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Autore: DDaniele    20/05/2022    1 recensioni
Bernard si ubriaca a una festa di addio al celibato, con risultati imprevedibili. La storia si incentra sulla ship TimBer (Tim x Bernard).
La fanfiction è stata scritta come parte della challenge MayIWrite 2022 indetta sul gruppo Facebook "Non solo sherlock" sviluppando i seguenti promtpt: Addio al nubilato/celibato, "Non l* vedrai più."
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Robin, Tim Drake
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   Bernard arrivò trafelato al ristorante The Lion, il locale più in voga tra la gioventù bene di Gotham City. Cercò con lo sguardo i suoi amici davanti all’ingresso, ma non li vide. Probabilmente dovevano essere già entrati, pensò, così si avviò verso il portale d'accesso dove si trovava un cameriere che su un leggio posto davanti a lui teneva un libro con su scritti i nomi dei prenotati della serata e un usciere massiccio e arcigno che aveva il compito di impedire l’accesso ai tanti ragazzi che volevano imbucarsi nel locale. Bernard si avvicinò all’ingresso e il cameriere gli rivolse un ampio sorriso che svelò dei denti di un bianco candido. Bernard non poté fare a meno di notare i suoi capelli dal taglio costoso e curato e la maniera in cui la divisa, impeccabile, cingeva stretta un corpo che, sotto la stoffa di ottima fattura del vestito, appariva ben allenato, dai muscoli torniti e guizzanti. Bernard si sentì in imbarazzo per aver osservato il corpo di un ragazzo che non fosse Tim, ma si giustificò dicendosi mentalmente che una persona così bella era probabilmente stata messa all’ingresso proprio per far colpo su passanti e avventori con la sua bellezza.
   Dopo un momento di esitazione, Bernard diede il suo nominativo al cameriere e disse di far parte della festa di addio al celibato organizzata da Arnold Spiek. Il cameriere girò alcune pagine del libro delle prenotazioni per arrivare alla voce “Gruppi” e ne scorse le righe con la sua mano guantata fino a trovare il nome che Bernard gli aveva indicato. “Ecco qui, Bernard Dowd. Le auguro una piacevole serata.” Il cameriere accompagnò queste parole pronunciate con garbo professionale con un sorriso civettuolo che a Bernard sembrò un gesto non di cortesia professionale ma un tentativo di flirt rivolto proprio a lui. Bernard, lusingato e imbarazzato allo stesso tempo, rispose bofonchiando qualcosa di incomprensibile e si volse piuttosto verso il buttafuori, che si avvicinò alla doppia porta d’ingresso per aprirla e far entrare Bernard nel locale.
   Una volta dentro, una cameriera accompagnò Bernard al tavolo dei suoi amici. Seguendo la cameriera, Bernard attraversò l’ampia sala d’ingresso osservandosi attorno meravigliato. La sala era coperta da una cupola in vetro sorretta da delle travi in acciaio e la sua pianta era larga di alcune decine di metri, abbastanza da ospitare almeno 200 clienti solo in quel primo salone. Bernard seguì la cameriera attraverso altre due sale simili, con il soffitto in vetro oltre il quale brillavano le stelle e in cui l’illuminazione proveniva da alcune lampade a forma di fiaccole affisse ai muri ai lati. Infine, la cameriera fece accomodare Bernard in un privé prenotato da Arnold per la sua festa. Arnold si trovava già nella stanza, seduto a un tavolo rotondo insieme ad un amico suo e di Bernard, Charlie, il testimone di nozze di Arnold.
   Quando Bernard entrò nella sala, Arnold si alzò dal suo posto per accoglierlo. Gli venne incontro e gli cinse un braccio intorno alle spalle. “Scusa se non ti abbiamo aspettato prima di entrare, ma stavi facendo tardi e volevamo cominciare a mandare avanti le ordinazioni. Questa serata deve essere e-pi-ca” disse Arnold scandendo le sillabe e tirando alcune pacche sulla schiena di Bernard come a scandire il tempo. Poi il ragazzo si girò verso la cameriera, che era rispettosamente rimasta sulla soglia, e le chiese di portare un’altra tartarre di manzo per il suo amico e un’altra bottiglia di champagne. Dopo che la ragazza ebbe preso la comanda, Arnold fece accomodare Bernard al suo posto. Questi salutò Charlie e si mise a sedere. “Allora, cosa mi sono perso?” “Mah, nulla di che,” rispose Charlie, “Arnold ha ordinato i nostri antipasti e ha cominciato a bere già a stomaco vuoto” disse Charlie con un tono di rimprovero rivolto a Arnold. “Oh, andiamo,” rispose Arnold di rimando, “questa è l’ultima giornata di libertà che mi rimane prima che mia moglie” e qui si interruppe e si passò la mano messa orizzontalmente davanti alla gola, mimando una decapitazione, “voglio divertirmi più che posso!” “Sì,” riprese a dire Charlie con tono esasperato, “ma se l’alcol ti va subito alla testa sarai troppo scucuzzato per divertirti! Tra un’ora non capirai niente di quello che sta succedendo, figuriamoci se tra anni ti ricorderai questa serata e-pi-ca” disse Charlie scandendo le sillabe per prendere in giro Arnold. “Oh, sei un guastafeste! Lasciami fare le cose con il mio stile per una volta!” Charlie si girò verso Bernard con un sguardo incerto. “Beh, se la metti così, non posso che assecondarti. Lo sposo sei tu.” Bernard già pregustava gli scherzi che avrebbe tirato ad Arnold una volta che a questo fosse venuta la sua solita sbornia allegra. “Ma sì, lasciamo fare” assentì rivolto a Charlie. Raggiunto un accordo, Bernard si allungò sul tavolo, prese la bottiglia di champagne mezza vuota e ne versò un bicchiere ad Arnold.
   Arnold ne ingollò il contenuto con un sorso solo. “Ehi,” disse Arnold rivolto a Bernard, “prendine anche tu” e prese il collo della bottiglia per versare dello champagne a Bernard. “No no, per me stasera niente alcol.” “Che cosa? E perché?” Bernard arrossì imbarazzato, ma decise di rispondere con sincerità ai suoi amici. “In passato, quando mi sono ubriacato mi è capitato di portarmi a casa dei ragazzi e delle ragazze. Ora che mi sto frequentando con Tim, me ne vergogno e non voglio che succeda di nuovo.” “Ma che tenero” disse con uno schiocco delle labbra Arnold, il cui viso già tendeva a diventare paonazzo, “il Dowd vuole rigare dritto. Dovrei fare lo stesso, ma in tutta onestà io spero che stasera mi capiti una scappatella. L’idea di dovermi” Arnold si interruppe, un po’ per cercare la parola giusta, un po’ perché iniziava a incespicare nelle frasi sotto i primi effetti dell’alcol “dedicare da qui in poi solo a Sarah” disse accompagnando la frase con un gesto scurrile del pugno, “non mi va molto giù. Ma vabbe’, se non avessi accettato di sposarla mi avrebbe lasciato, quindi non potevo che accettare.” Bernard e Charlie si fecero silenziosi sotto il peso delle affermazioni di Arnold. Questo, invece, non diede segno di essersi accorto della gravità dei sentimenti che aveva rivelato, forse perché si era ormai abituato all’idea, ma forse anche perché l’alcol lo spingeva sia a sbottonarsi sia, paradossalmente, a non rendersi conto di quanto andava dicendo. Un’atmosfera di tensione calò sui due invitati mentre Arnold continuava a piluccare la tartarre prendendo i pezzetti di carne uno ad uno con la punta della forchetta.
   Bernard e Charlie si riscossero quando, con loro grande sollievo, due camerieri entrarono nel privé portando altrettanti vassoi. Uno dei camerieri mise sul piatto di Bernard la sua tartarre di antipasto, mentre l’altro servì ad Arnold e Charlie il primo piatto, ostriche fresche. Mentre venivano serviti tra i gridolini estasiati di Arnold, Bernard vide con la coda dell’occhio il cameriere che occupava il leggio all’ingresso entrare di soppiatto nella stanza. Muovendosi con passi lievi come se non avesse voluto farsi sentire, il ragazzo portava con sé delle bottiglie di champagne. “Gradite un altro bicchiere?” Arnold e Charlie accettarono. “Per me no, grazie” Bernard disse per rifiutare l’alcol. Il cameriere, così asettico con i suoi amici, gli rivolse uno sguardo ferito da cucciolo smarrito. “Ma come no!” gli disse con voce civettuola. “No, grazie, preferisco di no,” rispose Bernard. Il ragazzo non insisté, ma mentre gli altri due camerieri lasciarono la stanza lui rimase lì vicino al tavolo, la bottiglia di champagne in mano, riempendo i bicchieri di Arnold e Charlie a turno. Ogni tanto, Bernard lo vide lanciarsi delle occhiate attorno, come se si fosse voluto accertare che i tre clienti fossero soli.
   Poco dopo, Arnold divenne completamente ubriaco. Il viso paonazzo, sbiascicava qualche parola incomprensibile e dalla sua bocca emanava un forte odore di alcol. Con un gesto repentino, il cameriere gli si portò accanto e con un calcio scostò il tavolo in modo da avere lo spazio di mettersi davanti al festeggiato. Dopodiché, si calò con un gesto allenato le bretelle della divisa e si tolse la camicia dal petto strappandosela di dosso ancora chiusa con un gesto teatrale. “Perché c’è uno spogliarellista in un locale così elegante?” disse Bernard rivolto a Charlie. Arnold rispose per lui: “Ti pare che chi lavora in un locale fighetto si lascia scappare l’occasione di arrotondare con feste e addii al celibato!” Bernard si sentì a disagio e Charlie cominciò a ridere a crepapelle. Pensando di allontanarsi il tempo in cui sarebbe durato lo spogliarello, Bernard andò verso la porta del privé, ma questa si aperse ed entrarono nella stanza due cameriere vestite solo in lingerie che portavano dei vassoi con degli shot più alcolici dello champagne. Alla loro vista, Bernard diede un gridolino degno di una nobildonna puritana ferita nel suo candore e Charlie prese a ridere in maniera scomposta. Bernard non se la sentì di aggirare le cameriere così tornò verso il tavolo. Una volta lì, però, si accorse che il cameriere lo stava aspettando e ora si era tolto anche i pantaloni, le scarpe e i calzoni, rimanendo solo in un suspender che metteva in risalto il suo pacco mentre lasciava il sedere nudo. “Perché non mi degni neanche di uno sguardo, carino? Guarda che il tuo disinteresse potrebbe offendermi” disse il cameriere con un finto tono di rimprovero.
   Preso tra due fuochi, Bernard non sapeva cosa fare. Nella confusione che si agitava nella sua testa, non trovò altra soluzione che prendere la bottiglia di champagne rimasta insieme a un bicchiere e andare nell’angoletto della stanza. Il viso rivolto al muro bianco, Bernard si sedé a terra, stappò la bottiglia, si versò un bicchiere del suo contenuto e cominciò a bere. Una delle cameriere, confusa dal comportamento di Bernard, si avvicinò a lui. “Va tutto bene?” Per tutta risposta, Bernard si versò altri due bicchieri di champagne e li bevette tutti d’un sorso. “Certo. Vedi? Sono così ciuco che penso solo a bere, non riesco a pensare a voi” per rincarare la dose, Bernard si fece passare uno degli shot che la cameriera portava sul vassoio, mentre lui rimaneva sempre con la testa rivolta al muro per impedirsi di sbirciare il corpo seminudo della ragazza con la caparbietà di un monaco tibetano gettato nel mezzo delle tentazioni terrene.
   Capito che non era il caso di infastidirlo, il cameriere e le due colleghe concentrarono le loro attenzioni su Arnold, che sembrava apprezzarle, così il cameriere si esibì per lui in una lap dance mentre le due ragazze passavano al festeggiato shot su shot. Nonostante l’alcol, Arnold si riprese un po’ dalla sbornia e si appartò con il cameriere in uno sgabuzzino del personale. Charlie capì che la serata volgeva al termine e andò a chiamare Bernard. Questi si trovava ancora seduto a terra a mandare giù bicchieri sempre più vuoti di champagne. “Bernard, puoi smettere di bere. Se ne sono andati. Non ti infastidiranno più.” Bernard poggiò la bottiglia ormai vuota a terra. “Tim non vorrà più saperne di me.” “Oddio no, non la sbornia triste di Bernard” disse Charlie esasperato. “Non ti preoccupare, Tim non avrà niente da ridire. Gli spogliarellisti erano per Arnold, non per te, e cavolo tu non li hai nemmeno guardati. Non è che hai tradito Tim o che so io.” “Non è vero, dici così solo perché sei mio amico” disse Bernard con tono lamentoso, mentre le spalle gli tremavano come se fosse stato sul punto di mettersi a piangere, “l’ho deluso e lui non vorrà più saperne di me.” “Ok, se vuoi che ti dica quello che vuoi sentirti dire ti assecondo: Non lo vedrai più, va bene? Soddisfatto?” Bernard distolse per la prima volta da venti minuti circa lo sguardo dal muro e si volse verso Charlie, il viso inondato di lacrime. “Oh mio dio, che cosa ho fatto. Tim, perdonami.” Charlie, divertito dall’atteggiamento esagerato di Bernard, decise che non c’era modo di farlo ragionare, così decise di portarlo a casa in modo che dormendo gli sarebbe passata la sbornia. Gli cinse un braccio intorno alla vita, lo aiutò ad alzarsi e insieme lasciarono il locale.
   Mentre si trovavano in strada, Charlie sentì gli effetti della sbronza dargli di nuovo alla testa. Lasciò quindi andare Bernard e si accasciò a terra sulla strada. Bernard, barcollando per tenersi in piedi, continuava a biascicare ad alta voce. “Io lo sapevo, non dovevo venire con te e Arnold, ora Tim mi lascerà!” Mentre parlava, Bernard continuava ad avanzare con passo instabile finché non andò a sbattere contro il coperchio di un bidone lasciato a terra. Intralciato dall’oggetto, Bernard cadde addosso al bidone che andò a sbattere con un effetto domino su una pattumiera all’angolo di una stradina, sollevando un gran fracasso. Charlie si riscosse dal posto in cui stava accasciato e si avviò verso Bernard.
   Con la coda dell’occhio, Charlie intravide una figura scura piombare dall’alto accanto a lui. “Avete bisogno di aiuto?” Charlie si voltò verso lo sconosciuto. La sua mente, ora snebbiata dagli effetti dell’alcol, registrò il fatto che l’altro indossava sulle spalle un vistoso mantello all’esterno nero e all’interno giallo, una calzamaglia nera nella parte inferiore del corpo e rossa nella parte superiore e il suo viso era celato da una maschera a forma di pipistrello con le ali dispiegate. Riunendo insieme gli indizi, Charlie si rese conto che lo sconosciuto che gli prestava soccorso era Robin, l’aiutante di Batman.
   “Non è successo nulla, non preoccuparti. Io e il mio amico siamo un po’ sbronzi, ma ora chiamo l’autista di mio padre e ci faccio venire a prendere.” Così dicendo, Charlie prese l’Iphone e digitò un numero. “Sta arrivando” disse Charlie dopo aver chiuso la chiamata. In imbarazzo alla presenza del supereroe, Charlie si allontanò un po’ in attesa dell’autista.
   “Tu sei Tim Drake, giusto?” Robin si girò di scatto. La persona che aveva parlato era la stessa che aveva visto caracollare contro il bidone della spazzatura mentre lui si trovava di pattuglia sopra il tetto del palazzo. Da quella posizione sopraelevata, non aveva riconosciuto chi fosse quella persona, ma ora si accorse che era Bernard. Mentre Charlie telefonava all’autista, Bernard si era avvicinato furtivo a Robin cogliendolo di sorpresa.
   “Sei Tim Drake, vero? Coraggio, rispondimi. Sono il suo fidanzato e ti ho riconosciuto.” Ripresosi dalla sorpresa, Robin riconobbe nell’altra persona Bernard. Questi si reggeva malamente in piedi e stava con le gambe lievemente divaricate, risultando un po’ più basso di Robin. La testa rivolta all’insù, squadrava Robin con sguardo indagatore. “Voglio dire: siete alti uguali, portate lo stesso taglio di capelli e… e… ecco, Tim ha spesso delle cicatrici e delle contusioni che non sa spiegare. Dice che se le fa quando va sullo skate, ma sono segni di colpi troppo violenti perché siano dei lividi che si fa quando cade dallo skate. Ma se combatte il crimine in incognito, tutto ha senso.”
   Robin guardò Bernard con una punta di divertimento. Dalla sua voce arrivava un leggero odore di alcol, ma le sue pupille non erano annebbiate né aveva le guance rosse, dunque non sembrava veramente ubriaco. Eppure, ragionava in maniera sconnessa e sbiascicava quando parlava. Nonostante questo, però, aveva indovinato la sua identità segreta quando, a mente lucida, non ci sarebbe mai riuscito. Robin scoppiò a ridere per l’assurdità della situazione. “Ehi, perché ridi? Ti ho fatto una domanda, rispondimi.”
   Per fargli dimenticare di Tim, Robin cominciò a parlare con Bernard per confonderlo e far trascorrere il tempo in attesa della macchina di Charlie. Poco dopo, la macchina arrivò, l’autista alla guida apparentemente abituato ad andare a riprendere il figlio del capo in tarda notte. “Bernard, vieni, ti riaccompagno a casa.” “Penso io a lui,” si frappose fra loro Robin. “Sei sicuro? Io conosco bene la strada, lui non la ricorderà ridotto così.” “Non preoccuparti, ho tutto in database,” rispose Robin, “preferisco evitare che due ubriachi girino per la città e che ritorniate ciascuno a casa il prima possibile.” “Va bene, come vuoi. Ciao, Bernard. Cerca di svegliarti domattina per la cerimonia. Sempre che Arnold si presenti e non scappi con il cameriere. Ciao.” Charlie montò in macchina che partì poco dopo.
   “Allora, dove abiti?” chiese Robin a Bernard. Questi gli dettò l’indirizzo, senza più ricordarsi che aveva pensato che Robin fosse Tim e, se così fosse stato, Tim avrebbe dovuto sapere dov’era casa sua. Invece Bernard non accennò a questo fatto, dando segno che si era dimenticato della sua intuizione secondo cui Robin fosse in realtà Tim Drake. Robin formulò nella sua mente la stessa considerazione. In cuor suo, era divertito che Bernard avesse capito la sua identità in una situazione così assurda, spinto dall’alcol e non da una riflessione logica. Inoltre, se Bernard avesse capito la sua identità avrebbe potuto condividere con lui questo segreto, dal quale gli pesava tenerlo all’oscuro. Nonostante ciò, Robin si sentì anche sollevato che Bernard avesse dimenticato la sua intuizione, perché se avesse ignorato la sua identità sarebbe stato al sicuro, perché nessuno dei nemici di Batman avrebbe avuto motivo di nuocergli.
   In breve tempo, Robin e Bernard arrivarono davanti alla villetta di quest’ultimo. Robin notò che le luci erano spente, segno che i genitori di Bernard erano già andati a letto. Bernard fece per suonare il campanello d’ingresso, ma Robin rifletté che fosse meglio se i genitori non vedessero il figlio sbronzo o lo avrebbero messo in punizione, così portò Bernard sul retro sotto la finestra della sua camera e con il rampino issò se stesso e Bernard sul tetto, poi aprì la finestra da fuori ed entrò insieme a Bernard nella camera da letto. Infine, Robin lo mise a letto come se fosse un bambino e fece per avviarsi verso la finestra per andarsene.
   “Aspetta,” gli disse da dietro Bernard, “tu sei Tim Drake, vero?” Stavolta Bernard aveva un tono più sicuro di sé. Trattenendo il fiato, Robin si portò al fianco del letto. Per un millesimo di secondo il desiderio di dirgli “Sì, sono io,” ebbe la meglio su di lui, ma si trattenne. Dopotutto rivelargli la sua identità segreta sarebbe stato un bene, perché Tim avrebbe potuto contare sul suo appoggio e inoltre non avrebbe dovuto nascondergli la verità. Nonostante questo, il frangente, con Bernard brillo che forse la mattina dopo avrebbe dimenticato tutto, non era il migliore per una rivelazione così importante. Così Robin decise di mentirgli: “Non conosco nessun Tim Drake. Ci sono molti ragazzi della mia altezza con i capelli neri. Se il tuo fidanzato ha spesso dei lividi sarà perché cade dallo skate, come dicevi anche tu prima.” “Ah già, ha senso” disse Bernard con voce ora non più sbiascicata dall’alcol bensì impastata dal sonno. Robin rise sotto i baffi del fatto che, paradossalmente, Bernard ubriaco aveva scoperto che la scusa dello skate era una bugia, mentre Bernard assonnato vi aveva creduto senza battere ciglio.
   Bernard, stanco per la serata, si addormentò di colpo. Robin gli accarezzò la guancia come faceva sempre quando era Tim e se ne andò dalla camera da letto, chiudendosi la finestra dietro di sé.
 
   
 
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