendo fratello di Riccardo Cuor di Leone, il cognome Lionheart è venuto da sé. Chiaramente mi ha fatto estremamente male dipingere questo crudele destino per Marian e suo marito Robert (che chiaramente è il meraviglioso Robin Hood) ma, come vi dicevo, il dramma abbonderà fra queste righe: spero mi perdonerete e che, con i vari riferimenti alla pellicola animata, sia riuscita un pochino ad attutire il colpo anche se, lo so, è piuttosto duro. Spero anche che il loro background vi abbia soddisfatto. Per il cognome di Marian ho seguito Wikipedia, per quello di Robin invece non ci sono molti dubbi in merito alla sua provenienza. Vista la quasi maniacale attaccatura di Giovanni per sua madre, ho pensato che la cosa potesse essere stata reciproca, a quanto pare in maniera errata perché il principe dice espressamente che ha sempre preferito Riccardo, sigh, la mia memoria non è più quella di una volta ma quella di qualcun altro funziona benissimo ;) Ma dato che stiamo pur sempre parlando di una leonessa, penso ci possa comunque stare il suo attaccamento al buon nome della famiglia che l'ha portata a voler salvare quel figlio criminale seppur allontanandolo dagli affari ;) Che dite, ci può stare? Me la passate, sì? *Occhioni da cerbiatto* Inoltre ha fatto la sua apparizione anche Rapunzel, il cui cognome deriva principalmente dal simbolo del regno di Corona e dal suo potere, trasformandola in una specia di Garcia di Criminal Minds, perché un tipo così artistisco e creativo potrebbe tranquillamente abbracciare il mondo digitale e tutti i suoi segreti, almeno per me. Spero vi sia piaciuta, ragionevolmente posso dire che tornerà ;) E, sebbene non si sia visto, un certo nome è venuto fuori... ve lo avevo detto che il grigio non era casuale! Grazie a chi ha deciso di seguire questa storia e a chi mi ha lasciato le sue impressioni per il prologo! Come sempre spero di avervi fatto passare un piacevole momento di svago. Alla prossima Cida |