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Autore: AlexSupertramp    31/05/2022    3 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12 

«Sai… per un momento mi sono chiesto dove fossi finita.» 
«Ma se sono stata qui per tutto il tempo…»
«Ti sbagli. Se fossi stata davvero qui con me, me ne sarei accorto. Non credi?»
«E’ che sei troppo distratto…»
«Già, sono distratto da te… e sai bene che a breve ci saranno gli esami di fine anno. Come farò a concentrarmi con te nei paraggi?»
«Posso sempre sparire per un po’» disse lei, imbronciando il viso. Lui allora le sfiorò il braccio scoperto dall’uniforme estiva.
«Non dirlo neanche per scherzo.» Sussurrò, avvicinando lentamente il viso a quello di lei. Le sue labbra non si mossero al contrario della faccia che lentamente raggiungeva le labbra di lei.
«Stop!» Si sentì all’improvviso. Una voce decisa e abbastanza infastidita aveva interrotto l’idillio lasciando interdetti i due protagonisti. Poi lei scosse leggermente la testa e si voltò verso il punto da cui era arrivato quel grido.
«Era buona?» Domandò scostandosi una delle due trecce dal collo.
«Poteva essere meglio… decisamente.» Commentò lui, grattandosi il mento con le dite.
«Possiamo sempre rifarla, no?» Suggerì lei, cercando l’approvazione del suo compagno di lavoro con un gesto del capo. Lui però non colse l’insistenza di lei, e la sua attenzione fu catturata da tutt’altro perché si mise una mano nella tasca dei pantaloni, da cui estrasse un cellulare.
«E quando Sana? Non c’è tempo… l’episodio deve andare in onda alla fine di questa settimana. Domani abbiamo altre scene impegnative e dio solo sa quanto ci metteremo a girarle.» Disse il regista, iniziando a gesticolare animatamente con le mani e dando poi le spalle a Sana e al suo partner di scena. 
In effetti erano sul set da circa sette ore e il giorno dopo sarebbe stato lo stesso e Sana pensò che una pausa, di almeno qualche ora, era quello che le serviva. Quindi si sentì sollevata quando il signor Dae-su le aveva detto che non avrebbero ripetuto la scena e che per quel giorno avrebbero finito. Anche perché lei quella sera aveva un impegno a cui non aveva nessuna intenzione di rinunciare.
A quel punto si voltò verso Do Yoon agitandogli vistosamente una mano davanti al viso.
«Allora se abbiamo finito io andrei… si è fatto davvero tardi.»
«Sì, sì… d’accordo. Ci vediamo domani.» Replicò lui con non troppo interesse. Non le aveva nemmeno rivolto lo sguardo perché era davvero troppo assorto ad affondare il naso insieme a tutto il resto del suo viso nello schermo illuminato del suo smartphone.
Tuttavia, Sana non badò più di tanto a quell’atteggiamento e rivolgendo un rapido saluto a tutto il resto della troupe si avviò velocemente verso l’auto del suo manager che la stava aspettando sorseggiando un caffè nero da cui usciva ancora una copiosa nuvola di fumo bollente.
«Non ti sei cambiata?» Le domandò scrutandola stranito. Nel frattempo, però Sana si era sciolta rapidamente le due trecce che era costretta a portare per interpretare il suo personaggio.
«Non c’è tempo Ryu, devo scappare a casa. Hai dimenticato l’evento di stasera?» Domandò lei guardando la sua immagine riflessa nel piccolo specchietto del cruscotto della macchina. I suoi capelli erano leggermente ondulati e cercò di fare un rapido calcolo mentale del tempo in cui li aveva tenuti legati in quelle due trecce.
«Certo che sì. Di solito però ti cambi nel camerino…»
«Lo so, ma ero stufa di stare lì sul set. Poi in questo modo domani sarò già pronta per venire a lavoro, no?» Domandò retorica con un grosso sorriso sul viso.
Ryu le sorrise a sua volta spingendo il piede sull’acceleratore. Nonostante l’entusiasmo della sua cliente per la serata di beneficienza a cui sarebbero presto andati, lui non vedeva l’ora di tornare a casa, abbracciare sua moglie e andarsene a dormire. Stare seduto ore e ore sul sedile della sua auto era qualcosa che lo sfiniva e avrebbe dato qualsiasi cosa perché Sana in quel momento gli annunciasse di aver deciso di rinunciare alla serata.
Tuttavia, quell’annuncio non arrivò mai. 
«Ci vediamo più tardi Ryu.» Lo salutò Sana prima di avanzare velocemente verso l’ingresso del palazzo in cui viveva nel pieno centro di Seoul. Quegli ascensori ultraelettronici, in cui bastava digitare il codice del proprio appartamento per volare verso chissà quale piano, le ricordavano spesso la città in cui era nata e cresciuta. Seoul, in fondo, non era troppo diversa da Tokyo. La stessa cosa non si poteva dire certo per la gente e lei, nei primi tempi di vita in quel nuovo paese lo aveva pensato spesso: non c’è niente che mi ricordi casa a parte i grattacieli e le luci abbaglianti.
In fondo però le stava bene così e ormai non aveva più nemmeno il tempo di pensare a queste o a quelle differenze.
Digitò velocemente il codice di ingresso del suo appartamento al quindicesimo piano dell’edificio e quando entrò notò subito le scarpe di Lee - Eun disposte parallele l’una accanto all’altra su quello che lei avrebbe chiamato Genkan.
«Lee?» Lo chiamò sorpresa sfilandosi le scarpe a sua volta.
«Sono in cucina…» lo sentì replicare. Allora anche lei sfilò velocemente le sue di scarpe e lo raggiunse in cucina. Lo trovò intento a sorseggiare una tazza di quello che doveva essere probabilmente tè, e a sfogliare una rivista.
«Come mai sei qui?» Gli domandò, raggiungendolo. Lui, in risposta, la scrutò attentamente da capo a piede.
«Ma come perché? Avevo voglia di vederti, no?» Disse lui con un sorriso. Lei gli rispose con la stessa espressione.
«A proposito, come sono andate le riprese?»
«Oh… sfinenti.» Disse lei, con un grosso sospiro a cui seguì anche un rilassamento delle spalle che Lee riuscì a vedere chiaramente.
A quel punto lui si alzò dalla sedia e la raggiunse in pochi passi. Le sfiorò delicatamente il braccio per poi poggiarle un leggero bacio sulla fronte.
«Dovresti rinunciare a questi ruoli.» Osservò lui mentre Sana si lasciava andare su una delle sedie disposte intorno alla penisola che regnava nella sua cucina.
Dai grossi finestroni della stanza, che fungevano quasi da parete, riusciva a vedere tutta la città illuminata e qualche volta quella vista le metteva una leggera malinconia, che tuttavia non riusciva quasi mai a spiegarsi.
«Perché dovrei?» Domandò incuriosita.
«Sono solo stancanti, ti fanno interpretare sempre lo stesso personaggio e così la tua carriera non decollerà mai. Non puoi continuare a impersonare adolescenti liceali alla tua età…»
«Io li trovo emozionanti invece.» Ribatté lei, con un filo di broncio.
«Mah… non ti capisco. Potresti sfruttare al meglio il tuo talento e invece continui a lavorare in questi drama senza speranze.» Insistette lui alzando le sopracciglia. In quel momento Sana si domandò seriamente il motivo perché a Lee Eun interessasse così tanto quali ruoli le proponevano di interpretare. In fondo a lei quel lavoro le piaceva e alle volte le sembrava di poter riscrivere qualcosa per poi smettere di pensarci subito dopo.
«A me va bene così.»
«D’accordo Sana, cosa devo dirti?»
«Niente Lee… io, comunque, tra un po’ devo uscire. Tu che piani hai?» Gli chiese sfilandosi la cravatta rossa che la sua uniforme di scena prevedeva che indossasse.
«Seon-yo ha organizzato una serata a Itaewon… e a questo proposito. Mi sono accorto che la mia carta di credito si è smagnetizzata.»
«Sul serio?»
«Già… ho provato a chiamare la mia banca, ma dicono che prima di lunedì è impossibile risolvere il problema.»
«E come farai fino alla prossima settimana?» gli chiese lei, leggermente preoccupata.
«Onestamente non lo so. Pensavo di chiedere una mano a mia madre per poi ridarle tutto, certo…»
«Ma no, tua madre ha già i suoi problemi. Ti aiuto io Lee…»
«Sana, io davvero non voglio crearti problemi lo sai.» fece lui, abbassando la testa per nasconderle il suo sguardo imbarazzato. Sana però non lo notò nemmeno ed estrasse velocemente una carta dal suo portafogli.
«Tranquillo, poi me li ridarai. Tanto si tratta di aspettare qualche giorno.»
«Al massimo tre o quattro.» Disse lui enfatizzando la voce su quei numeri. Poi le sorrise, prima di baciarle la bocca velocemente.
«Sei davvero il mio angelo… e ora ti lascio in pace così potrai stare tranquilla e goderti la tua serata.» Disse lui, raccogliendo rapidamente le sue cose. Lei gli sorrise, senza nemmeno guardare la sua mano che infilava in tasca la carta che gli aveva appena donato.
Pensò che non vedeva l’ora di uscire di nuovo da quell’appartamento e che avrebbe dovuto chiamare Ji-won per la serata. In effetti avrebbe potuto chiedere a lei un passaggio e liberare Ryu. 
Almeno per quella volta.
 
***
 
Alla fine, aveva chiamato Ji-Won che si era mostrata subito entusiasta di andare insieme alla serata di beneficienza che l’agenzia per cui lavoravano aveva organizzato quella sera.
«Chissà se ci sarà anche Mu-chi stasera…» domandò a Sana, mentre si aggiustava lo scollo del vestito color pesca che aveva indossato.
«Perché non dovrebbe? Anche lui lavora per la nostra agenzia.» replicò Sana, guardandosi intorno. Ricordò subito la prima volta che era stata al Four Season hotel, che coincideva anche con il primo di quel genere di eventi a cui aveva preso parte e pensò subito che era passato davvero molto tempo da allora. 
«Be’ perché lui in realtà non è mica il tipo che si fa vedere spesso in giro.»
«Ah no?»
«No, però incrocio le dita.» disse subito dopo Ji-Won, prendendo Sana per un braccio per trascinarla nella grande hall adibita per la serata.
La sala era piena di gente, le luci soffuse e il bancone bar richiamò immediatamente l’attenzione di Ji-Won. Salutarono velocemente tutte le persone che man mano incontravano lungo il cammino e, dopo qualche sorriso di troppo, a Sana venne immediatamente voglia di un drink.
«Com’è che si chiamava quel coso che abbiamo bevuto insieme l’ultima volta?» domandò all’amica che le rispose alzando lo sguardo al cielo in cerca di una risposta. Poi sgranò gli occhi.
«Ah, dici il Manhattan?»
«Sì, quello. Ordiniamone subito uno.» disse Sana, alzando un braccio per richiamare l’attenzione di uno dei barman dietro al bancone. E in pochi minuti entrambe si ritrovarono con un bicchiere a forma di triangolo rovesciato stracolmo di un liquido scuro.
Quando però Ji-Won avvicinò il suo bicchiere alle labbra, la sua attenzione fu catturata da un punto indistinto della sala e, immediatamente, sgranò gli occhi. Sana, di riflesso, guardò nella sua stessa direzione e sorrise quando capì il motivo di quel cambio di espressione.
«Non ci credo! È venuto sul serio…» esclamò Ji-Won spostando subito lo sguardo altrove. Non ebbe il tempo di fare nulla, perché Sana alzò immediatamente un braccio, agitandolo vistosamente per farsi vedere dal ragazzo, oggetto di interesse di Ji-Won, che era appena entrato nella sala insieme ad un altro ragazzo.
«Ma che fai???» disse Ji-Won, visibilmente agitata. Cercò di fermare le braccia dell’altra, ma il tentativo giunse troppo in tardi perché Mu-chi si stava già dirigendo verso di loro.
«Ti aiuto no? Con tutta questa gente chissà quando ci avrebbe viste…»
«E chi ti dice che volevo ci vedesse?»
«Ma che dici? Un attimo fa non vedevi l’ora che venisse.» replicò Sana interdetta. Eppure, era convinta che la sua amica non aspettasse altro.
«Sì, ma non così…»
«Ehi ragazze, ci siete anche voi…» le interruppe una voce che a Ji-Won fece immediatamente battere il cuore un po’ più forte. Un po’ come quando ti spingono giù senza preavviso e tu non hai il tempo di capire cosa stia succedendo intorno a te.
«Certo che ci siamo, lavoriamo per la stessa agenzia.» disse Sana, come se quella fosse la domanda più ovvia del mondo.
«Sì, Sana vuole dire che non ci saremmo perse questa festa per niente al mondo» aggiunse Ji-Won, cercando di riportare la conversazione su un piano normale. Ma Mu-chi sollevò entrambe le sopracciglia.
«Io me la sarei persa volentieri invece.» 
«E allora perché sei venuto?» continuò Sana, in tono tranquillo. A quella battuta, che lei non aveva affatto concepito come tale, l’accompagnatore di Mu-chi ridacchiò sotto i baffi, ma quel gesto fu notato da tutti i presenti.
«Be’, non ha tutti i torti.» commentò lo sconosciuto, quando lo sguardo di Mu-chi si fece piuttosto insistente.
«Tu dovresti essere dalla mia parte, Eunji.»
«Perché invece non bevete qualcosa?» li interruppe Ji-Won indicando il suo bicchiere, il cui contenuto era ormai giunto alla metà.
«Buona idea.» replicò immediatamente Mu-chi avvicinandosi al bancone. In quel momento, anche l’altro fece qualche passo e in un gesto del tutto disinvolto, allungò la sua mano verso Sana.
«Questo maleducato non ci ha nemmeno presentati. Io sono Park Eunji…»
«Sana Kurata. Lavori anche tu per la K Agency?» disse lei, stringendogli la mano.
«Oh no, no. Sono un comune mortale amico di Mu-chi. Tu invece non sei di queste parti, vero?» le domandò, appoggiandosi al bancone e dando le spalle a Mu-chi e Ji-Won che, nel frattempo, erano impegnati entrambi ad ordinare da bere.
«Già, si sente così tanto?» domandò lei, indicando se stessa. Eppure, pensava di essere ormai in grado di parlare la loro lingua più che bene.
«Be’ no, ma è la tua fama a tradirti. Sei giapponese vero?»
«Eh, sì. Prendiamo da bere?» disse subito lei, cercando poi l’attenzione di uno dei barman.
«Sai, ci vado spesso a Tokyo.» aggiunse, ordinandosi poi rapidamente un Manhattan insieme a Sana.
«Davvero? Io invece non ci vado mai.» replicò lei, cercando di affondare un sorriso leggermente nervoso nel bicchiere che le era appena arrivato.
«Ma dai. Io ci vado per lavoro, ho un’azienda di esportazione e ci farò un salto proprio il mese prossimo. Non vai nemmeno a trovare la tua famiglia?» continuò con le sue domande e Sana, in quel momento, non riuscì a spiegarsi l’improvviso sbalzo di temperatura perché iniziò a sentire davvero un gran caldo.
«Vengono loro qui. Che caldo che fa eh… scusami, ma vorrei prendere un po’ d’aria.» disse all’improvviso, scostandosi dal bancone. A quel punto Eunji seguì il suo movimento.
«Oh d’accordo, ti accompagno. In effetti qui fa un po’ caldo.»
Tuttavia Sana era già sgusciata via tra la folla, alla ricerca dell’uscita di quella sala, cercando di non rovesciarsi addosso gli ultimi residui del suo Manhattan. Eunji faticò non poco a trovarla, e la vide affacciata alla ringhiera del grande terrazzo che circondava la sala principale.
«Meglio, no?» le domandò, raggiungendola in pochi minuti.
«Decisamente.»
«Sai, non sono proprio abituato a queste serate. Di solito le nostre uscite di lavoro sono molto più noiose.» argomentò lui, continuando a stringere il suo bicchiere in una mano.
«Peccato.»
«Tu ci vieni spesso?»
«Be’, sono divertenti, no? Perché non dovrei?»
«Non saprei. In effetti, sembrano divertenti.» aggiunse lui, avvicinandosi ancora un po’ a Sana che, nel frattempo, si domandò dove fosse finita Ji-Won.
E lui forse se ne accorse, perché guardò nella stessa direzione di lei.
«Secondo me la tua amica è insieme al mio amico.»
«Oh sì, speriamo. Non vedeva l’ora che venisse… oh.» disse poi, mettendosi una mano sulla bocca. «Questo forse non avresti dovuto saperlo.»
A quella battuta e al modo in cui Sana aveva cercato di tornare sui suoi passi, Eunji sorrise divertito.
«Sei simpatica, Kurata. Non pensavo che le star della televisione fossero così.»
«Siamo anche noi dei comuni mortali, e puoi chiamarmi Sana sai?»
«D’accordo, Sana. E cosa fai nel tuo tempo libero?»
«Oh, di quello non ne ho davvero. Lavoro, tantissimo, e poi dormo. Quando posso mi piace dormire fino a tardi.» raccontò lei velocemente, e Eunji si sentì immediatamente sollevato, perché gli sembrò di vederla finalmente a suo agio. Probabilmente era quello il punto da battere finché caldo.
«Ricordo di aver visto una serie in cui interpretavi una ragazza povera che aveva vinto una borsa di studio in un liceo prestigioso. Carina, devo dire.» commentò, nonostante non lo pensasse sul serio.
«Oh sì, ho adorato recitare in quel drama. Sai, la gente pensa che siano delle stupide storie d’amore lontanissime dalla realtà. Eppure io trovo che il romanticismo faccia bene all’anima, e che tutti noi dovremmo provare un amore travolgente. E così triste, quando non accade.» raccontò con un sorriso rivolto verso l’orizzonte che avevano di fronte. 
«Già, hai ragione. Ci vorrebbe un po’ più di romanticismo. Ora, per esempio, vorrei che apparisse all’improvviso…» disse, per poi bloccarsi subito dopo, senza finire la frase. Sana lo guardò corrugando la fronte, cercando di capire cosa stesse facendo mentre Eunji si guardava intorno, spostando lo sguardo rapidamente da un punto all’altro della terrazza. Poi il suo viso si illuminò all’improvviso e si allontanò di qualche passo. Sana lo osservò incuriosita mentre lui si avvicinava ad un enorme vaso disposto proprio accanto alla porta finestra della terrazza. Eunji trafficò per qualche secondo con l’enorme pianta che fuoriusciva proprio da quel vaso poi si voltò nuovamente verso di lei, raggiungendola con un grosso sorriso dipinto in viso.
«Dicevo…»
«Ma che fai?» domandò Sana, che proprio non riusciva a chiudere le labbra per lo stupore.
«Se in questo momento avessi con me un fiore, lo regalerei a te. Ma un momento… un fiore io ce l’ho eccome.» disse lui con un sorriso, porgendo a Sana un fiorellino bianco che aveva bellamente strappato dalla pianta della terrazza. Eunji rimase qualche secondo con il braccio teso e il fiore davanti al viso di Sana che, in risposta, corrugò le sopracciglia.
Si morse appena le labbra, pensando che in effetti quello era proprio un gesto da serie televisiva e si disse che avrebbe dovuto suggerirlo al regista l’indomani perché, era sicura, qualsiasi ragazza sarebbe caduta ai piedi di un uomo in grado di fare una cosa così carina.
«Ehm, io…» balbettò lei, abbassando lo sguardo sui suoi piedi. Contemporaneamente anche il braccio di Eunji si fletté leggermente e il fiore si allontanava sempre di più dal viso di Sana.
«Lo so, lo so. È brutto ed è già appassito, però ti prometto che se accetterai il mio invito a cena mi farò perdonare.» disse lui in tono ironico. Il suo intento era di farla sorridere, tranne per la proposta della cena. In quello era serio eccome.
«Ma no, che dici. Il fiore è carino… è che le piante… è per la pianta, soffrono…» disse in modo quasi scoordinato, tanto che Eunji corrugò la fronte cercando di capire il punto di quello strano parlare. Però Sana in quel momento estrasse di scatto il cellulare dalla piccola borsa che indossava e sgranò gli occhi.
«Oh, scusami, mi è appena arrivato un messaggio di Ji-Won. Devo andare da lei, credo sia successo qualcosa di serio perché mi ha chiesto di raggiungerla subito in bagno. Scusami davvero, ci vediamo dopo, ok?» disse lei, dandogli le spalle mentre cercava senza successo di nascondere una smorfia del viso.
Eunji avrebbe voluto seguirla, ma aveva anche capito che quella non era affatto la strategia giusta da adottare così restò lì, rigirandosi tra le dita il fiore ormai appassito che aveva strappato a quella pianta.
Sana invece ci mise qualche minuto a trovare Ji-Won, perché era ancora doveva l’aveva lasciata, seduta al bancone del bar intenta a parlare con due ragazzi che non aveva mai visto. Quando l’amica la vide, agitò un braccio, e Sana si sentì sollevata.
«Ma dov’eri?» domandò Ji-Won, alzando appena il tono della voce per sovrastare la musica che iniziava ad essere sempre più forte.
«Fuori. Senti, ma se ce ne andassimo da qui?» propose lei, avvicinandosi all’orecchio dell’amica.
«Non è una cattiva idea, anche perché Mu-chi è sparito e io mi sono stufata. Andiamo al Blue Sky?» disse, entusiasta.
Sana allora ricordò all’istante le pareti fluorescenti e il colore blue predominante di quel posto, e pensò che in fondo il blue è un colore rilassante. Quindi le venne immediatamente voglia di andarci. 
«Perfetto.» rispose rapidamente, per poi lasciare quella festa e tutte le persone che invece sembravano stessero per iniziare a scaldarsi proprio in quel momento.
 
Settembre 2015
 
«Ohi… ma che ore sono?»
Sana bofonchiò a se stessa quelle parole senza nemmeno pensare realmente al loro significato. Si mise una mano sulla fronte, premendo leggermente i polpastrelli sulla pelle affinché quel leggero pulsare si affievolisse e la lasciasse in pace. 
Ci mise una manciata di minuti a capire che quel suono insistente non veniva dalla sua testa, bensì da qualcosa che si trovava a qualche centimetro di distanza dal suo letto.
Quando si rese conto che a produrre quella vibrazione fastidiosa era il suo cellulare, immediatamente tutti i neuroni addormentati del suo cervello furono messi in allarme e lei si alzò di scatto dal letto perché aveva finalmente capito che era terribilmente in ritardo.
«Accidenti, ma perché non mi è suonata la sveglia.» domandò a se stessa quando lesse il nome del suo manager che illuminava ad intermittenza lo schermo del suo cellulare.
«Scusami Ryu, ma la sveglia non è suonata…» si affrettò a dire lei, mentre acciuffava vestiti a caso dal suo armadio.
«Sana, è più di mezz’ora che provo a chiamarti.» rispose l’altro, con tono seccato.
«Lo so, lo so. Due secondi e scendo…» 
Ma in realtà quei due secondi si trasformarono in diversi minuti prima che il suo manager la vedesse comparire dall’ingresso dell’edificio in cui abitava.
Sana si sentiva ancora decisamente stordita, perché la sera precedente era rincasata più tardi del previsto e, nonostante non avesse bevuto troppo, si sentiva decisamente fuori forma. Probabilmente quella sensazione era dovuta al fatto che, in realtà, aveva dormito molto male e che aveva faticato non poco ad addormentarsi, nonostante la stanchezza.
«Bene, quali sono i programmi di oggi?» domandò lei, mentre frugava intensamente nella sua borsa. Ryu la guardò per un istante, prima di tornare con l’attenzione alla strada davanti a sé.
«Oggi termineranno le riprese dell’ultimo episodio, che andrà in onda venerdì. Dovreste finire intorno alle sei… »
«Poi?» domandò subito lei, guardando soddisfatta un elastico colorato per i capelli che aveva appena tirato fuori dalla borsa.
«Poi alle otto inizieranno le riprese per una puntata speciale del talk show per ragazzi con un talento speciale.»
«Oh sì, giusto. Devo trovare un costume adatto…»
«Costume?»
«Certo, un costume. Qualcosa che li faccia ridere… non voglio che si crei un’aria da funerale.»
«Be’, puoi sempre fare una battuta, non credi?»
«Non lo so, spesso la gente non ride alle mie battute.» constatò lei, guardando fuori il finestrino. Le strade erano già piene di gente indaffarata, che correva per raggiungere chissà quale posto di lavoro. E sana, per un solo istante, si domandò come fossero quelle vite e se quella gente che vedeva scorrere attraverso il vetro della macchina, era felice o almeno soddisfatta di ciò che aveva.
Poi, si voltò nuovamente verso Ryu.
«Domani, invece?»
«Domani mattina hai una riunione con il regista della prossima serie che girerai, e il pomeriggio dobbiamo volare agli studi della NTV perché dovrai partecipare ad una specie di gioco a premi con il cast del drama che termina oggi. Una cosa per promuoverlo insomma.»
«D’accordo.» rispose lei, con un filo di sollievo che non riuscì a trattenere nella voce.
«Ricordati che la settimana prossima partiamo…»
«Oh sì, giusto. Non vedo proprio l’ora… mi sembra un sogno.»
«Dovresti aver ricevuto i biglietti via mail.» la informò lui mentre imboccava l’ingresso degli studi televisivi di Seoul.
«Sul serio? Aspetta che controllo.» fece lei, iniziando a digitare qualcosa sul cellulare. Aprì la sua mail e, in effetti, tra le quindici lettere non lette c’era quella a cui si riferiva Ryu: una mail inviata dallo studio fotografico per cui avrebbe posato la settimana successiva. Andare alle Hawaii per pubblicizzare una crema idratante le sembrava veramente una cosa folle. Poi però, non riuscì a trattenere lo sgomento quando aprì il file allegato a quella lettera digitale.
«Ma questo biglietto…» 
«Sì, faremo scalo a Tokyo. Avevo anche pensato di andare a trovare mia madre, ma sarà uno scalo velocissimo. Credo un paio d’ore al massimo...» la informò lui. Quello che però il suo manager non riuscì a vedere furono le spalle della sua cliente, che si abbassarono lentamente seguendo il ritmo di un intenso quanto silenzioso sospiro.
Ma la frenesia di quella intensa ultima giornata di lavoro cancellò ogni tipo di pensiero e Sana, insieme a tutto il resto del cast, si era impegnata davvero molto affinché il regista fosse soddisfatto. Avevano appena terminato la scena finale e mentre tutti loro si complimentavano per il lavoro svolto, il cellulare di Sana iniziò a vibrare.
«Oh, ciao Lee.» rispose lei, allontanandosi di qualche passo dal resto del gruppo. 
«Sana, come stai?» le domandò velocemente. Sana sentì anche un frastuono di sottofondo e pensò che Lee dovesse essere sicuramente per strada.
«Bene, abbiamo appena finito. Ma tu dove sei?»
«In giro, stavo cercando una cravatta nuova. Piuttosto, tu che piani hai per i prossimi giorni?»
«Oh, non te l’ho detto? Tra qualche giorno parto per le Hawaii… è per lavoro.» gli raccontò, nonostante fosse abbastanza sicura di averne parlato già con lui. Probabilmente aveva solo fatto confusione, altrimenti Lee se ne sarebbe ricordato.
«Sul serio? E quando?» le domandò Lee-Eun. 
«La settimana prossima. Ho davvero un mucchio di cose da fare sai prima di partire.» gli disse lei, mettendosi una mano davanti alla bocca, come se nessuno dovesse ascoltare quelle parole. In verità, c’era talmente tanta confusione sul set che sarebbe stato impossibile sentire anche solo una sillaba.
«Capisco. Peccato… pensavo di invitarti ad uscire.»
«Oh, davvero? Che avevi in mente?»
«Ma niente di speciale. Volevo portarti a mangiare qualcosa e poi magari andare alle terme. Però mi sembra di aver capito che lavorerai tutti i giorni fino alla tua partenza.»
«Proprio così. Domani mi daranno un nuovo copione, inizieremo una nuova serie tv e ci sarà anche Ji-Won.» disse lei con entusiasmo. Non poteva certo vedere l’espressione di Lee-Eun dall’altro capo del telefono che faticava nel cercare di ricordare chi fosse Ji-Won.
«Fantastico, sono contento per te. Anche io avrò da lavorare tanto, c’è questo nuovo articolo che mi hanno affidato in redazione…» iniziò lui, ma Sana lo interruppe quasi subito con una specie di urlo.
«Che bello Lee-Eun, sono così contenta per te. Dobbiamo festeggiare.» 
«Sì, sì certo. Il fatto è che dovrò andare spesso in centro… per le interviste agli avvocati di questo studio legale prestigioso. Se tu non dovessi partire, potrei fermarmi più spesso da te, così la mattina non dovrei svegliarmi all’alba. Dovrò andare praticamente a due isolati da casa tua…» disse lui, scandendo lentamente ogni parola, come se le stesse ricercando con una lente di ingrandimento all’interno di un enorme cesto di vimini.
«Oh, mi dispiace… però se vuoi puoi comunque fermarti da me. Io non ci sarò, ma non è un problema.» disse lei, voltando lo sguardo verso il resto del gruppo. C’era chi si abbracciava, chi si asciugava qualche lacrima e lei, in quel momento, desiderò solo raggiungere quel gruppo e chiudere la telefonata.
«Ne parliamo più tardi, ora devo salutarti.» concluse lei sbrigativa.
«Ma certo. Buona giornata.» fece lui, nello stesso identico tono.
 
Inizio ottobre 2015
 
Sana si allacciò le cinture non appena il segnale sulla sua testa si era acceso. Lanciò una rapida occhiata alla sua destra dove c’era Ryu appoggiato contro il finestrino ovale dell’aereo su cui viaggiavano da più di un’ora. Aveva gli occhi chiusi e le labbra aperte, allora lei controllò che anche la sua cintura fosse ben allacciata dal momento che il capitano aveva appena annunciato l’imminente atterraggio all’aeroporto di Tokyo.
Lei, di solito, era una che sugli aerei dormiva. Lo faceva anche sui treni, in auto e su qualunque mezzo di trasporto il cui spostamento prevedeva una durata di tempo superiore ai venti minuti.
Eppure, quella sera di inizio ottobre non era riuscita a chiudere occhio nemmeno per venti secondi. O meglio, lo aveva fatto, ma la mente continuava ad essere vigile.
Contava le ore che la separavano dal volo successivo e in quel lento susseguirsi di numeri, minuti e ore, il suo cervello non aveva proprio trovato il tempo di staccare la spina.
Dal finestrino riusciva chiaramente a vedere i puntini luminosi che man mano che l’aereo perdeva quota, si ingrandivano sempre più, fino ad assumere la forma di case illuminate, grattacieli vissuti e strade affollate. Riuscì chiaramente a distinguere la torre di Tokyo illuminata che sovrastava ogni altro edificio e si disse, tra se e se, che quel panorama non era affatto cambiato in tutti quegli anni.
Poi, il suo corpo sussultò lievemente non appena il velivolo toccò terra, e quando uno degli Stewart diede loro il benvenuto all’aeroporto internazionale di Narita, sentì improvvisamente la testa che le girava.
«Ryu?» lo chiamò, mentre l’aria si riempiva del suono metallico delle cinture di sicurezza che venivano slacciate, una ad una, da tutti i passeggeri pronti a scendere dall’aereo.
«Ehi… Sana?» disse lui, sgranando gli occhi come chi viene strappato con la forza da un magnifico sogno.
«Siamo arrivati.» disse lei, stringendo la cintura di sicurezza tra le dita. 
«Oh bene, ci abbiamo messo poco vero?»
«Sì, decisamente poco.» rispose lei, recuperando il suo bagaglio a mano dalla cappelliera come se fosse un automa. 
«Bene, recuperiamo le nostre cose e andiamo al prossimo terminal. Abbiamo circa un’ora per la coincidenza.» la informò Ryu, guardando velocemente il suo orologio. Sembrava aver recuperato le sue facoltà intellettive in un nanosecondo perché Sana, pensò, al suo posto ci avrebbe messo molto più tempo nel capire chi o dove fosse.
Entrambi allora si affrettarono ad uscire dal velivolo, senza prestare troppa attenzione all’equipaggio che li salutava, ringraziandoli caldamente per aver scelto la loro compagnia aerea. Percorsero il lungo corridoio degli arrivi che li separava da tutto il resto della struttura aeroportuale, fino a raggiungere un bivio che li avrebbe poi condotti al terminal 4, quello per le partenze intercontinentali.
«Dobbiamo andare di la.» suggerì Ryu, indicando il corridoio di sinistra.
«Oh certo.» lo seguì Sana, accelerando il passo. Non guardò l’orologio, ma pensò immediatamente che il tempo a loro disposizione stesse per scadere.
Entrambi allora, forse influenzati l’uno dall’altra, iniziarono ad accelerare il passo sempre di più fino ad arrivare quasi alla fine di quel lungo corridoio che li avrebbe condotti al terminal 4.
A quel punto però, Sana cominciò a sentire qualcosa. Si trattava di un leggero prurito nel profondo della gola. Allora tossì, cercando di schiarirsi la gola, ma quella sensazione fastidiosa non diminuì. Le sembrò addirittura che stesse peggiorando, nonostante gli innumerevoli colpi di tosse.
«Ryu, senti anche tu…?» domandò all’altro, e proprio in quel momento lei e tutti gli altri passeggeri che si stavano recando verso il terminal 4 sentirono un suono assordante, simile alle sirene di un’ambulanza, solo che non si trovavano per strada ma all’interno di un lungo corridoio che cominciava a riempirsi di fumo, man mano che il suono di quell’allarme aumentava.
«Sana, tappati la bocca!» riuscì a dire Ryu, prima di tossire per l’ennesima volta. E Sana seguì il suo consiglio, nonostante ormai il fumo aveva nascosto ogni cosa, comprese le altre persone.
Si chiese cosa stesse succedendo, e pensò subito ad un incendio, ma la sua lucidità iniziava ad essere compromessa man mano che il fumo le inondava i polmoni.
Sentì poi uno scossone che la fece cadere in un batter d’occhio, e l’ultima cosa che vide furono i passi veloci delle persone che scappavano intorno a lei.
 
Ospedale universitario di Tokyo – inizio ottobre 2015
 
«Dottore, è lei in turno al pronto soccorso?» domandò Yuuki, un’infermiera assunta da poco più di due mesi all’ospedale universitario di Tokyo.
«In verità oggi avrei dovuto essere in cardiologia, ma visto quello che è successo in aeroporto direi che saremo tutti qui.» le rispose il dottore.
«Oh, bene. Allora prenda questa cartella e vada al letto quindici per favore.» gli disse Yuuki porgendo un tablet al dottore che iniziò a scorrere velocemente con le dita.
«È questa la paziente?»
«Sì, Sana Kurata. La trova al letto quindici.» ripeté Yuuki con un sorriso.
A quel nome, il dottore alzò gli occhi dal tablet, ma non disse nulla. Spese i successivi minuti della sua vita a cercare quel nome ricoverato al letto quindici.
«È quella lì. Dice che sta bene e che vuole essere dimessa subito. Per favore, ci pensi lei.»
Ma l’altro era ormai troppo impegnato a collocare quell’immagine di quella ragazza che sbraitava agitando le braccia nel magazzino dei ricordi della sua mente di adolescente.


Note d'autrice
Bo', io non lo so quanti secoli sono passati dall'ultima volta in cui sono passata da queste parti. Di sicuro quasi un anno da quando ho aggiornato questa storia.
Mi dispiace avervi fatto aspettare, ma è stato un anno semplicemente folle all'insegna di aerei, partenze, trasferimenti, viaggi ecc. Insomma, avrei potuto scrivere nel dettaglio anche la tiritera che gli assistenti di volo dicono sulla sicurezza prima di ogni decollo. Ma ve l'ho risparmiata.
Detto ciò, spero che ci sia ancora qualcuno a leggere e se ci siete, fatemi sapere cosa ne pensate.
Vi mando un bacio enorme.
Alla prossima
Alex
 
 
 
 
 
 
   
 
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