"Hai
fatto la cosa giusta, Haziel. Sai che Umabel non sarebbe tornato
indietro.”
2005
“Hey,
splendore! Come
stai?” *** “Seger.
Di questo passo mi aspetto anche Bob.*”
ridacchiò il receptionist, sistemandosi gli occhiali sul
naso mentre
osservava la carta di credito di Amethyst. Un nome falso per una
truffa che portavano avanti da troppo tempo. ***
La stanza 13 aveva le
pareti coperte di articoli di giornale e post-it, le foto delle
vittime spiccavano tra essi, volti sorridenti che nessuno avrebbe
più
visto. ***
Forse Haziel aveva fatto davvero la
cosa giusta. ***
Quel vecchio deposito puzzava di polvere, sangue e
morte. ***
Amethyst osservò le fiamme
levarsi alte dalla pira funeraria che ospitava il corpo di suo
padre.
L'Angelo sobbalzò nel sentire le parole che Michael gli
rivolse,
non si sarebbe aspettato che proprio lui gli parlasse.
Cercò di
assumere un'espressione neutra prima di voltarsi a guardarlo “So
di aver fatto la cosa giusta, Michael.”
Non
avrebbe mai pensato che i propri reali pensieri risultassero
così
palesi, ma non poteva permettersi di mostrarsi confuso. O affranto
per ciò che aveva fatto.
Aveva persino nascosto il suo titubare
quando proprio lui, fra tutti, fu scelto per far tornare a casa
Umabel e per più di un anno si era dimostrato impassibile,
come se
niente lo tormentasse.
Ma passando davanti alle prigioni, sentire
le grida di Umabel lo aveva sconvolto.
E fu in quel momento che si
chiese se avesse fatto davvero la cosa giusta.
Ma era un Angelo
del Signore e in quanto tale non poteva avere rimpianti.
Michael
sembrò averlo capito e nonostante gli sforzi di Haziel di
nascondere
quel dubbio capace di divorarlo, l'Arcangelo non sembrò
intenzionato
a credergli.
Micheal sorrise amaramente, posando una mano sulla
spalla del fratello, osservandolo come a voler carpire ogni suo
singolo pensiero.
“Tuo
fratello è sempre stato difettoso, lo sai.”
“Mia
sorella.”
Lo
corresse il Custode guadagnandosi un'occhiata interrogativa da parte
dell'Arcangelo.
“Preferirebbe
così. Conosco Umabel meglio di chiunque altro. Forse anche
meglio di
Gabriel dato che non si vede da millenni.”
Michael
rise amaramente. Non poteva negare che Haziel e Umabel fossero molto
legati, i Custodi avevano la strana tendenza ad avvicinarsi quando
tra i loro protetti vi erano dei membri della stessa famiglia, ma per
quanto Haziel sostenesse di conoscere Umabel, l'Arcangelo sapeva che
il Custode era a conoscenza di ben poche cose.
“Hai
una vaga idea di quante volte abbiamo dovuto aggiustare...tua
sorella?”
Haziel lo guardò confuso. Era la prima volta che sentiva una
cosa del genere.
Come si può aggiustare un Angelo?
“Forse
non la conosci così bene, dopotutto.”
Michael
fece per andarsene ma venne fermato dal Custode nonostante egli fosse
ancora confuso, persino turbato.
“Dovresti
dire a Raziel di smetterla di torturarla. La prigione non è
forse
una punizione sufficiente? È solo scesa sulla Terra. Gadreel
ha
fatto ben di peggio e quasi nessuno osa più sfiorarlo.”
Michael sospirò.
Raziel aveva una strana predisposizione per
la tortura e Umabel più volte era stato vittima di quelle
atrocità.
Michael lo aveva ripreso più volte e Michael odiava
ripetersi.
Un
sorriso oscuro deturpò per un solo istante la sua Grazia,
Haziel ne
rimase turbato ma non osò proferir parola.
Temeva Michael più
di quanto temesse Raziel o qualunque altro Angelo o
Arcangelo.
“Raziel
subirà le conseguenze delle proprie azioni, fratello mio. Tu
evita
di metterti nei guai, stai parlando esattamente come Umabel.”
E
con quelle parole, Michael lasciò da solo il Custode.
Solo con i
propri pensieri, solo con le proprie paure.
Aveva tradito Umabel.
Lo aveva fatto perché era ciò che gli era stato
ordinato. Ma
iniziava a pensare che non fosse la cosa giusta.
La voce di Dean risultò allegra
attraverso il telefono.
Amethyst fece un lieve sorriso, sentire
una voce amica, quella voce in particolare, fu per lei un sollievo,
ma non riuscì ad allontanare comunque quella preoccupazione
che
l'affliggeva.
“Hey...”
Pur
non vedendola in viso, Dean riuscì a capire che qualcosa non
andava.
Quel respiro lento, quel 'hey' appena sussurrato lo fecero
preoccupare.
“Ame?
È successo
qualcosa?”
Amethyst prese un grosso
respiro, si umettò le labbra e cercò di calmarsi.
Le mani le
tremavano e per poco il telefono non le scivolò da esse.
“Si
tratta di papà. È andato a caccia, da solo. Ma
non lo sento da una
settimana e non risponde al telefono. Ho paura sia successo qualcosa,
Dean.”
Dean si passò una mano sul volto
e un lieve sospiro rimbombò al microfono del cellulare.
Sentire
la voce di Amethyst tremare in quel modo gli fece provare rabbia,
tristezza e disperazione.
Non riusciva a sopportarlo e non le
avrebbe rivelato che proprio in quell'esatto momento, provava la
stessa identica paura riguardo suo padre.
John Winchester era
sparito da giorni, senza lasciare traccia.
“Ok...Ora
calmati, va bene?”
La voce di Dean
risuonò decisa e Amethyst annuì quasi fosse
convinta lui potesse
vederla.
“Scusa...io...non
sapevo chi
altri chiamare. Sei il primo a cui...”
“Hey, hey.
Frena. Non dirlo neanche per
scherzo, ok? Lo sai che puoi e devi chiamarmi sempre. Sono il tuo eroe,
ricordi?”
Amethyst rise appena tra le
lacrime che avevano iniziato a rigarle il volto aggraziato.
E
Amethyst ricordava, non avrebbe mai potuto dimenticarlo.
Dean
Winchester era il suo eroe sin da quando era una ragazzina. E lo
sarebbe sempre stato.
“Ricordo.
Il mio
eroe.”
Dean sorrise. Sorrise con
fierezza, sorrise perché non poteva farne a meno.
Sarebbe sempre
stato pronto a essere l'eroe di Amethyst Dalton.
“Dove
si trova tuo padre?”
“A
Savannah.”
“Ho
appena finito un lavoro a New Orleans, sarò lì
entro stanotte, ok?
Sai cosa stava cacciando?”
“No,
ma lo scopriremo, giusto? Ci vediamo lì stanotte.”
Alle parole di Amethyst, Dean sentì il panico avvolgerlo.
Blake
Dalton era un ottimo cacciatore quando testardaggine e sentimenti non
offuscavano i suoi sensi, questo il giovane Winchester lo sapeva
bene, e l'unico motivo per cui sarebbe potuto essere in pericolo era
perché si era cacciato in qualcosa di troppo insidioso e
Dean non
avrebbe mai fatto correre ad Amethyst alcun rischio.
“Non
ci provare nemmeno, bellezza. Tu rimani a casa.”
Amethyst
strinse il proprio cellulare con stizza. Sapeva che Dean le avrebbe
risposto così, ma non aveva nessuna intenzione di cedere.
Sapeva
che il ragazzo lo stava facendo per proteggerla, ma non poteva
tirarsi indietro e nemmeno Dean Winchester sarebbe riuscito a
fermarla.
“Non ci
provare tu, bellezza.”
rispose prontamente, con quella sfacciataggine che riusciva sempre ad
emergere in lei “Ho
detto che ci vediamo
lì.”
Non gli diede nemmeno il tempo di
rispondere, riagganciò e caricò nel bagagliaio
della sua Mustang
alcune armi prima di mettersi in moto per raggiungere Savannah.
“Ame?
Amethyst? Dannazione!”
Dean ringhiò quelle
parole con frustrazione quando si rese conto che la ragazza aveva
riagganciato, ma non perse altro tempo. Salì sull'Impala che
John
gli aveva lasciato e spinse sull'acceleratore per arrivare a Savannah
nel minor tempo possibile.
America's Best Inn,
il primo motel economico dell'elenco.
Amethyst sapeva che suo
padre avrebbe alloggiato lì. Non c'era nemmeno bisogno che
lo
dicessero, ormai funzionava così da anni.
E Dean sapeva
altrettanto bene che avrebbe trovato lì Amethyst.
La ragazza
sorrise. Non un sorriso sincero ma convincente al punto che l'uomo
non riuscì a non ricambiarlo.
“Sì,
qualche giorno fa è arrivato mio padre. Potrebbe darmi la
stanza
accanto alla sua?”
L'uomo
annuì esibendo un nuovo sorriso “Certamente,
signorina. Stanza 14. Suo padre alloggia nella stanza 13.”
Amethyst
lo ringraziò con un cenno del capo, afferrando la chiave che
l'uomo
le stava porgendo, avviandosi alla stanza.
Ma quando vi arrivò
davanti, non entrò.
Rimase a fissare quel numero sulla porta,
quel 13 di un nero che le appariva spettrale, forse memore di quel
romanzetto horror che aveva letto da ragazzina.**
Quel numero
nefasto e infausto, capace di darle brividi solo in quel momento,
quasi percepisse che qualcosa non andava. Non era mai stata
superstiziosa, preferendo affidarsi alle proprie reali - e orribili -
conoscenze piuttosto che a dicerie infondate, eppure i brividi di
paura e smarrimento sembravano non voler cessare.
C'era qualcosa
di sinistramente ironico in tutto quello, in quella stanza 13 e
nell'apparente sparizione di suo padre.
Non seppe dire quanto
rimase fuori ad osservare quel numero. Forse solo qualche minuto,
forse perfino un'ora, ma quando si riscosse non entrò nella
stanza
13, quasi avesse paura di trovare risposte che non sarebbe stata in
grado di affrontare da sola.
Si chiuse la porta della stanza 14
alle spalle, accese la luce e abbandonò il proprio bagaglio
ai piedi
del letto.
Poi si sedette al tavolino, accanto alla finestra, le
tende tirate in modo che nessuno potesse vederla, ma con uno
spiraglio che le permetteva di vedere ciò che succedeva
fuori. Chi
arrivava, chi andava via.
Attese, perché si disse che era l'unica
cosa che potesse fare e quando sentì il familiare rombo
dell'Impala,
si precipitò fuori dalla stanza, come quando era una
ragazzina e non
vedeva l'ora di riabbracciare i fratelli Winchester.
E proprio
come allora, quando Dean scese dall'auto, Amethyst gli corse
incontro, fiondandosi tra le sue braccia.
Dean rimase sorpreso.
Erano passati anni dall'ultima volta in cui Amethyst gli era corsa
incontro con lui ad attenderla a braccia spalancate per sollevarla da
terra e stringerla a sé.
Ma la strinse a sé anche in quel
momento, dopo un unico secondo di confusione, tornando a respirare il
profumo di quei capelli che lo facevano sentire a casa.
“Hey,
splendore...”
Quel
nuovo nomignolo capace di farla arrossire risuonò alle
orecchie di Amethyst
come miele e come balsamo e quel tipico odore di pelle, polvere da
sparo e bagnoschiuma fu capace di calmarla.
“Hey,
Ace.***”
mormorò lei col viso affondato nell'incavo del collo di lui.
Non
notò il brivido che scosse il ragazzo, forse
perché lui aveva
cercato di reprimerlo senza però sciogliere quell'abbraccio.
Dean
sorrise appena a quel nomignolo, Amethyst glielo aveva affibbiato
quando si erano salutati dopo quella caccia agli Oni, come a
ricambiare quel 'splendore' che al cacciatore sembrava molto
più
adatto di 'scheggia'.
“Hai
già scoperto qualcosa?”
Nonostante
la voce profonda, troppo adulta già da troppi anni, a tratti
roca,
il tono fu gentile, comprensivo, quasi stesse chiedendo il permesso
di porle quella domanda.
Si allontanò da lei per poterla guardare
negli occhi azzurri e Amethyst si perse in quello sguardo.
Quegli
occhi verdi e profondi, troppo adulti già da troppi anni,
più della
sua voce.
Amethyst scosse il capo, sciogliendo con lentezza
quell'abbraccio e indicando la stanza 13 con un gesto distratto del
braccio.
“No,
non sono riuscita ad entrare. Non volevo farlo da sola.”
Dean le posò un bacio tra i capelli, la prese per mano,
dandole
quel coraggio che le era mancato.
“Ora
sono qui.****”
Il suo eroe.
“Una
Vetala...”
sussurrò Amethyst mentre con le dita sfiorava un foglio a
righe,
strappato da un'agenda, dove con un pennarello rosso, Blake Dalton
aveva scritto la parola 'Vetala' cerchiandola più volte.
“Le
sparizioni sono avvenute tutte nei pressi di questo parcheggio. Tuo
padre ha evidenziato un vecchio deposito abbandonato. Penso che
abbia trovato il loro covo.”
Seppur
con mani tremanti, Amethyst prese dal proprio borsone un pugnale
d'argento.
Aveva la sua solita determinazione nello sguardo,
offuscata dalla paura solo in parte e Dean sapeva che non sarebbe mai
riuscito a convincerla a rimanere al motel.
Non per questo, però,
non ci avrebbe provato “Ame,
rimani qui. Ci penso io.”
Amethyst sorrise appena osservando il pugnale che continuava a
tenere tra le dita “Sapevo
che lo avresti detto. Ma è mio padre, Dean. Tu non faresti
la
stessa cosa per tuo padre?”
disse sollevando lo sguardo verso l'amico.
A quella domanda Dean
deglutì a vuoto, strabuzzò appena gli occhi e
cercò di controllare
il proprio respiro. Quel pensiero continuava a tormentarlo,
continuava a chiedersi dove fosse suo padre, ma non poteva
permettersi di pensarci, non in quel momento.
Doveva trovare
Blake. Doveva farlo per Amethyst.
Annuì, sulle labbra piene si
formò un mezzo sorriso prima che lui si stringesse nelle
spalle “Ci
dovevo provare. Solo...non fare niente di avventato.”
Amethyst alzò le mani in segno di resa, le labbra piegate in
un sorriso malinconico mentre lo guardava con gratitudine “Ok,
ok! Lascerò a te il comando.”
Dean aprì la porta della stanza, facendole cenno di uscire
“Devo
continuare ad essere il tuo eroe, giusto?”
Secondo gli altri angeli, secondo Micheal, secondo
Raziel.
Ma il tradimento perpetrato ai danni di Umabel come poteva
essere una cosa giusta?
Era pur sempre un tradimento e Umabel non
se lo meritava.
Tormentato da quei pensieri che lo facevano
sentire inadeguato, che lo facevano sentire diverso da come era
sempre stato, Haziel raggiunse le prigioni, fredde nell'aspetto tanto
quanto nel clima.
Vedere quegli angeli prigionieri, la cui Grazia
sembrava non brillare più, gli fece provare una strana
sensazione
che non seppe definire.
Si chiese se fosse paura. O se fosse
tristezza. O forse un senso di colpa che sgomitava imperterrito a
fargli desiderare di rimediare al proprio errore.
Un errore che
era tale solo per lui. E per Umabel.
“Ciao,
sorellina.”
mormorò dopo aver raggiunto la cella dell'amata sorella.
Umabel
sollevò lo sguardo.
Incredula si avvicinò alle sbarre e osservò
Haziel come se stesse cercando di riconoscerlo.
Rimase in silenzio
e l'altro non osò parlare.
Haziel si limitò a guardarla e senza
dire una parola chiese perdono. Lo fece con lo sguardo addolorato di
chi vorrebbe tornare indietro e non infliggere quella pena che per
lui aveva il sapore amaro del rimpianto.
“Mi
hai chiamato sorellina?”
La voce un tempo potente e soave di Umabel era ora flebile. Un
lieve sussurro che si perse oltre le grate, nell'aria fredda.
“So
che è quello che vorresti. Sei sempre stata strana, ma hai
sempre
capito gli Umani meglio di me. Meglio di tutti noi, forse. E quando
hai trovato il tuo tramite in quella donna...Beh, ho capito che
avresti preferito essere chiamata sorella.”
La
voce di Haziel tremò appena e Umabel allungò
appena una mano come a
volerlo confortare.
Haziel la chiuse tra le proprie. Era lui che
doveva confortare lei. Anzi, lui avrebbe dovuto fare molto di
più.
“Mi
dispiace, Mabe. Pensavo di fare la cosa giusta, ma mi sono reso conto
che tradirti è stato l'errore più oscuro di cui
mi sia mai
macchiato.”
Umabel
sorrise e la sua Grazia sembrò tornare a brillare come
sempre.
Non
le importava essere rinchiusa in una prigione. Le importava che
Haziel stesse chiedendo il suo perdono.
Forse gli Angeli stavano
davvero iniziando a cambiare. Stavano iniziando davvero a provare
qualcosa.
Come era successo a Lucifer, a Gabriel, alla stessa
Umabel.
Ognuno era cambiato a suo modo, portando a volte anche
sofferenza, ma Lucifer e Gabriel non erano stati dimenticati.
E
Umabel comprese che lei non era stata dimenticata da Haziel.
“Non
importa. Ora sei qui. Ma non metterti nei guai, Haziel. Va per la tua
strada, senza metterti nei guai. Non sopporterei se tu venissi
imprigionato.”
Haziel
strinse maggiormente la mano di Umabel.
Si promesse di liberarla,
ma non ne fece parola con lei. Forse per non illuderla. Forse per non
rischiare troppo.
“Ora
sono qui.”
E
non importava se gli altri angeli li avessero sentiti, nemmeno
Gadreel che curioso li guardava dal fondo della sua fredda cella.
Un brivido percorse la schiena di Amethyst, ma quella
paura svanì quando anche solo per un istante
sentì il profumo di
Dean, che avanzava davanti a lei.
La luce dei lampioni e della
luna filtrava attraverso le finestre rotte, illuminando fiocamente il
pavimento incrostato di sporcizia e sangue.
Sentirono un rumore e
subito Dean protesse Amethyst con il proprio corpo in un gesto
dettato non solo dall'istinto ma anche dall'affetto che provava per
lei.
Quell'affetto che lo stesso Winchester non avrebbe saputo
definire per davvero.
Perché era un affetto diverso da quello che
provava per suo padre o per quel fratello che non vedeva da anni. Era
un affetto diverso da quello che provava per quei pochi amici che
aveva. Amici con il suo stesso destino ma con anni in più
sulle
spalle.
Le sfiorò una mano prima di stringergliela e non seppe
dire se quel gesto servì per confortare lei o per confortare
se
stesso.
Sapeva però che quella vicinanza gli faceva bene,
dandogli quella sensazione di casa e famiglia che anelava di continuo
in quel suo costante sentirsi solo.
Un altro rumore lo fece
allontanare da quei pensieri che rischiavano di deconcentrarlo.
Un
rumore di passi sempre più vicini.
Troppo vicini.
Perché la
Vetala si presentò dietro i due cacciatori con un movimento
troppo
veloce perché loro potessero vederlo.
Il mostro spinse Amethyst
contro il muro, facendola gemere di dolore, prima di avventarsi
contro Dean che con un gesto pronto e veloce riuscì a
pugnalarlo al
cuore. Con una torsione del polso, il pugnale d'argento
roteò
veloce, ponendo fine alla vita della Vetala.
Amethyst cercò di
alzarsi, guardando il corpo del mostro sbriciolarsi sotto i suoi
occhi, ma prima ancora che potesse avanzare alla ricerca di suo
padre, un'altra Vetala apparve alle spalle del ragazzo.
“Dean!”
gridò Amethyst lanciandogli il proprio pugnale che lui
afferrò al
volo.
La Vetala riuscì a ferirlo, mordendogli appena il collo, ma
il grido di Amethyst lo fece reagire in tempo affinché si
girasse
per pugnalarla e torcere il pugnale dentro il cuore del mostro,
uccidendola.
Dean si tamponò la ferita. Perdeva poco sangue e il
veleno della Vetala non era entrato in circolo.
“Le
Vetala non cacciavano da sole?”
ringhiò stizzito, afferrando la mano di Amethyst per
proseguire.
Arrivarono, senza altri intoppi, in un salone. La
grande vetrata, andati in pezzi, illuminava gran parte di esso. Sul
pavimento lercio vi erano accasciati due corpi. Uno privo di vita,
l'altro in punto di morte.
Amethyst emise un grido strozzato nel
riconoscere suo padre e si liberò dalla leggera presa di
Dean che,
impotente, assistette alla scena.
La ragazza si inginocchiò
accanto al padre che sorrise appena nel vederla con le ultime forze
che gli erano rimaste “Sono
due. Le V—Le Vetala cacciano in coppia.”
mormorò, la voce resa roca da giorni di silenzio e flebile
dalla
vita che lo stava abbandonando.
“Dean
le ha uccise tutte e due. Ora ti tiriamo fuori di qui.”
Non
si voleva arrendere, Amethyst. Cercò di far alzare il padre
e Dean
intervenne tempestivamente prima che questo rovinasse a terra. Ma i
due giovani cacciatori furono costretti ad adagiare nuovamente sul
pavimento il cacciatore più anziano.
“Mi
dispiace, Ame.”
mormorò ancora Blake. E quelle furono le sue ultime parole.
“Papà?
Papà!”
a niente servirono i richiami disperati della figlia in
lacrime.
Blake Dalton era morto. E con lui morì anche una parte
di Amethyst.
I pianti e le grida l'avevano stremata, tanto che Dean non
aveva voluto saperne di essere aiutato a costruire quella
pira.
Amethyst, in ogni caso, non ne avrebbe avuto le forze. Era
riuscita a malapena ad accendere quei fiammiferi che poi
gettò sulla
pira intrisa di benzina.
Dean la strinse a sé e Amethyst si
lasciò avvolgere da quelle braccia che sapevano darle
conforto, che
sapevano di casa. Altre lacrime le rigarono il volto e lei si strinse
maggiormente all'amico, che la strinse maggiormente a sua volta.
In
fondo, Dean sapeva cosa si provava.
Anche se erano passati
ventidue anni, non aveva dimenticato il dolore per la perdita di sua
madre.
Non aveva dimenticato il calore disturbante di
quell'incendio, l'odore di fumo e di carni bruciate.
Rimasero in
silenzio a lungo, il soffio del vento e il crepitio del fuoco erano
gli unici rumori a sovrastare quello dei loro respiri lenti.
“Non
andartene.”
mormorò infine Amethyst, la voce ancora rotta da quel pianto
che
l'aveva scombussolata.
“Sono
qui. Ora sono qui.”
mormorò lui in risposta, posandole un dolce bacio sulla
tempia.
Amethyst sollevò il volto per guardarlo, cercò
quegli
occhi grandi e confortevoli, cercò una roccia, la sua roccia.
Dean
se ne rese conto ed ebbe paura che lei trovasse soltanto sabbia che,
inesorabile, le sarebbe scivolata tra le dita.
Ma Dean Winchester
sapeva essere roccia senza rendersene conto e Amethyst Dalton si
appigliò a lui senza temere di cadere, senza temere che
quella
roccia si sgretolasse.
“Intendo
per un po'. Ho bisogno di te.”
Dean sorrise amaramente a quelle parole, eppure in quel sorriso
vi era quella roccia su cui Amethyst avrebbe sempre potuto
contare.
“Resterò
per tutto il tempo che vuoi.”
E lui restò.
Restò per giorni, per settimane, nonostante la
paura iniziasse a sovrastarlo.
Quella paura che non lo aveva
abbandonato, ma che al contrario aveva continuato a
crescere.
Amethyst se ne rese conto, perché conosceva Dean
Winchester meglio di quanto egli conoscesse se stesso.
Nel corso
degli anni aveva imparato a leggere in quegli occhi verdi, trovandovi
a volte la paura dietro quella corazza di sicurezza, trovandovi a
volte l'incertezza, trovandovi a volte l'errata consapevolezza di non
essere abbastanza.
E nel corso degli anni, Dean aveva imparato a
leggere in quegli occhi azzurri, trovandovi il coraggio, trovandovi
un appiglio e sicurezza costante, trovandovi la consapevolezza di poter essere
tutto, anche quando credeva di non meritarlo.
“Dean?
Che succede?”
chiese lei una sera di fine ottobre.
Dean deglutì a vuoto
sentendo i sensi di colpa avvinghiargli le viscere con talmente tanta
forza da poterle lacerare.
“Non
sento papà da settimane.”
ammise dopo attimi di silenzio durante i quali Amethyst lo aveva
guardato negli occhi spronandolo a parlare.
E a quel punto, i
sensi di colpa avvolsero anche lei. Così fragile e bella da
non
meritare altri pesi sulle spalle.
“Perché
non me lo hai detto?”
“Perché
avevi bisogno di me.”
In
quella semplice risposta, Amethyst ebbe l'ennesima conferma di quanto
Dean fosse per davvero il suo eroe, anche quando non le salvava la
vita dal mostro di turno.
Perché Dean la salvava dal dolore, lo
faceva costantemente, con la sua semplice presenza.
L'aveva
salvata anche in quel dannato ottobre quando provò il dolore
più
grande della sua vita.
Amethyst gli accarezzò il volto, guardando
quegli occhi che erano lo specchio della sua anima, proprio come si
diceva. Occhi grandi e troppo adulti, come quell'anima che sembrava
trovare pace solo grazie a quel tocco.
Lo guardò percependo ogni
cosa di lui. Così fragile e bello da non meritare altri pesi
sulle
spalle.
“Lo
troveremo, Dean.”
Ma
Dean non poteva trascinarla in quella vita che non era vita.
Non
se lo sarebbe mai perdonato.
“No.”
Fu difficoltoso per lui dire quell'unica sillaba. Difficoltoso
eppure tremendamente facile.
Perché l'avrebbe voluta accanto, ma
desiderava per lei qualcosa di diverso.
“Sono
il tuo eroe, Amethyst. Lo sarò sempre. Ed è per
questo che non
posso rischiare. Promettimi che non caccerai più.”
Amethyst deglutì a vuoto.
Aveva sempre saputo che la vita da
cacciatrice non era quello che Dean avrebbe voluto per lei,
nonostante lui la ammirasse per il suo coraggio, per la sua arguzia,
per la sua forza.
Ma era la vita che lei aveva scelto. E anche se
non lo aveva fatto per mettersi in mostra con lui, come aveva pensato
Sam ormai diversi anni prima, forse lo aveva fatto per potergli stare
accanto.
“Dean...”
“Promettimelo,
splendore. Promettimi almeno che non caccerai mai da sola. E io ci
sarò sempre, sarò sempre pronto ad aiutarti, ma
questo...questo lo
devo fare da solo.”
Le accarezzò il volto, sfiorandola col pollice appena sotto
gli
occhi dove lacrime amare minacciavano di cadere.
“Te
lo prometto. Ma tu devi fare una promessa a me.”
mormorò lei in risposta.
Non avrebbe mai potuto deluderlo, né
tradire la sua fiducia e quella promessa l'avrebbe mantenuta, senza
rimpianti, senza ripensamenti.
“Quale?”
chiese lui, trovando la forza di sorriderle, sollevato dalla sua
risposta, perché non avrebbe sopportato nemmeno l'idea di
saperla in
pericolo, lontana da lui.
“Che
non lo farai da solo. Cerca Sam. Chiedigli aiuto almeno per questo.
Ma non cercarsi tuo padre da solo. Me lo prometti?”
Dean si umettò le labbra, preso alla sprovvista da quella
richiesta.
Il pensiero di suo fratello non lo aveva mai
abbandonato e desiderava con tutto se stesso poterlo riabbracciare.
Desiderava con tutto se stesso poter tornare ad essere una famiglia,
quella stessa famiglia che si era lacerata, che non era stata
più la
stessa. Forse egoisticamente, perché Sam aveva scelto una
strada che
lui non aveva avuto la forza di intraprendere, anche se lo avrebbe
voluto.
Ma aveva sempre nascosto quel desiderio dietro ai
'sissignore' detti a volte con fierezza, a volte con rassegnazione,
dietro al coraggio che metteva durante una caccia, dietro alla voglia
di non rimanere solo.
“Cercherò
Sam e gli chiederò aiuto. Te lo prometto.”
disse infine con una morsa al cuore.
Si ritrovò in bilico, Dean,
tra la voglia di riavere suo fratello e quella di lasciargli vivere
la vita che si era scelto e che meritava.
Ma non poteva deludere
Amethyst, come lei non poteva deludere lui, quasi fossero legati a
filo doppio, l'invisibile filo rosso del destino di quella romantica
leggenda orientale di cui non avrebbe ammesso la conoscenza ad anima
viva.