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Autore: Autumn Wind    26/05/2022    3 recensioni
La guerra è finita: Voldemort è stato sconfitto, con l’inaspettata sopravvivenza di Piton e Lupin. Hogwarts rinasce dalle sue ceneri come un’eburnea fenice, mentre Harry, Ron ed Hermione percorrono le strade che hanno sempre pensato appartenere loro, anche se si sono rivelate molto diverse da quanto sperato. Agli occhi di Harry c’è, tuttavia, qualcosa di profondamente sbagliato nell’andare avanti pur avendo perso tutto, pur avendo permesso che così tante persone morissero per lui.
E proprio sulla scia di questi pensieri, alla commemorazione della Battaglia di Hogwarts, il bambino che è sopravvissuto e la strega più brillante della sua età si troveranno, grazie ad un misterioso libro sepolto nella biblioteca della scuola, a riportare inconsapevolmente indietro i perduti ed i dimenticati, sconvolgendo completamente il sentiero sinora già perfettamente tracciato dal destino, separando e congiungendo anime indissolubilmente legate, come quelle della tenace Hermione e dello sfuggente Severus Piton. Perché l’amore spinge tutti noi a compiere azioni a volte folli, a volte irrazionali, ma, nonostante tutto, è la cosa più preziosa che abbiamo …
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Capitolo Ventinovesimo
 Sedici anni dopo (prima parte)

I bow down to pray
I try to make the worst seem better
Lord, show me the way
To cut through all his worn out leather
I've got a hundred million reasons to walk away
But, baby, I just need one good one to stay
(A Millions Reasons, Lady Gaga)

 
Ghirigoro, Diagon Alley, sedici anni dopo
“Vedrà che non se ne pentirà assolutamente signor Blake!” annuì Hermione, consegnando la borsa di carta ad un paffuto mago con il monocolo ed i baffi a manubrio. “Dice? Non so come a mia nipote possano piacere i pipistrellini antropomorfi in un libro!” sospirò. “Alle bambine dovrebbero piacere gli unicorni e le fatine a quell’età …”
“Non è detto.” sorrise la libraia, congedando uno sconsolato cliente prima di sospirare e guardare fuori: era oramai pomeriggio inoltrato, quasi sera, su Diagon Alley. Il cielo rosato ed aranciato del tramonto si rifletteva sulle vetrine dei negozi, baluginando lungo i marciapiedi semideserti, fatta eccezione per i bar ed i locali. La folla che aveva pervaso il Ghirigoro da quel mattino si era finalmente diradata …
“Hermione, ancora un quarto d’ora e poi va’ a casa.” esordì Florence, uscendo dal magazzino con aria soddisfatta: come ogni fine di agosto, avevano venduto tutto. “Ma … mancano ancora due ore alla chiusura e …” protestò la Grifondoro, stringendosi nella giacca di pelle nera e sistemando le pieghe della vaporosa gonna scura a fiori bianchi. “Niente storie: sei una dei miglior dipendente che questa baracca abbia mai avuto ed oggi è un giorno importante per te … o sbaglio?”
Hermione sospirò. “Più che altro ansiogeno!”
“E perché mai? Ce la siamo cavata tutti …”
“Sì, ma ho sempre così tante paure …”
“È normale, cara! Ora rimetti pure in ordine e poi preparati, su!”
La libraia annuì, iniziando a sistemare i vari oggetti in vendita alla cassa con un sospiro e guardando l’orologio: ancora pochi minuti. Sedici, per la precisione, come gli anni trascorsi dalla battaglia al Ministero con Bellatrix Lestrange …
Al solo pensiero, si sentì rabbrividire: era stata senza dubbio alcuno una delle esperienze più terrificanti della sua vita, a ben pensarci. L’aspetto positivo era che era stata anche l’ultima: da quel giorno in poi, le cose erano andate meglio, per lei e per tutto il mondo magico che rinasceva dalle sue ceneri.
Severus era stato dimesso dal San Mugo due settimane dopo l’attacco ed Hermione, senza voler sentire proteste o tentativi di farla ragionare, aveva fatto armi e bagagli sotto lo sguardo attonito dei genitori e si era trasferita in pianta stabile a Spinner’s End, per la gioia di Grattastinchi, che sembrava gradire quella dimora più di casa Granger e sicuramente più del Paiolo Magico. “So che non siete d’accordo, ma, se davvero mi volete bene come so, capirete ed accetterete la mia decisione. Non mi sto separando da voi: sto solo andando avanti per la mia strada.” aveva detto a due attoniti Robert e Jean prima di abbracciarli e smaterializzarsi.
Al ricordo di quei sei mesi, sospirò: non erano stati per niente semplici, anzi, poteva tranquillamente definirli la più grande prova di pazienza della sua vita.
Severus, nei primi tempi, era sempre di cattivo umore e parecchio intrattabile: detestava essere costretto a letto e dover essere continuamente un peso per lei. “Hai una vita da vivere, non dovresti stare dietro ad un vecchio mago con la gola squarciata.” soleva dirle mentre gli cambiava la fasciatura, come Madama Chips le aveva insegnato. “Dimentichi il pessimo carattere.” rispondeva sempre lei con un sorriso sardonico. Da un lato, un po’ lo capiva: doveva chiamarla anche solo per alzarsi ed andare in bagno, tanto forti erano i dolori della ferita e gli era stata requisita la bacchetta finché non si fosse sentito meglio. Ad Hermione, però, non dispiaceva quel ruolo, anzi: mentre si trovava sola e lui riposava, si era dedicata a rimodernare la casa con metodi babbani. La polvere era sparita da ogni angolo, i mobili erano divenuti più chiari, con riflessi quasi rossicci al tramonto, felci e piante varie avevano popolato ogni stanza ed il giardinetto sul retro, rifatta la staccionata e tagliata l’erba, era diventato perfetto per un piccolo orticello, un albero ed un gazebo.

“Non capisco perché lo fai.” le disse Severus, mentre Hermione lo raggiungeva a letto. “Fare cosa, scusa?” ribadì lei, continuando a lavarsi i denti. “Ristrutturare questa catapecchia: hai fatto fare un tetto nuovo ed un … come diamine è?”
“Cappotto: trattiene freddo e caldo e …”
“Beh, la sostanza rimane la stessa: perché? La casa è vecchia e malandata, è inutile che …”
“A me piace moltissimo ed ora non è più malandata.” puntualizzò lei. “
È un po’ come te: vista da fuori fa quasi paura, ma, una volta entrati, se ne scoprono lati che affascinano. E, poi, tua madre ha fatto tanti sacrifici perché restasse a te: se non vuoi tenerla per te, fallo almeno per lei.”
Severus sospirò massaggiandosi la ferita che ancora doleva e perdeva una notevole quantità di sangue che andava regolarmente integrato con la pozione Rimpolpasangue. “Domani vai al lavoro?” mormorò con voce roca. “Non sforzarti a parlare! E, comunque, sì.” annuì la Grifondoro, spazzolandosi la lunga e folta chioma mossa. “E chi viene a deliziarmi con la propria compagnia, neanche fossi un invalido moribondo del Bronx di New York?”
“Sei un invalido moribondo.” rise Hermione. “E, comunque, ti divertirai, vedrai: vengono Regulus e Sirius.”
“Cosa?” esclamò Severus, schizzando a sedere con un miagolio di protesta di Grattastinchi. “Hai sentito bene. Ed ora rimettiti disteso, per favore …”
“Sei impazzita? Black? In casa mia?”
“Calmati, o si riapre la ferita! Sirius ti ha salvato la vita e poi hai detto che non t’importa di questa casa!” ridacchiò la Grifondoro, infilandosi sotto le coperte. “L’hai deciso apposta, o sbaglio, Hermione?” sibilò l’altro, mellifluo. “Anche se fosse?”
“Non è che stai diventando un po’ troppo Serpeverde?”
La giovane rise, baciandolo prima di spegnere la luce. “Ho imparato dal maestro!”


Mentre etichettava degli ordini, Hermione sorrise: tra i battibecchi, i turni e stare dietro a Severus, le restava davvero poco tempo libero, ma una sera, da sola, sul divano di Spinner’s End, di fronte a film romantici ed ad una coppa di gelato, aveva sentito il bisogno di sfogarsi, di dar voce a tutte le cose che le sembrava di voler dire da sempre e non aveva mai avuto il coraggio di liberare. Seguendo il consiglio di Madama Chips, aveva iniziato a scrivere: inizialmente, aveva tentato con racconti, semplici e, a suo dire, piuttosto scontati, ma poi si era cimentata in fantasy e retelling di mitologia varia, scoprendo che non erano poi così orribili come pensava. Erano stati pensati per essere uno sfogo, naturalmente e non aveva infatti alcuna intenzione di portarli da un editore … questo finché Severus non li aveva trovati e letti.

“Uff, che diluvio … è stata una giornata lunghissima! Severus, sono tornata!” esclamò la Grifondoro, entrando a Spinner’s End dopo aver scosso l’ombrello fradicio di pioggia autunnale. Fuori, la nebbia era tanto fitta da far distinguere a malapena la luce dei lampioni e l’umidità penetrava nelle ossa. Al Ghirigoro non c’era stato quasi nessuno e, per tutto il giorno, Hermione non aveva fatto che sognare di tornare a casa, da Severus e lasciarsi coccolare sul divano in compagnia di un buon tè ed un libro.
Con un sorriso, asciugò rapidamente l’ombrello grazie ad un incantesimo non verbale e si tolse il cappotto. “Severus? Dove sei?” domandò, raggiungendo il salotto.
Il sorriso le morì in gola quando lo vide: seduto nella sua poltrona accanto al fuoco scoppiettante con una coperta sulle gambe, in una perfetta imitazione di un nonnino babbano, stava leggendo. E non un libro qualunque, ma il suo libro. “Rieccoti.” commentò senza guardarla. “Hai fatto presto!”
“Speravi che arrivassi tardi, così da non farti beccare mentre leggi senza permesso quello che scrivo?” sbraitò lei, strappandogli i fogli di mano e fissandolo negli occhi, furibonda, mentre lui sogghignava appena, tranquillo, la fasciatura ancora chiazzata di sangue, anche se meno del solito. “Credevi davvero che non lo sapessi? Sentivo il ticchettio del computer dalla camera, Hermione: so che scrivi da quando hai iniziato. Ed ho letto tutto, per noia o per interesse a seconda dei casi …”
La sonora pacca che gli arrivò sul braccio con il fascicolo lo fece sobbalzare. “Non dovevi permetterti e non dovrai farlo mai più, sono cose mie! Nessuno doveva saperlo … Merlino, che vergogna!” ansimò Hermione. “Hermione …” sospirò il Serpeverde, picchiettando le dita sul bracciolo, seccato. “No, Hermione un corno! Cosa mi dirai ora, che sono infantili, che fanno schifo, eh?”
“Hermio …”
“O che sono banali, scontati, pieni di errori!”
“Hermione!” riuscì finalmente a zittirla lui, seppur ritrovandosi a tossicchiare leggermente per lo sforzo. “La smetti di saltare alle conclusioni e mi lasci finire di parlare, una buona volta?” sospirò, esausto. “Non li trovo brutti, tutt’altro: hanno una trama ben costruita, non presentano grossi errori, i personaggi sono ben caratterizzati e le descrizioni minuziose sono … beh, piacevoli.” enumerò. Hermione, immobile con il cuore a mille e le guance arrossate, deglutì. “Ti … ti piacciono davvero?”
Severus alzò gli occhi al cielo. “E cos’ho appena detto?”
“Sì, lo so, ma non pensavo che …”
“Dovresti pubblicarli.” sentenziò lui, lasciandola nuovamente basita mentre si alzava a fatica. “Ed ora, se vuoi scusarmi, sono stanco … gradirei andare a dormire. Posso riavere il libro?”
Hermione, sconcertata, si guardò le mani. “Intendi … questo, il mio?”
“No, quello di Allock, sai che sono un suo fan.” sbottò lui, prendendolo. “Voglio sapere come finisce.” concluse seccamente prima di dirigersi a letto dove Grattastinchi lo stava già aspettando, lasciando una sconcertata Hermione in piedi in mezzo al soggiorno.


E pubblicarli era quello che aveva fatto: dopo dodici rifiuti che erano costati a Severus parecchi fazzoletti ed un bel po’ di pazienza, Hermione ce l’aveva fatta e, come previsto, era stato un successo. Oramai da anni si divideva tra i turni al Ghirigoro e la scrittura, tanto da essere diventata un’autrice nota a tutte le età sia tra babbani che tra magici. Ancora ricordava la sua prima presentazione a Londra, a cui Severus si era presentato nonostante la fasciatura ancora ben visibile e l’aria stanca. Era stata la prima volta che Jean e Robert gli avevano rivolto la parola amichevolmente dalla fine della battaglia. “Professor Piton, ma Lei dovrebbe stare a riposo, che ci fa qui?” aveva detto Robert, sorpreso di vederlo. Severus aveva fatto spallucce. “Per Hermione era importante che ci fossi.”
Non si erano detti altro per tutta la serata, ma, evidentemente, doveva essere bastato, dal momento che la domenica dopo i coniugi Granger si erano presentati a Spinner’s End per pranzare insieme alla figlia … ed a Severus. Robert aveva persino parlato di storia egizia con lui e nessuno aveva fatto cenno agli avvenimenti di giugno. Era stata la prima di tante occasioni conviviali in cui Hermione aveva potuto avere accanto a sé i suoi e Severus, con sua somma gioia e, doveva ammetterlo, con il tempo, una certa invidia, dal momento che, dopo sedici anni, i suoi sembravano quasi dare più ragione a lui che a lei ad ogni discussione.
Raddrizzò la fotografia dietro il bancone della libreria, pensierosa: era stata scattata per l’anniversario dell’apertura e ritraeva i dipendenti ed i clienti più fedeli. Ginny troneggiava in seconda fila con un pancione piuttosto evidente e l’aria imbarazzata …
Hermione quasi scoppiò a ridere al vedere l’espressione imbronciata di Piton in un angolo: fortunatamente, dopo la convalescenza, nel giro di sei mesi, si era ripreso ed era tornato a terrorizzare i suoi studenti ad Hogwarts, con l’unica differenza, che, oramai, tornava a casa al termine delle lezioni e dei suoi vari impegni per stare con lei, che si era oramai stabilita a Spinner’s End definitivamente.
I cinque anni che erano seguiti erano stati meravigliosi e lei era felice come non mai: abitava in una casa bellissima con l’uomo che amava e sapeva che anche a lui piaceva come l’aveva sistemata, anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, svolgeva un lavoro che adorava ed aveva anche un discreto successo. Ben presto, in soggiorno, gli spazi vuoti erano stati colmati da fotografie di loro due assieme durante feste, matrimoni o vacanze e solo dopo un po’ Hermione aveva osato appendere immagini sue e di Severus da ragazzi e dei rispettivi genitori. Il Serpeverde non aveva obiettato, ma l’aveva sorpreso spesso a fissare il volto di sua madre con aria persa e sofferente, nonostante il tempo trascorso.
L’unica cosa che la lasciava sempre un po’ la bocca amara era vedere gli altri andare avanti con le loro vite a passi da gigante, mentre lei impiegava sempre passi piccoli e ravvicinati per proseguire: Harry e Ginny avevano avuto un bellissimo bambino, James Sirius, definito da Severus con la secca formula ‘peccato che sia un Potter’, Luna si era sposata e così Draco ed Astoria e persino Neville, mentre Lucius e Narcissa sembravano essere tornati agli splendori di un tempo, ospitando feste e ricevimenti a Villa Malfoy. Lucius si era perfino lanciato in politica, con estremo disappunto di Severus. Anche i fratelli Black si erano sistemati, Regulus con Sibilla e Sirius, inaspettatamente, con Willow Vance. “Un errore di valutazione può sempre capitare, no?” aveva detto, liquidando la faccenda con un gesto spazientito alla nascita di suo figlio, oramai quindici anni prima.
Remus, dopo anni di titubanza, aveva sposato Mina, su insistenza di Andromeda e Teddy. L’unica cosa che la vampira aveva chiesto alle nozze aveva lasciato sconvolto Shackelbolt stesso, che doveva necessariamente autorizzare di suo pugno lo strano regalo richiesto: sapere che fine aveva fatto suo figlio. 
Alla fine, il Ministro aveva acconsentito e Mina, tremante ed impaurita, aveva consultato il libro del destino, scoprendo, così, che Sebastian, il suo bambino, aveva vissuto una vita lunga e felice, scoppiando in lacrime dinanzi a tutti e rifugiandosi sulla spalla di Remus, commossa. “Grazie, grazie, grazie di tutto!” aveva detto ad Hermione, stritolandola in un abbraccio. “Grazia a te, Mina!” aveva riso lei, ricambiando.
I Lupin, al momento, abitavano ancora nel cottage di Andromeda, ma oramai non v’era più spazio per buio e tristezza, tra Teddy che era oramai un ragazzo e la nascita, undici anni prima, di una bambina. “Io non so come sia stato possibile … cioè sì, lo so, ma … dovrei essere morta, non potrei avere figli! Chips ha detto che se la trasformazione non è stata completa però può capitare e potrebbe anche essere, sopporto la luce più degli altri vampiri! Oh, ma chissenefrega, comunque: guarda che meraviglia! E l’ho fatta io, mi è venuta così bene … speriamo che nel carattere somigli a Remus, però!” era solita dire Mina, ridendo, quando veniva a trovarli a Spinner’s End mentre mostrava una neonata paffuta che, effettivamente, era la fotocopia di un sempre più commosso Lupin. Quando la signora Tonks aveva saputo che avevano deciso di chiamarla Andromeda e volevano fosse sua nonna a tutti gli effetti, si era sciolta in lacrime. La ciliegina sulla torta era stata chiedere a Severus di farle da padrino. “Ad una marmocchia piangente, ululante e vomitante, mezza mannara e mezza vampira e magari anche mezza strega? Ma neanche se l’Oscuro in persona dovesse tornare ed ordinarmelo a suon di avada kedavra, Mina!” aveva sbraitato. Inutile dire che non solo aveva fatto il padrino senza proferire parola, ma era anche diventato lo zio preferito della piccola e tranquilla Andromeda Lupin.

Hermione si fermò a guardare una donna passare con una carrozzina in strada: all’epoca, mentre tutti si sposavano ed avevano figli, persino Regulus e Sibilla, che si credeva non potessero averne, non si era sentita poi così diversa come probabilmente invece appariva. Lei e Severus erano insieme da anni, sapeva che l’amava, anche se non gliel’aveva più detto, indossava sempre l’anello di sua madre e nient’altro sembrava contare. Certo, le sarebbe piaciuto un giorno sposarsi ed avere dei figli, ma le sembrava sempre troppo presto, considerato quanto turbolenta era stata la loro storia e quanto scalpore destasse ancora, soprattutto ad Hogwarts, dove alcuni genitori avevano persino sollevato perplessità sul comportamento di Severus, visto che stava con una sua ex alunna. “Io so per certo che il professor Piton tiene sempre un comportamento assolutamente irreprensibile, come ha sempre fatto. Ciò che fa fuori di qui non mi riguarda e non dovrebbe riguardare neanche voi.” ribatteva sempre Minerva, seccata, come un mantra.
Immersa in quella tranquilla quotidianità, Hermione aveva ingenuamente creduto di essere finalmente diventata immune agli scossoni della vita. A ripensarci, si sarebbe data della stupida per quanto era stata sciocca … ma, tutto sommato, non era andata poi così male.
Le cose avevano iniziato a cambiare un pomeriggio di inizio marzo, quando Hermione, di ritorno da un turno sfibrante, aveva vomitato pur non avendo mangiato nulla e si era resa conto di avere la febbre, oltre ad una bella emicrania. Si era messa a letto ed aveva preso una pozione che Severus le aveva preparato, precipitando istantaneamente tra le braccia di Morfeo. La cosa si sarebbe dovuta risolvere nel giro di qualche giorno, teoricamente, ma i mesi erano trascorsi e, ad aprile, Hermione ancora non dava segno di riprendersi, anzi: continuava a vomitare, ad avere la febbre ed erano subentrati persino gli svenimenti. Soleva dire che si trattasse di un’influenza un po’ più forte del solito, ma Severus non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva trascinata al San Mugo, dove l’avevano letteralmente rivoltata come un calzino.
All’epoca, se n’era risentita, ma, da un lato, lo capiva: era terrorizzato all’idea di perderla, si vedeva chiaramente e quella situazione di stallo, quel non sapere, era divenuto oramai insopportabile.
Hermione non avrebbe mai scordato l’espressione del medico che, a fine giornata, le aveva letto i risultati delle analisi mentre lei sedeva sul lettino, stanca e triste.

“Lei è incinta, signora. Il feto ha una notevole forza magica, motivo per cui Le causa questi disturbi: più potenza ha il bambino, più la madre ne soffre. L’aspettano nove mesi intensi …” commentò, quasi stesse leggendo le previsioni del tempo. Per qualche istante, Hermione rimase immobile, perfettamente impassibile. Non aveva capito bene … non poteva essere quello. No. Assolutamente. “C-come?” balbettò, passandosi una mano sul viso mentre sentiva il cuore accelerare. “Lei è incinta.” scandì nuovamente il medimago, infastidito. “Tra tre mesi, deve fare un’ecografia, anche babbana andrà bene. Mi ha sentito, signora Granger?”
“Eh? Oh. Sì. Sì, certo … g-grazie.” balbettò, afferrando le carte e ficcandole in borsa prima di rimettersi in piedi, leggermente traballante. “
È sicura di farcela?” mormorò il medico, squadrandola. “Sì, sì, non si preoccupi. Grazie. Arrivederci.” squittì Hermione, con una voce che assomigliava più a quella di Dolores Umbridge che alla propria. Uscì di corsa, sentendosi soffocare e puntò dritta al terrazzino. Una volta fuori, si aggrappò alla balaustra, inspirando ed espirando a fondo, il cuore a mille: non era possibile. Non poteva essere. Certo, c’era da dire che lei e Severus non erano sempre attentissimi … forse era stato al compleanno di lui. O a San Valentino … no, doveva essere stato San Valentino. Avrebbe buttato quel dannato vestito scarlatto con lo scollo a V, sapeva che avrebbe portato solo guai, ma Mina aveva voluto che lo comprasse comunque a Notturn Alley. “Ma cosa vado a pensare, come se fosse colpa di un vestito!” esclamò, prendendosi il volto tra le mani. Sentì una lacrima rigarle le guance: non era pronta. Aveva paura, una paura tremenda della reazione di Severus, più che del bambino in sé. Sapeva che lui non voleva assolutamente figli, gliel’aveva detto e ribadito più e più volte: non era capace di fare il padre e di crescere un neonato, a suo dire. E quando ancora si destava, tremante, sudato e spiritato, per gli incubi in piena notte, dopo tutti quegli anni, Hermione quasi ci credeva. Merlino, come gliel’avrebbe detto, ora?
Con un sospiro, si voltò e, vacillando, riprese il corridoio, dirigendosi verso la sala d’attesa: sapeva che la febbre le era salita di nuovo, la sentiva. Si maledisse per le pozioni che aveva preso: forse aveva fatto del male al bambino …
Al solo pensiero, si portò istintivamente una mano al ventre ancora piatto: lì batteva una piccola speranza, un cuore a cui lei e Severus, amandosi avevano dato vita. E, nonostante tutto, nonostante la paura e l’ansia per il futuro, lo sentiva già parte di sé. Non sapeva cos’avrebbe avuto da dire Severus, né se quella sarebbe stata la loro fine, ma una cosa era certa: lei voleva quel bambino. Lo voleva con tutta se stessa.
Quando uscì nella sala d’attesa deserta, Severus era in piedi e la stava fissando. Quasi riuscisse a leggerle la mente, aggrottò la fronte. “Hermione, che succede?” mormorò. La giovane deglutì, sentendo la gola arsa come un deserto. Aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Sospirò, facendosi forza, prima di sussurrare: “Sono incinta.”
Un silenzio agghiacciante calò sulla saletta, rotto solo dal ticchettio dell’orologio. La Grifondoro fissò negli occhi il Serpeverde e vi lesse una profonda paura, sconcerto e, in una minima dose, rabbia. “Ne … ne sono sicuri?” domandò, gelido. A quel tono, Hermione non riuscì più a contenersi: scoppiò a piangere, disperata, chinando il capo ed affondandolo nelle mani tremanti. Non si aspettava certo di sentire le dita di Severus coprire le sue e le sue braccia stringerla forte al suo petto, nel profumo che tanto amava. Affondò il viso nella casacca, sfinita. “Non … non lo vuoi, vero? Hai … hai sempre detto che non …” ansimò. “Mi credi davvero così vigliacco e meschino da lasciarti sola o da chiederti di fare qualcosa che non vorresti mai fare, Hermione?” sospirò lui, con voce bassa e roca, accarezzandole la schiena. “Non … non so se ne sono capace, è vero. Non so fare il padre: non ho avuto un grande esempio.” sussurrò il pozionista. Hermione affondò ancor di più contro il suo petto. “Ho paura, Severus …” ammise. “Andrà tutto bene …” mormorò lui, baciandole i capelli. “Sta’ tranquilla. Adesso vieni, andiamo a casa: hai di nuovo la febbre.”


Ed era quello che avevano fatto, senza dire una parola. Il giorno seguente, però, Hermione, al posto di Severus, aveva trovato un biglietto in cui diceva che sarebbe tornato presto che l’aveva a dir poco terrorizzata: e se si fosse stufato di lei? E se avesse avuto paura e non fosse più tornato? Che avrebbe fatto, da sola, con il bambino?
Fortunatamente, Severus era rientrato nel primo pomeriggio come scritto, limitandosi a guardarla.

“Sono stato da mio padre.” disse prima di andare in cucina a prepararle meccanicamente un tè. Hermione, stesa sul divano, sconvolta da quella rivelazione, lo guardò muoversi elegantemente nel salotto. Mentre poggiava la tazza sul tavolo Severus la guardò, impassibile e quasi gelido. “Che … che c’è?” mormorò Hermione, terrorizzata dal suo silenzio. “Non penso di essere degno di farti una proposta come si deve, Hermione … non sono il tipo e tu lo sai.” esordì lui, di colpo, mozzandole il fiato. “Sai che non sarò mai romantico, che non ti bacerò mai davanti a tutti né ti dirò continuamente che ti amo. Ne eri consapevole quando hai detto di amarmi. Così come io ero ben conscio della tua testardaggine e della tua propensione alla socialità.” proseguì. “Quello che vorrei dirti è che siamo diversi … estremamente diversi, come luce ed ombra. Ma l’una non può esistere senza l’altra e lo stesso vale per noi due, oramai: ti ho già offerto tutto me stesso anni fa ed oramai le nostre radici sono talmente unite che dividerle sarebbe impossibile. Resta solo da ufficializzarlo, a questo punto … sempre se è quello che vuoi. Io non ho niente da offrirti, se non me stesso e non è certo il massimo che si possa desiderare, visto quanti difetti ho, ma … se mi vuoi ancora …” sussurrò senza guardarla. Hermione si rese conto con un sorriso che era imbarazzato e, forse, anche commosso. Apparentemente, sarebbe parso freddo e distaccato, ma la Grifondoro sapeva perfettamente che non era così. Con un sorriso e le lacrime agli occhi, lo abbracciò. “Io ti vorrò sempre, Severus, sempre … non devi dubitarne mai.” mormorò.

Si erano sposati appena una settimana dopo, con una cerimonia semplice e pochissimi invitati nella chiesetta di Cokeworth. Hermione, dopo estenuanti prove d’abito con Mina, Ginny e sua madre, aveva scelto, del tutto controcorrente rispetto ai progetti delle sue accompagnatrici, un abito lungo con un leggero strascico, maniche di pizzo ed uno scialle. Con i capelli mossi poggiati su una spalla ed il bouquet di rose e mughetti, era splendida nella sua elegante semplicità. Severus, invece, aveva un addirittura comprato un completo viola scuro per l’occasione, probabilmente obbligato da Mina e Minerva. Quando, sull’altare della chiesa decorata con mughetti, aveva visto arrivare Hermione, esitante, al braccio del padre, non era riuscito a contenere un’espressione di pura adorazione che aveva fatto sorridere Ginny e Mina, testimoni di Hermione e Remus e Regulus, testimoni di Severus (seppur con qualche mugolio di protesta dello sposo). Allo scambio deli anelli, scelti su insistenza di Regulus, Hermione si era commossa: le fedine d’argento, che non aveva potuto vedere prima su insistenza del minore dei Black, infatti, rappresentavano un serpente ed un leone che si mangiavano la coda uno con l’altro a creare il simbolo dell’infinito. Alla fine della cerimonia, Robert Granger, che aveva pianto per tutto il tempo, era persino riuscito a far sbuffare la McGranitt con tutte quelle sue lacrime. “Ma insomma, non era mica un funerale!” aveva borbottato una volta usciti dalla chiesa.

Istintivamente, Hermione, fissando la libreria deserta, a quei ricordi si passò una mano sulla pancia: i primi mesi di gravidanza a seguito del matrimonio erano stati tremendi. L’avevano detto solo ai genitori di Hermione, per correttezza, facendoli scoppiare nell’ennesimo pianto di gioia, ma, quando la pancia era diventata evidente ed i malori della Grifondoro sempre più frequenti e forti, non avevano potuto tacere oltre. Ginny e Luna, alla notizia, l’avevano stritolata, gridando di gioia, Remus e Sirius si erano congratulati, seppur un po’ in imbarazzo e Mina era stata cacciata in malo modo da Severus non appena aveva iniziato a decantare quanto fosse doloroso il parto.
Per quanto, apparentemente, tutti fossero entusiasti, Hermione ancora non si sentiva del tutto tranquilla: era felice, certo, passava ore ad accarezzarsi la pancia oramai leggermente arrotondata e sorrideva, commossa, al sentire il bambino muoversi, nonostante stesse sempre male. L’unica cosa che ancora temeva era Severus, incredibilmente: sapeva che era una cosa stupida, che l’amava e l’aveva sposata, ma, nonostante tutto, ancora le sembrava che non fosse affatto felice. La trattava come se fosse di cristallo, si era premurato di dipingere la stanza libera di lilla e di porvi lettino, fasciatoio e mobilia personalmente, certo, ma non le aveva mai toccato la pancia, né sorrideva entusiasta ogniqualvolta lei gli parlava del bambino … era come se fosse un peso ed al solo pensiero Hermione sentiva le lacrime premerle sugli occhi.
“Devi dargli tempo.” le aveva detto Mina, l’unica a cui aveva osato rivelare i suoi tormenti. “Non è facile per lui …”
Ma il tempo passava ed Hermione era sempre più agitata. Le cose erano degenerate una sera di agosto …

In quell’agosto leggermente fresco per gli standard inglesi, il cielo rosato del tramonto mandava fulgidi bagliori contro la mobilia e le fotografie allineate sul camino, a cui si era aggiunta quella, gigante, del loro matrimonio. Severus leggeva tranquillo sul divano mentre Hermione sedeva accanto a lui, le gambe sulle sue, guardando la televisione, annoiata, con Grattastinchi in braccio, stranamente senza nausee né emicranie o febbre da due giorni e sfogliando pensosamente un catalogo di abitini per neonati. “Mamma dice che come tessuto dovrei prediligere il cotone, ma nascerà a dicembre.” mormorò, terminando un discorso in cui aveva parlato solo lei. “Io vorrei comprare anche delle tutine di lana per sicurezza, ma non ne sono sicura … e, poi, c’è la questione del colore: quale scelgo, visto che abbiamo scelto di non scoprire se è maschio o femmina?”
“Non saprei …” mormorò distrattamente Severus, continuando a leggere. Hermione sentì una fitta di rabbia e desolazione nel petto, sensazione divenutale oramai familiare. “Ma tu cosa ne pensi? Cotone o lana?” sibilò, nervosa. “Non lo so, non ho mai avuto figli.”
“Nemmeno io, se è per questo!” strillò lei, scagliando il catalogo sul tavolo con rabbia e facendo sobbalzare Grattastinchi. “Ed in aggiunta ho anche nausee, emicranie, febbre e svengo per un nonnulla, eppure devo fare sempre tutto io!” scandì. “Hermione, se avevi bisogno di più aiuto bastava dirlo …” sospirò Severus. “Non mi serve aiuto, fai già tutto ciò che è necessario per me!”
“Allora dov’è il problema?”
“Il problema è questo: fai quello che devi per me, ma non per il bambino. Non lo nomini mai, non prendi mai nessuna decisione che lo riguardi, non mi hai mai nemmeno sfiorato la pancia in cinque mesi … se non lo volevi, bastava dirlo, avrei anche potuto pensare da sola a lui! Tanto lo sto già facendo …” sbraitò. Sentendo le lacrime premere per uscire e non riuscendo più a sopportare lo sguardo mortificato del marito, schizzò in piedi e si chiuse in camera. Nel giro di qualche minuto, vomitò tutto ciò che aveva mangiato quel giorno per poi sciacquarsi e stendersi, sfinita sul letto, scoppiando a piangere.
Non dovette aspettare molto prima che la porta si aprisse cigolando e Severus si stagliasse, scuro e serio, sulla soglia. “Come stai?” mormorò dopo parecchi istanti di silenzio. Hermione lo fissò, mostrando senza paura gli occhi arrossati dal pianto. “Come vuoi che stia …” sussurrò. “Non devi agitarti: non ti fa bene nelle tue condizioni. Stavi bene da due giorni ed ora guarda cos’è successo per le ridicole elucubrazioni della sua testolina!” la rimproverò Severus, sedendosi accanto a lei sul letto. “Com’è che ora ti importa delle mie condizioni?”
“Non essere ridicola, Hermione.” la zittì, perentorio, prima di distogliere lo sguardo. “Non … non volevo che pensassi questo. Non lo immaginavo.”
“Strano, di solito capisci sempre tutto …”
“Non in queste cose.” sospirò, ottenendo la sua completa attenzione. “Io … io sono una frana nell’esternare i miei sentimenti, Hermione, lo sai. Non ne sono capace: ho indossato la maschera di indifferenza per talmente tanti anni che è oramai diventata parte di me. Per questo non sono riuscito a fartelo capire, forse, ma mi sembrava fosse chiaro …”
“Chiaro … cosa?” sussurrò lei, spaventata dal suo tono. Quando tornò a guardarla, nei suoi occhi d’onice lesse un turbinio di emozioni tanto forte da farla vacillare “Ho paura.” ammise. “Ho una paura tremenda: paura che succeda qualcosa a te, al bambino, ad entrambi. Paura di quando nascerà e dovrà crescerlo, perché non so come si fa … mio padre mi insultava e picchiava, Hermione: non so come si comportano i padri delle famiglie normali. Non sono nemmeno un uomo normale e detesto i bambini, che, a loro volta, detestano me … sarò sempre un’ombra scura sull’avvenire radioso di una creatura innocente, verrà additato per essere mio figlio. Ed ho paura che possa odiarmi come io ho odiato mio padre …”
Hermione gli strinse la mano più che poteva, deglutendo. “Mi dispiace di non averlo capito prima.” sussurrò con un filo di voce. “Io … non volevo ferirti. Non volevo dire davvero quelle cose, è solo che sono così stanca che ho parlato senza riflettere. Perdonami, io … io non ho mai pensato che tu lo odiassi, mai!”
“Non lo volevo, è vero.” sospirò Severus, stringendola delicatamente a sé. “Ma oramai non si può più tornare indietro … se il destino ha voluto questo per me, a quanto pare, dovrò imparare ad accettarlo.”
Hermione sorrise debolmente, lasciandosi cullare dalle braccia del marito. Ad un tratto, però, sentì qualcosa. “Severus!” esclamò, facendolo sobbalzare. “Ma ti pare il modo? Ho preso un colpo!” sbuffò questi, infastidito. Quando la moglie gli prese la mano e se la premette sul ventre, però, si zittì, imbarazzato e teso. “Hermione, non …”
“Shhh: ascolta.” sorrise lei, premendo di più. E, dopo qualche istante di silenzio totale, Severus lo sentì: un piccolo calcio, proprio lì dov’erano posate le loro mani giunte, subito seguito da altri intermittenti, a volte deboli, altre più forti. Hermione gli sorrise, entusiasta, ma tornò immediatamente seria nel vedere una lacrima colare da quegli occhi d’ossidiana che tanto amava e correre lungo il profilo adunco del naso, fino a scivolargli dal mento e picchiettare sulla pancia di Hermione. “Io … scusa.” mormorò il professore, asciugandosi il viso con un gesto stizzito. “
È … è che …”
La Grifondoro annuì, comprendendo all’istante cosa volesse dire. In silenzio, gli prese entrambe le mani e se le portò alla pancia, ancora scossa dai movimenti del bambino. E, al vedere una nuova lacrima farsi strada negli occhi di Severus, sorrise, commossa.


Non avevano voluto sapere se il bambino fosse maschio o femmina fino al parto, nonostante le proteste di Mina. “Io davvero non so come fate ad aspettare!” sbottava. Ma Hermione e Severus erano ben consci che quello era forse il problema minore: quel bambino sarebbe stato sospeso tra tante cose, tra Grifondoro e Serpeverde, luce e buio, Olimpo ed Inferi … maschio o femmina non era poi così terribile, in fondo.
La cosa veramente terribile era stato vedere Severus e Jean andare a fare compere per il nascituro insieme a Diagon Alley, considerato che Hermione faticava a muoversi, visti i continui malesseri che peggioravano al progredire della gravidanza. Nonostante la febbre, al vederli rientrare a Spinner’s End in una domenica di pioggia scrosciante con borse colme di vestitini, biberon, pannolini ed orsetti, sua madre entusiasta e Severus vagamente disgustato, era scoppiata a ridere. “Questo ed altro per il mio nipotino!” trillava Jean.
Il nipotino, o, meglio, la nipotina in questione era venuta al mondo, dopo estenuanti ore di travaglio, alle quattro del mattino del 5 dicembre, con la sala d’attesa gremita e Severus che aveva tenuto la mano di Hermione per tutto il tempo.
Non avrebbe mai scordato l’emozione e l’ondata di amore infinito ed incontrollabile che aveva provato quando la medimaga le aveva messa in braccio sua figlia e quel fagottino rosa aveva spalancato gli enormi occhi neri come quelli di Severus sul mondo, sorridendole ed afferrandole il dito. Alla domanda dell’infermiera per il nome, Hermione non aveva avuto dubbi, per quanto ne avessero discusso parecchio in quei mesi. “Eileen Jean Piton.” aveva detto, sorridendo felice prima di porgere la bambina a Severus, talmente commosso che non riusciva neanche a parlare: continuava a fissare sua figlia con sguardo perso, completamente rapito. Si era destato solo quando Mina aveva visto la bambina ed aveva esclamato: “Poverina, ha il tuo naso, Severus!”
“Mina, ti sei appena giocata l’opportunità di farle da madrina.” aveva sibilato il Serpeverde nell’ilarità generale.

Mentre iniziava a raccogliere la borsa per andare a casa, ad Hermione venne da ridere: non solo Mina era la madrina di Eileen, nonché la sua zia preferita, assieme a Ginny, Remus e Regulus, ma Severus si era rivelato un padre eccezionale, migliore di qualunque altro avesse mai visto all’opera: era lui a cambiarla la sera, a cullarla ed a raccontarle lunghissime storie della buonanotte prima che si addormentasse. Hermione sapeva che non l’avrebbe mai ammesso, ma gli aveva fatto piacere ricevere i regali e le congratulazioni dei suoi alunni per la nascita della bambina: ogni classa gli aveva mandato un biglietto ed un regalo per Eileen, tutti diversi gli uni dagli altri. Si andava dalle copertine dei Grifondoro ai libri di fiabe dei Corvonero, passando per i gioielli e volumi in edizioni regalo dei Serpeverde e ciucci e giocattoli dei Tassorosso. “Cercano solo di prendere bei voti!” sbottava Severus ogni volta ed Hermione, puntualmente, rideva.
Eileen era stata ricoperta di doni a soli pochi giorni di vita e, dopotutto, la cosa non le dispiaceva: i Granger ed i Malfoy le avevano regalato un intero corredino di abiti e scarpe, dividendosi estate ed inverno, i professori di Hogwarts le avevano inviato intere collane di favole, oltre al consueto peluche di Hagrid, Harry, Ginny, Ron, Luna e persino Draco l’avevano ricoperta di sonagli, giocattoli e pupazzi, Mina e Remus di ciucci e shampoo profumati ed i fratelli Black di interi album da colorare riccamente ornati.
Hermione, nel nuovo ruolo di mamma, nonostante le incertezze e le paure, dovute soprattutto ai continui scoppi di magia incidentale che Eileen aveva avuto sin da subito, come predetto da Madama Chips, era felice come mai era stata prima: le sembrava che tutto avesse acquistato un nuovo senso. Amava alla follia la sua bambina e, assieme a Severus, la tempestava di affetto e doni, anche se sapeva che probabilmente l’avrebbe solo viziata, ma non le importava: l’unica cosa che contava era che stesse bene e continuasse a sorriderle ogni mattino appena sveglia con i suoi occhioni neri.
L'unica nota dolente, se proprio avesse dovuto trovarne una, era il silenzio dei Potter: dalla battaglia al Ministero anni prima, non si erano più fatti vivi, con suo rammarico. In fondo, per lei erano stati quasi una seconda famiglia e le dispiaceva che le cose tra di loro si fossero concluse in quel modo. Severus le intimava di non pensarci e di non prendersela, ma Hermione sapeva che era altrettanto deluso da Lily. Questo sino alla fine di gennaio …

“Com’è andata con il rientro dalle vacanze?” domandò Hermione, seduta sul divano ed abbracciata al marito in quella gelida sera d’inverno: la neve scendeva lieve dal cielo color inchiostro, ricoprendo Spinner’s End. Secondo il telegiornale, le strade erano bloccate in tutta l’Inghilterra per il maltempo. “Le solite teste di legno.” liquidò il marito con un’alzata di spalle, osservando con ammirazione la culla accanto al divano dove Eileen riposava tranquilla, avvolta in una coperta, sotto lo sguardo vigile di Grattastinchi. “Non vedevo l’ora di tornare da voi …” ammise, stringendo a sé la moglie, che gli sorrise, ricambiando: anche lei non aveva desiderato altro che rivederlo per tutta la giornata, confinata in casa com’era con la bambina a causa del freddo. I suoi pensieri vennero interrotti bruscamente dal trillo del campanello. “Chi sarà a quest’ora?” esclamò Hermione mentre Severus, sbuffando, si alzava per andare ad aprire. “Probabilmente Mina: non riesce a resistere senza vedere la sua figlioccia almeno una volta a settimana!” sbottò, spalancando la porta. Non sentendolo dire nulla, tuttavia, Hermione lo raggiunse. “Severus, che succede?” mormorò, raggelando al vedere le due figure ferme sulla soglia: James e Lily, avvolti nei loro cappotti chiazzati di neve, li osservavano, imbarazzati, stringendo un pacco rosa tra le mani. “Entrate.” si riscosse per prima Hermione, deglutendo a fondo. “Prenderete freddo.”
I due non se lo fecero ripetere e, sotto lo sguardo colmo d’astio di Severus, entrarono. “Che ci fate qui? Che volete?” sbottò il Serpeverde, gelido, serrando l’uscio. “Ricominciare.” mormorò Lily, puntando su di lui i suoi occhi di smeraldo. “Noi non ci siamo comportati bene con voi.” sospirò James. “E vorremmo rimediare. Ci dispiace immensamente, non avremmo mai voluto che andasse così. Per questo siamo qui: per chiedervi scusa e sperare che vogliate ricominciare.”
Un silenzio tombale cadde sulla casa, rotto solo dal ticchettio del pendolo. “Venite in salotto: vi preparò un tè caldo, ne avrete bisogno, con questo freddo!” si offrì Hermione istintivamente, incontrando lo sguardo glaciale del marito mentre questi raccoglieva malamente i cappotti dei Potter e li seguiva in soggiorno.
“Questo posto è bellissimo: sei stata tu a ristrutturarlo, Hermione?” esclamò subito Lily. “Sì, un po’ alla volta.” annuì lei, spostandosi i capelli dietro le spalle, nervosa. “La casa mi piaceva.”
“E queste sono le foto del matrimonio? Che belle! Harry ce le aveva mostrare …” proseguì la rossa, concentrandosi sul caminetto. Hermione deglutì mentre Severus le passava dietro, sussurrandole: “Preparò io il tè.” prima di sparire in cucina. L’ennesimo silenzio colmo d’imbarazzo venne rotto dal vagito di Eileen. “Posso … possiamo vederla?” chiese subito James, avvicinandosi. Hermione annuì, prendendo delicatamente tra le braccia Eileen e sollevandola perché potessero vederla: i suoi occhioni neri, al vedere i due, si spalancarono per la sorpresa. “Santo cielo, è bellissima!” esclamò Lily, accarezzandole una mano paffuta. “Posso?” domandò subito. Hermione gliela passò delicatamente, ritrovandosi a sorridere vedendo che Eileen sembrava del tutto a suo agio tra le braccia di Lily e, anzi, quasi rideva. “
È davvero molto bella … anche se è la copia del padre.” confermò James. “Ha i tratti di Hermione, Potter.” tuonò Severus, rientrando seguito da un vassoio lievitante. “Non diciamo sciocchezze. Piuttosto, la vostra visita è dovuta esclusivamente alla volontà di riappacificarvi, dopo anni? O è stata dettata da altro?” commentò, gelido. Hermione aggrottò la fronte. “Severus …” lo bloccò. Prima che potesse aggiungere altro, però, Lily levò il capo a fissare il Serpeverde, che raggelò all’istante al vederla quasi commossa. “Non volevamo che andasse così.” mormorò. “Avevamo tanti dubbi perché tra voi ci sono differenze importanti, d’età e di ruoli … temevamo per entrambi. Non abbiamo mai voluto il vostro dolore né il vostro odio.”
“Solo che, a volte, ci si lascia prendere dalle parole.” sospirò James. “E si dicono cosa che non si dovrebbero dire. Ci dispiace. Dobbiamo ammettere che si sbagliavamo di grosso, di fronte a questo, al vostro matrimonio ed alla bambina … scusateci.”
“Sev, tu ed io siamo stati migliori amici per tantissimo tempo.” deglutì Lily. “Ed il nostro legame è andato persino oltre la morte: hai protetto e difeso mio figlio per anni, mentre non c’ero. Nonostante soffrissi per non poterli riabbracciare, ero più tranquilla sapendo che c’eri tu con lui. Vorrei che per tua figlia fosse lo stesso, che, quando si sentirà sola o confusa, sappia che potrà sempre contare su di me, su zia Lily … sempre se lo vorrete.” sottolineò prima di indicare a James il regalo. Potter lo porse ad Hermione, ancora stordita e confusa dalle parole di Lily. “Questo è un presente per la piccola.” spiegò. La giovane lo scartò con mani tremanti, trattenendo il fiato quando si rese conto che si trattava di una collanina con un piccolo cuore d’argento finemente intarsiato. “
È un medaglione, si apre: dentro potrà porci le fotografie che avrà a cuore. Cosicché siano sempre con lei … ed è collegato a voi due con la magia del sangue: quando vi penserà, le basterà stringerlo e voi lo sentirete.” annuì Lily. Hermione, istintivamente, sorrise e li ringraziò, guardando Severus. Questi, le mani incrociate dietro la schiena, si limitò ad aggrottare la fronte. “Eileen.” mormorò. “Si chiama Eileen Jean Piton.”
“Eileen … come tua madre!” annuì Lily, aiutando Hermione a chiudere la collanina al collo di Eileen. “
È un bel nome, Severus.” confermò James, stupendo, prima di tutto, se stesso.

Le visite dei Potter, da allora, erano diventare regolari e, neanche a farlo apposta, Eileen adorava zia Lily. Mentre Hermione e Severus lavoravano, la bambina solitamente stava con i nonni Granger, ma tutto il loro tempo libero lo trascorrevano con lei, portandosela dietro ovunque. Ad Hermione era stato presto chiaro che Eileen non era una bambina ordinaria: con i lunghissimi capelli neri e lisci e la frangetta lunga, gli occhi d’ossidiana ed i tratti dolci della madre, sapeva parlare perfettamente ad un anno e mezzo e sin da neonata aveva compiuto le sue prime magie, prontamente arginate dai genitori. “Ma è troppo presto!” protestava sempre Hermione, nervosa e sconvolta. “Ti aspettavi qualcosa di diverso, da nostra figlia?” ribatteva seccamente Severus, facendola sorridere.
Eileen era una bambina silenziosa, che amava il viola ed i peluche di ogni sorta, preferiva starsene seduta nell’erba, tra i suoi amati libri che divorava e giocava raramente con i suoi coetanei, squadrandoli con una certa insofferenza. A loro preferiva zii e, soprattutto, i genitori, a cui, inutile dirlo, era legatissima. “Sono bambini, sono infantili!” aveva declamato a tre anni, facendo sobbalzare nonno Robert. Ma se Hermione sorrideva alla sua maturità, Severus era sempre più preoccupato. “La prenderanno in giro, a scuola, soffrirà!” si lamentava quasi ogni sera dopo averla messa a letto. “Eileen non è te.” sospirava Hermione.
La Grifondoro cercava di tranquillizzarlo e dissimulare, ma lei per prima non vi credeva molto: Eileen era fin troppo simile ad entrambi e temeva anche lei che sarebbe stata isolata da tutti, a scuola. Cosa che, effettivamente, accadde quando andò alle elementari babbane di Cokeworth. “Odio la scuola, mi guardano tutti e non posso fare magie! Che gusto c’è?” si lamentava Eileen, incrociando le braccia ogniqualvolta doveva andare a scuola. Nonostante eccellesse nello studio ed i voti fossero alti, infatti, le maestre lamentavano che fosse sempre sola. “Non socializza, non sappiamo che abbia!” dicevano ad ogni colloquio, facendo impensierire i genitori. La svolta arrivò una sera, quando Hermione, uscita dal Ghirigoro per tornare a casa, ricevette una telefonata dalla scuola di Eileen.

“Signora Piton? Oh, grazie al cielo: per fortuna, sa, io come maestra sono … diciamo speciale. Come Lei e suo marito.” trillò la voce acuta della maestra Elizabeth dall’altro capo. “Cos’è accaduto?” esclamò Hermione, affannata, mentre attraversava Diagon Alley in tutta fretta per smaterializzarsi sotto gli sguardi esterrefatti dei maghi e le streghe che la vedevano usare un cellulare babbano. “Oh, nulla di grave, solo … beh, ha trasformato due compagni in rane. La prendevano in giro.”
“Cosa? Oh, cielo e come …”
“Suo marito è stato chiamato: ha ritrasformato i tre bambini e li ha obliviati per poi portare a casa Eileen. Era così triste …”
“Grazie per avermi avvisata, davvero!” annuì Hermione, fiondandosi al punto di smaterializzazione. Ricomparve a Spinner’s End ed attraversò in fretta la strada, fiondandosi in casa. Abbandonò il cappotto nel soggiorno cosparso di libri, peluche e fotografie di Eileen in ogni momento possibile ed immaginabile per fiondarsi nella camera della bambina, solo per trovarla vuota. Con il cuore colmo d’ansia, spalancò la propria stanza e si arrestò: dinanzi a lei, c’era una scena che mai avrebbe pensato di poter vedere. Severus Piton, spia doppiogiochista, ex Mangiamorte e più odiato professore di Hogwarts, dormiva tranquillo, stringendo a sé Eileen ed il suo pupazzo preferito a forma di unicorno, mentre Grattastinchi, acciambellato ai loro piedi, faceva le fusa alla fioca luce dell’abat-jour. Rilassò immediatamente le spalle, sorridendo appena: che quella bambina avesse cambiato Severus Piton era oramai evidente, oltre che una specie di miracolo. “Hermione …” mormorò Severus, destandosi, la voce impastata dal sonno. “La maestra mi aveva chiamata … sta bene?” sospirò la Grifondoro, precipitandosi ad accarezzare i capelli della sua bambina. “Tutto bene: abbiamo parlato un po’. Credo che d’ora in avanti non trasformerà più nessuno in rospo.” confermò lui. “Parlare? Con lei, che non dice mai nulla dei suoi compagni? E come hai fatto?” sorrise Hermione. “Nell’unico modo che funziona: le ho parlato di me.”


L’orologio scoccò le cinque ed Hermione afferrò la borsa, schizzando alla porta. “A domani, Madame Florish!” esclamò, precipitandosi nelle strade ancora affollate di Diagon Alley. Raggiunse quasi di corsa il Paiolo ed a malapena salutò Tom prima di smaterializzarsi a casa Granger: non vedeva l’ora di abbracciare la sua bambina che, dal giorno seguente, non sarebbe più stata tale.
Continua …

Angolo Autrice:
Rieccoci! Siccome terminare con 29 capitoli mi sembrava alquanto brutto e questo epilogo sarebbe risultato lunghissimo tanto da essere quasi illeggibile, ho deciso di spezzarlo, facendo risultare così un capitolo in più (ed allontanando un po' l'addio).
Spero possa piacervi l'idea!
A presto
E.

 

 



 
  





 



 
  
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