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Autore: Xine    09/06/2022    6 recensioni
Hinata Hyuga avrebbe dovuto essere felice. Terribilmente, irrimediabilmente felice. Si odiava perchè era riuscita ad avere tutto e, nonostante ciò, si sentiva sola.
Sasuke Uchiha era stanco. Era stanco di quella vita che non gli apparteneva, di quel Villaggio opprimente, di quegli occhi verdi che chiedevano di più. Era stanco e voleva stare da solo.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Hinata/Sasuke, Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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XI. 

 

Sasuke si avvicinò alla porta dell’ufficio di Naruto, alzando gli occhi al cielo infastidito. All’interno della stanza riusciva a percepire distintamente due chakra, quello potente dell’Uzumaki e quello tremulo di Sakura. Non perse tempo a bussare, d’altronde era stato convocato, ed aprì la porta. 
La kunoichi era seduta sulla sedia di fronte alla scrivania di legno, con il viso tra le mani e la schiena scossa dai singhiozzi. Inginocchiato di fronte a lei, Naruto lasciava carezze confortanti sulla sua coscia coperta dai pantaloni bianchi, osservandola con gli occhi azzurri velati di preoccupazione.
Qualsiasi uomo, un Uchiha specialmente, avrebbe poco apprezzato quella vicinanza. Ma l’unica cosa che quell’immagine suscitò in lui fu un certo divertimento. Era ridicolo come si ostinassero a non capire, fastidioso persino. Se solo Sakura avesse aperto gli occhi, lui sarebbe stato libero. 
Quando lo vide, il biondo gli riservò uno sguardo di rimprovero e si alzò in piedi nervoso, facendo sobbalzare la ragazza. 
“S-Sasuke-kun c-cosa fai qui?” balbettò la rosa, asciugandosi velocemente il viso ed abbozzando un sorriso. 
Sasuke non la degnò d'uno sguardo, né tantomeno di una risposta verbale. Accennò con il capo a Naruto che si affrettò a posarle una mano sulla spalla e sorriderle rassicurante.
“L’ho chiamato io! Ho bisogno di un parere su una missione” spiegò grattandosi il capo.
Sakura annuì in direzione del biondo, poi lo raggiunse, fermandoglisi esattamente davanti.
“Ho il turno di notte, non aspettarmi sveglio” mormorò cercando in lui un minimo riscontro.
Ad essere onesto non l’aspettava mai, che fosse giorno o notte. Sperava sempre che rincasasse il più tardi possibile per evitare di dover recitare un ruolo che non gli apparteneva. Ma lei non lo vedeva o, forse, non voleva vederlo. Lei preferiva fingere che tutto andasse bene, per poi infilarsi immancabilmente tra le braccia di Naruto a lamentare le sue mancanze. Patetica. E irritante.
Assentì con il capo, sperando di liquidare la faccenda velocemente. Stranamente fu accontentato, perché Sakura gli posò un bacio frettoloso sulla guancia e poi lasciò l’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. 
Non servì aspettare molto per sentire il rimprovero di Naruto.
“Devi smetterla di trattarla in quel modo!” sibilò arrabbiato.
Sasuke ignorandolo si avvicinò alla scrivania. Aveva iniziato a passare al vaglio i documenti sparsi sul tavolo, alla ricerca di qualche informazione relativa al motivo della sua convocazione, quando una mano gli si posò bruscamente sulla spalla.
“Sasuke” lo richiamò Naruto, stringendo la presa.
Si voltò incenerendolo con lo sguardo e scrollandosi di dosso la sua mano. 
“Non sei troppo vecchio per difenderla come se avesse ancora dodici anni?” lo sfidò l’Uchiha, facendoglisi a un palmo dal naso.
“Sakura è importante per me. Non voglio che tu le faccia del male!” gli occhi azzurri guizzarono risentiti.
“Non sto facendo niente!” ringhiò a denti stretti.  Non sopportava l’idea di doversi difendere, specialmente da Naruto.
“E allora perchè diavolo te ne sei andato dall’inaugurazione? Era il suo giorno, cazzo! Avresti dovuto essere lì, per lei!”
“C’eri già tu” scrollò le spalle indifferente.
“Non ero io che voleva. Sei il suo compagno, Sasuke, è questo che ci si aspetta da te…” la voce di Naruto si fece più calma, quasi carezzevole.
Sasuke strinse le labbra in una linea dritta. Lo feriva essere rimproverato da lui, il suo migliore amico. Credeva che lui, tra tutti, avrebbe capito. Era visibile ad occhio nudo che quella vita non gli appartenesse, che Konoha e Sakura non fossero fatte per lui, eppure gli chiedeva di sacrificarsi e restare, di fingere che andasse tutto bene. 
Per la prima volta si domandò se l’amicizia di Naruto fosse reale, se non avesse lottato per lui per il semplice motivo di averlo promesso a Sakura o per il suo stupido nindo.
“Sasuke-” 
"Perché mi hai chiamato?”
“Sasuke dovremmo parlarne. Io credo-”
“C’è altro o no?!”
Naruto lo guardò tristemente. Sospirò rassegnato per poi annuire ed avvicinarsi alla scrivania, aprendo una cartellina da cui estrasse un documento. Lo afferrò, leggendone velocemente il contenuto. Si trattava di un rapporto di missione riguardante un laboratorio sperimentale rinvenuto al confine con il Villaggio dell’Erba. Osservò attentamente le foto allegate e scosse la testa.
“Non è opera di Orochimaru, se è quello che vuoi sapere”
“Sei sicuro?” gli domandò.
Sasuke inarcò un sopracciglio ironico.
“D’accordo. Grazie” annuì il biondo, mettendosi a sedere.
Gettò il file sul tavolo, prima di avviarsi verso l’uscita. Per quanto lo riguardava non c’erano altri motivi per rimanere. 
“Sasuke, per favore, parlami. Cosa c’è che non va?” 
Si fermò davanti alla porta, dandogli le spalle. La voce dell’Uzumaki sembrava rotta dalla preoccupazione e sapeva che quell’idiota non era capace di fingere. Teneva a lui, era ovvio. 
Sospirò pronto a perdonarlo, sul punto quasi di confessare come tutto quanto stesse andando in pezzi. Era stato ingiusto mettere in dubbio la sua amicizia e un profondo senso di vergogna si insinuò in lui. Ma non durò a lungo, perchè Naruto rovinò tutto.
“Perchè le fai questo? Una fidanzata come Sakura sarebbe il sogno di chiunque, se tu-”
Una rabbia cieca montò dentro di lui. Scosse il capo incredulo ed afferrò con forza la maniglia della porta, certo che, se fosse rimasto un istante in più in quella stanza, avrebbe innescato l’ennesimo scontro con la persona più vicina ad un familiare che gli rimaneva. 
“E’ il tuo di sogno. Questa è la tua cazzo di idea di vita perfetta, non la mia!” 
Chiuse gli occhi e si teletrasportò, senza nemmeno pensare ad una reale destinazione. 
Per quanto gli volesse bene, Sakura sarebbe sempre venuta prima per Naruto. E se questo non avesse significato doversi immolare lui stesso alla causa, l’avrebbe anche accettato. Ma non voleva, né poteva, essere investito della responsabilità di rendere felice la donna che il suo migliore amico amava - perché era ovvio che lo facesse - sapendo che sarebbe stato un fallimento in partenza, che avrebbe deluso e ferito tutte le parti in gioco. 
Quando riaprì gli occhi si ritrovò in un luogo familiare, un pianerottolo dalle pareti bianche. Aggrottò le sopracciglia confuso. Era difficile capire perché si trovasse lì, dinanzi alla porta dell'appartamento di Hinata Hyuga. Ed era quasi irritante come la sua unica mano si fosse sollevata, animata da vita propria, ed avesse bussato tre colpi decisi. Una smorfia infastidita gli adombrò il volto, mentre ritirava il braccio stringendo i denti. Lui non aveva bisogno di nessuno, lui voleva stare da solo. 
Non ebbe il tempo di analizzare le azioni - insensate - del suo inconscio, perché ben presto avvertì il suono della serratura che scattava e Hinata fece capolino da dietro la porta.
“Uchiha-san?”  
Inizialmente sgranò gli occhi pallidi, poi, velocemente, la sorpresa lasciò spazio ad un sorriso spontaneo. Come se fosse felice di vederlo, come se lo stesse aspettando.
Rimase in silenzio, incapace di darle risposte sulla propria presenza. Lei l’osservò attentamente, piegando il capo di lato e lasciando che i lunghi capelli scuri le ricadessero sulla spalla. Il suo sorriso divenne un broncio preoccupato, tuttavia si fece da parte per lasciarlo passare, senza pretendere spiegazioni. 
Improvvisamente Sasuke seppe di essere nel posto giusto. Qualcosa si smosse all’altezza del petto ed il peso, che dimorava dentro di sé dalla visita all’ufficio di Naruto, si fece più leggero.
Entrò nell’appartamento, apprezzandone l’ordine e l’atmosfera calma. La sentì chiudere la porta alle sue spalle per poi superarlo, lasciandosi dietro una scia -
piacevole - di profumo al gelsomino. La seguì all’interno della sala da pranzo,  notando sul tavolo una serie di ingredienti. Presumibilmente stava per preparare un dolce, date le impressionanti quantità di zucchero in una ciotola. Istintivamente arricciò il naso disgustato.
“Sto facendo una torta per Yuzu-chan…” spiegò Hinata.
La guardò interrogativo, non avendo memoria di conoscere nessuno con quel nome. 
“Perdonami. Yuzu-chan è una bambina dell’orfanotrofio. Domani è il suo compleanno e così…” 
La vide abbassare il capo imbarazzata, iniziando a giocherellare con le dita nervosa. Non serviva un genio per capire a cosa fosse dovuto quel comportamento, la prima volta che l’aveva invitato per pranzo, alla menzione degli orfani, si era irrigidito e le cose erano precipitate velocemente. Nonostante gli anni era ancora un argomento delicato, riapriva ferite e portava a galla ricordi. Ma la Hyuga non era Sakura, lei non avrebbe voluto approfondire l’argomento, i suoi sentimenti. Ora lo sapeva.
“E’ una bella cosa” borbottò.
Hinata sollevò il capo di scatto, incapace di nascondere lo stupore al suo commento. Poi gli sorrise con gratitudine.
“Posso offrirti qualcosa? Un tè magari?” 
Annuì. Non aveva voglia di niente, a dire il vero, ma un té sembrava un buon motivo per restare. 
Il suo sorriso si ingrandì, rendendo visibili due fossette sulle guance piene ed arrossate. Non aveva mai notato quel dettaglio, così come il suo profumo. D’altronde non le aveva mai prestato particolare attenzione. 
Hinata si spostò nel cucinotto e, istintivamente, la seguì appoggiandosi allo stipite della porta per guardarla. Preparava il tè, posizionando le stoviglie sul vassoio senza emettere il benché minimo suono. I suoi movimenti erano precisi, sicuri, quasi contrastanti con la persona balbettante e tremula che dava a credere di essere. 
Tutto di lei era silenzioso, i suoi movimenti, il suo respiro, come se avesse paura di disturbare, come se cercasse di essere invisibile. 
La vide avvicinarsi alla credenza, che aprì alla ricerca di qualcosa, per poi sollevarsi in punta di piedi e tendere il braccio verso i ripiani più alti. Una smorfia apparve sul suo viso pallido, un misto tra imbarazzo, fastidio e sforzo. Senza pensare la raggiunse, posizionadosi alle sue spalle ed allungando l’unico braccio, che affiancò il suo, arrivando senza alcuna fatica alla mensola più alta. La sentì sobbalzare, poi i suoi occhi opale si spostarono su di lui sorpresi di trovarlo lì, mentre un imbarazzato rossore si diffondeva sulle sue guance.
“Cosa?” le domandò.
“L-la scatola d-di latta b-blu” balbettò, rimanendo immobile. 
Sasuke riportò lo sguardo alla credenza, individuando e recuperando facilmente il contenitore. Glielo porse e lei lo afferrò con entrambe le mani, stringendolo al petto. Non diede segno di volersi muovere, così concentrata a tenere gli occhi incollati al pavimento. 
Si accorse per la prima volta di quanto Hinata fosse bassa e minuta, così esile al centro del suo petto da sembrare ancora una bambina. Non gli arrivava nemmeno all’altezza delle spalle e, a differenza di Sakura, dava l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro. 
Il fischio della teiera lo distolse dalle proprie riflessioni. Fece un passo indietro, allontanandosi da lei e tornando in sala da pranzo, dove prese posto a tavola. Notò che rilassava le spalle e rilasciava il respiro che doveva aver trattenuto, riprendendo a muoversi aggraziata - ma non altrettanto sicura - nel cucinotto. Poco dopo servì il tè, una sola tazza, posandola davanti a lui.
"Per te niente, Hyuga?" 
"Se non ti dispiace io continuerei…" scosse il capo ed indicò i vari ingredienti posti sul tavolo. 
Sasuke annuì, riportando l’attenzione al liquido ambrato ed inspirandone il profumo. Il tè era alla menta, profumato e ben filtrato, non una fogliolina galleggiava nella tazza. Lo portò alle labbra e lo assaggiò, apprezzando il fatto che non fosse zuccherato. Il calore scivolò dalla gola allo stomaco, diffondendosi in tutto il corpo. Si sentì meglio, più leggero, come se quel tè e la silenziosa presenza della Hyuga avessero il potere di calmare il suo animo inquieto. 
Alzò lo sguardo e la trovò intenta a mescolare gli ingredienti, nascondendo un sorriso soddisfatto, probabilmente dovuto al proprio gradimento della bevanda. Non gli aveva ancora domandato perché fosse lì ed era quasi certo che non lo avrebbe fatto. Forse era per quello che era venuto, perché lei non avrebbe chiesto, né preteso. Hinata si sarebbe fatta da parte, silenziosa ma attenta, ed avrebbe capito.  O perché somigliava a sua madre con quei lunghi capelli scuri, la pelle pallida ed il grembiule giallo. E non era soltanto una questione di caratteristiche fisiche, erano anche le movenze aggraziate e la voce gentile che gliela ricordavano, il modo in cui armeggiava con destrezza in cucina e serviva magistralmente il tè. 
Si accorse di essere rimasto a fissarla a lungo, più di quanto sarebbe potuto sembrare opportuno, quando le sue guance divennero rosse.
"H-ho qualcosa che non va, Uchiha-san?" balbettò imbarazzata, cercando il suo sguardo.
Aveva sempre pensato che gli occhi degli Hyuga fossero inespressivi, impassibili e gelidi. Ma non i suoi. A Hinata Hyuga si leggeva tutto in faccia.
In quel momento la trovò bella. E la cosa lo spaventò.

 
   
 
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