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Autore: FreDrachen    07/06/2022    1 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 25


Non riuscì a trovare il coraggio. Ero una persona debole.

Avevo passato ogni istante, lezioni comprese, a scervellarmi alla ricerca di un modo per rivelargli i miei sentimenti.
Nella mia testa passavano scene in cui, in piedi, lo attiravo a me e gli passavo un dito sul volto causandogli un'espressione dolcissima prima di...

Nah non avrebbe funzionato!

Non vivevo un un libro, se mi fossi comportato così avrebbe pensato senza dubbio che fossi una sorta di pervertito e sarebbe scappato a gambe levate.

Ero stato fortunato che a dichiararsi fosse stata, a suo tempo, Agnese, altrimenti nel caso mi sarei ritrovato come in quel momento, senza alcuna idea di come muovermi.

A scuola cercai di comportarmi come al solito, ridendo forse più del dovuto alle sue battute (che forse non erano tali, non capivo con esattezza) ma ogni volta che cercavo il coraggio sentivo che questo veniva meno e il più delle volte mi stampavo un sorriso ebete in faccia, che suscitava palesemente in lui una certa perplessità. Non sapevo se era meglio passare per un pervertito o un cretino.

Fui sorpeso quindi quando domenica mattina ricevetti un messaggio da parte sua, per fortuna avevo lasciato la vibrazione, in cui mi invitava a fare un giro, dandomi appuntamento per vederci dopo qualche ora.

Avevo risposto subito per paura che potesse cambiare idea e mi ero subito piombato a soddisfare le mie necessità biologiche, perfettamante sveglio e su di giri, cosa che aveva reso mia madre felice.

Mi coprì bene con indumenti pesanti e recuperai un po' di contanti e la carta di credito per pagarmi il taxi per raggiungere la mia destinazione.

Uscì di casa in anticipo per poter fare con calma. Il taxi arrivò dopo poco la mia chiamata, doveva essere in zona, e con altrettanta velocità mi portò alla meta, dato che per fortuna non trovammo traffico. Aveva sbuffato un po' quando mi aveva visto sulla sedia a rotelle ma si era ripreso abbastanza in fretta e con professionalità mi aveva aiutato a chiuderla e a posizionarla nel bagagliaio, e a destinazione ad aprirla per potermici sedere nuovamente sopra.

Pagai la cifra e non appena si fu allontanato mi sbilanciai quel poco per raggiungere il suo citofono.

Non dovetti attendere molto prima che mi rispondesse.

«Si?»

«Aki, sono arrivato» annunciai trionfante.

«Luca-chan

La voce di Akira dall'altra parte suonava un po' troppo dubbiosa.

La mia eccitazione si sgonfiò come un palloncino. «Non...non dovevamo vederci per un gelato?»

Rimase per un attimo in silenzio, facendomi quasi pensare che se ne fosse andato, per poi dire un semplice: «Ah».

Ah? Ma che razza di risposta era?

Mi sentì un vero idiota.

«Bè sai, mi é arrivato il tuo messaggio...» continuai, non riuscendo a capire la sua momentanea perdita di memoria.

«Ah, capisco» disse infine. Buon per lui, io non avevo capito un cazzo.

«Dev'essere stata Maiko. Deve aver sbagliato chat. Di solito usa il mio telefono per mettersi d'accordo con le sue amiche, dato che lei non ne ha uno».

Quindi avevo preso un taxi, il cui tassametro mi stava spillando ancora palanche, per nulla?

«Ma se ti fa piacere possiamo andarci comunque» aggiunse in fretta, temendo forse che ci fossi rimasto male.

«Non vorrei disturbarti. Se hai altro da fare...»

«Non disturbi mai Luca-chan. Mi vesto e arrivo».

Mi...vesto? Perché il mio primo pensiero fu che mi avesse risposto nudo? Nah, senza dubbio si riferiva a liberarsi del pigiama o di qualsiasi indumento usasse in casa. Dovevo smetterla di fare il malpensante.

Aspettai si e no una ventina di minuti prima che Akira mi raggiungesse, avvolto nel suo cappotto nero che lo faceva sembrare più alto di quello che era.

Akira propose di andare a fare una passeggiata in Corso Italia, il lungomare più famoso del centro città e perfetto per me con la sedia a rotelle, dato che era una delle poche strade che si potevano definire pianeggianti. Se avessi optato per via Venti Settembre ero certo che in discesa sarei partito e mi sarei fermato stampato contro un palo oppure asfaltato da un autobus, fini tutt'altro che allegre.

Dato che non avevo questa gran voglia di prendere nuovamente un taxi proposi di utilizzare l'autobus.

Non l'avessi mai fatto!

Perché mi venivano idee così assurdamente idiote? Dovevo imparare a cucirmi la bocca e pensare prima di parlare.

Speravo che essendo domenica quasi all'ora di pranzo fossero per lo più vuoti. E invece non appena arrivò in fermata constatai che era pieno, tanto da impedire la possibilità di abbassare la rampa, di cui erano provvisti questi nuovi modelli di bus, per le sedie a rotelle e nel caso i passeggini.

La prima occhiata che la gente mi rifilò fu tutt'altro che amichevole.

Avvertì qualche commento sussurrato, uno sembrava suonare come un: «Non penserà davvero di poter salire? Non esistono mezzi apposta per quelli come loro?»

Non esistevano cervelli per quelli sprovvisti come loro?, avrei voluto ribattere ma nessuno avrebbe rovinato la mia giornata con Akira, neanche un troglodita dal cervello di ameba come quelle persone.

L'autista, un ragazzo dai capelli biondo scuro, simili al mio colore naturale, e dagli occhi di quel colore incrociato verde e marrone, che dimostrata poco più di una ventina d'anni, si apprestò a convincere la gente a spostarsi in modo da abbassare la rampa e a quelli che occupavano la nicchia riservata di fare posto per permettermi di raggiungerla e posizionarmi in modo da non ammazzare nessuno durante il tragitto in caso di frenate e movimenti improvvisi.

E subito si scatenò la polemica.

Il ragazzo mantenne la calma, malgrado si vedesse che si stava trattenendo e con calma convinse la gente a spostarsi, anche se con ancora dei mugugni in sottofondo, e occhiate d'astio nei miei confronti.

Riuscì a stento ad arrivare alla meta, non sia mai che si spostassero per impedirmi di fare il pelo alle loro dita (se le avessi schiacciate sarebbero stati affari loro), e alla fine mi sistemai incastrandomi nella nicchia, con difficoltà perchè un anziano non di era neanche pemunito a schiodarsi dal sedile presente. Bah!

Anche Akira riuscì a passare e a mettersi al mio fianco in piedi, sotto lo sguardo contrariato dell'anziano. Insomma, mica gli si era seduto tra le gambe! Lo spazio era quello che era.

L'autista riposizionò la rampa alla dua posizione iniziale e ripartì con un leggero scatto.

Il viaggio mi parve più lungo fu quello che era, con i continui commenti sulla mia presenza sul mezzo.

Ma un po' di cazzi loro no?

La situazione divenne ancora più insostenibile quando di apprestò a salire un passeggino. Quel tipo di autobus era attrezzato a ospitate una sedia a rotelle o un passeggino aperto solo nella nicchia, dato che nel resto del mezzo c'era scarsamante posto a stare in piedi visto che i sedili occupavano la maggior parte del volume complessivo.

Quando la donna mi vide cominciò ad intimarmi a lasciarle il posto per poter usufruirne lei.

Certo che di gente strana ce n'era a pizzeffe!

La fissai aggrottando le sopracciglia, facendole capire quanto potesse essere stupida la sua richiesta. Ma questa non demorse e cominciò a rifilarmi insulti di catattere legato alla mia condizione, l'handiccappato (parola sua) che le impediva di usufruire di un servizio di cui aveva pieno diritto, diversamente da me a quanto pareva.

Akira provò a mediare, cercando di farla ragionare sulla mancanza di spazio e del fatto che per lei sarebbe stato meglio, anche per il bambino sul passeggino, salire su un bus più vuoto ma se possibile si arrabbiò ancora di più tanto da far intervenire quel povero disgraziato dell'autista. Non volevo davvero essere nei suoi panni.

Morale della favola, dopo un quarto d'ora con questa che sbraitava come un'aquila (aveva un serio bisogno di farsi un bagno nella camomilla), ripartimmo con lei a terra che ancora infieriva per proseguire la nostra tratta.

Se non mi fosse venuto un mal di testa atroce avrei coninciato a credere nei miracoli, e stessa cosa sembrava per l'autista.

Arrivammo dopo una ventina di minuti a capolinea e quando scendemmo quasi alzai le braccia al cielo per la contentezza.

Al ritorno senza dubbio taxi! Meglio sborsare qualche palanca in più che spenderli in pastiglie per il mal di testa.

Per fortuna la nostra meta si trovava in fondo a una discesa, in cui mi aiutò Akira per evitare di cadere, e oltre una piazza, che in quel momento ospitava il luna park.

Quando giungemmo all'inizio del Corso Akira lasciò andare le manighie di spinta in modo da lasciarmi autonomo nei movimenti.

Camminammo fianco a fianco e per un attimo dimenticai quello che mi ero prefissato, lasciandomi andare al momento. La discussione puntò dritta sulla lettura da parte mia dei tre manga e lessi sul suo volto tutta la soddisfazione possibile quando gli rivelai che mi erano piaciuti e che avevo l'intenzione presto di recuperare i seguiti. Da quello partì a elencate altri titoli e per un attimo mi pentì di averlo scatenato, ma fu un istante appena.

Vederlo così entusiasta mi rendeva felice, questo bastava. Tanto a prosciugarsi sarebbero stati i soldi dei miei.

Passammo di fronte a una gelateria e Akira propose un bel gelato.

Anche se faceva freddo non si poteva negare che facesse piacere.

Quando fu in proncito a pagare fui lesto a farlo al posto suo.

«Mi hai pagato i manga. Lasciami ricambiare in questo modo».

Akira mi fissò un poco perplesso prima di aprirsi in un sorriso.

Dopp aver recuperaro entrambi i gelato continuammo la nostra passeggiata, constatando che non era affatto male, anzi era uno dei pochi commestibili venduti in città. Gli altri sembravano più simili a ghiaccio colorato.

A detta di Aki ce n'era una nella sua zona in cui si poteva acquistare un gelato pazzesco e ci promettemmo che più avanti saremmo passati insieme a degustarlo.

Insieme. Mi piaceva non poco quella parola per descriverci. Ma per poterla davvero rendere reale dovevo fare il grande passo.

Solo che non ero sicuro che quello fosse il monento giusto. Insomma, chi non si era mai dichiarato di fronte a un bel gelato che ti si stava squagliando tra le mani (ma come poteva essere possibile visto la temperatura da freezer che c'era?)?

Nessuno?

Lo immaginavo, visto che era del tutto possibile passare per un autentico cretino.

In pratica quando provi ad aprir bocca ecco il malefico gelato che mette a dura prova la tua pazienza.

Fatto sta che dopo un'ora ancora non ero riuscito a rivelargli i miei sentimenti.

E poi tutta la gente intorno mi disorientava. Avevo sempre apprezzato stare al centro dell'attenzione ma in quel momento volevo solamente trovarmi in conpagnia di Akira.

Oh insomma Luca! O la va, o la spacca!

«Akira, c'è una cosa che dovrei dirti» cominciai, avvertendo già il rossore farsi strada sulle mie goti.

Akira abbassò lo sguardo verso di me, continuando ad affiancarmi nella passeggiata.

«Di cosa si tratta?»

Ah...cazzo! Mi mancavano le parole. E perché mi sembrava di essere senza fiato? Per la miseria era una dichiarazione, non la fine del mondo!

«Ecco...»riprovai.

"Coraggio Luca puoi farcela!"

«È una splendida giornata, non trovi?»

"Una...splendida...giornata?! Mi stai prendendo per il culo?"

Ecco, ero pure sbeffeggiato dalla mia coscienza. Che umiliazione.

Akira mon intuì la mia demoralizzazione interiore e alzò lo sguardo.

«Si, in effetti pur essendo un po' fredda e con quelle nubi che minacciano pioggia, è una giornata piacevole, soprattutto perché posso passarla in tua compagnia».

Cosa

ho

appena

sentito?

Gli piace la mia compagnia? Oddio! Ma questo cambia tutto!

"Prima che possa cambiare discorso devi dirglielo. Ora o mai più".

«In verità quello che volevo dirti era che...»

«Akira?» domandò una voce sconosciuta alle nostre spalle.

Ma che caz...Chi è l'essere che ha osato interrompermi?

Mi voltai e mi ritrovai a fissare uno sguardo del tutto anonimo. Nulla di lui era particolare da rimanere impresso nella mente in futuro. I capelli erano castani tagliati corti, gli occhi del medesimo colore e anche la corporatura e stazza erano nella norma.

Ero certo che non fosse della nostra scuola ma da come Akira si era irrigidito al mio fianco doveva essere una sua conoscenza e non una gradita.

Alzando lo sguardo vidi che era diventato se possibile ancora piu pallido e gli occhi erano leggermente sgranati come se avesse visto un fantasma.

Il ragazzo lo osservava con un'espressione che sembrava molto simile al disgusto (perché mai?).

«Non pensavo di trovarti in compagnia di un ragazzo» disse alla fine quello, tanto che per un attimo pensai che non fosse una cosa poi così strana che due ragazzi uscissero insieme. Ma poi dal suo sguardo capí. Pensava che stessimo insieme?

Akira fece per parlare ma fui più veloce.

«Senti non so che problemi hai ma si dà il caso che io e Akira siamo amici» ribattei con fin troppa enfasi.

Solo amici?

Sul serio?

Bella mossa Luca! Ora si che la tua dichiarazione la puoi benissimo buttare nel ces...mare.

Ma di qualsiasi natura fosse il mio rapporto con Akira in fondo che cazzo importava a un estraneo?

Lui socchiuse gli occhi e ci fissò attentamente.

«Akira, é vero quello che dice?»

«Senti non so chi tu sia e non ci tengo a saperlo. Ma lasciami dire che la devi smettere di sparare cazzate. Quello che fa Akira è affare suo e non deve farne testo a te. Chiaro il concetto?»

Il ragazzo m'ignoró, quanto mi stava sul cazzo, e aspettò la risposta di Akira, che sembrava essersi un poco ripreso.

«S-si. Siamo solo amici».

Cos'era quell'esitazione? Da quando lo conoscevo non l'avevo mai visto così in difficoltà. Cominciai ad odiare sempre di più quel tizio.

«Bene se il problema è risolto andiamo Akira».

Lo afferrai per un lembo del cappotto e gli feci cenno di riprendere il cammino. Se non ci fossimo allontanati alla svelta non sapevo di cosa sarei stato capace.

Superammo il tizio e lo sentì mormorare: «Ma allora non hai imparato niente dal passato?»

Il tizio ci passò oltre e se ne andò con passo tranquillo e le mani infilate nelle tasche dei jeans.

Quanto avevo voglia di tirargli un cazzotto. Chi si credeva di essere quella sottospecie di...

«Andiamo a casa Luca» mi supplicò Akira in un sussurro, e alzando lo sguardo su di lui trovai in espressione di pura disperazione.

Che cazzo aveva combinato quel troglodita? Se l'avessi rincontraro l'avrei preso a sberle fin quando non avrebbe supplicato perdono.

La voglia di abbracciarlo per rincuorarlo era troppa ma forse non l'avrebbe apprezzato lì in mezzo alla gente. Annuì e tirai fuori il cellulare per prenotare un taxi.

Nell'attesa ci avvicinammo a una panchina su cui Akira si sedette, portandosi le mani davanti al viso.

Non sapevo come comportarmi. Potevo rincuorarlo in qualcne modo?
Avvicinare la mano e passargliela tra i capelli? Avvolgerlo tra le mie braccia e sussurrandogli tutta la mia vicinanza?

La mia restietudine alle dimostrazioni d'affetto avuta fino a quel momento mi si stava ritorcendo contro.

La mano mi si mosse da sola. Ma non ebbi il tempo di poggiargliela sul capo che una goccia di pioggia mi colpì il volto, seguita da altre che pian piano si trasformarono in uno scroscio.

«Non ho l'ombrello» dichiarai mortificato. Perché non ci avevo pensato?

Finalmente Akira alzò lo sguardo e constatai che i suoi occhi erano rossi seppir non mi desse l'idea di aver pianto.

«Mi piace la pioggia. Mi dà l'idea che possa trascinare via con sé i ricordi e le colpe» ribattè, la seconda parte di frase ridotta a un sussurro che quasi mi fece dubitare di quello che avevo sentito.

Il taxi arrivò dopo poco, anche se ormai eravamo fradici, e salimmo in tutta fretta, rallentati dalla chiusura della sedia.

All'interno il taxista aveva acceso il riscaldamento e di questo non potevo che essergliene grato.

Passammo il tragitto in silenzio, a un certo punto Alira si sbilanciò verso di me e appoggiò la testa sulla mia spalla, facendomi avampare. Ma preferì non metterlo a disagio. Con gli occhi chiusi sembrava più tranquillo di prima.

Forse si era appisolato perché quando giugemmo a destinazione e dovetti scrollarlo in poco lui sussultò come se si fosse appena ridestato.

Feci per rimanere sul taxi quando Akira mi invitò a salire.

«Non vorrei essere d'intralcio» ribattei ma lui fu irremovibile.

«Rischi di prenderti un malanno. Sali per asciugarti e riscaldarti un po'».

Non me la sentivo di lasciarlo in quelle condizioni e per questo acconsentì.

Il taxista, un uomo sulla trentina, ebbe a cuore la nostra situazione di semplici umani muniti di sole due braccia e per questo si propose ad aiutarci a portare fino alla porta di casa di Akira la sedia a rotelle, senza farci (farmi) pagare alcun supplemento.

Allora al mondo esistevano ancora persone di buon cuore!

Ringraziammo il taxista e non appena se ne fu andato seguì Akira in casa, fino in camera sua.

«Aspettami qui, vado a recuperare degli asciugamani» disse, il tono di voce spento.

Non ebbi il tempo di aprire bocca che uscì dalla stanza.

Poche volte avevo visto Akira in situazioni simili anche se quelle erano se possibile ancora ben peggiori. Qualsiasi cosa ci fosse stato tra loro due doveva essere stato un fatto abbastanza grave.

Akira tornò con due asciugamani, uno rosso e uno bianco che mi allungò.

«Togliti pure i vestiti, ti cerco qualcosa da mettere mentre i tuoi si asciugano» dichiaro facendomi cenno di sedermi sul letto.

Togliermi i vestiti? Certo, era la cosa più ovvia ma perché subito il mio cervello andava a parare su pensieri alquanto sconci?

Non diedi voce a quelle idee e mi affrettai a liberarmi del giaccone e della felpa che si erano inzuppati. Tentennai con la maglia, dato che sarei stato a petto nudo e Akira avrebbe avuto la possibilità non tanto di vedere le mie cicatrici ma i miei fantastici addominali.

Akira nel frattempo si stava liberando dei pantaloni, rimanendo, scoprì, in mutande, a differenza del sottoscritto che prediligeva i boxer.

A proposito, quali avevo messo? Spero non quelli imbarazzanti con i Cupido disegnati sopra.

Lui mi fissò intensamente come a dire che se non mi fossi liberato della maglia di mia spontanea volontà l'avrebbe fatto lui, e per questo mi arresi e lo accontentai e prontamente mi passò una maglia con uno strano personaggio disegnato sopra. La indossai e come avevo temuto mi stava leggermente stretta, naturale visto che Aki era più magro, ma non mi lamentai visto che era stato gentile.
In ultimo mi liberai dei pantaloni zuppi rimanendo in boxer, per fortuna indossavo quelli neri tinta unita, e mi apprestai ad asciugare i monconi.

Fu alzando lo sguardo che le vidi mentre era in procinto a togliersi la maglia.

Anche io avevo cicatrici dovute alle altre ferite che avevo riportato nell'incidente, monconi esclusi. Innunerevoli sulle braccia dovute all'impatto, cosí mi era stato detto, con l'asfalto malridotto e da frammenti che si erano staccati dall'auto che mi aveva messo sotto e di cui non si era ancora scoperto il proprietario, e una più grande che partiva all'altezza della scapola e tangenzialmente mi attraversava fino al fianco sinistro. Quelle, peró, erano ferite abbastanza superficiali.

Le peggiori erano quelle che ti rimanevano incise sulla pelle.

Le sue erano una all'altezza dell'addome, l'altra dalle costole e per finire una all'altezza della spalla destra.
E rivedere entrambe sul corpo asciutto e delicato di Akira fu un colpo al cuore. La schiena ne era piena, linee sottili che spietate segnavano la sua pelle candida.

«Quando te le sei fatte?» domandai a bruciapelo pentendomene subito, non appena lo vidi irrigidirsi.

Lui si voltò verso di me abbassandosi la maglietta ma non abbastanza veloce dal nascondermi quella che aveva all'altezza dell'addome, la peggiore che metteva in risalto una linea frastagliata malamente ricomposta.

«Non...non me la sento di parlare» disse con un filo di voce e con aspetto più vulnerabile che mai.

Centrava forse il periodo in cui era stato costretto a stare in ospedale per cui aveva perso l'anno?

Non era che centrava quel ragazzo?

«Chi era quel ragazzo di prima?»

Lo vidi in lotta con se stesso se rivelarmelo o meno ma alla fine sospirò, arreso di fronte allaia cocciutaggine.

«Si chiama Tommaso. Era un mio vecchio amico e compagno di classe dell'altra scuola che ho frequentato i primi due anni di superiori».

«Ed è coinvolto con quelle?»

«No». Rispose veloce. Troppo veloce.
Quel ragazzo centrava, l'espressione che aveva Akira valeva più di tutte le confessioni.

«Te le ha fatte lui?»

Aveva detto che era stato suo padre, ma non era perchè in realtà volesse coprirlo?

«È stato mio padre. Tommaso non centra nulla con tutto questo».

Ma allora perché?

«E allora perché ti odia?»

Lui provò a negare ma lo fermai subito. «Non sono scemo Aki, anche se il più delle volte sembra che lo sia. Tra te e lui c'è stato qualcosa in passato che l'ha indotto a essere uno stronzo con te. Ha parlato di passato e di un qualcosa che è successo...»

Lui fu fulmineo a salire sul letto e a inchiodarmi con la schiena contro il materasso, salendomi a cavalcioni.

Che in che razza di posizione ambigua ci stavamo trovando?

«Non puoi capire Luca. Lui sa qual è la mia colpa».

«Come faccio a capire se non ti fidi di me?»

«Se lo scoprirai mi odierai».

«Non lo farei mai». Ed era vero, non avrei mai potuto farlo. Che tipo di colpa avrebbe mai potuto avere un ragazzo così tranquillo e gentile come lui?

Non so come ci ritrovammo con i volti a pochi centimetri l'uno dall'altro, le sue mani poggiate a fianco alla mia testa erano roventi, i capelli mi sfioravano la punta del naso.

Parlami.
Baciami.
Fa qualsiasi cosa ma apriti con me. Fidati di me.

«Parlami Akira. Ti prego. Cos'è successo davvero con quel ragazzo?»

Come ha fatto a ridurti in questo modo?

Devo dire che c'ero quasi riuscito.
Vidi il suo bisogno di parlarmi e non so che altro. Spevavo lo facesse, che si fidasse di me come io facevo con lui.

Ma com'era iniziato l'incantesimo si infranse. Akira di allontanò di scatto, gli occhi granati e il respiro ansante. Sembrava combattere contro se stesso e quella parte di lui stava prevalendo su quella che forse si sarebbe aperta con il sottoscritto.

Si portò una mano davanti alla bocca e mormorò qualcosa nella sua lingua.

«Dekimasen. Gomenasai*».

Capì che non avrei cavato un ragno dal buco e preferì lasciar cadere la questione.

Akira parve rilassarsi un poco, anche se la tristezza alleggiava ancora nella sua anima tormentata.

Non mi avrebbe parlato di questo ne ero certo. Troppi interrogativi mi affollavano nella testa e molti si appoggiavano su ipotesi anche dagli scenari terribili. Avevo assolutamante bisogno di risposte. E l'unico che avrebbe potuto darmele ero più che certo fosse il suo ex compagno di classe.

 E l'unico che avrebbe potuto darmele ero più che certo fosse il suo ex compagno di classe


Il conoscente di Akira entrò nel bar con fare scazzato. Mi intravide subito e si fece largo tra gli altri clienti per raggiungermi al tavolo.

Era bastata qualche ricerca sui social, tramite l'account in disuso di Aki, per trovarlo e scrivergli in chat il mio bisogno di porgli alcune domande. Sulle prime mi parve poco collaborativo ma dopo una mia insinstenza acconsentì, dandomi appuntamento il pomeriggio del giorno successivo.
A scuola avevo intravisto Akira di sfuggita e lo colsi come una cosa positiva. Se avessi avuto a che fare con lui sicuramente sarebbe venuta meno la mia idea, sentivo quasi che stessi tradendo la sua fiducia. Ma se lui non voleva darmi rispsote le avrei cercate da questo individio che sembrava ossevarmi cone se avesse a che fare con un essere schifoso. Ma sarà stato bello lui!

Si sedette con fare seccato come se il fatto di aver acconsentito a parlarmi fosse stato dettato unicamente dal suo buon cuore, a parer mio inesistente, visto come si era approcciato cin Akira.

«Forza facciamo veloce. La mia ragazza mi sta aspettando».

Mi sporsi in avanti e incrociai le mani sul tavolo.

«Allora vai subito al dunque. Perchè ti sei comportato così con Akira? Cosa si cela nel suo, nel vostro passato?»

Lui si permise un sorriso per nulla amichevole. Che stronzo.

«Davvero non lo sai? Akira non ti ha parlato della sua colpa?»

Colpa? Di che accidenti stava parlando?

«Di che cazzo stai parlando?»

«Non ti sei reso conto del suo comportamento? È perché i sensi di colpa si fanno sentire. E sai una cosa? Ci godo che soffra. É il prezzo da pagare per quello che ha fatto».

Questo ragazzo aveva davvero dei problemi se davvero godeva della sofferenza altrui. Ma ancora non vi stavo capendo una mazza.

«Avevo detto diretto» sibilai a denti stretti. Sentirlo parlare in quel modo mi stava facendo venir voglia di andarmene oppure di dargliene di santa ragione.

«Akira stava con un ragazzo».

Per un attimo rimasi del tutto vittima dello shock momentaneo frutto di quella rivelazione. Gli indizi c'erano, velatissimi ma c'erano.

«Akira é gay?» domandai retoricamente e non appena pronuciai quelle parole il volto di Tommaso si rabbuiò.

«Ma certo, non l'avevi capito? Senza dubbio sai che legge quei fumetti strani con coppie di froci implicati in situazioni da porno».

«Si chiamano manga e non mi pare il momento di essere così scortese».

"Altrimenti fa a finire che ti strozzo prima che mi riveli quello che vorrei sapere e mi ritroverei quasi al punto di partenza".

«Non mi sembra che ti sia sconvolto piú di tanto per quello che ti ho rivelato. Non ti crea problemi che lui sia una checca?»

«Perché, che problema ci dovrebbe essere? Non é la fine del mondo. Ognuno é libero di amare chi vuole. E poi smettila subito di essere offensivo» dissi recitando le stesse parole che avevo rivolto ad Akira quando lui mi aveva chiesto il parere sull'amore omosessuale. Ecco il motivo del suo nervosismo.

Tommaso mi fissò con fare disgustato prima di continuare.

«E se ti dicessi che per colpa sua, il suo ragazzo, tre anni fa, si é suicidato?»

Che cosa?

 

*Trad dal giapponese: Non posso. Scusami.

Angolino autrice:

Buonsalve! Sono riuscita a pubblicare prima del solito 😍
Dunque abbiamo conferme ma anche nuovi scorci sul passato di Akira (ma quanto è odioso Tommaso? Per fortuna in questa prima storia non penso comparirà altre volte, o se lo farà saranno poche...ma sarà importante per il sequel...😅)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto :3

A presto!
FreDrachen

 

   
 
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