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Autore: Martin Eden    21/05/2022    1 recensioni
Ciao a tutti! Dopo anni di latitanza, mi è venuta voglia di tornare su questo Fandom, che ho tanto amato...e lo faccio con una vecchia storia LOTR che ho ripreso in mano ultimamente, dopo aver rivisto i film della trilogia de Lo Hobbit...mi è venuta voglia!
Scommetto che molti di voi, come me si sono posti questa domanda: ma Legolas e Aragorn dove si saranno conosciuti?! :D
Questa fanfiction cercherà di dare una risposta...allora voi leggete e commentate! :)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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Aragorn

 

Camminammo per altri due giorni, instancabilmente. Eravamo ormai giunti quasi ai piedi della roccaforte di Fornost, che ci osservava dalla cima di una falesia, sempre più fosca e sinistra di quanto non lo fosse mai stata.

C’era un silenzio soprannaturale, tutt’attorno, interrotto solamente dal passaggio saltuario di qualche stormo di corvi. Il loro gracchiare mi coglieva ogni volta di sorpresa, come se non mi aspettassi di trovarli lì; in effetti, data l’evidente mancanza di cibo in quell’inverno, dovevano avere un altro motivo, altrettanto valido, per indugiare su quella piana. Non sapere quale fosse e se avesse a che fare con noi, mi riempiva di malanimo.

Legolas non sembrava accorgersene. Scandagliava i dintorni con la precisione di uno specchio riflesso. Non c’era nebbia che potesse tenergli testa, né affaticamento.

Io facevo la mia parte. Cercavo delle tracce, degli indizi, per terra, dove lui non guardava. Un paio d’occhi in più potevano giusto servire, ma non riuscivo a trovare niente. Forse la nostra era una ricerca vana; solo che ormai ci eravamo incaponiti e nemmeno un branco di buoi avrebbe potuto smuoverci da lì.

Anche io mi sentivo parte di un tutto, come se tra gli steli ingrigiti dalla stagione e i rovi anneriti avessi potuto raccattare un pezzo di me. Seguivo le orme di Legolas cercando invano le mie, quelle che avevo lasciato molto tempo fa. Quelle di un ragazzo al quale era stato promesso un grande futuro in cambio della sua totale devozione ad esso. Quelle di un'anima spaventata che a lungo aveva vagato rinnegando il suo vero nome. Quelle che infine mi avevano ricondotto verso la luce della conoscenza.

Mi piaceva l'idea di ricalpestare la Storia, per comprendere appieno il mio compito. Ma per il momento non vedevo altro che un labirinto senza via d'uscita.

Dovevo solo avere pazienza, ecco tutto.

Poi, un giorno, accadde qualcosa.

Vidi Legolas che si bloccava improvvisamente, fissando un punto preciso del paesaggio. Guardai anch’io in quella direzione, ma l’oggetto della sua attenzione si trovava più lontano di dove potessi vedere:

- Laggiù.- indicò con sicurezza.

Passammo le successive due ore diretti su quel punto, allontanandoci momentaneamente da Fornost e dalla sua ombra. Avere quella città fantasma dietro le spalle non era meno terribile che averla davanti agli occhi. Ogni tanto mi voltavo indietro a controllare che nessuno ci inseguisse: non volevo trovarmi di balia di qualche altra creatura fetida e non essere preparato.

Non successe nulla. I miei piedi ormai andavano in fumo quando finalmente giungemmo dove Legolas voleva arrivare:

- Guarda.- mi richiamò.

Guardai.

Davanti a noi si apriva un cerchio di terra brulla, senza più erba né pozzanghere, né neve. Come un piccolo deserto in mezzo alla natura, pareva recare l’impronta di tempi andati e mai più ricresciuti.

Lo strano pianoro era sovrastato da una modesta collinetta, anch’essa brulla, in cima alla quale svettava un curioso monumento: era stato quello ad attirare la vista di Legolas.

Prima ancora che potessi mettere a fuoco, il mio amico era già avanzato su per la collina. Subito sfoderai i coltelli da lancio: quel luogo era fin troppo esposto per i miei gusti, e i nemici avrebbero potuto avvistarci da ogni dove. Non capivo come l’elfo avesse potuto lasciare da parte ogni prudenza per correre fino alla cima. Ora toccava a me proteggergli le spalle.

Gli feci un fischio, ma lui nemmeno si voltò. Era ormai giunto dove voleva.

L'effigie era alta quasi quanto lui, e assolutamente ben piantata. L'elfo allungò una mano per toccarla; tuttavia, come la sfiorò, una specie di scossa fece tremare il suo corpo, così come anche il mio.

- Che cos’è?- gli gridai preoccupato, ma Legolas non rispose. Ci girava attorno, osservando, incerto sul da farsi.

Decisi di lasciar perdere la guardia e mi avviai anch’io su per la collina, appiattendomi lungo il pendio. Arrivai in fretta, sicuro di voler togliermi quanto prima quella pietruzza dallo stivale.

Non toglievo gli occhi di dosso a Legolas, che pareva quasi stregato dalla situazione, tanto da aver persino dimenticato di stare all’erta.

Quando gli fui davanti, mi resi conto di che cosa ci fosse di così profondamente disturbante.

La forma era composta da una serie di spade legate insieme, sormontata da un’asse in ferro: su di essa, vi erano iscritte delle rune elfiche ormai rese quasi illeggibili dal tempo e dalla pioggia. Mi avvicinai di più, stringendo gli occhi per cercare di distinguere le lettere, ma era impossibile. Troppa l’incuria da parte delle nubi e dei venti, forse troppo stanche le mie pupille mortali.

Legolas se ne stava ritto di fronte a me, al di là del mazzo di spade arrugginite, con lo sguardo come perso nel vuoto. Ma non lo era affatto, solo lo era ad occhi inesperti. I suoi pensieri si concentravano tutti su un unico riferimento, a me invisibile. Dovetti fare il giro e far combaciare le nostre spalle, per rendermi conto.

Sul retro della spranga di ferro, un simbolo era stato inciso, marchiato a fuoco nel metallo: si stagliava nitido contro il sole che adesso accorreva per illuminarci il cammino a cui non eravamo più interessati.

In quel sigillo riconobbi l’antico stemma di Boscoverde il Grande, così come l’avevo studiato sui libri.

Capii allora che era probabilmente ci trovavamo di fronte alla tomba della Guardia Elfica di re Thranduil.

La portata di quella tragedia mi investì con tutta la sua forza. Non osai pensare a cosa potesse scatenare nella mente del mio amico.

Lì giaceva la parte migliore della sua razza, esseri nobili che avevano dato la vita per il loro Re e per il loro mondo. Avevano rappresentato il misero prezzo che le Armate Unite avevano pagato per distruggere la roccaforte di Fornost e sbaragliare le schiere del re Stregone. La battaglia di Angmar non era ricordata per la sua particolare atrocità, difatti – ma ora sembrava inammissibile anche solo pensarlo, di fronte a quel tumulo. Lì erano stati versati anime e sangue per il Bene supremo, per il bene comune. Pareva assurdo eliminare il tutto in una riga di Storia.

Lo sguardo di Legolas si alzò lentamente verso la vecchia capitale del Male. Vagabondò per un po’ fra le sue guglie e i suoi antichi bastioni, ritornò sui campi, mentre un vento freddo si intrufolava sotto i nostri vestiti e ci scompigliava appena i capelli. Poi tornò alle spade raccolte, senza che fosse stata versata una sola parola.

Non ce n’era bisogno.

Notai che l'elfo aveva gli occhi lucidi, come se avesse riconosciuto in quelle poche braccia di ferro una parte inedita di se stesso.

Io mi inginocchiai a terra e cominciai a pregare.

 

Erano giorni che ci giravamo attorno senza trovare nulla.

Dopo quell'intenso ricordo ai caduti in guerra, non era apparso alcun altro indizio che potesse ricondurci alla madre di Legolas. Non potevo certo dire di essere ferrato sull'argomento, ma mi fidavo delle mie sensazioni, e le mie sensazioni mi dicevano che non c’era più niente che potessimo recuperare.

Legolas si sentiva in gabbia. Erano due notti che non dormiva: sondava i dintorni con la tenacia di un segugio da caccia, in cerca del benchè minimo dettaglio, un tassello fuori posto, un frammento di passato dimenticato lì da una memoria inesperta.

Mi rincresceva vederlo in quello stato. Le ore insonni avevano segnato il suo viso di nuova stanchezza, nonché di assoluta delusione. Non individuava il bandolo della matassa e se ne dava la colpa, come forse accadeva da troppi anni.

Si era chiuso in un mutismo ostile. Non c’era verso di calmarlo; eppure ero sicuro che si sarebbe calmato da sé, prima o poi. Io sarei stato pronto a sorreggerlo, quando e se avesse ceduto per l'estenuazione accumulata. Dovevo essere lì e basta, come avevo giustamente previsto, da leale amico quale mi consideravo.

Aspettavo con pazienza il momento in cui sarebbe crollato. Sentivo che era prossimo. La sua stella ci aveva condotto quanto mai vicino alla verità, ma non bastava. Il mistero non era ancora stato districato e lui non retrocedeva di un passo.

Nonostante continuassi ad accompagnarlo, avevo cominciato a farmi delle domande e ad avere paura delle risposte. Sapevo che non c’era fine al peggio, ma dopo tutta quella fatica, il cuore di Legolas avrebbe retto a un nuovo scempio?

A dire il vero, non ero nemmeno convinto che ci sarei riuscito io stesso.

E se non avessimo trovato assolutamente nulla? In tal caso, la disillusione sarebbe stata ancora più cocente.

Il medesimo giorno ci eravamo incamminati verso le mura di Fornost, arrivando alla base della falesia dopo appena un tramonto e quasi tutta una notte di cammino. Avevamo riposato appena, chi per colpa di troppi pensieri e chi per fare la guardia, dandoci un solo cambio.

Ora che eravamo lì, dopo un rapido giro di ricognizione avevo il dubbio che non ci fosse ulteriore accesso alla bastia.

Cercammo nei dintorni uno straccio di passaggio, uno scavo qualunque, infine i resti di quello che avrebbe potuto essere un punto di ingresso: non c’era niente. Ci dividemmo per un po’, ma nessuno dei due trovò una via. Legolas mi comunicò che era sua intenzione provare a spiccare un balzo e arrampicarsi fino in cima. Lo dissuasi: si sarebbe trasformato in un facile bersaglio per ogni razza di avvoltoi e dabbasso sarebbe stato difficile per me coprirgli le spalle.

Inoltre, anche se c’era silenzio, non sapevamo se al di là dei muri troneggiasse qualche guardiano – un enorme Drago, una schiera di orchi e troll, chi avrebbe potuto dirlo. A noi di certo non conveniva attirare troppo l’attenzione.

Legolas sbuffò, un po’ abbattuto.

Avrei voluto accontentarlo, ma davvero, l’ambiente era troppo scoperto. Quasi mi stupivo dell’ingenuità dell’elfo, che aveva evidentemente abbandonato ogni cautela in nome di un bisogno più grande. Dovevo almeno tentare di arginare quella pericolosa deriva.

Più tardi, durante una delle mie perlustrazioni, notai uno stretto angolo a ridosso di due vecchi muri diroccati. Pensai che da lì avremmo potuto risalire la cresta, essendo un po’ più riparati da occhi indiscreti. Ma un’altra cosa mi colpì maggiormente.

Uno strano sfavillio scaturiva da quel cantuccio, il quale avrebbe dovuto essere inglobato dalle tenebre. Invece, brillava di una debole luce.

Ad un’occhiata più precisa, nella penombra riconobbi la delicata sagoma di una fila di orchidee selvatiche, bianche come la folgore. Come mi portai vicino, percepii anche il loro pungente profumo e mi meravigliai di come non ce ne fossimo accorti prima, battendo la zona palmo a palmo.

Senza che avessi potuto avvertirlo, Legolas era già comparso alle mie spalle e si era diretto lì a grandi falcate, senza proferir parola, e ora osservava quei fiori cercando nelle vicinanze qualcosa che potesse ricondurre a sua madre.

Avevamo avuto lo stesso pensiero: quell’odore e quelle forme erano le uniche cose nel raggio di cento miglia che potevano assomigliarle.

Non so se si aspettasse davvero di scovare qualcosa che ci desse assoluta certezza che lei fosse ancora viva. Io avevo i miei timori ma mi tenni in disparte, senza imporre la mia presenza. Faceva male vedere Legolas divorato dalla bramosia mentre scavava un po’ qui e un po’ là, a mani nude, mentre ripassava le pietre con gli occhi, mentre interrogava quel buio e quella debole luce e non trovava risposta. Ma era la sua battaglia, non la mia. Non mi era permesso intromettermi in quella lotta.

Poi, d’un tratto, intravvidi un debole tremolio sopra la sua testa. Sulle prime pensai a un riverbero del sole, ma mi sembrò troppo forte per essere solo un abbaglio.

Una figura magra campeggiava dietro la nuca di Legolas, quasi gli si posava addosso. Sulle prime pensai di scacciarla, temendo un intrigo malefico, ma qualcosa mi trattenne. C’era una tale leggiadria, in quella forma evanescente, che mi suggeriva fosse quanto più lontano da un nemico si potesse immaginare.

Lentamente, lasciai l'elsa della spada che avevo pensato di sguainare.

La figura parve attraversarmi con lo sguardo per un attimo, come se mi avesse sentito. Ma non era interessata a me. Subito si voltò e avvolse nelle sue braccia eteree il mio amico Legolas, che manco se ne accorse, preso com’era dalla sua affannosa ricerca.

C’era qualcosa di talmente materno, in quel casto abbraccio, che pensai di aver trovato ciò che andavamo cercando.

Sua madre, quell'anima mai dimenticata, poteva essere veramente lì, tra noi.

Non sapevo come comportarmi. Quelle braccia e quelle mani diafane non riuscivano ad afferrare l’inverosimile, il sogno tanto agognato, la possibilità di toccare un Legolas cresciuto, lì a un passo.

Se avesse avuto occhi, se avesse avuto viso, probabilmente avrei potuto distinguere una smorfia di rammarico.

Purtroppo, dopo pochi istanti scomparve.

Era stata la visione fugace di qualche minuto. Dubitai persino dei miei occhi: sembrava troppo bello per essere vero. E se fosse stata solo una mia illusione, data dalla fame e dallo sfrenato desiderio di trovare qualcosa che ci desse sollievo?

In quelle terre, sogni e incubi si mescolavano, giorno e notte non avevano più senso. Tutto era in lenta agonia, anche il proprio intelletto. Solo una cosa mi appariva sempre più chiara e netta: la sensazione che ormai non c’era più niente che potessimo fare.

Per questo decisi di tenermi tutto per me, di non dire niente a Legolas, per non turbarlo. Lui, imperterrito, continuava a guardarsi intorno, a scrutare invisibili segni tra le rocce, in mezzo ai fiori in boccio.

- Forse non è morta…- continuava a ripetersi e a ripetermi – Io sento che qui c’è qualcosa di lei...-

Sospirai. Intuivo, senza saperlo con certezza, che la sua ricerca sarebbe stata vana. Era mio preciso dovere rendergli pace, quella poca che gli sarebbe rimasta.

- Io credo lo sia, Legolas. Ma credo anche che ci sarà sempre per te.- affermai.

Lui mi guardò con occhi sgranati, come se si sorprendesse che io lo avessi pugnalato così, alle spalle. Si stupiva che non lo incoraggiassi più, che non gli fossi più accanto nella sua impresa. Ma in verità io c'ero, non l'avevo abbandonato. Non avrei mai potuto farlo. Non avrei mai potuto perdonarmelo. Dovevo solo impedirgli di farsi del male ulteriormente.

Il viso di Legolas si fece scuro: i suoi occhi scrutarono ancora una volta le aspre pareti di roccia, si posarono appena sulle orchidee e iniziarono a incupirsi.

Appoggiò una mano a quei muri nello stesso momento in cui io gliene posavo una sulla spalla.

- E’ meglio fare ritorno.- cercai di rabbonirlo, mentre a ovest cominciavano ad addensarsi nuvole cariche di pioggia. Un vento freddo spirava verso le nostre anime nude, rischiando di portarcele via.

Legolas mi lanciò un’occhiata dubbiosa. Temetti che potesse leggere i segreti della mia mente: rischiava di essere già la seconda volta nella nostra neonata amicizia. Anche stavolta, forse immaginò che ci fosse qualcosa che io sapevo e lui no, ma per fortuna lasciò perdere. Rimuginò piuttosto attentamente sulla mia proposta e per un istante ebbi persino l’impressione che non avrebbe accettato. Sotto la mia mano il suo corpo era rigido e teso, come pronto a scappare, o pronto a combattere un’altra volta. Contro le ombre, però.

Guardò di nuovo la parete di orchidee in fiore e sospirò:

- Non saprò mai chi eri.-

La tensione si allentò. Si liberò dalla mia stretta e in un attimo ripartì verso casa.









***NDA***
Ciaooo!!!!! Ve l'aspettavate?! Ahahaha i colpi di scena sono sempre stati la mia passione e spero che la piega che ha preso questa storia non vi abbia deluso perchè, come dissi sopra, io adoro i copi di scena!
Quindi...sarà veramente finita così? Oppure: quali altri retroscena si nascondono nella mia mente malata?!
Aspetto i vostri commenti grazieeeee

  
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